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Autore: Morganna    15/12/2013    6 recensioni
- E tu, quante storie sai? -
Le belve, il lupo e la volpe, si inchinano di fronte al Signore prima di stendersi al suo fianco, in attesa.
- Tante. Mi piacciono gli esseri umani
(Prologo del progetto "Ballads for the Unquiet One" -potete trovarlo su FB - che ambisce a riscrivere o narrare ex novo delle fiabe oscure che riprendano la tradizione europea del racconto gotico e dei racconti concatenati fra di loro. Il narratore non è unico ma costituito da chiunque vorrà unirsi)
Questa è la mia personalissima fiaba di avvio.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Raccontami qualcosa                                                        

Il ricco banchetto è pronto, la tavola apparecchiata.
Nulla si può eccepire per affermare che non sia stato fatto ogni sforzo alla buona creanza. Il denaro della famiglia è stato impegnato, il signorotto indebitato affinché si paghino tutte le necessità al buffet ed al miglior corteo che sia mai stato svolto lì alla collina.
Le domestiche pagate ad ore per l’occasione si muovono leggere come spettri inamidati fra un convivio e l’altro.
C'è il cibo imbandito per gli uomini e quello delle donne, e perfino uno, confinato nella stanza dei giochi, per i bambini.
Le ragazzine sono due colombe in uno stormo di corvi dal becco ricurvo, pronte a capirle. Ma esiste al mondo uccello meno docile della colomba? Meno foriero di pace?
Di tanto in tanto, nel chinare la crestina verso un signore o una dama, ledue servette fanno scivolare la mano sui biscotti destinati a quel mondo di bellezza per occultare uno o due di quei frammenti farinosi nelle pieghe dell’abito, leste nel far sparire quei regalini pieni di buio nei grembiuli di mussola candida. Ci penserà, poi, la marmaglia dei fiumi a mutare l’alta pasticceria piena di volute decorative in vero cibo e la glassa vetrosa in sostentamento.
Le due domestiche mormorano, e mormorano su quanto alla fin fine si sia risparmiato su questo o quello. Sono delle malelingue per chi le ha pagate.
Il fremito delle vesti degli appartenenti alla buona società è assordante, e il rumore delle loro mandibole impegnate nel  lavorio insaziabile del pasto sovrasta perfino la musica dei violini e il frusciare sommesso delle gonne sulle cosce seriche delle più giovani. Sontuose sete sono stati usati per gli abiti su misura, impennaggi di ala di corvo per i cappellini, raso impalpabile per le sciarpe dei ragazzi e la aguzza ossidiana è lo specchio in cui ognuno si riflette, immancabile gioiello su ogni corpo presente. Sono stati convocati gli acconciatori alla moda, e le sarte più abili a creare o rinnovare la moda.
Ognuno porta qualcosa di un caro ormai perduto come un trofeo, un bracciale o una spilla di capelli intrecciati sull’ossa del polso oppure un più modesto piccolo scrigno a custodire un dente o una fotografia che deve essere spudorata e ben visibile. Gettata in fronte agli altri, in una gara implacabile.
Tutto pur di non essere da meno rispetto alla famiglia che ha indetto la festa, e che è stata a lungo visitata dalla sfortuna di non perdere nessuno per numerosi anni, tenendoli lontani dalle occasioni mondane più importanti. Ma adesso la piccola bara di ebano al centro della sala e quel pulviscolo di iodio che aleggia nell’aria dopo lo scoppio dell’epidemia è la loro grande occasione. Bisogna fare ogni sforzo per apparire degni e superiori agli eventi.
Lì dove l’ostentazione del nero è la sublime dimostrazione della più pura eleganza. Bisogna danzare questa danza, inebriarsi di essa, volteggiandovi dentro fino a lasciarvi ogni fiato. Ogni cosa deve essere impeccabile, ed impeccabilmente svolta. La padrona di casa brontola affinché sia un funerale perfetto.
Dopotutto è in queste occasioni che occorre far sfoggio di ricchezza, buon gusto e buona educazione. Ed in questo caso il dispiego di forze è stato imponente.
Nel ritratto, quel memento mori tanto in voce, con il piccolo morticino hanno tutti quanto indossato abiti cuciti apposta per l'evento.
La grande tavola, memoria degli avvenimenti che si sono susseguiti nella casa di generazione in generazione,  è coperta di velluto nero ed ornata sontuosamente da una cascata di drappi che ricadono giù in una infinità di pieghe. Offre il suo  mostrarsi a chi si avvicina, in una mescolanza di mazzolini di calendula (dispiacere) ed erica (solitudine) che si disperdono nei ben più grossi mazzi di garofani gialli (infanzia) annodati ai rami di cipresso (lutto) con ricche bande nere così come vuole la buona etichetta ed i numerosi libri consultati sull’argomento.
Quei piccoli mazzolini accolgono l’attenzione soltanto distratta degli avventori, sorvegliati da una bambina costretta in un abito nuovo di crespo nero e che rappresenta l’unico essere realmente mesto in quella atmosfera di attesa per l’immortalità che a tutti sarà presto offerta tramite  il grande miracolo della fotografia. La  accompagna nella sua sincerità soltanto quel medico che nascosto in un cantuccio (dare dimostrazione di dolore è sconveniente per il pubblico) piange le vere lacrime delle sue mani inutili e della sua vana scienza.
Le carrozze già scalpitano nel cortile, tiri a due o a quattro di cavalli morelli allienati con i loro alti pennacchi di struzzo dipinto di nero.
Alla bambina non importa di mangiare nessuno dei biscotti tondi con il cherubino impresso sopra, buonissimi nel loro semplice impasto di burro farina e poco zucchero. Non le piace neanche la meravigliosa carta piena di ghirigori e fiori dipinti che li avvolge ed il sigillo di ceralacca creato appositamente per l’occasione con il monogramma della famiglia. Non vuole neanche la torta a cinque livelli ricoperta del miglior cioccolato proveniente dalle Americhe e neanche un pezzetto di zucchero a forma di teschio. Neanche il the attira i suoi interessi, o il vin brulè che per oggi non le è proibito.
Guarda gli avventori che si disperdono fra le ghirlande di fiori bianchi appese su ogni porta (giovinezza del defunto) senza poter più trovare i suoi genitori. Guarda talmente tanto che gli occhi le sono diventati rossi. Forse sa che sono nell’altra stanza, lì dove si svolge la funzione. Ma non riesce a muoversi.
Chiude adesso le folte ciglia, quasi invisibili sul suo viso lentigginoso e la visione la raggiunge.
No, non è una visione. E’ davvero lì. Il più bello degli avventori, finanche il più bello che abbia mai visto.
Ha camminato fino a lei, ignorando del tutto le vistose scollature ed i vigorosi bastoni. Ha ignorato la gente e la gente sembra ignorare lui ed il suo silenzio.
Un uomo elegante nel suo completo nero, con una sciarpa di seta ornata stretta intorno alla gola.
Non ha segni di ostentazione addosso, è così puro e semplice nel marasma di odori delle sale bordate di lutto.
Ha zigomi sporgenti come lame ed una bocca grande dove le labbra tracciano una ferita sottile. Nessuno lo ha visto. Nessuno guarda in quella direzione.
I suoi occhi sembrano fatti di luce, come stelle di mezzanotte cadute ad esplodere nel cielo nero della sala, dove i grandi e numerosi specchi sono stati coperti a lutto perché l’anima di nessuno vi resti imprigionata. La bambina tende la sua piccola mano bianca verso quel signore, chiedendogli aiuto.
- Ho paura di tutti questi quadrati nel pavimento. Sono neri e bianchi ed io non so camminarvi sopra
- E’ normale. Tu sei fatta di tutti i colori di un iride e non di nero e di bianco  
Nessuno strumento musicale, perfino la più raffinata arpa suonata dal vento non è pari al suono della voce del signore. 
Ha in se tutte le dolcezze ed i dolori del mondo.
- Vuoi che ti aiuti ad attraversare?
- Si. Prendimi in braccio
La bambina si tende verso quell’oscuro signore accucciandosi addosso al grande corpo di lui come un cucciolo. Il salone delle feste è una scacchiera.
Gli uomini e le donne sono pedoni, pronte a vincere per un po’ e perdere subito dopo. Tutti i pezzi, meno uno, sono sacrificabili nel gioco degli scacchi.
La bambina è presa dal caldo e dalla stanchezza, l’odore del vino speziato le ha dato alla testa e si sente svenire.
- Sei venuto per il mio fratellino?
Chiede.
- Si. E tornerò per te
L'espressione della bambina è triste, un sonno sottile sembra vincerla adesso, e lei vi lotta contro aggredendolo con tutte le sue scarse forze
- Chi sei?-
E’ la prima domanda
-  Sono il Mietitore signore di ogni cosa
- Chi sei?
E’ la seconda domanda
- Sono il Padrone di tutti voi
- Chi sei?
E’ la terza domanda
- Sono la Morte
- Morte, aiutami ad attraversare
I due avanzano nella sala, ed i presenti fuggono improvvisamente fra gli spazi, fra i bianchi e fra i neri. Sono come formiche separate da un rametto.
Attoniti guardano avanzare un uomo ed una bambina, un comune uomo ed una comune bambina. Hanno le briciole del pane cortese nello scollo, e sorsi di vino ad inzaccherare la barba. Sono formali, falsi ed eleganti. Ed adesso vedono.
Hanno parole gelate negli angoli delle labbra nel grande silenzio del cessare della musica.
Il Signore muove la sua alta falce d’argento, indifferente al loro timore, e i presenti si inchinano al suo passaggio come spighe che spezzino il capo ad una folata di vento.
- Morte, fammi poggiare il capo sul tuo petto
Chiede la bambina, e i suoi lunghi capelli avvolgono l’abito scuro del Signore, pendendogli dalle spalle come un mantello, più lunghi di qualsiasi altro mantello.
- Quando saremo arrivati dall’altra parte, mi lascerai?
- Solo se tu lo vorrai
Risponde dolcemente la Morte, riversando in lei la percezione delle giunchiglie della primavera e la tiepida brezza dei fiori di mandorlo.
- Ma dovrai aspettare
Continua la bambina, ormai ad occhi serrati ed abbandonata nelle sue tenera membra mentre attraversano l'una dopo l'altra le porte.
- Talvolta lo faccio
Risponde l’uomo, con il bordo affilato della mietitura a proteggere il fragile collo di lei.
- I miei genitori non potranno dare un’altra festa se tu vieni prima che sia passato un anno ed un giorno
Le stoffe cadono dagli specchi mostrando il riflesso di uno scheletro che tiene in mano una rosa bianca.
Le fibre tessute e ricamate sono straziate dalla bufera, mentre le domestiche si affrettano a chiudere le finestre.
Ma la luce delle candele non ha alcun sobbalzo, nella stanza della veglia.
I poveri non hanno paura di quegli eventi, li conoscono bene poiché hanno perso i loro amori ed i loro figli ancor prima di poter sorridere loro. Mangeranno i loro biscotti rubati, per sopravvivere ancora un’ora dopo l’altra così come sopravvive tutta la gente umile.
- Tu sei il Re. Io sono la Regina. Forse potremmo farci compagnia mentre mi aspetti
Sussurra la piccola
- Io sono il Re. Tu sei la Regina. Forse potremmo farci compagnia mentre ti aspetto
Risponde la Morte
- Conducimi tu
La bambina indica il divano dove riposare, nella stessa stanzetta dove ci sono i gementi. Dove stanno i suoi genitori, i suoi zii ed i parenti più stretti.
E' un grasso divano che si muta in un soffice prato ombreggiato dalle tremanti ombre degli alberi. Lì accanto c’è un ruscello, e lei vi immerge le mani; l’acqua è limpida e fresca. Ma non osa staccarsi dall’ uomo, e gli siede riversa nel grembo. In quel petto non c’è nulla da ascoltare, non un fiato, non un cuore che batta. Eppure lui è lo stupore più grande che rifugge qualsiasi timore.
- Potremmo raccontarci delle storie
I pesci si sollevano dal fondo e saltano sull’acqua, le rane gracidano insieme al frusciare delle salamandre sull’erba.
- Quante storie sai? -
La bambina ci pensa un po’, ed i cervi e le lepri accorrono dal bosco per sentire anche loro la risposta
- Tante. Mi piacciono i libri
Poi sorride ed assaggia il nettare che le api le offrono. Nugoli di insetti dorati le volteggiano attorno.
- E tu, quante storie sai? -
Le  belve, il lupo e la volpe, si prostrano di fronte al Signore prima di stendersi al suo fianco, in attesa.
- Tante. Mi piacciono gli esseri umani
Anche gli uccelli del cielo ed i vermi della terra sono ormai giunti.
 - Allora raccontami qualcosa per un anno ed un giorno, così non sarò da sola
Perfino gli spiriti mutevoli ed  immateriali, le fate e le sirene, sono diventati di carne al tocco della voce
- Tu non sarai mai da sola
La Morte affonda il viso nel collo della bambina, baciandolo lentamente.
- Perché io ti amo
E la bambina ride a quel solletico, poi si solleva verso di lui, gli allunga le mani sul volto, toccandolo in ogni sua parte.
Come tutti gli altri presenti eccola lì in attesa di una storia. Ecco l’ultimo degli invitati al sacro banchetto: l’uomo.

                                                                                                                                                                                 

Tutto ciò lo dedico alla mia "famiglia adottiva" qui su EFP. Senza di voi non scriverei affatto. Malaria, Amartema, Codivilla, Nejisfan: siete un tesoro prezioso ed io sono solo una bambina timida in confronto a voi. Scrivere questo racconto così breve non è stato facile come sembra, perché mi si sono accavallate in mente molto cose ma ho voluto scegliere di essere quanto più semplice ed essenziale possibile. Ci sono tanti rimandi, volontari e non, nascosti nel testo. Ma lascio a voi se scoprirli oppure no. Grazie per aver letto!
  
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