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Autore: Elisewin Ci    15/12/2013    20 recensioni
New York. Tra le luci di Manatthan e le sfumature dei suoi quartieri, la grande città fa da sfondo alla storia di Damon e Elena, due adolescenti tanto diversi quanto feriti dalla vita. Una storia d'amore e d'amicizia, di violenza e autolesionismo, caratterizzata da grandi passioni: musica, libri, parole, cuore. Un incontro-scontro tra i banchi di scuola che cambierà per sempre le loro vite.
"Cara Elena, tu non sei felice, neanche con addosso il vestito a fiori che hai preso al negozio vintage all'angolo. Tu non sei felice, cara Elena, perché sei innamorata.
E allora tatuatelo sulla pelle e marchiatelo nello sguardo, tutto questo tormento.
Magari, adesso, cara Elena, inizi a crescere"
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alaric Saltzman, Caroline Forbes, Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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BEST OF YOU
 

Prologue.



A New York si ha come l’impressione che le cose avvengano più velocemente che altrove.
Lawrence Block

“Sei tu la ragazza della libreria giusto?”, due occhi verdi mi sorridono prima di sentire una carezza lieve sulla schiena.
“Si, sono io, la ragazza del Molasses books, in carne ed ossa”
“Posso sapere il tuo nome?”
“Elena Gilbert, sono a New York da sette mesi, vivo a un paio di isolati da qui e sono una stronza, avrei dovuto richiamarti Stefan”
“Posso sedermi?”
“Certo” sposto la sedia di qualche centimetro per fargli spazio, mentre chiudo il quaderno degli appunti e riordino i libri che mi ha consigliato di leggere il professor Saltzman come preparazione per la relazione di fine corso.
“Studi?”
“Si, per lo meno ci provo” sospiro appoggiando il mento sul dorso della mia mano, mentre mi lascio coccolare un attimo dalla musica lieve di sottofondo di questo caffè letterario che ha salvato gran parte dei miei giorni tristi a New York.
“Cosa c’è che non va?”, gli occhi di Stefan sono buoni, la sua voce riesce sempre a calmarmi e io mi sento terribilmente in colpa.
“Sono stati giorni difficili, ma… ma se vuoi domani possiamo passare la giornata insieme”, sbatto più e più volte le ciglia prima d’iniziare a sentire una sensazione di vergogna invadermi: non ho mai preso l’iniziativa con un ragazzo, ma da lui devo farmi perdonare e infondo, Stefan mi piace. E’ rassicurante e condividiamo gli stessi interessi.
Mi sembra un buon inizio.
“Lena sono venuto qui per restituirti questo”, le sue dita lunghe e perfette spingono verso di me il mio diario, sgrano gli occhi inorridita senza riuscire a parlare, “prendilo, è tuo. Non ho letto niente, stai tranquilla”
“Stef… Stefan come fai ad averlo tu? Io, io credevo di averlo perso”, stringo al petto il custode dei miei segreti e cerco di non sbattere gli occhi impaurita che qualche lacrima di vergogna possa svelare il mio disagio.
“Damon è passato da me stamattina. Mi ha chiesto di portartelo”, l’espressione colpevole sul suo viso serve solo ad aumentare la mia confusione.
“Tu conosci Damon? Ma è impossibile…”
“E’ una lunga storia Lena e tu non meriti di conoscerla”
“Stai scherzando vero? Sono stanca di tutti questi segreti, tu non puoi mentirmi come fa lui, non… non è giusto”
Vedo i suoi occhi incupirsi e improvvisamente le sue spalle si piegano come vinte da una stanchezza indicibile, mi sorride appena prima di sfiorare la mia coscia nuda, stretta in un paio di shorts bianchi.
“Sei bella Lena, sei bellissima”
“Sono grassa Stefan. E tu continui a mentirmi”
“Eri in carne e ora sei dimagrita. E comunque eri bella anche prima di perdere peso”
“Otto chili in quattro mesi di bugie e solitudine. Potrebbe essere il titolo della mia relazione per il professor Saltzman” e poi mi alzo, ferita, mentre sistemo tutte le mie cose nella borsa pronta ad andarmene.
“Lena non fare così”
“Stefan da quanto conosci Damon?”
Apre la bocca per poi richiuderla l’attimo dopo.
“Stefan ti ho fatto una domanda”
“Da sempre. Ci conosciamo da sempre”

 

L’inferno non è mai tanto scatenato quanto una donna offesa.
W. Shakespeare

Sfoglio le pagine del mio diario, passando gli occhi sulle parole curate e a tratti distratte che raccontano la mia vita negli ultimi mesi. Le parole che raccontano chi sono io, davvero, senza filtri.
E mi sento violata fin nel profondo all’idea che Damon possa aver letto i miei pensieri, di Stefan mi fido nonostante tutto, ma di Damon no, quindi vado con lo sguardo in cerca di qualche segno che dimostri la sua intrusione tra le mie pagine.
Voglio sapere, e sentire addosso, quanto in basso può ancora cadere.
Ha rubato il mio diario, ha letto i miei segreti, ha riso del mio amore.
Non è ancora tornato.
Non ha avuto il coraggio di confessarmi il suo furto.
Poi arrivo in fondo,  e la consistenza delle ultime pagine cambia improvvisamente tra le mie mani, sono pagine dure, rattrappite un po’ su se stesse, l’inchiostro sbiadito si è allargato confondendo le parole come se qualcuno le avesse bagnate con acqua o… lacrime.


Caro diario,
stamattina il professor Saltzman ci ha chiesto cosa pensiamo della grammatica, se la riteniamo importante oppure no. Ho risposto senza riflettere, di getto, ad alta voce, ho urlato un “non sempre è necessaria” che ha spiazzato tutti. Me compresa.

“Spiegati Elena, può essere una tesi interessante”
“E’ fondamentale per ritenere uno scritto degno di tale nome. Ma… ci vuole cuore, anche a costo di un qualche tempo verbale sbagliato. Ci vuole realtà… io leggo di tutto, da Platone a Joyce a Sepulveda, ma leggo anche il romanzetto da spiaggia che compro a pochi dollari alle bancarelle della domenica mattina vicino casa. E non sempre l’alta letteratura mi emoziona come un racconto trash. Quindi no… non metterei la grammatica al primo posto, ma la credo necessaria. Un po’…”
“Un po’ come il rispetto in una storia d’amore, non trovi Elena?” mi interrompe sorridendomi e io non posso fare altro che spostare lo sguardo di lato per incontrare gli occhi infastiditi di Damon.
“Si, credo sia lo stesso”
“E allora pensateci tutti, per domani voglio uno scritto in cui mi esponete le vostre teorie sull’amore. Cos’è, in quante forme si manifesta, come reagite alla sua mancanza. Ovviamente potrete anche parlare dell’amore per il mio nuovo corso di sociologia. Tutti, avete capito? Dovrete farlo tutti. Elena, tu puoi scegliere, non ho bisogno di altri tuoi lavori”

E allora scrivo a te, caro diario, scrivo a te perché sono stanca di essere considerata la secchiona della classe, e ti scrivo perché ne ho bisogno. Ho bisogno di parlare con qualcuno e qui ci sei solo tu.
Quanti tipi di amore esistono?
So che c'è l'amore di mio padre e mia madre, quello forte e sincero delle favole, quello buono che profuma di vaniglia e fiori freschi, quello eterno, quello che esiste ancora su di me anche se loro non ci sono più, quello che mi spinge ad andare avanti, nel ricordo di come i loro occhi si sono guardati per l'ultima volta.
C'è l'amore del professor Saltzman per la dottoressa Fell, così grande e colpevole da non trovare pace e riuscire a vivere nonostante il senso di colpa.
C'è l'amore che provo per la piccola Sophie, il mio scricciolino che non riesce a parlare ma che lotta con così tanta forza per farsi spazio. E quella bambina è il mio orgoglio segreto, caro diario, spesso è il pensiero di lei che mi fa andare avanti, lei che forse non parlerà mai ma che non nasconde il suo amore a nessuno. Sophie ama con i suoi occhioni, con i suoi abbracci, con la gentilezza delle sue manine sulle mie gote, Sophie ama con lo sconfinato desiderio che ha di crescere in mezzo agli altri senza nascondersi mai nonostante il suo deficit.
E poi c'è Caroline, che è l'essenza stessa dell'amore, così innamorata di un'idea da apparire quasi fastidiosa. Ma in realtà invidio la sua capacità di essere presente, per tutti, nonostante tutto, il suo voler essere positiva ad ogni costo, il suo innato senso di rivalsa verso le ingiustizie.
Io, invece, amo un po' meno. Amo a tratti, picchi passionali che mi distruggono tra vuoti senza fine. Per quanti giorni non ho sentito niente dopo la morte di mia madre, neanche dolore, solo assenza e vuoto. Il vuoto bianco delle giornate autunnali in Colorado, quando restavo abbracciata alla nonna cercando di farle forza.

"Vai mia piccola Elena vai, prendi i miei soldi e costruisciti la vita che vuoi. Ho chiamato Julie, mia cugina, la chiudono in una casa di cura, ti lascia casa sua a New York. È un appartamentino senza pretese bambina mia, ma scappa via da questi prati che ti hanno portato tanto dolore, tu sei intelligente Elena, devi fare una vita migliore della nostra"
"Ma nonna... io sono felice qui"
"Lo eravamo tutti Lena, ma adesso mia figlia non c'è più e queste praterie ci tolgono il senso del tempo. Non fare l'errore che ho fatto io e che ha fatto tua madre: l'amore non basta Lena, neanche se hai accanto l'uomo migliore del mondo, devi vivere bambina mia. Non fermarti qui come abbiamo fatto noi"
"Hai avuto una vita infelice nonna?"
"No Lena, tutt'altro. Ho avuto una vita meravigliosa, ma conosco solo questi prati e i vostri volti. Io voglio di più per te"
"Ma nonna… come farò senza di te?"
"Pensa solo che io sono felice qui. Prendi questi risparmi Elena, tuo padre sognava la grande città per te"

E non ci sono le braccia forti di mio padre ad abbracciarmi adesso, non c’è nessuno con me. Mio padre se l’è portato via il fuoco, mio padre era un pompiere che combatteva gli incendi che hanno colpito le nostre praterie. Mio padre che sembrava invincibile se ne è andato via una domenica mattina d’agosto, nella disperazione della mamma che si è lasciata andare senza combattere più contro la malattia.
Come se io non fossi un buon motivo per attaccarsi alla vita, come se io non fossi abbastanza.
Lo so, il mio è un pensiero cattivo, ma è un qualcosa che porto dentro e mi condiziona ogni giorno. Io, forse, frutto del loro amore, valgo meno dell’amore che i miei genitori provavano l’uno per l’altro.

Ma l’ho scoperto, piano piano, un po’ d’amore per me stessa.

L'amore che ho imparato ad avere verso la vita, un attaccamento spasmodico e incontrollato che mi tiene a galla, che mi fa sperare in momenti migliori e che mi fa accettare quelli terribili. L'amore che ho sviluppato per le corse alle sei di mattina al Grand Ferry Park, l'amore per i miei libri, per l’Elisabeth Bennet di ‘Orgoglio e pregiudizio’, per il sole della domenica pomeriggio, l'amore per i concerti al Music hall, l'amore per lo skyline di Manhattan illuminato, l'amore per gli scoiattoli tristi di Central Park, l'amore per i negozietti di vestiti vintage dove passo il mio tempo frivolo.
C'è l'amore che ancora non ho per il mio corpo, quel disamore che sento per la mia pancia piatta che non è in armonia con i fianchi torniti, il seno abbondante e la mia faccia tonda. Il disamore che provo per i muffin al cioccolato a cui non so rinunciare e per la mia immagine allo specchio che mi vieta categoricamente di mettere un tubino nero al ballo di fine anno.
E allora indosserò quell'abito blu dalla gonna lunga e ampia che mi ha trovato Caroline in un grande magazzino sulla 14esima strada. O molto probabilmente passerò quella serata a casa, a rimettere in ordine la cucina e pulire il frigo con in sottofondo il ciddì dei ‘Vampire weekend’ che Haley ha lasciato qui dimenticandosi di tornare.

Come si sta dimenticando di tornare anche lui, dopo che ieri notte in preda all'alcol le sue mani mi hanno ferita. Ma non è niente, non ho versato neanche una lacrima, solo un piccolo livido nerastro sotto l'occhio, che con un po' di trucco riuscirò a nascondere dimenticando l'accaduto. Per le tazze invece sarà un problema, le ha rotte tutte, una per una, quelle meravigliose della mia collezione. Ha distrutto quella di quand'ero piccola mentre mi urlava addosso quando poco sapessi della sua vita, ha sbattuto a terra quella gialla con la stampa di Cenerentola che nonna mi regalò per il mio sesto compleanno, così, una dietro l'altra, fino a quella comprata insieme poche settimane fa durante la nostra gita al mare. O forse dovrei dire sull'Oceano, aperto freddo e incontaminato, così meraviglioso visto da Coney Island.

Se solo il professor Saltzman sapesse.

La grammatica, caro diario, guarda a quali confessioni stupide mi porta.
Damon non  mi ha mai toccata, non è mai successo, non lo sento lo zigomo dolorante adesso che stringo gli occhi per non piangere. Me lo sono solo immaginata, davvero.

La grammatica, forse ce ne vorrebbe di più, tale e quale al rispetto.


Un biglietto nascosto tra le pagine, quasi accartocciato scritto con una calligrafia malferma che conosco benissimo.

“Non avrei mai dovuto toccarti, e il fatto che non fossi in me non è una giustificazione.
Sono cattivo Elena, non vado bene per te. Perché non te ne vai il più lontano possibile da tutto questo?
Io non cambierò quello che sono e mi rifiuto di pensare a come tu possa sentirti ogni volta che sbaglio, ogni volta che ti metto di fronte all’evidenza, ogni volta che esagero. Ho deciso di darti sollievo.

Ho ripreso il vinile che mi avevi nascosto sotto il tuo materasso.
Lo sai, non mi sposto mai senza Jimi Hendrix.
E tu non puoi attaccarti a una sera in cui non avevo niente di meglio da fare che farti ascoltare la musica che amo… mi sopravvaluti Lena, sei troppo sentimentale.

Spero che tu possa perdonarmi, in qualche modo.
Damon”

E improvvisamente capisco, come un segreto svelato dal niente, il perché delle sue mani piene di graffi e sangue dell’altra notte. Damon si è punito per avermi picchiata.
La mia mano sullo stomaco stringe forte il tessuto leggero del golfino primaverile che indosso, le mie unghie graffiano la carne del mio palmo mentre con la mano che lascio libera continuo a sfogliare le pagine del mio diario dove lui ha posato gli occhi e le lacrime, e mentre leggo maledico la mia ossessione di accendere ancora il camino, in pieno maggio, solo per farmi compagnia, e mi maledico e sfoglio, sfoglio e maledico sotto voce per ritrovare il passo dove confesso di aver nascosto il suo vinile.

Williamsburgh, casa da sola
E’ importante segnare una data? Oggi no, i bambini non hanno la percezione del tempo.

Si, caro diario, forse sono davvero una bambina perché io i miei pensieri li annoto sempre, così è più facile ricordare.
Ma forse è vero, perché del dolore che sento dentro, quello forte, non accenno mai niente.
Io lo voglio dimenticare.
E adesso sto piangendo un po', in silenzio, non do fastidio a nessuno.

Mentre Lui dice che non si piange, e che il dolore si porta addosso tatuato sulla pelle e marchiato nello sguardo.
"Quello che ci succede si porta addosso non si racconta al mondo", Lui me lo ripete sempre, il passato non si cancella perché fa parte di noi, ma non si regala a una penna, quella è un'offesa. È un lavoro timido da sognatori senza coraggio.

E allora io me lo marchio addosso e lo scrivo lo stesso.
Quando è rientrato l'ho visto, non c'era solo la macchia di caffè sul suo maglione, Lui aveva un labbro tumefatto e tracce di sangue sulla mani.

Ho pianto un po' quando ha sbattuto la porta. Forse se lo marchio qui, su di te, magari imparo a crescere.

Ma Lui è immorale per scelta, caro diario. Lui, me lo ricorda sempre, "pensa meno Elena, la vita si vive di petto" ma io, tutto questo non pensare, non lo so cosa vuol dire.

E adesso piango in silenzio, si è spento pure il fuoco, fa freddo in questa casa dove vivo da sola, ma io un primo appuntamento non l'ho mai avuto.
E neanche un primo vero bacio, neanche una vera prima volta.
Io non mi sono mai sentita desiderata davvero.

È questo quello che mi tatuo addosso.
Ma ho desiderato e amato così tanto, caro diario, che forse adesso quando ti scrivo devo chiamarti per nome.

Cara Elena, forse sei così immatura e codarda da non avere uno scopo se non compiacere gli altri, ma tu non ti distruggi.
Mentre Lui si.
Lui si ammazza ogni giorno da solo.
È una sua scelta, la sua prerogativa.
Fa male, cara Elena, dio quanto fa male. Allora piangi pure, ma tu lo sapevi, lui non sarebbe cambiato per te. Lui non ha mai accennato a questo.

Lui, cara Elena, non ti ha mai chiesto niente.

E allora me lo tatuo addosso che in certe sere io non servo.
Lui ha la sua fede a proteggerlo, la fede del caso, "quella che Elena si impara da soli quando si capisce che la vita fa schifo, ma New York aiuta, dio se aiuta, questa città ti apre le prospettive. Ma tu sei piccola Lena, sei piccola nei desideri, tu non l'accetti che le giornate facciano sanguinare, e che la notte è fatta per i tormentati. Impara a conviverci ragazzina, è una fede questa, la fede in se stessi"
E io, caro diario, non ho nessuna fede. Né in Dio, né in me stessa, non la trovo questa fede con cui darmi pace.

Eppure... eppure io l'ho sentito così vicino, eppure io lo volevo uguale a me.

Ma Lui è oscuro, e forte.
Anzi no, caro diario, Lui è fragile, e cattivo, e troppo sensibile per la vita che fa. Io non volevo cambiarlo, volevo solo amarlo.
Ma ha ragione Lui come sempre, Lui non ha bisogno di qualcuno che lo culli la notte e che medichi i suoi occhi tumefatti.
Quelle sono state solo mie scelte sbagliate, "le scelte che fanno le bambine ingenue che credono al principe azzurro. Io, Lena, ti credevo diversa"

Quella sera, caro diario, non te l'ho raccontata, ma quando mi ha detto quelle parole mi è sembrato osceno anche Central Park, e la sua mano stretta alla mia ha iniziato a bruciare.
Volevo correre, volevo scappare lontano tra le braccia di papà, ma papà non c'è, me lo ha portato via il fuoco degli incendi in Colorado.

Cara Elena, tu non sei felice, neanche con addosso il vestito a fiori che hai preso al negozio vintage all'angolo. Tu non sei felice, cara Elena, perché sei innamorata.
E allora tatuatelo sulla pelle e marchiatelo nello sguardo, tutto questo tormento.
Magari, adesso, cara Elena, inizi a crescere.

Ho mal di stomaco, caro diario, la nausea mi fa venire voglia di vomitare anche se non ho mangiato. Non ho toccato cibo per tutto il giorno dopo il cappuccino che gli ho lanciato addosso stamattina.

Pensi ai suoi occhi, cara Elena, al sangue sulle sue labbra, e ammettilo che rovinarle ti sembra un reato da pagare con la pena di morte.
E sei una bambina, il vinile di Jimi Hendrix è sempre lì, sotto il tuo materasso, marchiatelo addosso quanto male ti fa averglielo nascosto, non lo scrivere su un diario. Quella è roba per codardi sognatori che non sanno prendere in mano la loro vita.

Ma diglieLo, cara Lena, diglielo che anche se sei una bambina tu hai coraggio. Il coraggio di amarlo tanto, nonostante tutto. Il coraggio di contraddirlo, il coraggio di passare ore con le dita su un vinile che ti ha fatto ascoltare mentre ti spiegava quanto bella e curativa può essere la musica.
UrlaglieLo cara Lena, che tu nonostante la vita ti abbia tolto tutto, tu ami lo stesso, urlaglieLo Lena.

Si è fatto tardi, caro diario, meglio se vado a letto. Domani forse chiamo Caroline.



Non voglio più sentire niente, voglio smettere di accettare quello che mi succede senza lottare, sono stanca di tutta questa commiserazione con cui tratto me stessa. Ho solo voglia di urlare, perché io lo so, lo so davvero, quanto di meglio posso meritare. Così afferro il cellulare e lo chiamo.
Stranamente risponde ancora prima che possa squillare.
“Pronto”
“Dove sei?”
“Cosa vuoi?”
“Dove sei?”
“A Central Park”
“Aspettami”
“Sono le dieci e mezzo non riuscirai ad arrivare in tempo. All’una chiudono tutto”
“Ti troverò”
“Non essere stupida… è buio e potrei essere ovunque”
“Sei seduto lì, al solito posto, dove mi hai salvata sei mesi fa”
“Va al diavolo Lena”
“Ti odio Damon”
“Anch’io, Lena, anch’io”, ma la sua voce è stranamente dolce, come a volermi finalmente confessare l’esatto contrario.

 

Per tutti quegli incroci tirare a testa o croce
qualcuno ci avrà messi lì, siamo chi siamo,
il prezzo di una mela per Adamo, il tempo dell’ennesimo respiro
e gli anticorpi fatti col veleno,
siamo chi siamo.
Non si finisce mai di avere fame,
conosco le certezze dello specchio
e il fatto che da quelle non si scappa,
siamo chi siamo, siamo arrivati qui com’eravamo,
si sente una canzone da lontano
potresti fare solo un po’ più piano?

 

 

Note dell’autrice:
Dopo il mio viaggio a New York e dopo l’amore smisurato che provo per questa città ho avuto l’ispirazione per questa nuova fanfiction Delena un po’ particolare, come avrete capito da questo prologo che vi dice tutto e niente. Spero però che vi lanci gli input giusti per interessarvi alla storia, o per lo meno per incuriosirvi un po’.
E’ un inizio in medias res, dal primo capitolo potrete poi conoscere le vicende dei protagonisti dall’inizio.
Vi dico solo che l’immagine che ho nella mia testa di Damon e Elena non è quella attuale del telefilm…
Elena non è bella, ha un visino molto espressivo e qualche chilo di troppo, un po’ com’era Nina intorno ai 16 anni, un po’ come siamo state tutte noi prima di imparare a prenderci cura di noi stesse.
Damon invece è bello da togliere il fiato, il bad boy pieno di donne che ama suonare la chitarra (vedi riferimento a Jimy Hendrix) e come punto di riferimento… pensate alle foto di Ian da ragazzino.

[per il banner, perfetto stupendo meraviglioso azzeccatissimo un grazie e un bacione alla mia Bloodstream]

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Molasses book, il caffè letterario citato all’inizio, è una piccola libreria molto carina di Williamsburgh, quartiere di Brooklyn dove vive la nostra Elena.

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E cosa dirvi ancora?
Restate sintonizzate, anche se questo è un assaggio, anche se le pubblicazioni vere e proprie arriveranno dalla fine della mia fanfiction su Ian e Nina, “Visionaries award”… lasciatemi un parere, due righe, battete un colpo, fatemi sentire le vostre opinioni. Sono curiosa… davvero.

Non  mi resta altro che salutarvi e ringraziarvi in anticipo.
Un bacione,
Elisewin

Ps il titolo non è scelto a caso… “Best of you”, in onore di quel capolavoro che è l’omonima canzone dei Foo Fighters.
Ascoltatela!

 

 

 

 

 

  
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