IL MIO PRINCIPE AZZURRO
Fine dei giochi
La
voce narrante sarò io
Combattevano, si picchiavano a sangue per
avere la meglio uno sull’altro. Non si risparmiavano colpi nonostante fossero
padre contro figlio. Si odiavano, chi per un motivo, chi per un altro.
Vegeta caricò il pugno destro con lo scopo
di colpire l’uomo al viso, ma l’altro schivò il colpo.
“La stanchezza ti sta provando eh,
figliolo?” ghignò il maggiore prendendo il polso del figlio. Vegeta cercò di
liberarsi dalla morsa del padre ma, fallendo, venne lanciato al suolo con
violenza. Atterrò di schiena, con un tonfo.
Aprì la bocca per prendere fiato, era
esausto e aveva sete.
Si dissetò con l’acqua piovana che gli finì
in gola, sentiva il cuore battergli talmente forte da fargli male nel petto. Non
ce la faceva più.
La figura del padre gli si stagliò davanti.
Lo vedeva, davanti a lui, in piedi, che lo fissava compiaciuto.
Perché? Perché a lui? Cos’aveva fatto per
meritarsi tutto questo? La sua vita era sempre stata uno schifo, sin da infante
era stato mandato in missione per uccidere, obbedire a ordini di superiori, i
quali gli avevano fatto conoscere un solo tipo di vita: quella del soldato, del
mercenario, che in fondo un po’ gli piaceva.
Era sempre stato freddo e distaccato, non
aveva mai provato nessun sentimento verso le sue vittime e poi, di colpo, venne
sbattuto sulla Terra, e da lì venne tutto a ruota. Lui, Goku, o Kakaroth, come era abituato a chiamarlo, gli aveva fatto
scoprire un altro tipo di vita.
I suoi insulsi amici… Beh, loro rimanevano
tali.
E poi lei, che lo aveva accolto in casa
sua, costruito macchinari, nutrito e tenuto al caldo. Come poteva avere dubbi
su quale vita volere? Nessun idiota sarebbe tornato indietro, nessuno avrebbe
mollato quella vita per tornare in una fredda, silenziosa e squallida base
militare.
Lui, che amava tanto il silenzio,
immaginando quei corridoi metallici, rabbrividì.
Chi poteva costringerlo a ritornare a quell’incubo?
Nessuno.
Il padre avanzò ancora verso il figlio,
scavalcò il corpo con un piede mettendosi perfettamente sopra di lui, in modo
da guardarlo dritto in viso.
“Come ti sei ridotto, eh Vegeta?” l’altro
non rispose, troppo stanco per aprir bocca.
“Chi l’avrebbe mai detto che tu, mio unico
erede, mi avresti tradito così!” Vegeta girò il volto verso destra e chiuse di
poco gli occhi. Voleva andarsene da lì, aveva freddo.
“Io non ho tradito nessuno, voglio solo
starmene in pace, cosa che tu mi impedisci” non urlò stavolta, non ne aveva le
forze. Rigirò il capo in modo da guardarlo, notando lo sguardo severo del
padre. Quante volte lo aveva fissato così quando era bambino? Tante, forse
troppe, e per lui ogni volta era una coltellata al cuore. Aveva sempre dato se
stesso nelle missioni per rendere quell’uomo orgoglioso di lui, ma ogni volta
finiva nello stesso modo. “Hai fatto il
tuo dovere”, ecco le parole del padre. Mai un complimento, mai una pacca
sulla spalla. Solo occhiate severe e ordini, i loro dialoghi erano questi.
Però era sempre stato convinto che, in
fondo, gli volesse bene. Alla fine era sangue del suo sangue, era sempre suo
padre. E ora erano lì, sporchi di sangue e fango, che si fissavano, stremati
entrambi per la lotta per la vita o la morte.
“Sapevo che tua madre ti avrebbe ridotto
così!!” sibilò l’uomo sputando di lato.
A quelle parole, però, Vegeta non seppe
resistere. Si tirò su a sedere di scatto e con rabbia conficcò un pugno nello
stomaco del padre che, colto di sorpresa, si piegò in avanti dal dolore. Istintivamente
si portò una mano sul punto colpito, mentre dalla bocca colava un rivolo di
saliva mista a sangue. Cadde a terra senza fiato, contorcendosi dal male.
Vegeta si alzò lentamente, gli facevano
male le costole, temeva di averne qualcuna rotta. Si avvicinò all’uomo, gli
prese la spalla destra e lo girò supino, poi gli si inginocchiò sopra tenendo
una mano sul collo del padre.
“E hai pensato bene di ucciderla, dico
bene?” lo disse a denti serrati e trattenendo l’odio che provava. Se lo
ricordava bene quel giorno, come scordarlo?
Era
tornato dalla missione da un paio d’ore e, essendo stanco, si era subito
ritirato nella sua stanza. Era stato via tre giorni, forse quattro. Aveva perso
il conto, era facile confondersi, era sempre tutto uguale in quei casi. Si tolse
i piccoli guanti bianchi macchiati appena di sangue, guardandosi poi le mani. C’era
qualche cicatrice, cosa insolita per un bambino di sei anni.
Sbuffò
e si sdraiò sul letto, attendendo che Napa venisse a chiamarlo per andare da
suo padre. Era molto impegnato ultimamente, l’aveva visto spesso parlare con
uno strano essere bianco e rosa con la coda, due corna e più basso del padre. Li
aveva anche sentiti discutere, non aveva capito di cosa, ma il padre gli era
sembrato piuttosto scosso e innervosito.
Si girò
su un fianco, decise di non pensarci, in fondo non erano affari suoi.
Nel
giro di pochi minuti si appisolò sul letto senza nemmeno coprirsi, quando la
porta della stanza si aprì.
“Principino,
suo padre mi ha mandato a chiamarla”
La
voce di Napa destò il ragazzino che, con aria assonnata, indossò gli stivali e
scese dal letto. Appena appoggiò i talloni sul pavimento si udì un urlo, era
una donna ad aver urlato, ma entrambi capirono subito chi fosse. Vegeta si
voltò impallidendo verso l’uomo.
“Madre!”
uscì correndo seguito da Napa. Svoltò un paio di curve, fino a raggiungere il
corridoio principale del palazzo reale.
Sul tappeto
di velluto rosso c’era sua madre sdraiata a terra, del sangue le macchiava le
labbra e lì, affianco a lei, suo padre era in piedi, con lo sguardo altrove.
“Cosa
le hai fatto?!” più che una domanda sembrava un grido soffocato, disperato e
trattenuto. L’uomo si girò di scatto verso il figlio, volgendo poi lo sguardo a
Napa, appena arrivato.
“Portalo
via!” ordinò al saiyan riferendosi al figlio, ma Napa
era pietrificato sul corpo della Regina riverso a terra.
“Mi
hai sentito? Ti ho detto di portarlo via! È un ordine!” e detto questo
scomparve, imboccando un corridoio a passo svelto.
Vegeta
si avvicinò al corpo della madre, poggiandole una mano sulla guancia. Si impose
di non piangere, come gli era stato insegnato, e notò solo ora la ferita all’addome.
L’armatura era spaccata e sporca di sangue, così come il guanto, dato che aveva
tentato di bloccare la fuoriuscita del sangue, inutilmente.
Napa si
destò e si avvicinò al bambino, prendendolo per un braccio.
“Venite,
Principino” lo tirò leggermente, ma Vegeta oppose resistenza. Non se ne sarebbe
andato, non poteva. Napa lo tirò ancora, intuendo ciò che realmente era
accaduto. Doveva portare via Vegeta al più presto, almeno lui doveva salvarsi.
“Principino,
andiamo! Qui non è sicuro, dobbiamo andarcene alla svelta!” cercò di
convincerlo, ma il bambino strattonò il braccio.
“Se
sei così codardo, va pure! Non puoi darmi ordini, sei solo un soldato semplice!”
disse senza nemmeno voltarsi.
“Cosa
credete di fare restando qui!? Ormai è morta!” sapeva di essere stato duro, ma
era più importante portarlo in salvo. Vegeta non seppe come rispondere, erano
rare le volte in cui rimaneva senza battuta pronta, ma cosa poteva inventarsi? Non
poteva di certo dire che voleva restare con lei ancora un po’, che figura ci
avrebbe fatto?
“Ci
penserà vostro padre a seppellirla, ora dovete seguirmi!” continuò l’uomo. Provò
a strattonare ancora una volta il Principe, notando che non opponeva più
resistenza. Ne approfittò per portarlo via, e l’ultima cosa che Vegeta vide fu
sua madre riversa a terra.
“Tu hai sbattuto la testa, non ho ucciso
tua madre!” stavolta, quello a terra e sovrastato dal nemico, era Re Vegeta. Aggrottò
le sopracciglia, era colpevole di tanti omicidi, ma non quello di sua moglie!
“Chi credi di prendere in giro? Ti ho visto
con i miei occhi!!” serrò la presa sul collo del padre, lo odiava, da quel
giorno aveva covato un odio nei suo confronti che non riusciva nemmeno a
descrivere. Aveva chiuso un occhio sul fatto che l’avesse venduto a Freezer, in
fondo inconsapevolmente così facendo l’aveva salvato, ma per sua madre no, non
l’avrebbe perdonato.
“Tu non hai visto niente! Non ho ucciso io
tua madre!!!” stavolta lo urlò alzandosi di poco con il busto.
“Bugiardo!!” urlò di rimando Vegeta. Odiava
essere preso in giro, specialmente su cose di cui era consapevole.
“Avevi sei anni, cosa credi di aver
capito?! Hai trovato tua madre riversa a terra con me affianco e quindi secondo
te l’ho ammazzata io?!” continuò l’uomo mettendo una mano sul polso del figlio.
Quella presa lo stava soffocando.
“E chi altro dovrebbe essere stato?
Sentiamo!” lo stuzzicò.
“Zarbon, pezzo di
idiota!” inconsciamente la presa sul collo diminuì, tuttavia non sapeva se
credergli. Deglutì dubbioso, come poteva esserne certo? Zarbon
nel loro palazzo reale? E che motivo avrebbe avuto per uccidere sua madre? No. Era
tutta una cazzata per salvarsi la pelle.
“Se speri di impietosirmi ti sbagli, so
quel che ho visto e Zarbon non aveva motivo di
ucciderla!” sibilò furioso.
“Nemmeno io!” urlò con quanto fiato aveva
in corpo. Vegeta sgranò di poco gli occhi. Che fare, credergli? Rimase in silenzio
senza però togliere la mano dal collo dell’uomo. Il padre lo fissava
severamente, deciso a continuare il dialogo.
“La sentii urlare e quando arrivai la
trovai a terra, ferita. Vidi Zarbon correre lungo il
corridoio che portava alla sala reale e quando lo raggiunsi trovai Freezer, Dodoria e altri soldati combattere contro il nostro
esercito. Ordinai a Napa di portarti via, sapevo che Freezer voleva portarti
con sé, gli facevi comodo, me lo ripeteva da mesi!”
Vegeta ascoltava in silenzio, non avendo
parole, sollevato in parte dal fatto che, inconsapevolmente, aveva ucciso con
le sue mani l’assassino di sua madre.
“Tentai di fermarlo ma mi uccise subito, quell’ingrato!!” serrò i denti al
ricordo. Odiava rievocare quel giorno. “Andò tutto storto quella volta, non era
questo quello che avevo programmato! Ma adesso siamo tornati, sono venuto a
prenderti per ricominciare e cosa trovo?! Mio figlio accasato su un pianeta che
era destinato alla distruzione con tanto di marmocchi!”
Lui continuò a fissarlo. Aveva frainteso
tutto quanto, era possibile? Eppure quella scena gli era sembrata così chiara…
La pioggia accumulatasi tra i folti capelli
di Vegeta gli colò sulla fronte, gocciolando poi sull’armatura del padre,
ancora immobilizzato sotto di lui. Non voleva seguirlo, non voleva tornare
indietro.
“… Non ne ho voglia, non più” disse solo. Aveva
trovato un equilibrio finalmente, continuava ad allenarsi perché la sua natura
era quella, amava combattere più di qualsiasi altra cosa, ma voleva farlo per
superare se stesso, per dimostrarsi che non aveva limiti e sì, per battere
Goku. Ma non più per conquistare pianeti, non perché qualcuno glielo ordinava. Non
aveva più voglia di salire su una navicella monoposto e dormire lì, non aveva
più voglia di trasformarsi in Oozaru e fare la furia,
non aveva più voglia di essere spedito di qua e di là per tutto l’universo e
tornare sporco di sangue e stanco morto.
Non ci provò nemmeno a spiegarlo al padre,
che lo fissava sbigottito.
“Come sarebbe non ne hai voglia?! L’hai
sempre fatto, sei nato per questo, devi farlo!” proprio non capiva.
“Esattamente! L’ho sempre fatto, adesso mi
sono stancato! Continuerò ad allenarmi tutti i giorni, finchè
avrò forza per farlo, perché mi piacerà sempre farlo, ma non ho intenzione di
tornare a quella vita monotona!” il padre rise sguaiatamente.
“Perché, la vita che fai qui non è
monotona? Inventati una scusa migliore, Vegeta!” assottigliò lo sguardo,
palesemente innervosito.
“È monotona a volte, ma ho provato entrambe
le alternative e scelgo questa. Ho acquisito maggior potenza e ho macchinari
migliori, ho avuto avversari con cui misurarmi e in un modo o nell’altro ne
sono sempre uscito vivo. Non pretendo che tu capisca, perché all’inizio non lo
comprendevo nemmeno io, ma non tornerò indietro” si scostò da sopra il padre,
mollando la presa sul suo collo. L’uomo rimase a terra, supino, continuando a
fissare il figlio, ormai in piedi, che lo guardava.
“… E non ti ucciderò, ora che ho capito”
L’altro si tirò su a sedere, ancora più
sorpreso. Più guardava il figlio e meno lo riconosceva.
“Ritira i tuoi soldati e tornate su Neo
Vegeta. Riprendete la vostra vita, conquistate pianeti, massacratevi, fate
quello che volete, ma senza di me e senza prendere di mira questo pianeta.”
Forse ora lo riconosceva, suo figlio.
Risoluto come la madre, testardo come il padre.
“Questo è essere un saiyan.
È capire di essere più forte dell’avversario e decidere se è il caso di
ucciderlo o meno. Ne ho fatti fuori tanti, troppi forse, senza un motivo,
questa volta ho deciso di lasciare in vita qualcuno che, forse, la morte la
meritava”.
FINE.
*si schiarisce la gola*… LO SO, lo so,
merito il patibolo! Ho aggiornato dopo TRE ANNI, TRE.MALEDETTISSIMI.ANNI, ma ho
concluso la storia!! *applauso*.
Non odiatemi… Ma tra scuola, impegni vari,
blocco dello scrittore, MATURITA’, altri impegni, blocco dello scrittore
perennemente presente, INIZIO UNIVERSITA’, mi son ridotta a terminarla oggi.
Chiedo infinitamente perdono.
Un GRAZIE IMMENSO va a chi ha seguito
costantemente questa storia (che, giuro, appena avrò tempo, sistemerò dal punto
di vista grafico -quindi HTML- e ortografico, mi rendo conto di aver cambiato
stile in modo drastico…. Credo! LOL), purtroppo non riesco a inserirvi tutti perché
impazzirei, siete davvero in tanti!
Spero che questo ultimo capitolo vi sia
piaciuto, alla fine ho deciso di non ucciderlo, il povero (si fa per dire) Re
Vegeta…. In fondo (ma taaanto in fondo) è “buono”
pure lui :’)
Chissà se dopo tre anni, qualcuno lascerà
una recensione a questo capitolo… Me lo auguro, e, ancora una volta: GRAZIE DI
CUORE A TUTTI. Ciao!!