Storie originali > Avventura
Segui la storia  |       
Autore: OliverFlame    17/12/2013    2 recensioni
Quando Adrian Charles Harvey sta per essere giustiziato, non si sarebbe mai aspettato di venir salvato da figure misteriose. Da allora la sua vita cambia completamente. Il ragazzo si ritroverà ad essere parte di un progetto più grande di lui, e non sa dove il suo viaggio lo porterà.
(Scusate, ma non so come aggiustare l'html del testo, quindi sarà più difficile capire quando i personaggi parleranno o quando staranno pensando, mi dispiace.)
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Cercai di lavar via i residui di terriccio tra le mie unghie. Avevo aiutato Abbie a piantare un’intera fila di rose, nella serra del palazzo. Rose dai colori languidi. Abbie ne andava matta. Adorava il loro profumo, che volteggiava nell’aria, che accarezzava il naso con dolcezza. E io adoravo quando mi chiedeva di raggiungerla nella serra per piantarle. Quando le era concesso di coltivare fremeva dalla gioia, sembrava una bambina alla vista di un gelato.
Nonostante avessi sfregato ogni unghia con cura, partendo dal mignolo, il risultato era ancora scadente. Tracce di letame insistenti erano ancora depositate ai lati. Ma di tempo e voglia di tornare al lavello non ne avevo. Aprii l’armadio, presi un abito di seta morbida con colletto inamidato e merletti elaborati alle maniche e mi cambiai, riponendo nello stesso i vestiti sporchi che testimoniavano la mia breve avventura nella serra. Li avrei lavati in seguito.
La mia camera, cupa come al solito, era illuminata solo dalla luce fioca della candela posta su un comodino all’estremità del letto. Quella era anche la mia unica fonte di calore. Non che mi potessi lamentare di quella camera, ovvio. Avevo un bagno personale accessibile solo dalla mia camera da letto che comprendeva un letto, un armadio e due comodini. Il letto era in legno di cedro laccato in oro come l’armadio e uno dei comodini. L’altro comodino era l’unica cosa che non brillava nella stanza. Gli anni l’avevano completamente scolorito.
Tutta la stanza era in legno e forse era un bene che il fuoco crepitasse solo da una misera candela. Mi sedetti sul letto con un tonfo, il giardinaggio era un’attività davvero sfiancante. Aprii la finestra perché la stanza aveva odore di chiuso e perché io stavo ancora sudando. Rimasi a guardare le rifiniture in argento della finestra di sottecchi finché non mi chiamarono per la cena. Sinceramente non avevo molta voglia di mangiare, ero ancora sazio per il gran buffet che si era tenuto la sera prima. Ero stanco di tutto quel cibo e soprattutto delle risate a-tutto-fiato dei borghesi. Avrei preferito mille volte rimanere in camera mia a fare qualcosa di più costruttivo, come grattarmi la schiena o contare i cassetti dell’armadio all’infinito. O meglio avrei preferito rimanere in giardino con Abbie. Lì almeno avevo qualcuno con cui parlare che non avesse in mente solo la politica. Ad un tratto la porta si spalancò e un omone mi guardò torvo e mi prese per il braccio con forza.
Controvoglia venni portato sulle scale da Denver, il maggiordomo del piano superiore. Era un uomo brutale, nonché brutto, solo guardarlo faceva venire i brividi. Spalle larghe, fisico scolpito, alto quasi da sfiorare la porta della mia camera. Doveva far parte del corpo militare prima di essere trasferito qui, poiché nessuno aveva motivo di essere così pronto fisicamente, nella parte alta della capitale. Gli era stato ordinato di non farsi vedere, per non intimorire gli ospiti quella sera. Non avrebbero mai voluto che la loro festa fosse rovinata da un bestione di centoventi chili. Mi ordinò di scendere le scale e poi scomparì dietro un angolo, con un occhio sul corridoio e uno su di me. Ricambiai lo sguardo d’odio, nascosi le mani ancora leggermente sporche di terra nelle tasche e iniziai a scendere lungo le imponenti scale in legno di cedro che terminavano nel salone.
Tutto al piano inferiore era sfavillante. La stanza era illuminata da pannelli al neon posti sul soffitto a file da due. La luce bianca si diffondeva per tutta la stanza senza lasciare nulla nell’ombra. Dozzine di tavoli in cristallo erano allineati alle pareti, mentre un enorme tavolo circolare, sulla quale si adagiava una tovaglia realizzata in fiandra di lino bianca, era posizionato proprio al centro del salone. Pile di cibo era poggiato su di essi. I tavoli erano divisi in modo che ci fossero sezioni apposite: antipasti, primi, secondi, frutta e dolci. Come se non bastasse questa immensa distesa di piatti fumanti non terminava in salotto: i tavoli raggiungevano il giardino illuminato da lampioni alti quasi due metri che coprivano tutto il perimetro del giardino con la loro luce.
Non hanno badato a spese questa sera, pensai.
Dopo aver fatto un giro per le vie del giardino delimitate da siepi, rientrai in salotto e mi incamminai verso i tavoli con gli antipasti. Presi qualche involtino di salmone e tonno e poi una cialda fatta di patate. Non riuscii ad ingurgitare altro. Poi ritornai in giardino pieno come una botte. Mi sedetti sulla panchina il più lontano possibile della folla che aveva preso parte al buffet, salutando da lì persone che neanche conoscevo. Ci volle poco prima che una coppia a braccetto venne saltellando verso di me.
– Principe Charles è un piacere vederla, per la prima volta di persona.- disse la donna accennando un inchino.- Non credo lei mi conosca e nel caso mi presento. Sono la Contessa Clark dalla zona x. Questo, invece, è mio marito. – Odiavo essere chiamato in quel modo. Anche se ne avevo la carica essere chiamato principe mi faceva un certo effetto. Non mi sentivo così regale. Non ero così regale. E poi il mio nome completo era Adrian Charles Harvey. E preferivo di gran lunga essere chiamato Adrian. Cercai di nascondere la mia espressione contrariata e risposi porgendo la mano al giovane uomo accanto alla Contessa.
–  Il piacere è tutto mio. – Dissi, mentre l’uomo rispose alla stretta con decisione. Era alto più o meno quanto me e poco più esile. La moglie invece era una donna vissuta, con le rughe che le marcavano il viso. Mi rivolsero un sorriso lezioso e poi si allontanarono verso l’interno. Seguirono numerose presentazioni che si andarono ad aggiungere ai volti di cui non avrei mai più saputo nulla.
Dopo stancati scambi di convenevoli ebbi finalmente un po’ di tempo per me. Così a passo pesante, andai a cercare mia madre in salotto per chiederle se sarebbe stato possibile, per me, andar via subito. La notte era arrivata silenziosa e nonostante questo il palazzo pullulava ancora di persone. Mi feci spazio fra la folla, alzando lo sguardo per riuscire a individuare la capigliatura stravagante di mia madre. Notai una donna in un abito sfarzoso: le spalline erano puntellate da perle di un magnifico splendore diafano, il tessuto color prato, dei guanti in pizzo bianchi. Quello era l’abito che lei utilizzava per le occasioni speciali. Era praticamente dall’altro lato della sala e stava  facendo conversazione insieme a mio fratello Blake.
Blake.
Egoista. Narcisista. Manipolatore. Astuto. Affascinante. Aggettivi che lo descrivevano alla perfezione. Non che lo dicessi per cattiveria, anzi, lo invidiavo. Avrei voluto essere come lui perché avevo riscontrato, anche nei piccoli episodi quotidiani, di essere troppo buono. I suoi occhi di vetro erano taglienti, percepibili. Le labbra esangui racchiudevano il suo sorriso. Pallido da sembrare cagionevole. Tutte le donne cadevano ai suoi piedi. A volte anche gli uomini ne rimanevano ammaliati. C’era qualcosa in lui in grado di attirare l’attenzione e non sapevo il perché. Era un ragazzo normale, dopotutto. Ma anche io lo consideravo superiore. Ne ero consapevole: ero abituato ad essere continuamente surclassato da lui, ma avevamo un rapporto stabile. Eppure credevo di non conoscerlo bene come pensavo. Non aveva mai dato prova di questa sua superbia, ma era come se io sapessi già che, dentro di lui, essa c’era, eccome. E trovavo ridicolo che in sedici anni io conoscessi ancora alla perfezione mio fratello. Io gli volevo bene, ma era come se sentissi di non essere ricambiato.
Ero più restio ad avanzare verso mia madre e la presenza di Blake non era d’aiuto. Non volevo interromperli o entrare in una conversazione che non sarei riuscito a trattenere. Ero troppo stanco per poter anche solo salutare altre persone. Dall’ansia mi avvicinai ad uno dei tavoli, presi un bicchiere in cristallo e ci versai dentro un liquido dall’origine ignota. Un liquido rosa.
Qualunque cosa sia mi aiuterà a calmarmi, e buttai giù.
Lasciai il bicchiere sul tavolo successivo e poi raggiunsi mia madre facendomi spazio tra i nobili invadenti. Qualche spintone più in là le ero dietro e non feci in tempo a chiamarla che subito lei si voltò. 
– Adrian! Mi stavo proprio chiedendo dove ti fossi cacciato! Vieni qui ti presento delle persone – Era l’ultima cosa che volessi fare, ma mia madre mi prese per le spalle e mi spinse in avanti per stringere la mano a due figure – Loro sono il Duca e la Duchessa Khan, dalla zona x. – concluse mia madre. Strinsi le mani ad entrambi.
– Quale onore! Ho stretto la mano al principe Charles! – disse la donna sprizzante di gioia, come se fosse la cosa più entusiasmante che avesse fatto in tutta la sua vita.
– Scusate l’euforia di mia moglie. Reagisce così con chiunque – Il duca Khan, dalla carnagione scura, prese a parlare – Non che non sia un onore conoscerla, vostra altezza – E fece un sorriso di sincera ammirazione. Rimasi a fissarlo, perso nei miei pensieri. Cosa avevo fatto per meritarmi il titolo che tutti rispettano? I miei antenati erano stati dei grandi, mio padre era stato un ottimo re, io non avevo fatto nulla per loro, ma ero comunque visto come un uomo da rispettare.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: OliverFlame