Just Friends? Pretty much…
La
macchina imboccò la seconda traversa, poi girò a sinistra e di nuovo sulla
destra. Le strade erano deserte, il cielo limpido sopra di loro perché era le
cinque del mattino e lì, in quella piccola frazione a sud di Phoenix chi non
era in discoteca era a letto, a fare la sauna tra leggere lenzuola bianche che pure, in quei giorni, sembravano
pesanti come piumoni.
Era
caldo in Arizona.
Troppo
caldo, tanto che Russiel aveva dovuto spalancare il finestrino dell’auto di Max
e stare per tutto il tragitto quasi con la testa di fuori alla ricerca
d’ossigeno.
Adesso,
lontani dai rumori della discoteca e da quelli dei loro amici che fino ad un
secondo prima avevano ingombrato l’auto guidata dal suo migliore amico, era
tornato finalmente il silenzio.
Russiel
se lo godé fino in fondo, respirò forte l’aria che entrava nella piccola auto,
chiudendo gli occhi e assaporando quei piccoli attimi d’intimità che tanto le
sarebbero mancati d’ora in avanti.
Quello
era il momento più bello di ogni serata.
E
lo era per entrambi ma nessuno dei due avrebbe mai avuto il coraggio per
confessarlo all’altro, era logico.
Certo,
la discoteca, l’alba sul mare, le bevute in compagnia, tutto era fantastico e
meraviglioso però se c’era qualcosa che ad entrambi sarebbe mancato più di ogni
altra cosa al mondo erano proprio quegli attimi.
Era
quando, riaccompagnati tutti a casa, finalmente lei e Max rimanevano soli in
macchina, quando non dovevano più parlare, quando si poteva restare in
silenzio, ad ascoltare i propri pensieri. Lei con gli occhi neri fissi fuori
sul paesaggio stepposo e civilizzato, lui con lo sguardo magnetico fisso sulla
strada e la coda dell’occhio rivolta verso di lei, per spiarla ogni tanto.
Erano
momenti belli, sereni, in cui si sentiva la pienezza dell’amicizia che li
legava da tanto, troppo tempo.
Vivevano
vicini e per questo erano stati amici sin bambini, quando lei era ancora un
piccolo batuffolo di capelli e ciccia e lui un piccolo arrogante con le
ginocchia sempre sbucciate, amici a scuola, di quelli che si tiravano le
palline di carta con la cerbottana, che si aiutavano nei compiti in classe, lei
che passava tutto il giorno sui libri e che faceva una tragedia per ogni voto
che non fosse una A, lui che non apriva mai nemmeno il diario ma tutte A le
aveva comunque, al massimo qualche B.
Erano
stati amici ed adolescenti insieme quando lei aveva iniziato a dimagrire e a
sorridere un po’ di più, quando lui aveva contato i primi brufoli sul suo viso.
Amici nonostante i coretti dei loro compagni quando li vedevano ascoltare
l’i-pod insieme, quando disegnavano sui muri del bagno tutte R e M
intrecciate da mille cuoricini orrendi. Lui le era stato amico quando Russiel
era stata sola mentre i suoi genitori si separavano, e lei non l’aveva lasciato
nemmeno quando lui si era fidanzato con Cindy, la sua peggiore nemica.
Avevano affrontato il liceo facendo la strada insieme tutti i giorni anche se Max la faceva con la musica nelle orecchie e Russiel ripetendo la lezione e poi si salutavano all’entrata, lui le dava un pizzico sulle guance e lei gli strizzava l’occhio.
Amicizia.
Nessuno
ci credeva veramente. Nemmeno Cindy
perché alla fine aveva lasciato Max.
“Tu
e quella stupida della tua amica!” aveva urlato per tutto il liceo, nei
corridoi pieni di studenti affaccendati
negli armadietti. “Piantala con lei o sarò io a piantarla con te!
Chiaro?”
Tutti
gli occhi erano stati su Russiel. Una ragazza graziosa ma nemmeno lontanamente
bella quanto Cindy, lei, di media altezza, occhi neri e capelli biondo cenere
che le scivolavano lisci lungo le spalle, jeans e un cerchietto rosso.
Nessuno
poteva credere che Max preferisse lei ad una come Cindy Clatford.
“Cindy,
calmati.” I verdi occhi di Max esprimevano solo in parte la rabbia e il
dispiacere che provava. “Dai, andiamo a parlarne da un’altra parte.”
“No!
Tu… tu hai una venerazione per quella, ma non ti rendi conto? Possibile che
parli solo di lei, che hai foto solamente sue! Io non ce la faccio più! Non
voglio essere continuamente paragonata a lei, a quella stupida e alle sue manie
da saputella! Va da lei e sta con lei, vi meritate a vicenda!”
Venerazione.
Non
avevano mai pensato al loro rapporto in quei termini.
Perché
sarebbe stato sbagliato, lo sapevano entrambi. Russiel non venerava Max, anzi,
come poteva gli sbandierava in faccia ogni suo odiosissimo difetto e lo stesso
faceva lui che la portava a correre ogni due o tre giorni perché doveva
dimagrire.
Non
si veneravano.
Ma
si volevano bene. Tanto complicato da capire?
“è
domani il compleanno di Max?”
Gli
occhi neri di Rus si erano spostati dal libro a Meggie, una sua cara amica.
“Si. Domani.”
“Che
gli hai comprato?”
Russiel
sorrise e scrollò le spalle. “Niente.”
Per
il suo diciottesimo compleanno, Russiel aveva deciso che avrebbe fatto per Max
ciò che non avrebbe fatto mai per nessun altro al mondo. Era troppo timida e troppo educata per fare
una cosa del genere, ma poiché era il compleanno del suo migliore amico e
poiché glielo aveva promesso, l’avrebbe fatto.
Per
lui.
“Avanti,
Rus.” L’incitò, spingendola lievemente con il braccio verso il gruppo di
ragazzi.
La
ragazza esitava, aveva le guance rosate di imbarazzo. “Ti odio, Max. Guarda che
cosa mi tocca fare.”
“E
la nostra vendetta?”
“La
tua vendetta, semmai.”
“Ehi
oggi è il mio compleanno. Avevi detto che lo avresti fatto per me.”
La
giovane chiuse gli occhi ed inspirò. Poi li riaprì e focalizzò lo sguardo su
George Klive e la sua nuova ultima ragazza, Daisy. Ah, una piccola nota: Max
sbavava per Daisy da mesi, in quei tempi.
Russiel
si avvicinò al duo e con un pizzico di coraggio prese il braccio di George. E
poi si alzò verso di lui, schioccandogli un bacio sulla guancia. Quest’ultimo
protestò, indignato. “Ehi!”
“George.”
Riprese lei, maliziosa, “Serata divertente. Alla prossima.”
La
scenetta si era conclusa con un sonoro schiaffo da parte di Daisy Wippol
proprio nel punto in cui si erano posate due istanti prima le labbra di Rus.
Complicità.
Ma
non erano mai andati oltre.
Perché
non aveva senso farlo, avrebbero rovinato tutto.
“Che
rapporto c’è tra te e Max?” le aveva chiesto Tom un giorno, a bruciapelo, con
un braccio appoggiato al suo armadietto. Tom faceva la classe parallela alla
sua, l’ultimo anno, come lei. Russiel aveva sorriso e si era scostata i capelli
dietro un’orecchia. “Perché? Non credi che sia vera amicizia?”
“Non
esiste amicizia tra un uomo e una donna.”
E
Russiel aveva riso, stringendo due libri al petto. “E invece sì. Esiste, che tu
ci creda o no.”
“Dimostramelo.
Esci con me.”
I
suoi occhi neri si tinsero di malizia. “E andiamo dove?”
Max
osservava la scena.
Gelosia.
Non
ce n’era stata poi tanta.
Giusto
all’inizio, quando vedeva Thomas cercare Russiel nei corridoi, quando li vedeva
avvinghiati in cortile, quando sentiva per caso i racconti piccanti che Rus
faceva alle sue amiche, diventando tutta rossa. Tra le cose, anche Rus aveva
dovuto sentire uno strano magone allo stomaco quando lui si baciava Cindy, quindi doveva essere
normale, in fondo era logico. Solo che adesso Russiel sembrava più
bella, più raggiante, più magra anche se la bilancia diceva che non era scesa
nemmeno un etto, e Max si domandava se fosse davvero cambiata lei o se più
probabilmente era cambiato il suo modo di guardarla.
Era
stata una sensazione per nulla piacevole e pericolosa soprattutto perché aveva risvegliato
qualcosa di strano in lui.
Una
pulsione verso di lei.
Attrazione.
Una
sera l’aveva osservata mentre si pettinava i capelli, doveva uscire con Thomas.
Aveva spazzolato i lunghi capelli biondo cenere con il naso storto. “Quanto
sono brutti. Dovrei tagliarli, ho fare qualche riflesso, non ti pare?” Max era
vicino a lei, così tanto da potersi specchiare nei suoi occhi neri.
In
situazioni normali il Max che conosceva le avrebbe risposto. “Sì e in fretta.
Sono indecenti.” Ed era ciò che lei si aspettava da lui, per questo rimase
scioccata quando lui le accarezzò i lunghi capelli con un movimento piuttosto
sensuale. “Sono bellissimi invece.”
Russiel
spalancò gli occhi.
Max
l’avrebbe baciata. Se Tom non fosse arrivato un secondo dopo.
E
se, tre giorni dopo, non fosse piombata Hillary nella sua vita. Una ragazza
briosa ed eccentrica che mise le cose a posto.
Russiel
tornò l’amica del cuore. La confidente, la sorella.
Affetto.
Ecco
che cosa c’era tra loro e che cosa nessuno dei due avrebbe mai voluto rovinare.
Mai.
“Accosta
Max.”
La
piccola auto rallentò fino a fermarsi, proprio sotto casa di Russiel. Erano
tornati a casa finalmente. “Merda” commentò la ragazza. “Sai quante volte mi ha
già chiamato mia madre? Sei!!!!”
Max
rise poggiando una mano sulla spalla di lei. “Consolati. Da domani non lo farà
più. Mica che le dirai ogni volta che esci, in California, vero?”
“Fossi
matta!” esclamò, i neri occhi che luccicavano nel buio dell’auto. “Mi verrebbe
a controllare di persona, non puoi capire come diventa apprensiva quando non mi
ha sotto controllo o…”
“si
invece. Credo di conoscere bene la signora Dalloflay.”
“…o
se sa che non ci sei tu.” Deglutì. “Con me.”
Max
abbassò lo sguardo. “Avrai qualcun altro a San Francisco. Infondo quello è il
miglior college che un genietto come te possa frequentare, quindi non farti
scrupoli. Te l’ho detto tante volte. Mira e spara. Fa centro nel tuo obiettivo,
Rus. Te lo meriti.”
Ma
la voce gli tremava mente lo diceva.
La
giovane sorrise, socchiudendo gli occhi perlati di lacrime. “Tra i due sei tu
il vero genio. Lo sai.”
“Un
genio che ha poca voglia di studiare, però.”
Lei
gli prese improvvisamente il braccio. “Dimmi che mi chiamerai. Che verrai a
trovarmi e.. oh, anch’io verrò, giuro. Dimmi che ci sentiremo ogni giorno, che
mi penserai qualche volta.”
Il
suo sguardo magnetico fissava la ragazza. “Sempre, Rus.”
“Ma
non fare innervosire Hillary. È la ragazza più decente che tu abbia mai avuto,
tienitela stretta, ok?”
“Sarà
fatto.” Le accarezzò una guancia. “E tu non scoparti tutto il college, intesi?”
Lei
diventò color porpora. “Cos.. no! Io non mi scoperò proprio nessuno!” si
allontanò da lui. “e.. tu sei proprio un maleducato! Sai quanto io..”
“Ehi.
Era una battuta.”
La
giovane parve calmarsi. “D’accordo. Allora ci sentiamo domani? Mi accompagnerai
in aeroporto?”
Max
negò con il capo. “Sei impossibile. Non ti ricordi che ti ci porta Thomas? Che
faccio io? Tengo la candela? Già troppe volte ho rischiato un pugno da parte
sua, non vorrei…”
Lei
s’agitò sul sedile. “Ah, va bene! E chi si ricordava! Allora passa da me
domattina!”
“Non
devi salutare tutta la tua famiglia domani?”
“Ma
tu sei di famiglia! Sei un fratello per me, sei…”
“…dai,
Rus. Ci sono anche le tue zie, non mi pare il caso. Zia Gloria ha faticato ad
accettare l’idea di te e Thomas, non vorrei confondere troppo le acque.”
Lei
scoppiò a ridere di gusto, ricordando immagini divertenti ed aneddoti che
purtroppo riguardavano solo lei e Tom.
Max
sentì di nuovo, dopo tanto tempo, male dentro. Male nel vederla così bella e nel
saperla lontana.
Male
perché sapeva che in fondo non aveva il diritto di stare con lei domani,
l’ultimo giorno prima della partenza, perché lui era solo il suo
migliore amico, avevano la precedenza il ragazzo, la famiglia. Lui era l’unico
che la conoscesse veramente per quello che era, ed era l’unico a non avere
nessun diritto su di lei, non poteva avanzare alcuna pretesa, poteva stare male
per la sua partenza ma non troppo perché agli occhi di tutti sarebbe stato..
diciamo.. equivoco.
“Ok.”
Sospirò lei riprendendosi e mettendo i lunghi capelli dietro le orecchie. Non
li aveva più tagliati, né aveva fatto alcun riflesso, nonostante Tom glielo
avesse consigliato tante volte. “Puoi chiamarmi, però. Ci sentiamo verso le
undici?”
“Se
mi sveglio….” Sorrise. “Dai, scherzo. Certo, ti chiamo.”
Lei
annuì.
Poi
gli volò fra le braccia per l’ennesima volta in quei giorni e lo strinse forte
a sé. “Mi mancherai.”
A
fatica Max pronunciò quell’ “Anche tu.”
Da
morire.
Ma
non glielo disse, lo tenne per sé.
Quando
lei si distanziò, lui non la lasciò andare via. Volle restare qualche secondo
ad osservarla, a sentire il suo profumo, a contemplare i suoi occhi.
Ossessione.
Si
chiese se la loro amicizia fosse questo, in fondo. Ossessione.
E
la baciò.
Probabilmente
stava facendo la più grossa cazzata della sua vita, ma ormai era tardi, le loro
labbra erano già congiunte. Premette su quelle morbide di lei finché Russiel
non le schiuse. Sentì di aver compiuto quasi un sacrilegio, ma un sacrilegio
bellissimo. Quel bacio sapeva più di un pianto, era uno sfogo, era …affetto??
Si
baciarono con foga, quasi arrabbiati, confusi, per un piccolo istante Max
credette di aver trovato l’eden, il paradiso.
Si
sentì così vuoto quando si sciolsero, che avrebbe voluto morire.
Russiel
sembrava solo stanca, non era arrabbiata né confusa.
Sorrise.
“Lo sapevo, Max.” rideva ed era magnifica. “Baci da Dio.”
Lui
scoppiò a ridere con lei.
Il
prossimo bacio glielo diede sulla fronte. “Ti voglio bene.”
Lei
chiuse gli occhi quando lui le sfiorò la pelle. “Anch’io.”
“Chiamami,
ok?”
Non
attese risposta, come ogni sabato sera della loro lunga amicizia, uscì
dall’auto, chiuse lo sportello, si voltò verso di lui facendogli ciao
con la mano e poi di corsa verso casa perché la madre doveva averla chiamata
almeno altre tre volte nel frattempo.
E
lui, come ogni serata passata insieme, anche se quella era l’ultima, la seguì
con lo sguardo finché non scomparve dalla sua vista.
Aveva
gli occhi lucidi di sentimento per la sua migliore amica.
Non
si chiese di che sentimento si trattasse.
Era
meglio non scoprirlo.
Fine.
***
Non
chiedetemi il motivo di questa storia… mi è uscita così, un’ispirazione
folgorante che non ho potuto fare a meno di scrivere.
Spero
sinceramente che vi sia piaciuta, comunque, ma sentitevi liberi di scrivere
qualunque opinione, come sempre, aspetto le vostre impressioni!
Un
bacio
Diomache