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Autore: _Hale_    19/12/2013    5 recensioni
Il desiderio che avevo di lei era opprimente. La voglia di averla vicino e sentire il suo odore annientava i miei sensi. La forza che traevo nell'osservarla e nel percepirla era talmente intensa da spingermi a tentare l'impossibile.
Lei era radiosa, solare e felice. Bella. Esattamente tutto ciò che mai avrei potuto avere.
Molti la paragonavano al sole... io, personalmente, odiavo porla in relazione con ciò che più odiavo e che non mi permetteva di vivere. La luna, invece, era un paragone decisamente più azzeccato, qualcosa senza il quale non sarei riuscito ad andare avanti.
La mia esistenza era stata lunga, tortuosa e ricca di talmente tante sfaccettature da non ricordarle neppure nella loro totalità. In verità, tutto quel che esisteva prima di lei scomparve nel momento stesso in cui la vidi, incapace di riflettere sul perchè il suo profumo fosse divenuto la mia unica ragione di vita.
Impossibile dimenticare il momento in cui, per la prima volta, i miei occhi scorsero i suoi, in una giornata di fine estate, quando il mio primo anno all'Istituto di Joskow ebbe finalmente inizio.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Threesome, Triangolo | Contesto: Universitario, Sovrannaturale
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Il desiderio che avevo di lei era opprimente. La voglia di averla vicino e percepirne l'odore annientava i miei sensi. La forza che traevo nell'osservarla era talmente intensa da spingermi a tentare l'impossibile.
Lei era forte, radiosa, viva. Bella. Esattamente tutto ciò che mai avrei potuto avere. 
Molti la paragonavano al sole; io, personalmente, odiavo porla in relazione a ciò che più odiavo e che non mi permetteva di vivere come avrei voluto. La luna, invece, era un paragone decisamente più azzeccato, qualcosa senza il quale non sarei riuscito ad andare avanti.
La mia esistenza era stata lunga, tortuosa e ricca di talmente tante sfaccettature da non ricordarle neppure nella loro totalità. In verità, tutto quel che esisteva prima di lei scomparve nel momento stesso in cui la vidi, incapace di riflettere sul perché il suo profumo fosse divenuto la mia unica ragione di vita.
Impossibile dimenticare il momento in cui, per la prima volta, i miei occhi scorsero i suoi, in una giornata di fine stagione, quando il mio primo anno all'Istituto Joskow ebbe finalmente inizio.

*
 
La realtà sarebbe potuta apparire diversa a tutti coloro che non avevano vissuto in quel mondo. La coesistenza e forzata coabitazione tra due razze simili ma non troppo era un qualcosa da non sottovalutare, soprattutto quando una di queste era costituita dai predatori e l'altra da semplici e innocue prede.
Dopo secoli trascorsi a nascondersi perché poco numerosi, nonostante nettamente più forti e veloci, i predatori erano usciti allo scoperto, tentando di dominarli e prendere loro il potere che da tempo avevano bramato e pensato di meritare.
Gli esseri umani, d'altronde, erano così deboli al loro confronto che non si sarebbero imposti.
Non si ricorda la data esatta di quando, però, qualcosa cambiò, a differenza dell'anno: era il 1987 quando prede e predatori trovarono un accordo per coesistere e condividere un mondo che avrebbe portato benefici a entrambe le razze, finché le regole di "convivenza" fossero state rispettate.
Non tutti avevano accettato di buongrado quanto era stato stabilito, ma decisero di rimanere nell'ombra, tacendo e sperando di non finire tra le fauci dei mostri.
Quando poi, nel 2009, venne annunciata la costruzione di un nuovo edificio, un istituto, che avrebbe segnato l'inizio di una nuova era, la quasi totalità degli esponenti di entrambe le razze apparvero scettici; nessuno avrebbe scommesso sul fatto che, a distanza di soli quattro anni, quell'istituto avrebbe accolto i due mondi all'interno delle proprie mura, costringendo i rispettivi membri a imparare a convivere tra loro. 
La vita e la morte, metaforicamente parlando, avrebbero trovato un ponte a congiungerle. 
Il giorno e la notte avrebbero imparato a coesistere. 
La preda e il predatore avrebbero dovuto comprendersi a vicenda e giungere alla consapevolezza di poter vivere l'uno di fianco all'altro.
L'Istituto Joskow, accademia educativa - o, altrimenti, college - fu il primo esperimento di coabitazione forzata tra coloro che prediligevano la caccia all'uomo e... beh, l'uomo stesso.
In molti ebbero da ridire, altrettanti si opposero. Ma, con un po' di fortuna, il fondatore, nonché Preside dell'Istituto, Normann Joskow, riuscì ad ottenere abbastanza fondi e approvazioni per dare inizio a un progetto che avrebbe cambiato la vita, anzi, l'esistenza di due razze condannate altrimenti a odiarsi in eterno.
- Anne, tesoro sbrigati, non vorrai far tardi il primo giorno di scuola! 
Annabelle Evans era una ragazza ordinaria, per il suo genere, talmente nella norma da avere qualche difficoltà a svegliarsi al mattino e iniziare la giornata col sorriso sulle labbra, come chiunque altro. 
Non era elettrizzata all'idea di far parte di un campione di ventiquattro cavie che, per la prima volta nella storia del mondo, avrebbero partecipato a un esperimento considerato, dai più, il preludio di una guerra. Una guerra coi fiocchi, visto contro chi rischiavano di perderla.
I suoi genitori, al contrario, erano fermamente convinti di poter cambiare il mondo con quei loro assurdi ideali. Gli esseri umani? Cos'avevano di diverso dall'altra razza e, soprattutto, cosa di tanto positivo da mettere in ombra i pregi degli altri? Nulla, nulla, in fondo il fatto che quegli esseri potessero divorarti in un sol boccone, per loro non contava niente.
Ah, gli ideali, ecco una cosa che non aveva mai approvato nei suoi genitori.
- Eccomi, sto arrivando! 
Aveva diciotto anni quando tutto aveva avuto inizio. Il 21 Settembre portava con sé un sole in grado di spaccare le pietre e il caldo imperversava nella piccola cittadina di Jacksonville. 
Era un posto tranquillo, quello, il borgo familiare adatto a crescere i propri figli senza il terrore che divenissero spacciatori di droga o spietati assassini. Oh beh, certo, l'altra razza faceva almeno una di queste due cose, eppure nessuno se ne preoccupava. Per loro era normale, quasi lecito, ma andate un po' a chiedere cosa ne pensa chi si è ritrovato servito su un vassoio da portata con una mela in bocca. 
Ops, vero, probabilmente non vi risponderebbe: dovrebbe essere già morto, a quest'ora.
Sì, lo scetticismo di Anne era secondo solo al suo sarcasmo. Un vero peccato, tutto ciò, visto e considerato che era una ragazza particolarmente allegra e vivace nella sua normale esistenza. 
Aveva tentato di rimanere ancorata a quella vita, cercando di convincere i propri genitori a non farle questo, a non mandarla in quell'Istituto, poiché ne andava di mezzo la sua stessa vita.
Ebbene, i suoi genitori si erano limitati a sorridere accondiscendenti, assicurandole che, se dopo aver provato avesse voluto tornare a casa, nessuno glielo avrebbe impedito.
C'era chi credeva nella scienza, nella medicina, nella magia e nella religione. Sua madre e suo padre erano semplicemente fuori di testa.
Il viaggio verso l'Istituto fu lungo, ma non quanto lei avrebbe desiderato. Sua madre continuava a parlare di cose prive di alcuna importanza, come abiti da cerimonia, etichetta, buone maniere e la cosa non fece che fare alterare Anne più del dovuto: erano nel 2013, chi indossava ancora degli abiti da cerimonia? Ma, visto il suo scarso interesse per quanto stava accadendo nella propria vita, non era da escludere che si fosse persa qualche minuscolo, insignificante dettaglio.
- Guarda, non è splendida? 
La voce di sua madre trasudava eccitazione da tutti i pori. Beata lei.
Quando l'auto superò un enorme cancello di ferro battuto, Anne fece attenzione al panorama, contornato da alberi alti quanto una casa. Era una specie di parco, quello?
- Questo è il giardino della scuola. Laggiù, in fondo, c'è un sentiero che conduce alla sorgente, la cui ubicazione però non è ancora ben chiara a nessuno... potrai perderti tra i meandri di questa giungla, parola mia. 
E se suo padre era convinto di una cosa, era inutile cercare di fargli cambiare idea.
O non si sarebbe ritrovata in quella situazione.
- Fantastico, cercherò di trovare una mappa da qualche parte. O una bussola, perché no? 
Il padre le riservò un'occhiata divertita dallo specchietto retrovisore e lei, cercando di far buon viso a cattivo gioco, gli sorrise.
Quando giunsero di fronte a un edificio che, a dire il vero, somigliava molto più a una villa in stile vittoriano che a un college di nuova costruzione, la madre scese rapidamente, andando a recuperare il suo bagaglio.
Anne, d'altra parte, se la prese con comodo. Scese dall'auto e si diede un'occhiata attorno, notando svariati ragazzi nelle sue identiche condizioni. Ah, no, c'era persino qualcuno entusiasta all'idea di essere lì. Beh, non quanto sua madre, ovvio.
- Credo tu abbia tutto, tesoro. Se ti servirà qualcosa, qualunque cosa che non hai portato con te, chiamaci. 
- Si trasferisce a un paio di centinaia di chilometri da casa, Mary, non dall'altro capo del mondo. 
Suo padre era stato sempre molto più ragionevole e assennato di sua madre, ecco perché, nonostante le circostanze, Anne ricambiò il suo sorriso. La donna, d'altro canto, gli riservò un'occhiataccia prima di dedicarsi a salutare la figlia.
- Fai la brava, studia e rendici orgogliosi di te. 
- Lo siamo già, non stare a sentire tua madre. 
Inutile dire che il battibecco tra quei due durò fino a quando Anne non prese la parola, salutandoli una volta per tutte e convincendoli ad andare via.
Rimase nel giardino ad osservare la macchina allontanarsi, fino a svanire tra i numerosi alberi che riempivano la sua visuale.
Fu allora che prese la propria valigia, si volse a guardare l'edificio e ne rimase affascinata.
Era bello, capace di catturare qualcosa di antico e tramutarlo in versione moderna: marmo bianco e lucernari di cristallo costellavano l'interno dell'atrio che si apriva su un'ampia scalinata, dopo aver dato l'accesso alla sala da pranzo sulla sinistra, e alla biblioteca e all'infermeria sulla destra.
Questo, almeno, aveva avuto la possibilità di scorgere dagli opuscoli che i suoi genitori le lasciavano costantemente in camera.
Oh, la sua camera, le sue cose... le sarebbe mancato tutto, ne era certa.
Fece un profondo respiro e, quando si sentì pronta, si avvio verso l'edificio, seguendo altri sei o sette ragazzi che, come lei, parevano alquanto spaesati.
Una volta nell'atrio, vennero accolti da un giovane uomo, un ragazzo di venticinque anni o poco più, all'apparenza, capace di distrarre qualunque donna posasse gli occhi su di lui.
- Buongiorno a tutti voi, ragazzi. 
Quando parlò, la sua voce risuonò chiara e allegra ma, non per questo, meno autoritaria.
- Mi chiamo Aaron Cooper e sarò il vostro responsabile durante la permanenza all'Istituto. 
Con i suoi occhi cerulei, Aaron lanciò uno sguardo veloce ai dodici ragazzi presenti nell'atrio, come a voler sondare il terreno.
- Sapete a cosa avete accettato di aderire, dunque non vi annoierò con ulteriori parole. Vi sarà concesso riposarvi fino all'ora di cena, sistemare le vostre cose nei rispettivi dormitori e, alle ore venti, presentarvi nella sala da pranzo, qui alla mia destra, per la cena. Incontrerete dunque il Preside Joskow che vi darà il benvenuto e tutte le informazioni che vi saranno utili durante la vostra permanenza. Se avete domande o bisogno di aiuto, non esitate a contattarmi, il mio ufficio si trova al di là della porta accanto a quella che vi condurrà presso i dormitori. 
A quel punto, resosi conto che nessuno aveva domande da porgli, Aaron sorrise e si voltò per incamminarsi lungo l'enorme scalinata che conduceva al primo piano.
- Seguitemi, prego. 
I ragazzi fecero quanto fu loro ordinato, proseguendo fino al secondo piano e addentrandosi nell'ala destra dell'edificio.
- Vi converrebbe ricordare di svoltare a destra una volta salito anche l'ultimo gradino. A sinistra ci sono i dormitori dell'altra razza e non vogliamo che qualcuno di voi si addentri in... territorio nemico? Non è la definizione più accurata, ma spero comprenderete il mio timore: questo è solo un esperimento, tentiamo dunque di non forzare troppo la mano. 
Nessuno fiatò, ma dalla tensione palpabile che si sollevò dai dodici ragazzi, Aaron comprese di aver fatto centro.
- Questa è la porta che conduce ai vostri dormitori. A destra le ragazze, a sinistra i ragazzi. Condividerete camere triple, naturalmente non miste. Sulla porta troverete i vostri nomi e, come vi ho già detto, potrete darvi una rinfrescata e ambientarvi fino all'ora di cena. 
Aaron si fece da parte dopo aver aperto la porta che conduceva in un'ampia saletta bene illuminata, dove un camino in marmo, un paio di divani, una libreria incassata nella parete e un tavolo in legno tirato a lucido ne costituivano, bene o male, il mobilio.
Il ragazzo abbandonò gli studenti e Anne non poté fare a meno di seguirlo con lo sguardo, prima che si addentrasse nella stanza di fianco, quella che doveva essere il suo ufficio.
Era alto, molto alto, con occhi azzurri come il cielo appena prima dell'alba e capelli biondo cenere e spettinati. I muscoli erano ben definiti e la carnagione ambrata, insieme ai lineamenti mascolini e marcati del suo volto, lo avvicinavano all'idea che Anne aveva di un dio greco. La cicatrice a forma di croce sullo zigomo sinistro e le due sotto gli occhi, poi, non facevano che consolidare la concezione che la ragazza si era appena fatta di lui.
Terribilmente affascinante e altrettanto letale.
Con quella consapevolezza si condusse all'interno della saletta, non perdendo tempo e imboccando un ampio corridoio alla cui destra, come accennato da Aaron, sostavano le due camere da letto femminili.
- Daphne, Rebecca e Annabelle. Sì, deve essere questa. 
Anne si voltò, riscontrando di fronte a sé una ragazza dai lunghi capelli rossi e che terminavano in armoniosi boccoli, occhi verdi, un viso a forma di cuore e un piccolo neo poco sopra il labbro superiore, sulla parte sinistra del volto.
Era bassina, non eccessivamente formosa e con un fisico proporzionato.
- Tu sei... 
- Rebecca. Tanto piacere di conoscerti, Annabelle! 
La ragazza le rivolse un gran sorriso, prima di porgerle la mano. 
Doveva essere una di quelle tipe tutte risate, dolcezze e abbracci coccolosi, cosa che ad Anne non disturbava affatto ma, in un certo senso, non sapeva se sentirsi troppo a suo agio in compagnia di una persona tanto estroversa e diversa da sé.
Ricambiò la stretta di mano, comunque, sorridendo appena alla nuova compagna di stanza.
- Piacere mio. Come facevi a sapere che... insomma, che sono Annabelle e non l'altra? 
- Semplice: ho conosciuto Daphne mentre aspettavamo di sotto che arrivassero tutti e... oh, eccola lì! 
Una ragazza dai lunghi capelli bruni e lisci e occhi color miele arrivò con tutta calma nella loro direzione. I lineamenti taglienti del viso le conferivano un'aria altera ma, al contempo, una bellezza glaciale. La pelle olivastra di lei contrastava con quella rosea di Rebecca e, nell'osservarle, Anne non poté fare a meno di pensare che quelle due formassero proprio una coppia bizzarra.
- Tu devi essere Annabelle. Piacere di conoscerti, io sono Daphne. 
La ragazza ricambiò il saluto e, dopo i convenevoli, spalancò la porta della stanza.
Al suo interno, sulla destra, vi erano tre letti l'uno di fianco all'altro e separati dai comodini; sulla sinistra si trovavano tre armadi e un cassettone con un ampio televisore a schermo piatto in cima; di fronte, sostavano tre scrivanie e, sopra di esse, inondandole di luce, un'ampia finestra le cui vetrate percorrevano l'intera parete.
Tra le scrivanie e gli armadi si trovava una porta, quella che doveva condurre nel bagno che le tre avrebbero condiviso.
- Oh, è così carina! 
Disse Rebecca in un modo che fece tanto pensare Anne a sua madre.
- Sapevo che l'avresti detto. 

Quello che nel mondo degli umani poteva apparire bizzarro, per loro era naturale come l'istinto di sopravvivenza. Vivere nell'ombra, gioire nel buio e nutrirsi degli esseri umani era ciò che di più congeniale potesse esserci al loro stile di vita. La natura che li caratterizzava era oscura come il mondo in cui vivevano, sempre acquattati e pronti a balzare come un leone inferocito contro la propria preda.
Non aveva mai apprezzato gli esseri umani, non lui. Li considerava inferiori, esseri insignificanti che avevano come unico scopo nella vita quello di nutrire lui e la sua gente.
In fondo, dunque, non erano poi così inutili.
- Gabriel, è ora di andare. 
Una donna dai lunghi capelli corvini e occhi neri come ossidiana, lo costrinse a sollevare lo sguardo dal libro che, con poco interesse, a dire il vero, stava leggendo.
Aveva ereditato quei tratti, da sua madre, oltre alla pelle diafana tipica della loro razza.
- Scendo immediatamente. 
Strano rapporto, il loro. Rispetto e stima venivano al di sopra di tutto ma Gabriel, figlio di Julian e Darla Addams, non vedeva l'ora di fuggire da quell'etichetta e quel rigore che, da troppi anni, lo tenevano intrappolato tra quelle quattro mura.
Erano le due del pomeriggio, l'auto era stata disposta per l'occasione e i suoi bagagli erano stati caricati. Né suo padre né sua madre lo accompagnarono, lui non voleva e loro non ne avevano il tempo.
No, non era un figlio trascurato, tutt'altro. Gabriel era il piccolo di casa, figlio minore di una stirpe nobile, discendente di un'aristocrazia ormai dimenticata da tempo.
Beh, alcuni tratti erano inevitabilmente rimasti, in fondo la loro vita era, in un certo senso, più duratura di quella degli esseri umani.
Gabriel era più grande di quanto non sembrasse e, come tale, aveva una maturità e una compostezza non adatta ai diciotto anni che dimostrava. Quanto meno, maturità e compostezza palesate di fronte ai membri della propria e delle altre famiglie che contavano ancora qualcosa.
- Chiamami non appena arrivi e, ricorda... 
- Se cambio idea posso sempre tornare a casa, sì, lo so. Buona serata, madre. 
Ed esibendosi in un perfetto baciamano, Gabriel salutò la donna con un sorriso, abbandonando la pelle fredda di lei e salendo in auto.
Il viaggio durò ben cinque lunghe ore, durante le quali il giovane ebbe la possibilità di realizzare quanto stesse accadendo. I suoi genitori avevano sempre desiderato figli in grado di divenire qualcuno nel mondo, membri dell'aristocrazia e, per tanto, individui in grado di ricoprire ruoli di predominanza all'interno della realtà che, a fatica, si stava cercando di costruire con gli esseri umani.
Ebbene, il primo figlio era riuscito nell'impresa, divenendo un ricercatore di fama mondiale. Poi era rimasto ucciso in uno scontro armato tra le due razze.
Il secondo, beh, era difficile da apprezzare, quanto meno per Gabriel. Raphael era, in verità, la chicca della famiglia, il gioiello della corona, per così dire: posato, brillante, bello e incredibilmente dotato. Sì, beh, sotto ogni punto di vista, da quel che si diceva in giro.
Era in viaggio per l'Europa e meditava di tornare molto presto.
Gabriel, di pochi anni più piccolo del fratello, era ossessionato dal confronto che i genitori facevano continuamente tra i due, cosa che non aveva di certo contribuito a far nascere e mantenere l'amore fraterno.
Quando poi aveva dichiarato apertamente di voler far parte del progetto dell'Istituto di sua iniziativa, il padre aveva minacciato di non rivolgergli più la parola. Non era un gran sostenitore degli esseri umani, in effetti, così come la madre. Ma quando il giovane spiegò di volerlo fare per intenti puramente accademici e, dunque, conoscere punti di forza e di debolezza dell'altra razza come mai si era stati in grado di fare prima, naturalmente, i genitori accettarono, dichiarandosi molto fieri del loro pargolo.
Già, bastava così poco per ottenere la loro stima, bastava sapere dove andare a mirare.
In verità, non gli importava nulla di imparare qualcosa dagli esseri umani per accanirsi contro di loro, al contrario: anni e anni rinchiuso in una prigione dorata gli avevano fatto comprendere quanto poco avesse vissuto sul serio, poiché le scappatelle durante il giorno e quelle, più rare, di notte con i suoi amici non erano certo da considerarsi "vita".
No, voleva più libertà, più autonomia e indipendenza. E, grazie al signor Joskow, le aveva trovate.
- Siamo arrivati, signorino. Può scendere. 
Erano solo le sette di sera, il sole non era ancora tramontato e, perciò, l'autista doveva aver sostato nell'ingresso dei sotterranei della tenuta. Ottima pensata, quella, quanto meno per la sua gente.
- Molto bene, Jeffrey. Penso io ai bagagli. 
- Signorino Gabriel, posso provvedere io a... 
- Ti ringrazio per il passaggio. Riposa un po' prima di tornare a casa e porta i miei saluti a mio padre. 
- Senz'altro signorino, grazie. 
L'uomo accennò un saluto al ragazzo e lui scese dall'auto, aprendo il portabagagli e portando fuori i propri averi. 
Nei sotterranei si percepiva l'umidità e l'aria viziata tipici delle prigioni, cosa che Gabriel conosceva bene ma solo per sentito dire.
Percorse il lungo corridoio ornato da torce infilzate alle pareti, fino a quando non dovette risalire una rampa poco ripida e ritrovarsi di fronte a un enorme portone di pietra. Questo si spalancò, costringendolo a chiudere gli occhi per un momento a causa dell'accecante luce dei lampadari. A casa sua aveva sempre vissuto nella penombra.
- Puntuale come sempre, Gabriel. 
- Pungente come al solito, Selina. 
La ragazza che lo attendeva a braccia conserte in fondo a un'ampia rampa di scale e lo guardava di sottecchi con espressione severa, era un volto noto al ragazzo che, avanzando tra altri undici vampiri, si portò di fronte a lei.
- Siete tutti, vedo. Dunque, mi chiamo Selina Moscova e sono la vostra guida. Per qualunque domanda, dubbio o casino che andrete a combinare in questo istituto, io ne sarò responsabile, quindi vedete di andarci piano. Ora seguitemi. 
Breve e concisa. Ecco perché la adorava. Beh, per quanto Gabriel potesse adorare qualcuno.
Nella rapida salita, il giovane fu apostrofato da tre o quattro ragazzi, anche loro conoscenze che non vedeva da un po' di tempo, a cui rispose con un cenno del capo.
Quando giunsero al secondo piano, Selina li condusse verso sinistra, lungo un ampio corridoio che si concludeva con due porte. La prima, quella indicata dalla ragazza dai lunghi capelli argentei raccolti in un'alta coda di cavallo e occhi color ghiaccio, era l'ufficio in cui l'avrebbero sempre trovata in caso di necessità.
- Da quest'altra parte, invece, avrete accesso ai dormitori. Camere triple, naturalmente, e un piccolo salottino non appena entrate. All'estremità opposta di questo corridoio si trovano gli alloggi degli umani e... no. 
Disse la donna non appena un mormorio eccitato si sollevò dai ragazzi che, irrequieti e con una strana luce negli occhi, si voltarono a guardare nella direzione da lei indicata.
- Non osate avvicinarvi. Se lo farete, verrete espulsi poco prima dell'alba e, a quel punto, mi prenderò piena responsabilità della vostra scomparsa. Con immenso piacere. 
La minaccia bastò a riottenere l'attenzione dei ragazzi. 
Da quel che Gabriel ricordava, Selina non amava affatto gli esseri umani, ma in un decennio o poco meno cambiano molte cose.
- Tra un'ora mi aspetto di vedervi puliti e profumati nella sala da pranzo, piano terra, a destra della scalinata. Tardate e andrete a letto senza cena. 
Qualcuno sghignazzò dopo che la donna si fu rifugiata nel proprio studio. Poi, tutti entrarono nei rispettivi dormitori.
Gabriel attraversò velocemente il salottino curato in ogni minimo particolare e avvolto dalla penombra, notando quanto i suoi occhi stessero già meglio. Si avventurò lungo il corridoio di fronte, controllando ognuna delle quattro porte presenti ai suoi lati.
- Devon, Gabriel ed Elessar. Qualcuno ha intenzione di riportare alla luce vecchi dissapori. 
- Già. E' un po' che non ti vedo, diciamo, dall'ultima volta che hai cercato di farmi arrosto alla luce del sole. 
Gabriel voltò la testa, osservando i suoi nuovi compagni di stanza con le palpebre socchiuse, da sopra la spalla.
Il primo che aveva proferito parola era un tizio alto e con una muscolatura definita ma non eccessiva; piuttosto snello, a dire il vero, amava evidentemente essere al centro dell'attenzione: i capelli, rasati sul lato sinistro, erano bianchi e sulla parte destra presentavano delle ciocche che sfumavano nei colori del viola e dell'azzurro; gli occhi erano di un blu intenso e la carnagione eccessivamente pallida. Gabriel, tuttavia, in quell'estremo tentativo di finire sotto i riflettori non poté fare a meno di concentrare la propria attenzione sui piercing che il ragazzo portava sul sopracciglio destro e sul labbro inferiore, oltre che sui tatuaggi che si lasciavano intravedere dal collo della felpa che indossava in quel momento.
L'altro vampiro, altrettanto alto ma ben più muscoloso del primo, aveva folti e lunghi capelli ramati e occhi del colore dell'ametista. Rivolgeva uno sguardo divertito all'altro ragazzo, accompagnato da un sorriso cordiale.
- Cose che capitano. Spero non te la sia presa. 
Disse il ragazzo dai capelli bianchi dando una pacca sulla spalla all'altro, più corpulento e dall'aria di principe di altri tempi, non smuovendolo di una virgola.
- Che ne dite di rimandare a dopo le coccole e darci una mossa? 
Gabriel proferì parola e i due gli rivolsero la propria attenzione.
- Gabriel Addams. Questa sì che è una sorpresa; l'ultima volta che ti ho visto ti stavi scopando mia sorella sul mio letto. 
Nonostante la verità di tale accusa, il ragazzo dall'aria alternativa, Devon, lanciò a Gabriel un'occhiata divertita. Lui non se ne sorprese.
- Sì, un bel passatempo, non c'è che dire. A proposito, come se la passa? 
Entrarono nella stanza e ognuno di loro scelse un letto, prima di darsi una ripulita e rimandare a dopo le chiacchiere.
Quando furono pronti, raggiunsero gli altri nella saletta e percorsero il lungo corridoio, giungendo all'ampia scalinata.
Molti di loro si soffermarono a dare un'occhiata all'altro lato dell'edificio, quello in cui risiedevano gli esseri umani. Con l'acquolina in bocca, pensò Gabriel.
- Non ci conviene fare incazzare Selina. Avremo tempo per divertirci con quegli umani, non temete. 
Gabriel riprese a scendere le scale e, con le mani nelle tasche di un paio di jeans neri e una camicia dello stesso colore, faceva una gran bella figura stagliandosi contro il marmo bianco della scalinata.
- Non sapevo che tua cugina lavorasse con Joskow. 
Disse Elessar. Quelle parole fecero in modo che l'angolo destro della bocca di Gabriel si piegasse in un sorriso, prima di giungere al termine della scalinata e attendere gli altri.
Ebbene sì, Selina Moscova era proprio sua cugina. Il tratto affascinante della famiglia, d'altro canto, non era in discussione.
Quando entrarono nella sala da pranzo, fu inevitabile percepire il cambiamento palese che subì l'atmosfera intorno a loro: il terrore dilagò tra i dodici ragazzi che avevano preso posto attorno a uno dei tre tavoli rotondi presenti nella stanza, mentre, al secondo tavolo, il Preside, gli insegnanti e le due guide sollevarono, rilassati, lo sguardo su di loro.
Selina si alzò e si avvicinò ai suoi protetti, dando loro qualche raccomandazione e conducendoli presso il terzo tavolo, attendendo che tutti prendessero posto prima di allontanarsi.
Quando Gabriel si sedette, tra Devon ed Elessar, non poté fare a meno di lanciare uno sguardo agli insegnanti. Non aveva idea di cosa avrebbe potuto imparare in quell'istituto oltre al modo di interagire con gli esseri umani e, francamente, non gli importava.
- Non ho mai visto tanti umani insieme in vita mia. 
Una ragazza della sua razza prese la parola e rivolse lo sguardo ambrato alla tavolata degli esseri umani. Tutti fecero lo stesso e, dalle loro espressioni bramose, era facile intuire cosa stessero pensando. Quella prima notte, di certo, qualcuno di loro sarebbe sgusciato fuori dal dormitorio per raggiungere quello dell'altra razza.
- Dite che sia il caso di sceglierne uno a testa o possiamo anche scambiarceli tra di noi? 
Devon fu costretto a passarsi la lingua sul labbro inferiore, prima di riprendere a sbavare, puntando uno dopo l'altro gli umani terrorizzati.
A quel punto Gabriel sollevò lo sguardo nella loro direzione, visionandoli tutti uno ad uno, finché...
- Per me possiamo scambiarceli, non mi importa. 
- No. 
Gli undici ragazzi si voltarono verso di lui, a causa del tono determinato e autorevole che lo spinse a parlare. 
Una ragazza dai lunghi capelli neri e occhi color ghiaccio lo osservava ma, a differenza di tutti gli altri, non aveva paura. Lo osservava curiosa, con le labbra appena socchiuse da cui sospirava appena. Non era terrorizzata, piuttosto diffidente e, in un certo senso, Gabriel era in grado di percepire il disgusto che lei sembrava provare per la sua razza.
Si accigliò. La guardò ancora. Lei distolse lo sguardo, portandosi una mano sotto il mento e scambiando qualche parola con la sua vicina di posto.
Si mosse velocemente nel portare una ciocca di quei lunghi capelli lisci dietro l'orecchio, rivelando una pelle bianca e, di certo, morbida al tatto. Il suo profumo arrivò fino a lui, inebriando i suoi sensi e accendendolo di una brama mai provata prima.
- Lei è mia. 
E con ciò, aveva appena segnato quel che sarebbe divenuto suo dominio. Da quel momento, chiunque avesse osato posare un dito su di lei, ne avrebbe risposto a lui.
L'omicidio, in quel caso, era contemplato.
Il vampiro aveva marchiato il proprio territorio.


  
Vi presento Aaron e Selina, spero vi piacciano ^^
D'ora in avanti inserirò il disegno ispirato di uno o due personaggi per ogni capitolo, dunque attendete i prossimi ;)
NB: i disegni sono stati presi in prestito dal sito DeviantArt e non mi appartengono.


Angolino angoletto:
Salve a tutti! Ritorno con una nuova storia Originale che spero di portare avanti fino alla fine, questa volta :)
E' un ambito totalmente nuovo per me, mi sono lanciata in un'impresa del genere per vedere come potevo cavarmela con queste tematiche, dunque spero che ognuno di voi possa trovare il tempo di lasciarmi una piccola recensione (criticate di tutto e di più), in modo da permettermi di crescere in questo campo.
Ringrazio in anticipo chiunque avrà voglia di leggere e imbarcarsi con me e i personaggi in un mondo tutto nuovo con una trama ancora da definire nei minimi particolari ^^
- Fra
   
 
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