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Autore: UltravioletBliss    19/12/2013    0 recensioni
Emma ha diciannove anni, non ha mai avuto gravissimi problemi nella vita, a parte uno: Marco.
Lui è il migliore amico di suo fratello, ed è il primo grande amore di Emma.
Una storia complicatissima, scoprirete il perché, ma anche appassionante e soprattutto, reale.
Perché chi lo ha detto che certe cose accadono solo nei film? Non c'è niente di più vero, di più incisivo e di più sconvolgente della vita vera.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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  • Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato.
  • -F.Scott Fitzgerald, Il Grande Gatsby



Tutto iniziò alla veneranda età di dodici anni.
Cosa iniziò?
Beh, ovviamente la più grande storia (non) d’amore della mia vita.
Ritornando a noi, tutto iniziò a dodici anni, seconda media.
Mio fratello maggiore, che all’epoca faceva il secondo superiore, era molto felice dove era capitato e non faceva altro che parlarmi di tutte le nuove amicizie che era riuscito a coltivare, non perdendo mai l’occasione di parlarmi del suo nuovo compagno di banco, un certo Pino.
“In realtà si chiama Marco – diceva – ma lo chiamo Pino perché  è uguale a Pino il figlio della professoressa, hai presente? E allora il terzo giorno di scuola gli ho detto Pino vieniti a sedere vicino a me e lui mi ha risposto ma io mi chiamo Marco!  e io no da adesso ti chiami Pino e così è ancora il mio compagno di banco ahaahahah”.
Io lo ascoltavo attentamente, era talmente raro in quei tempi che mi rivolgesse la parola che ogni volta che mi parlava cercavo sempre di sentire il suono della sua voce il più possibile, perché probabilmente non me l’avrebbe rivolto per moltissimo tempo come suo solito.
Ritornando per la seconda volta a noi, capitò il giorno in cui, insieme alle mie amichette delle medie, decisi di andare a fare perlustrazione negli ambienti delle scuole superiori.
Su, sapete, tutti quella voglia di crescere che viene insieme all’acne e all’apparecchio.
Dunque, caso volle ch’io mi trovassi proprio davanti la scuola di mio fratello e, da sempre considerato bello dalle mie amichette, decisi di rischiare e di andare a cercarlo per un saluto, più per far accrescere la stima delle mie compagne verso di me che per altro.
Lo trovai mentre si smezzava una sigaretta con un suo amico, e, prima che urlasse “che cazzo fai qui? Non dirlo a mamma e papà, non dirlo a mamma e papà!” incrociai lo sguardo del suo compare, che sghignazzava.
“Tranquillo, non dico a nulla a mamma e papà, volevo solo salutarti.. E tu sei Pino?” chiesi al suo amico.
Avevo sempre avuto una grandissima faccia tosta.
“In realtà Marco” rispose lui.
“Vabbè, io sono la sorella di Luca!” sorrisi mettendo in mostra le mie stelline.
Marco/Pino era alto più o meno come Luca, era giusto un po’ più scuro ed aveva gli occhi marroni. I capelli erano riccissimi e aveva quel filetto di barba che arriva verso i quindici anni e di cui si è così fieri.
“Ok Emma adesso vattene, che noi dobbiamo rientrare, sennò dico a mamma e papà che eri qui!”.
“E io gli dico che stavi fumando allora!” lo ricattai io, come solo una dolce sorellina rompicoglioni sa fare.
“Che palle, dai su seriamente vai via, che se non rientriamo ci sospendono!” mi pregò.
“Va bene… Ciao”.
“Ciao” mi salutò Marco, prima di scomparire all’interno dell’edificio.
In questo momento starete pensando che mio fratello a quindici anni era una specie di bulletto con la sigaretta in mano che sarebbe stato bocciato tre o quattro volte nella vita; invece no, sia lui sia Marco erano molto bravi a scuola, educati e brillanti. Quasi tutte le ragazze avevano una cotta o per l’uno o per l’altro, e qui penserete: ecco Emma, quindi ti sei presa sin da subito una cotta per Marco? Errato anche questo, perché a me Marco stava, se posso permettermi, terribilmente sulle palle.
Ogni volta che usciva con Luca mi trattava come se fossi sua sorella minore anche io, nonostante avesse la sua cazzo di rompipalle personale su cui sfogare la sua rabbia repressa.
No, Marco da quando mi conobbe mi trattò come una fottutissima sorella minore, proprio come mi trattava Luca.
“Stai zitta che sei stupida, le bambine non devono parlare, ma che cazzo fai, sì vabbé, fai questo, fai quell’altro” eccetera, mentre io stavo zitta perché avevo paura che mio fratello mi trattasse male con la storia “porta rispetto alle persone più grandi e soprattutto a Pino!”.
Io quindi mi limitavo ad obbedire, mentre iniziavo ad odiare lo stupido Marco, e il suo stupido zaino dell’Invicta a con il fondo nero e con i colori sopra; odiavo anche il suo stupido sorriso beffardo e i suoi stupidi riccioli neri.
Insomma, era proprio l’odio quello stupido ragazzo.

Ricordo ancora che una volta, al mio primo anno di liceo, avevo tredici anni (ho fatto la primina, salvo poi essere bocciata al secondo superiore, ma questa è un’altra storia) e mio padre mi beccò a fumare una sigaretta, che poi era tipo una Philip Morris, una cosa leggerissima, e non mi parlò per una settimana. Mio fratello e Marco avevano ovviamente visto tutta la scena, e Marco si avvicinò a me come a farmi la benedizione, per la cazziata che mi aspettava a casa da parte di papà.
“Ti uccidono Emma, ne sono sicuro” si mise a ridere, mentre io non credevo ancora di essere stata così stupida da farmi sgamare con una sigaretta in mano, insomma, neanche fumavo, era solo un modo per tirarmela un po’ davanti ai ragazzi più grandi, uno di quegli stupidi espedienti da neo adolescente.
“Non mi aiuti, e poi è possibile che stai sempre con mio fratello? Vattene un po’!” esclamai, con le lacrime agli occhi per il  nervosismo.
“Scusa ma prima fai le cazzate e poi te la prendi con Pino?”.
“Vaffanculo Luca!” urlai, scappando.
Marco continuava a ridere.
 
 L’anno dopo, mio fratello compì diciotto anni, e fece la festa di compleanno. All’epoca avevo una cotta per Daniele, un loro compagno di classe, che è perdurata fino all’estate successiva.
Ovviamente Daniele non aveva nessuna attrazione per una quindicenne cicciottella, con gli occhiali e l’apparecchio.
Poi arrivò l’estate, passata tra congiuntivite e mononucleosi, Luca, Marco e Daniele si erano finalmente diplomati.
Marco continuava a trattarmi come fossi sua sorella, e io continuavo a trattarlo come un idiota, l’idiota più odioso che mi sia mai capitato tra i piedi.
Una volta, addirittura, decise che doveva farmi arrabbiare, e iniziò a narrare i commenti da quindicenne stupida che avevo scritto su facebook, avete presenti quelli tipo: m piaci tu, m piaci tu, ma km t lo dv dire, ecco, proprio quelli, prendendomi altamente per i fondelli.
“Dai Emma, mi insegni il bimominchiese? Luca, hai visto quanto è piccola la tua sorellina? Come fai a non prenderla per il culo?”, insomma, ogni volta che lo vedevo mi faceva crescere le palle e poi me le rompeva.
Quindi fu per me un immenso gaudio quando non lo rividi per i nove mesi successivi, causa inizio università.

Fu proprio l’anno che iniziò la mia metamorfosi: dimagrii, scoprii le lenti a contatto e tolsi l’apparecchio (anche se non sono ancora pienamente soddisfatta del mio sorriso); acquistai anche uno stile un po’ particolare, un po’ hippie nel pensare e, magicamente, iniziai ad interessarmi a ciò che mi circondava, come la politica, o la letteratura, iniziando a modellare un carattere un po’ fuori dal comune, particolare; lavorai anche in un bar, scoprendo i primi ragazzi che mi facevano il filo e le prime soddisfazioni personali. Ma avevo comunque sedici anni, ero ancora immatura (lo sono ancora, ma diversamente).
Capitò una sera d’estate, durante uno degli eventi più importanti della mia città.
Stavo lavorando, quando entrò Luca.
“Emma, fai tre birre” disse semplicemente.
Io mi girai alla ricerca dei due compari con cui il mio caro fratellino aveva deciso di spaccarsi a merda, e lo vidi.
Capello riccio folto, barbetta incolta, mi sorrise.
“Adesso anche la barista fai? Miglioriamo!” commentò, seguito da Andrea, altro grande amico di Luca e Marco.
“Ciao Marco, ciao Andrea” li salutai cordialmente, erano comunque clienti e non potevo permettermi nessuna sceneggiata di alcun tipo.
Ricordo che, mentre io passavo le pezze come una schiavetta su tutti i tavolini in veranda, loro chiacchieravano, e Marco ogni tanto mi lanciava qualche sguardo sfuggevole.
Quando si alzarono, Luca prima ordinò tre pizze e poi mi disse che mi aspettavano a casa e poi saremmo andati insieme alla festa, sì, anche mio fratello era diventato più accomodante con il passare degli anni.
Alle dieci staccai e tornai a casa in motorino, ero sconvolta e avevo solo mezz’ora per prepararmi, mangiare, truccarmi, lavarmi ecc.. insomma, era troppo poco tempo Cristo!
Chiedendo se qualcuno mi avesse lasciato un qualcosa di simile a una cena, mi stupii nello scoprire che era stato proprio Marco a pensarmi. Forse in quei nove mesi era cresciuto… O forse ero cresciuta io.
Mezz’ora più tardi ero pronta, e, nell’andarmi a specchiare in camera di mio fratello (ha uno specchio enorme di cui usufruisco spesso e volentieri), sbattei contro Marco.
“Scusa”.
“Tranquillo, oh, come sto secondo te?” chiesi.
“Stai… bene” sorrise.
Me ne andai rispondendo a quel sorriso.
Quando arrivammo alla festa, non so perché, decisi che volevo passarla a parlare con lui.
Ho già detto che avevo coltivato un carattere un po’ particolare, ma il fatto che di punto in bianco non vidi più Marco come un idiota ma come un amico non me lo so spiegare tutt’oggi.
Fatto sta che parlammo e parlammo, di università, dell’Italia, del futuro, dei sogni, il tutto contornato da numerosi cocktail.
Nella mia mente Marco si stava trasformando in qualcosa di concreto, iniziavo ad osservarlo, i lineamenti dolci, le labbra carnose incorniciate da una barba scura, i riccioli neri, il sorriso clamorosamente bello… Dovevo rinsavire, e in fretta.
Forse fu per quello che gli sussurrai ad un orecchio vieni con me.



Autrice:
Ecco, se siete arrivati fino a qui le cose sono due:
1) avete molto tempo da perdere;
2) questa storia vi interessa.
Dunque, la trama non è complessa e questo, come dice il titolo, è solo un'anticamera. 
Di colpi di scena nel corso della ce ne saranno, ma saranno pochi, quello su cui voglio soffermarmi sono le emozioni, perché alla fine, lo scopo dello scrivere non è narrare, ma emozionare. E io proverò ad emozionarvi con le mie modeste parole, che saranno sicuramente ispirate dal mio amato Vasco Brondi (Le luci della centrale elettrica) e da, ovviamente, i Subsonica. All made in Italy gente! 
Fatemi sapere con una recensione se volete che continui.
Ah, ripeto, tutto ciò è TRATTO DA UNA STORIA VERA
UltravioletBliss

 
  
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