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Autore: CreepyIero    20/12/2013    5 recensioni
Guardò di nuovo quella foto.
Avrebbe dato tutto per avere quegli occhi verdi dallo sguardo gelido. Talmente freddo da mettere i brividi. Quella bocca seria e corrucciata e l’espressione neutra.
Perché lei sapeva essere fredda, dura come il marmo, acida e stronza. Ma erano sempre gli occhi a tradirla.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedico questo ad Andreea.
Anche quando ti sembra che ti odi.
Sappi che ti voglio un bene dell’anima.
 
Ed era lì, di nuovo, sola.
In quello stupidissimo bagno a piangere come un’idiota, ancora.
E sempre per lo stesso stupidissimo motivo: le persone.
Quella massa di organismi pluricellulari con la testa in pappa che non riuscivano a mandare un’informazione al cervello prima di aprire la bocca.
Dicevano solamente tutto quello che gli passava per la testa, senza preoccuparsi di niente.
Senza preoccuparsi delle notti passate in bianco a pensare a quelle parole, alle volte in cui sentiva solo un buco nel petto farsi lentamente strada nel suo cuore, come una fitta nebbia autunnale alla quale è impossibile scappare.
Guardò di nuovo quella foto.
Avrebbe dato tutto per avere quegli occhi verdi dallo sguardo gelido. Talmente freddo da mettere i brividi. Quella bocca seria e corrucciata e l’espressione neutra.
Perché lei sapeva essere fredda, dura come il marmo, acida e stronza. Ma erano sempre gli occhi a tradirla.
Occhi che nessuno si curava di vedere, occhi che passavano inosservati, di un colore tanto banale quanto prezioso, di un marrone delle foglie autunnali, che a volte avevano quasi dei riflessi rossi, come se non fossero umani.
Ma lei non era umana.
Aveva due braccia, due gambe, due occhi, un naso e una bocca, il fegato era quello, l’intestino anche. Era uguale a tutti gli altri sei miliardi di esseri umani, tranne per un particolarissimo fatto.
Il suo cuore era nero, di quel nero come la notte più scura, in effetti, non si sarebbe stupita se ci avessero trovato della muffa dentro, non lo usava da così tanto tempo…
Ormai i suoi sorrisi erano forzati, le sue risate forzate, quasi come se fossero dovute.
Quelle persone, una volta erano parte integranti della sua vita.
Avrebbero potuto essere tanto, forse tutto. Invece avevano preferito essere niente.
Avevano preferito dare una scrollatina di spalle, mettersi i paraocchi e guardare solo quello che avevano davanti a loro.
E forse anche lei avrebbe dovuto cominciare a fare così.
Peccato che lei avesse un piccolo difetto: era testarda, fottutamente e irrimediabilmente testarda.
E se avesse voluto, sarebbe potuta essere un’altra ragazza come tutte le altre, in preda agli ormoni impazziti, con i vestiti firmati e solo una cosa in testa.
E ci sarebbe potuto riuscire, veramente. Ma non voleva.
Voleva distinguersi da tutta la merda che era intorno a lei, voleva alzarsi e fare uno di quei discorsi di cui Obama sarebbe stato fiero.
Ma purtroppo non eravamo in uno di quei telefilm americani.
Ne sarebbe solo uscita più emarginata di quanto non fosse già.
Dio, le persone sono così stupide.
Preferiscono avere un ruolo da protagonista in gabbia che un ruolo da comparsa in guerra*.
Lei preferiva essere l’asociale, la ragazza che nessuno voleva, quella presa per il culo da tutti, quella che cadeva costantemente sotto il peso di un macigno, piuttosto di essere come tutti gli altri.
E anche se aveva ormai smesso da tempo di provare sentimenti, aveva smesso da tempo di fare qualsiasi cosa, sentì nascerle dentro qualcosa di nuovo.
E questa volta non era né pena, né dolore, né apatia, era qualcosa che non si era mai arrischiata a provare prima: rabbia.
Quella rabbia che ti logora dentro, che ti fa venire voglia solo di sgozzare qualcuno.
Lei non era mai arrabbiata, perché era da stupidi rendersi schiavi dei sentimenti, anche di uno così stupido.
Aveva solo un desiderio.
Mandare a fanculo tutti.
A fanculo lui.
A fanculo lei.
A fanculo i compiti, la scuola, i professori, le maglie troppo larghe, i jeans troppo stretti, i desideri, le speranze, i sogni, i libri dimenticati sullo scaffale, le cicatrici, i sentimenti, le telefonate alle due di notte, le scuse, le lacrime, i sorrisi finti, le risate vere.
A fanculo tutto quello che esisteva.
Se pensavano veramente che lei si sarebbe arresa si sbagliavano di grosso.
Per quanto fosse stanca, per quanto avesse solo voglia di urlare, non si sarebbe mai arresa di credere nei suoi sogni.
Non avrebbe mai smesso di lottare per tutto quello che la circondava, per tutto quello che doveva ancora vivere.
Tante cose doveva ancora affrontare, risate, pianti, delusioni, amori. Ma lei non si sarebbe persa niente, avrebbe continuato a sorridere e ad alzare un dito medio.
E furono quelli i pensieri che le diedero la forza di alzarsi da quel bagno, asciugarsi le lacrime e stamparsi sul viso un’espressione seria.
Si diresse con passo deciso verso la palestra, si avvicinò a lui.
Lui la guardò come se fosse pazza.
Prese tutto il coraggio e tutta la forza che le era rimasta, lo guardò negli occhi e vi rivide tutto, tutti i pianti fatti per lui, tutte le volte in cui voleva solo baciarlo, tutti i ‘vaffanculo’ che le aveva rivolto, tutti gli insulti che le aveva vomitato contro.
E fece la cosa più ovvia che le venne in mente.
Gli tirò uno schiaffo.
La testa di lui si voltò a sinistra, lo sguardo incredulo e la guancia rossissima.
Tutta la classe la guardava ad occhi spalancati, professore compreso.
Vide tutta la classe fissarla.
Alzò una mano in aria, alzando il dito medio.
Si voltò e camminò lentamente fuori dall’edificio, e solo quando sentì l’aria fredda di dicembre pizzicarle le guance si arrischiò a fare una cosa che non faceva da anni.
Rise.
Rise come non aveva mai fatto in vita sua, rise di divertimento.
E continuò così per molto, ma cosa le importava?
Era felice, il resto non contava.
E così, quella ragazzina così insulsa, così infelice e così sfigata, si ritrovò un qualsiasi giorno di dicembre fuori dalla sua scuola, a ridere come una pazza, sentendosi per la prima volta nella sua vita viva.
 
 
*Pink Floyd, ‘I wish you were here’
 
Era da troppo tempo che volevo scrivere una cosa del genere.
Volevo anche dare un’enorme bacio a Valeria, Francesca e Sara.
Ragazze, siete la migliore parte di me e non smetterò mai di volervi bene.
E, per finire, dedico questa one-shoot al “Gruppo: Percy Jackson il capolavoro di Rick Riordan”, i miei migliori amici, le persone migliori di sempre. Non smetterò mai di amarvi in tutto il mio piccolo.
  
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