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Autore: Glitch_    21/12/2013    4 recensioni
[Derek-centric, Sterek, post 3a] «Sarà come se il vostro subconscio prendesse vita dando forma a una realtà parallela: ogni notte sognerete di una vita diversa da questa – sempre la stessa, come se fosse un mondo alternativo a quello in cui vivete – fino a quando non saprete più distinguere la realtà dal sogno, o fino a farvi credere di dover scegliere in modo estremo quale delle due vite vivere»
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chris Argent, Cora Hale, Derek Hale, Peter Hale, Stiles Stilinski
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Avvertimenti vari per chi vorrà avventurarsi fra queste righe: Derek-centric; Sterek con slow build; post season 3A (e in linea con i fatti canonici successi fino alla 3x12); presenza di Derek/AltriPersonaggi e Stiles/AltriPersonaggi prima di arrivare al cosiddetto endgame; episodi di infedeltà clamorosa da parte di Derek (non nei riguardi di Stiles), lo dico prima perché ad alcuni l’infedeltà in generale non piace; la cosa particolare di questa fanfiction è che si tratta di un’AU dentro una storia che segue il canon, in quanto i protagonisti principali per via di una maledizione sognano una vita alternativa alla propria, quindi ne viene che troverete anche un umano!Derek e un intero mondo senza licantropi e senza del sovrannaturale in generale + qualche personaggio ancora vivo.

Ho cominciato a plottare questa fanfiction prima della notizia ufficiale sulla perdita dello status di alpha da parte dei gemelli, quindi qui troverete sia Aiden che Ethan ancora degli alpha – ho lasciato tutto com’era per questione pratiche e per puro piacere di fanwriter.

Buona lettura! E Buone Feste! ;) (su tumblr, se volete, potete trovarmi come lastbluehowl)



 

 

 

- C’ERA UNA VOLTA IN UN INCUBO… -

 

PARTE PRIMA



 

"Why don't we share our solitude?

Nothing is pure anymore but solitude

It's hard to make sense

Feels as if I'm sensing you

Through a lens

If someone else comes

I'll just sit here listening to the drums"

Comforting Sounds– Mew @ YouTube

 


 

Erano passati quasi undici mesi da quando era tornato a Beacon Hills con Cora, e Derek non sapeva ancora dire se ciò fosse stato un bene o un male.

«È una maledizione».

«E che vuol dire?»

«È qualcosa di diverso e di più forte di un incantesimo, non…»

«So cos’è una maledizione! Vai dritto al punto e dicci cosa cazzo ci succederà!»

«Sarà come se il vostro subconscio prendesse vita dando forma a una realtà parallela: ogni notte sognerete di una vita diversa da questa – sempre la stessa, come se fosse un mondo alternativo a quello in cui vivete – fino a quando non saprete più distinguere la realtà dal sogno, o fino a farvi credere di dover scegliere in modo estremo quale delle due vite vivere».

Derek non sapeva, non sapeva davvero più quale delle sue due vite fosse una maledizione da accettare, perché in nessuna delle due aveva ciò che voleva.

«Non so come devo sentirmi» gli aveva confessato Stiles qualche mese prima, seduto sul pavimento del vecchio appartamento che Derek e Cora avevano acquistato. «Qui dovrei essere felice perché mio padre è vivo e dovrei anche ritenermi fortunato a non aver mai perso una sorella? E invece dovrei essere contento perché anche se mio padre e mia sorella sono morti almeno mia madre è ancora viva?»

E poi c’era lo Stiles dell’altra vita, quello che Derek definiva "l’altro Stiles", quello che era trentenne e che una notte, seduto sulle scale antincendio fuori dal suo appartamento, con una bottiglia di birra in mano gli aveva detto «Non so perché, ma alle volte mi sento come se mi mancasse tutto, e non ho neanche idea di cosa sia di preciso questa sorta di tutto generico! E lo so che ogni tanto ti senti anche tu così, te lo leggo in faccia… Io… Abbiamo già perso tutto quello che potevamo perdere, abbiamo alle nostre spalle dei lutti, un divorzio a testa e un lavoro che sembra essere diventato una routine noiosa: cosa abbiamo ancora da perdere? Perché alle volte ho la sensazione che mi manchi ancora qualcosa e che quando capirò finalmente di cosa si tratta sarà troppo tardi e l’avrò già persa?»

Derek non aveva avuto il coraggio di rispondere a quella domanda, perché tanto lo sapevano bene entrambi che in quel momento si stavano prendendo in giro a vicenda, lo sapevano già cos’era ciò che avevano perso: l’occasione di stare insieme.

Il tempo era volato via, gli anni erano sfuggiti dalle loro dita ferendoli in modo inaspettato con dei tagli come se fossero fogli di carta nuova e rigida, e la codardia aveva fatto tutto il resto.

Derek ricordava ancora l’altro Stiles il giorno del proprio diploma, quando ancora giovane e con negli occhi la malinconia di chi sa che quello è un addio l’aveva salutato provando in tutti i modi a strappargli una confessione.

Ricordava anche l’altro Stiles di qualche anno dopo, quello che ubriaco aveva bussato alla porta di Derek che era appena rientrato dal proprio addio al celibato. «E quando domani sarai all’altare a portare avanti la tua farsa» gli aveva sibilato Stiles all’orecchio, mentre facevano sesso in modo osceno, rabbioso e violento, «ricordati di me e di cos’abbiamo fatto stanotte».

Derek quel particolare non l’aveva mai dimenticato, neanche quando sua moglie gli aveva urlato in faccia che non si sarebbe arresa e che il loro matrimonio non poteva finire così. Non l’aveva dimenticato neppure mentre faceva le valigie per andare via di casa, né quando aveva firmato i documenti per il divorzio.

Quello che gli faceva più male, però, era il ricordo dell’altro Stiles sorridente durante il proprio matrimonio, perché quella non era stata una farsa: Stiles e sua moglie non erano profondamente innamorati – erano coscienti di amarsi solo a modo proprio – ma insieme avrebbero potuto affrontare anche altri dieci, trenta, cinquant’anni di dispiaceri e dolori grazie al supporto incondizionato che l’uno dava all’altra, quindi avevano voluto provarci; avevano un rapporto solido, volevano stare insieme e ci credevano, desideravano tenersi stretta la loro serenità.

E l’altro Stiles era stato così felice il giorno del proprio matrimonio e i pochissimi presenti erano stati così commossi e contenti di vedere lui e sua moglie insieme che Derek avrebbe voluto urlare. Fino a quel giorno Derek non aveva mai immaginato che essere felice per una persona non potesse escludere di essere anche furente con essa, con se stessi e con il mondo intero.

«Non portarmelo via, ok?» gli aveva chiesto la moglie dell’altro Stiles qualche settimana prima del matrimonio, con un sorriso un po’ imbarazzato e tirato e gli occhi lucidi. «So che avete avuto dei trascorsi e che resterete sempre un po’ speciali l’uno per l’altro, ma non portarmelo via… perché io e lui ci stiamo provando davvero tanto a stare bene insieme».

Derek aveva dovuto darle ragione: non aveva alcun diritto di avanzare pretese sull’altro Stiles, soprattutto quando un paio di anni prima aveva calpestato in modo clamoroso tutto ciò che potevano essere insieme pur di avere un matrimonio normale, perché, ehi, Derek all’epoca aveva avuto ventisei anni e un lavoro che gli piaceva e la sua fidanzata era una donna dolce e graziosa, quindi perché non coronare il tutto con una perfetta cerimonia e un anello al dito? Per farlo gli era bastato solo reprimere se stesso e ignorare in modo bastardo Stiles.

E poi l’altro Stiles aveva divorziato, e anche se era stata una rottura consensuale la cosa aveva depresso sia i due ex coniugi sia tutti i loro amici, e Derek si era sentito un verme alla sola idea di approfittare della situazione per provare a riconquistarlo, anche perché tutto ciò che ormai lui e l’altro Stiles potevano essere insieme era solo un cumulo di occasioni perse al sapore di cenere.

Non c’era niente di più triste che amare qualcuno per anni ed essere coscienti di non essersi mai incontrati nel tempo giusto e di aver perso ogni occasione utile.

E poi c’era l’altra vita, quella in cui Stiles andava ancora a scuola, aveva diciotto anni ed era un umano circondato da licantropi. Derek stesso era un licantropo.

Era una vita così assurda e piena di pericoli che, a confronto a quella in cui tutti e due erano umani, Derek non sapeva se fosse migliore o peggiore, perché nell’altra non rischiavano di morire ogni giorno, però in questa almeno… in questa almeno…

E, cazzo, Derek sapeva bene che la maledizione era stata scagliata nella vita in cui era un licantropo, lo ricordava in modo vivido, ma se fosse anche quello un costrutto del proprio subconscio? Forse la versione sovrannaturale della sua vita era un modo con cui la sua mente stanca cercava di sublimare le ansie e paure che aveva nella vita reale, perché in quella versione "magica" Stiles era ancora giovane e avrebbero potuto avere ancora un’occasione… O forse stava davvero impazzendo.

Cora e Peter avevano provato a dargli dei tranquillanti – e se Peter si era perfino impuntato nella ricerca di pozioni o infusi scaccia sogni la cosa doveva essere proprio grave – ma alla fine Derek non ce l’aveva più fatta ed era andato via di casa – o forse era meglio dire che era scappato via di casa in auto.

E adesso non sapeva dove andare, non sapeva se per sfogarsi in modo masochistico fosse meglio correre per la riserva come un licantropo fino a perdere se stesso e la propria umanità – così gli Argent avrebbero dovuto abbatterlo e tutto sarebbe finito – o se fosse meglio correre in macchina come un umano, accelerando nella notte fino a non poter più frenare in tempo al primo ostacolo, fino a schiantarsi e morire.

Stava succedendo, doveva scegliere quale fra le due vite vivere, ma gli sembravano entrambe due incubi e sperava davvero che morire in una delle due almeno lo portasse a una soluzione.

Quando il suo cellulare iniziò a squillare fu quasi tentato di afferrarlo e buttarlo fuori dal finestrino, ma vedere il nome di Stiles sullo schermo lo fece desistere; imprecò fra i denti un paio di volte e poi rispose.

«Sto andando via» esordì, intuendo cosa Stiles volesse sapere.

«Derek, dove sei? Cora mi ha chiamato chiedendomi se tu fossi da me, dove…» si fermò. «Sei in macchina?»

«Sto lasciando Beacon Hills» rispose coinciso, e in fondo era vero, anche se non stava lasciando soltanto la città…

«Oh mio Dio, Derek, fermati! Accosta, ok?»

«Stiles…»

«Non credere che io non immagini cosa tu stia pensando di fare!» gli gridò rabbioso.

Derek esitò appena, poi l’accontentò e si fermò sul ciglio della strada. Fuori pioveva e il cielo scuro era illuminato ogni tanto da lampi che lo rendevano violaceo; l’acqua battente faceva sembrare l’abitacolo l’interno di una grancassa suonata con violenza. «Sono fermo» esalò, e tirò su col naso; sentì Stiles sospirare sollevato.

«Dio, Derek! Non puoi darla vinta alla maledizione e provare una soluzione così estrema!... Tu… devi pensare anche a Cora, ok? E, non avrei mai immaginato che un giorno avrei detto una cosa simile, ma pensa anche a Peter

«Credi davvero ancora che si tratti di una maledizione?» ribatté Derek, frustrato, arrabbiato e con la voce incrinata. «Tutto questo è reale, Stiles?»

«Ho delle teorie, va bene?» gli ritorse Stiles con tono più fermo e serio. «Ho delle cose che mi ripeto sempre a voce alta in dei momenti simili per ritrovare la calma e ritornare alla vera realtà. Ti va di ascoltarle?»

Derek sospirò – e si accorse che il proprio respiro era tremante – si passò una mano sulla fronte e poi si arrese. «Sono tutto orecchi» gli disse sarcastico.

«Prima di tutto, in questa vita – quella in cui tu sei un licantropo – tutti sanno che siamo vittime di una maledizione e ricordano come noi perché e quando ci è stata scagliata» trasse un respiro profondo. «Poi. Qui siamo coscienti di essere stati entrambi maledetti: in quale fottuto sogno due persone s’incontrano e si dicono di essere coscienti di stare sognando?»

«Potrebbe essere tutto un costrutto del nostro subconscio» insisté Derek.

«Stiamo facendo tutti e due lo stesso sogno, Derek! Da quasi un anno!» urlò disperato. «Sogniamo le stesse maledette cose, ognuno dal proprio punto di vista, e ciò non sarebbe possibile se non per via di una maledizione! In quella vita non siamo coscienti di stare sognando, in questa : questa è la nostra vera vita! Questa è la realtà!»

«Stiles…»

«No, Derek, ascoltami, vediamo di parlarci in modo chiaro, vuoi?»

Derek stava odiando sentire la voce di Stiles tremare. «Ok» esalò.

«Quale delle due vite detesti di più? Perché lo scopo della maledizione è proprio questo: farci vedere che in qualsiasi modo fossero andate le cose, saremmo stati fottuti lo stesso e avremmo avuto una vita di merda. L’obiettivo è farci impazzire con l’idea di non avere una via di scampo dal fallimento. Quindi dimmi, qual è la peggiore delle due opzioni? Quale delle due vite ti fa più male?»

«Stiles, non…» Derek trattenne il fiato e sbatté la testa all’indietro contro il sedile della macchina, chiuse gli occhi. «Ci sono cose che qui mi mancano, ma ci sono altre che invece lì mi mancano» ammise con voce roca.

«Conosco la sensazione» lo rassicurò Stiles, «la provo anch’io. Lì alle volte mi manca Scott, ma certe volte qui mi manca Allison» confessò con una risata isterica. «E tu lo sai perché mi manca Allison…»

Derek a occhi chiusi fece una smorfia e sbatté la mano sul volante, gli tornò in mente un’immagine dell’altro Stiles a ventisette anni, con indosso una camicia un po’ stropicciata, un gilet slacciato e una cravatta allentata, sorridente come non lo vedeva da anni.

«Qui mi manca Laura» mormorò Derek, «ma Peter non mi parla più da quando avevo sedici anni, e non hai idea di quanto questo mi faccia male, perché ogni volta che lui per caso mi guarda in faccia è come se mi pugnalasse per quello che ho fatto alla nostra famiglia. Mi manca Peter, perché anche se qui ha ucciso Laura, mi ha perdonato, e questo è pazzesco» sorrise amaro, «anche perché io invece non ho mai perdonato lui per Laura».

«Dimmi qualcosa di reale, Derek…»

«Di reale in quale delle due vite?»

«In entrambe».

Derek si guardò intorno inspirando a fondo e provando a mandar giù con forza il groppo che sentiva in gola, ma non ci riuscì e continuò a tacere.

«Derek?» lo richiamò Stiles piano.

«Non so cosa…» cercò di dire, ma non stentò a proseguire.

«Mi manchi» esalò Stiles, «in modo diverso, ma mi manchi in entrambe le vite» gli confessò con nel tono della voce un sorriso nervoso. «Ne potremmo parlare, Derek, per favore

Lui si passò una mano sul volto. «Questo potrebbe essere tutto un trucco di qualcuno per farci male, per farci credere di avere ancora una possibilità…»

«Una possibilità per cosa? Per essere felici? Per stare insieme

Derek lo stava sentendo piangere e quello non era affatto giusto. «Odio non incontrarti mai nel momento più appropriato delle nostre fottute vite. Due fottute vite».

«Perché mai adesso non può essere il momento più appropriato?» gli ribatté Stiles, esasperato e frustrato. «No, Derek, dimmelo, perché mai non adesso? Sono ancora una volta troppo giovane? Ancora una volta ti ricordo un’altra persona e non lo trovi giusto nei miei confronti? O forse perché pure stavolta ti ritieni troppo incasinato e sbagliato per me? Dimmelo

Derek sbatté di nuovo la mano sul volante, strinse le labbra e trattenne il fiato: sentiva un dolore inspiegabile, non capiva neanche bene cosa gli stesse facendo più male e da dove provenisse tutto quel dolore. «Stiles…»

«Derek, per favore…» lo supplicò. «Mi manchi. E tutto è così confuso e fottutamente incasinato… Ho paura di dormire la notte e non so come potrò mai continuare a vivere in questo modo, ma ti prego… l’unica cosa di cui sono certo è che mi manchi».

Derek ricordò l’altro Stiles al suo ultimo anno al college, di una sera in cui al telefono gli disse con un’ironia piena di malinconia e con un vago risentimento «Forse perché mi manchi», e Derek subito dopo aveva stretto nel pugno le chiavi della macchina perché sapeva che quella era l’occasione giusta per correre dall’altro Stiles e dirgli che gli mancava anche lui, che adesso che aveva divorziato era il momento giusto per provare finalmente a stare insieme e smetterla di rincorrersi.

Non l’aveva fatto.

«Derek?» lo richiamò di nuovo Stiles, in ansia.

Lui inspirò a fondo. «Resta lì». Non gli diede il tempo di aggiungere altro, chiuse la chiamata e rimise in moto.


 

 

Undici mesi prima.


 

Cora scambiava messaggi con Stiles.

Derek non sapeva chi dei due avesse chiesto all’altro il proprio numero per prima, né sapeva quando fosse successo, ma in cambio era certo del fatto che sua sorella e Stiles si parlassero regolarmente tramite messaggi, e per regolarmente intendeva che i due lo facessero abbastanza spesso da permettere a Cora, tramite esperienza diretta e accumulata, di interpretare l’umore di Stiles tramite il suo uso della punteggiatura.

Cora non gli aveva detto in modo esplicito di essere in contatto con Stiles – non pronunciava mai a voce alta il nome del ragazzo – né tantomeno Derek le aveva chiesto con chi scambiasse dei messaggi in modo così frequente: c’era arrivato per esclusione che si trattasse proprio di Stiles, anche perché non c’era voluto un genio per capirlo. Cora, nel poco tempo che a Beacon Hills avevano vissuto insieme dopo anni di separazione, non si era mai premurata di mettersi in contatto con persone del proprio passato né aveva accennato a delle conoscenze abbastanza importanti da avvisare ogni tanto di essere ancora viva; ora che finalmente aveva un proprio cellulare, invece, di colpo parlava spesso con qualcuno, di certo qualcuno di Beacon Hills.

E non Peter. Ovvio.

Le uniche persone con cui Cora aveva trascorso più tempo a Beacon Hills erano Isaac, Stiles e Lydia – Boyd era morto, lui e Cora avevano condiviso l’ansia e la paura della prigionia nel caveau di una banca per tre mesi e alla fine anche lui l’aveva lasciata morendo come il resto della loro famiglia e del loro branco.

Isaac aveva messo in chiaro di non voler sapere più niente di Derek e degli Hale in generale – e Derek non se la sentiva di fargliene una colpa.

Cora tollerava e apprezzava il coraggio e una certa dose di sfacciataggine di Lydia, ma non era esattamente fra le sue persone preferite.

Stiles, d’altro canto… lui e Cora si erano appiccicati l’uno all’altra come se fossero fastidiose gomme da masticare sotto la suola di una scarpa: s’infastidivano a vicenda, però restavano appiccicati – per entrambi era bizzarro e assurdo ammetterlo, però erano davvero appiccicati. Proprio come una gomma da masticare sotto la suola del proprio paio di scarpe preferite.

Ogni tanto Cora, dopo aver rimesso il proprio cellulare in tasca, informava Derek di qualcosa con tono secco e annoiato; per esempio, gli riferiva "Dice che va tutto bene come può andare bene solo a Beacon Hills", o "Non vuole dirmelo, ma penso siano MOLTO nei guai", o "Credo che stiano meglio. Adesso". Non diceva mai il nome di Stiles. Derek assentiva, rimetteva in moto e andavano via verso la prossima meta – una città a caso che Cora sceglieva dopo aver fissato la cartina stradale per un paio di secondi.

Nessuno di Beacon Hills aveva mai contattato Derek in quei primi lunghi mesi. Lui non ne era rimasto sorpreso.

Gli Hale non avevano più né un territorio da chiamare proprio come branco né una vera casa dove stare come un famiglia. Non erano più neanche un vero branco, erano tre omega sciolti con ognuno sulle spalle il peso di troppi segreti oscuri da non svelare – Derek aveva portato Kate a sterminare il proprio branco, Peter aveva ucciso sua nipote e… dov’era stata Cora finora? – non potevano neanche affermarsi dei beta perché i legami fra loro tre erano stati sfilacciati dal tempo, dalla distanza e dai propri errori. Non erano più niente e ora che non avevano più vecchie minacce a fiatare sul loro collo, Derek e Cora si erano sentiti in diritto di mandare al diavolo tutto e lasciare Beacon Hills, quella città che non aveva più niente da offrire loro e dove era impossibile coltivare nuovi ricordi senza imbattersi nella cenere di quelli precedenti.

Peter poteva anche starsene dove voleva, ma lui e Cora avevano voluto cercare un nuovo modo per essere un branco, o magari essere una nuova famiglia.

«Potremmo anche diventare una sorta di branco nomade» aveva ipotizzato Cora una volta, scrollando le spalle. «Anzi, adesso che siamo via, lontani da Beacon Hills e per i fatti nostri, possiamo essere tutto ciò che vogliamo… è proprio questo il punto della situazione, no?» aveva insinuato, rivolgendogli il primo sorriso complice carico di ironia dopo anni. Derek aveva sbuffato un sorriso a propria volta scuotendo la testa e aveva svoltato a destra per imboccare la strada verso San Francisco.

Potevano essere tutto ciò che volevano e potevano anche dimenticare per sempre il passato che li aveva resi amari, perennemente malinconici e irascibili com’erano. Potevano essere delle persone normali, gente senza un cognome conosciuto che i passanti mormorassero alle loro spalle con finta ed eccessiva pena spettegolando di tragedie familiari, incendi, piromani e strani omicidi. Potevano essere Derek e Cora e stop e fermarsi per sempre in una città solo quando un giorno l’avessero voluto davvero.

O almeno questo era ciò che si erano detti a vicenda per quasi quattro mesi, mettendo da parte perché mai Cora ci tenesse a restare in contatto con Stiles e perché mai Derek non le dicesse che non gli interessava sapere cosa le riferisse Stiles. Poi, Stiles aveva smesso di colpo di scrivere a Cora.

Una sera, Cora uscì dal bagno della loro stanza in motel con i capelli ancora bagnati dalla doccia; controllò in modo secco e nervoso il proprio cellulare e poi sbottò atona «Questo è il terzo giorno consecutivo. Qualcosa non va».

Derek esitò appena, prima di replicare. «Chiamo Scott?»

«Stiles non mi ha detto che stava succedendo qualcosa di grosso» specificò Cora, «ma non sono stupida: l’ho capito che negli ultimi tempi era troppo agitato… Ho pure provato a chiamarlo stamattina, ma senza alcun risultato: ho trovato spento o irrangiungibile».

«Prima di questo» le chiese cauto, «per quanto tempo ti ha dato l’impressione che ti stesse nascondendo qualcosa?»

«Da circa poco più di una settimana».

Derek inspirò a fondo e scorse l’elenco dei propri pochissimi contatti telefonici. Stranamente il nome "Scott McCall" suonò nella sua mente come un’accusa. Inoltrò la chiamata e portò il cellulare all’orecchio, lui e sua sorella si fissarono negli occhi. E aggrottarono la fronte nello stesso momento quando sentirono che il cellulare di Scott era staccato. Come quello di Stiles.

«Rispondere alle chiamate non è il forte di Scott» commentò Derek, perplesso, «ma avere il cellulare staccato non è da lui…»

«Deaton» propose Cora. «Chiamiamo Deaton». Derek inarcò un sopracciglio, ma lei scosse la testa. «Preferisci Peter, per caso?» insisté sicura.

«No» rispose asciutto, cercando subito il numero da chiamare.

Derek lasciò squillare il telefono della clinica veterinaria fino a quando la chiamata staccò da sola, poi, sentendosi gelare il sangue, provò anche il numero personale di Deaton.

Staccato.

Cora era impietrita. «Questo non è normale».

Derek strinse i denti e si arrese a cedere a l’ultima risorsa: chiamò Peter.

Staccato.

«Cosa diavolo…» mormorò Cora; Derek la osservò alzarsi velocemente da letto e prendere il computer portatile che qualche mese prima avevano comprato insieme. Cora tornò sul letto e l’avviò, Derek si sedette al suo fianco.

Lei su internet cercò subito notizie di possibili misteriose scomparse a Beacon County o dintorni, ma non trovò niente di rilevante.

«Forse» azzardò Derek, «sono scomparsi soltanto loro e gli altri li stanno coprendo per non fare interessare degli estranei a delle faccende sovrannaturali». Era inutile ormai non dar voce a quella ipotesi: troppe coincidenze, qualcuno doveva averli presi, rapiti – pensare che fossero morti era da escludere, non era un pensiero da formulare, perché troppo soffocante e carico di panico.

Cora sorrise sarcastica. «Questo non è affatto confortante».

«Che facciamo?» ribatté Derek.

Lei inspirò a fondo, come per rilassarsi un po’ e mettere ordine fra i propri pensieri. «Aspettiamo. Ma solo per altre dodici ore» sentenziò sicura.

Derek assentì. Ed era chiaro che se dopo quel tempo prestabilito riprovando a cercare Stiles, Scott, Deaton e Peter non avessero avuto alcuna risposta sarebbero tornati a Beacon Hills.

 


 

Non ebbero modo di aspettare la fine del tempo prestabilito da Cora, perché un paio di ore dopo, alle tre di notte, Derek ricevette una chiamata da parte di un numero sconosciuto.

Cora, dal proprio letto, si voltò a guardarlo, all’erta e con la guancia schiacciata contro il cuscino. «Chi è?» gli chiese.

«Non lo so» mormorò con voce roca dal sonno, prima di scattare a sedere e rispondere. «Chi è?» esordì senza mezzi termini: delle persone che conosceva erano irreperibili e qualcuno lo stava chiamando alle tre di notte, le due cose non potevano essere scollegate.

Una voce giovane e femminile gli rispose con tono sia disperato che speranzoso. «Derek? Derek, sono Allison!»

Lui e Cora si fissarono negli occhi, sbalorditi e irrigiditi: se Allison Argent lo stava chiamando, le cose a Beacon Hills non dovevano andare affatto bene.

«Sono io» le replicò con tono fermo; Cora si alzò dal letto e venne a sedersi al suo fianco. «Che succede? Cora non ha notizie di Stiles da tre giorni, ho provato a chiamare Scott, ma non è reperibile».

«Lo so» gli ribatté Allison con voce incrinata. «Sono scomparsi! Derek… Ho bisogno di aiuto, sono sola

Quell’informazione lo colpì come un pugno allo stomaco. «Che vuol dire che sei sola? In quanti sono scomparsi?»

«Prima hanno preso Deaton e mio padre, poi Aiden… poi Lydia e Stiles, adesso Scott! Siamo rimasti io, Isaac ed Ethan! Isaac ha provato a contattare Peter per chiedergli almeno un paio di informazioni, ma non l’ha trovato, è scomparso anche lui! Ethan mi ha appena detto che non trova più neanche la Morrell!»

«Allison» provò a restare calmo, «respira, aiutami a capire cosa sta succedendo: chi li ha presi tutti?» La sentì tirare su col naso, prima di tornare a parlargli.

«Una congrega di streghe. Sappiamo che vogliono impossessarsi dell’intera città per avere il Nemeton e tutte le correnti telluriche, ma prima che riuscissimo a capire come avessero intenzione di farlo, hanno tagliato tutte le nostre fonti portando via Deaton, mio padre e tutti i nostri bestiari di famiglia!»

«Hai provato a chiedere aiuto ad altre famiglie di cacciatori?» Derek sapeva che non era una mossa quantomeno piacevole far entrare nel proprio territorio dei cacciatori sconosciuti – Scott e gli altri ormai erano un vero e proprio branco – ma tuttavia poteva essere qualcosa di utile.

Allison scoppiò in una risata amara. «Nessuno vuole più aiutare un Argent, alcuni per via di ciò che ha fatto Gerard – perché ha disonorato il codice – altri invece perché ci siamo alleati con dei licantropi».

E ciò non era una sorpresa. Derek si alzò, prese da sotto il letto il proprio borsone e cominciò a riempirlo alla rinfusa; Cora l’imitò subito con le proprie cose. «Di solito come avvengono queste scomparse?» domandò Derek ad Allison. «Li hanno presi come ostaggi durante degli scontri oppure li hanno rapiti all’improvviso?»

«Rapiti» gli rispose un po’ più calma. «Li hanno sorpresi nei momenti giusti, quando erano da soli».

«Restate fermi dove siete, al sicuro e possibilmente tutti e tre insieme. Io e Cora stiamo per ripartire, siamo circa a tre giorni di strada da Beacon Hills». Veramente erano a quattro giorni e mezzo, ma Derek sapeva come guidare in caso di emergenza, e avrebbe fatto dei turni con Cora. E nessuna sosta. «Posso ricontattarti a questo numero?»

«Sì. Grazie».

Cora inspirò a fondo e chiuse la zip del proprio borsone con un gesto secco. «Sono sotto assedio e senza più risorse» riassunse atona.

«Una cacciatrice, un beta e un alpha contro un’intera congrega di streghe. E senza bestiari e informazioni su come affrontare almeno una singola strega» incalzò Derek.

Cora inarcò un sopracciglio e si mise il borsone in spalla. «Suona divertente» sospirò monocorde.

Derek sbuffò una risata isterica e prese le chiavi della macchina. Tutto ciò in effetti era abbastanza invitante da valere un viaggio di ritorno verso l’inferno.


 

 

In quei tre giorni di guida, lui e Allison si scambiarono solo dei brevi aggiornamenti sulla situazione via messaggi.

"Siamo a casa mia. Ethan si è intrufolato nell’appartamento della Morrell e ha trovato il numero di un ex emissario di un branco, stiamo provando a chiamarlo". Era stata l’unica buona notizia.

Man mano che si erano avvicinati a Beacon County le condizioni meteorologiche erano peggiorate.

«Sembra di essere a Gotham City» aveva commentato Cora fra i denti, sarcastica. E aveva ragione: l’atmosfera era proprio quella e lui e sua sorella sentivano sulla propria pelle quanto ciò fosse dovuto a qualcosa che avessero fatto le streghe.

Non appena arrivarono davanti alla porta degli Argent, Allison li accolse con un sorriso tirato e gli occhi lucidi e arrossati, invitandoli subito a entrare. Neanche Isaac ed Ethan avevano delle belle facce, sembravano esausti.

Si scambiarono pochi convenevoli – dei saluti con il cenno del capo – prima che Allison annunciasse con voce tremante che «Poche ore fa abbiamo perso i contatti anche con la madre di Scott e lo sceriffo: hanno preso anche loro». Derek sbarrò gli occhi, ma prima che potesse parlare, lei mise le mani avanti, sicura quanto rassegnata. «Lo so, è colpa mia» ammise – tremava dalla testa ai piedi, ma si stava visibilmente sforzando di mantenere il contegno regale di una vera leader e cacciatrice. «Avrei dovuto insistere a ospitarli qui, avrei dovuto mantenerli al sicuro, ma…» le si incrinò di nuovo la voce, «non pensavo che le streghe avrebbero considerato anche loro come parte attiva del branco. È colpa mia».

L’aria fra di loro era tesa, Allison, Isaac ed Ethan sembravano scossi e stremati in egual misura e in più – anche se in molti, troppi, tendevano a dimenticarlo – erano ancora giovani e inesperti: Derek conosceva bene la sensazione di essere soli contro il mondo, e in più Allison doveva avere già l’orgoglio abbastanza a pezzi se si era arresa a cercare aiuto da lui, non se la sentì di essere duro con lei.

«Troveremo anche loro» la rassicurò atono, «siamo qui per aiutarvi». Lei gli assentì appena. «Cos’avete trovato di utile, finora?»

Allison sospirò e fece loro cenno di seguirli in quello che Derek intuì fosse lo studio di Chris Argent. C’erano delle mappe stese ovunque, con dei punti tracciati e dei post it attaccati con delle annotazioni, e in più sparse sul pavimento c’erano un paio di diverse confezioni di snack, delle scatole vuote di pizza e cibo d’asporto e delle coperte – i tre ragazzi dovevano aver passato la notte lì insieme accampati, dormendo sul pavimento o forse non dormendo affatto "grazie" all’estrema consapevolezza di essere sotto assedio.

«Questi» spiegò loro Isaac, «sono i punti in cui più o meno i nostri sono scomparsi» glieli indicò su una delle mappe stese sulla scrivania. «Abbiamo provato a vedere se ci fosse sotto uno schema, ma…» scosse la testa, «non ne è venuto fuori nulla: i posti in cui li hanno rapiti sono tutti frutto di scelte casuali, tutti tranne questo» puntò un dito contro il pavimento della stanza. «Hanno preso Chris Argent qui dentro e con lui hanno portato via anche i bestiari».

Derek inarcò un sopracciglio. «Perché vi nascondete qui, allora? Non mi sembra un luogo sicuro».

Gli rispose Allison. «Stiles, prima di essere rapito, ha trovato dei rituali generici per proteggere una casa dalle streghe: funzionano».

Isaac abbozzò un sorriso malinconico. «Non ci credevamo molto, visto che li ha trovati su internet in un forum pieno di gente strana appassionata all’occulto ma che ignora la nostra realtà, però… funzionano».

«Beh» sospirò Derek, comprendendo la loro tristezza – Stiles era ancora vivo? L’avrebbero trovato? «Stiles sa sempre come sorprendere le persone in modo particolare».

«Puoi dirlo forte» esalò Isaac.

«Cos’altro sapete?» incalzò Derek.

Ethan s’inserì nella conversazione – era ancora più pallido e stremato di Isaac, e considerando il legame che aveva con il gemello la cosa non era sorprendente. «Sono entrato di nascosto nell’appartamento della Morrell e ho provato a cercare qualcosa di utile. Non ho trovato alcun bestiario, ma in cambio ho pescato un’agenda telefonica ben nascosta in un armadio e ho scorso i numeri appuntati fino a individuarne uno di un ex emissario che Deucalion in passato aveva nominato un paio di volte: diceva che sapeva "troppe cose" e credo che in futuro volesse eliminarlo per motivi che… non so» concluse scrollando le spalle.

Derek storse il naso. «Tanto ci basta sapere che Deucalion in generale non si fida dei druidi».

«Eh, appunto» sospirò Ethan annuendo. «A parte ciò, Thomas – così si chiama questo tizio – non è stato molto contento di sentirmi e mi ha riattaccato più volte in faccia senza farmi finire di parlare, almeno fino a quando non l’ho minacciato in maniera un po’ forte di smetterla» ammise scrollando le spalle. «Gli ho chiesto di provare magari a farci capire con chi stiamo avendo a che fare, che tipo di streghe sono e cosa stanno cercando di fare, e lui mi ha detto di raccontargli nei dettagli come hanno agito finora e a che tipo di risorse loro potrebbero accedere una volta ottenuto questo territorio».

Derek assentì incrociando le braccia al petto. «Perché qualsiasi cosa stanno facendo, la stanno facendo per arrivare a uno scopo ben preciso, per ottenere qualcosa».

«Esatto» annuì Ethan, «e una volta individuato il loro obiettivo è più facile capire come stanno agendo e provare a prevedere le loro mosse».

«Vogliono il Nemeton e le correnti telluriche» ricordò Derek.

«Una volta detto a Thomas della presenza del Nemeton» continuò Ethan con una smorfia di insofferenza, «non appena gli ho raccontato anche dei rapimenti è subito giunto alla giusta conclusione: si tratta di una grande congrega di streghe dalle origini molto antiche, la Confraternita della Quercia Insanguinata, e in genere operano proprio per impossessarsi di territori che possono dare accesso a storiche e preziose fonti di potere come il Nemeton e le sue correnti telluriche. Attaccano i branchi o gli esseri a cui appartiene il territorio che vogliono agendo sempre allo stesso modo».

Derek assentì di nuovo. «Con i rapimenti. A che scopo? La loro intenzione è uccidere, indebolire o minacciare?»

Allison trasse un respiro profondo. «Indebolire e minacciare, o meglio costringere il branco in questione a lasciare il territorio a loro. È una congrega con più di duecento membri sparsi per tutto il mondo» gli spiegò, cercando in modo visibile di non mostrare un certo panico, «collezionano e mantengono attivi anche se perennemente neutrali le più importanti fonti di potere esistenti. Vogliono la supremazia su Beacon Hills in parte perché non si fidano di noi e di cosa potremmo fare con il Nemeton e in parte perché sono invidiosi» concluse con un sorriso irritato, tirato e nervoso.

«Sono violenti?» s’informò Derek.

Allison scosse la testa. «No, sui posti in cui sono stati rapiti i nostri non c’era alcuna traccia né di lotta né di sangue: li avranno incantati, anche se Scott non appena li ha sentiti arrivati ha lasciato cadere a terra di proposito il suo cellulare» gli raccontò. «L’abbiamo trovato ancora acceso: aveva appena salvato in memoria un messaggio, "Chiamate Derek"» concluse con voce strozzata.

Derek si passò una mano sulla faccia: la scoperta che la richiesta di aiuto provenisse originariamente da Scott rendeva tutto ancora più pesante e paradossalmente lo faceva sentire impotente. Forse era stato uno sbaglio andare via e lasciare Scott, suo fratello, da solo. «Quindi vi indeboliscono togliendo al branco un elemento alla volta» riassunse.

Isaac schioccò la lingua e fece una smorfia. «Non esattamente. Non sono dei tipi violenti, ma questo non vuol dire che non sono diabolici: adorano fare dei giochetti mentali, Thomas ci ha detto che prima catturano tutti i membri del branco necessari per il loro piano». Gli mostrò un foglio su cui c’erano appuntati tutti i nomi delle persone scomparse e più sotto un elenco di coppie di nomi. «Sanno che per un branco è difficile lasciare un territorio perché fra tutti i membri ci sono delle dinamiche relazionali particolari e degli affetti, e un trasferimento di massa non è facile se non si è dei nomadi, così cercano di prendere due piccioni con una fava: smembrano il branco, minano ai rapporti fra i suoi membri in modo tale che ognuno si sleghi da esso, così il branco non esiste più e loro possono impossessarsi del territorio senza guerre sanguinarie e senza dover costringere nei fatti nessuno ad andar via. Non avendo più dei legami, sono i membri stessi del branco a lasciare il territorio di propria spontanea volontà».

Derek fissò la lista di coppie di nomi accigliandosi. «Per essere più precisi, come fanno a mettere un membro contro l’altro?»

Fu Ethan a rispondergli. «Thomas mi ha spiegato che questi stregoni se in gruppo – di solito un gruppo fra i venticinque e cinquanta elementi – sono abbastanza forti da indurre le loro vittime in una sorta di stato di coma "guidato"» tracciò delle virgolette in aria con le dita. «Si tratta di un incantesimo molto forte per cui non devono mai smettere di recitare a voce alta e per cui impiegano anche parecchie energie – tant’è che qui in zona c’è brutto tempo per questo: stanno prendendo forza anche dagli elementi della natura per continuare giorno e notte l’incantesimo – ma grazie a ciò riescono a creare nelle menti delle vittime incoscienti un labirinto immaginario in cui le intrappolano: dividono tutte le persone rapite in gruppi da due, costringendole a lottare in coppia collaborando – senza sapere perché si trovino lì insieme, dove sono gli altri e cosa sta succedendo – e a camminare dentro al labirinto immaginario fino a trovare l’uscita e il trial finale. Se una coppia supera il trial finale prima che tutti gli altri si facciano del male a vicenda, il branco non è costretto a cedere il territorio alla Quercia Insanguinata».

Derek si passò la mano sulla fronte. «Se invece prima qualcuno si fa male, non c’è neanche bisogno che la congrega cacci le vittime dal proprio territorio: andranno via da sole, stanche di essere un branco e ferite nell’orgoglio» osservò sicuro.

Allison annuì. «Non sappiamo in che tipo di labirinto hanno chiuso gli altri, anche se di certo possiamo dire con certezza che hanno già scavato abbastanza nelle loro menti da decidere man mano quale altro membro del nostro branco prendere e spedire nel labirinto».

Derek inspirò a fondo e passò il foglio a Cora per farglielo leggere. «E avete già ipotizzato alcune coppie…» constatò.

«Sì» esalò Allison, «anche se sono solo delle vaghe idee… Per esempio, ora come ora, non so dire davvero se hanno deciso di mettere Stiles con suo padre, o meglio, contro suo padre» si passò una mano fra i capelli con un gesto nervoso. «Forse Scott è contro mio padre» deglutì a stento.

Derek scosse la testa, pensoso. «No. Hanno preso Peter: Scott è con Peter» affermò sicuro. «Scott non è mai stato grato a Peter per il Morso, giusto per usare un eufemismo, e i due non si sono mai confrontati apertamente sull’argomento. E sono abbastanza certo che Peter invidi Scott perché nel giro di poco tempo ha ottenuto tutto quello che lui non ha mai avuto: lo status di alpha, potere, un proprio branco, potere, un territorio e ancora potere» terminò sarcastico.

Isaac imprecò fra i denti. «Se li hanno messi insieme, non ho proprio idea di come andrà a finire».

Cora terminò di scorrere l’elenco delle coppie ipotizzate. «Quindi un nostro punto a favore è sapere del trial e del labirinto al contrario di quelli che sono stati già catturati?»

«Sì» esalò Allison, «gli altri si sono "risvegliati" in un posto senza sapere esattamente come ci sono finiti e solo alcuni di loro – quelli rapiti per ultimi – sanno più o meno che è opera di una congrega di streghe perché stavavamo già indagando sul caso. Non sanno di essere dentro una sorta di labirinto, forse non si rendono neanche conto di non essere sul serio svegli: non abbiamo idea di in che razza di posto abbiano confinato i loro subconsci, perché la congrega crea i labirinti su misura per ogni branco».

Cora assottigliò gli occhi, sospettosa. «E il trial finale per chi arriva all’uscita del labirinto? Cosa vi ha detto Thomas a proposito di questo?»

Ethan sospirò stanco. «Anche questo cambia di volta in volta in base al branco che attaccano, anche se il denominatore comune tutti i casi è lo stesso: è una sorta di peso che i due del branco devono accettare di portare sulle spalle per il resto del gruppo. Se lo accettano, il branco è il salvo, il labirinto si disfa e il territorio non va alla congrega».

Derek inspirò a fondo e si chinò in avanti poggiando le mani sulla scrivania. «Mettiamo caso riuscissimo a individuare dove li tengono prigionieri e fare irruzione per liberarli: Thomas vi ha detto cosa potrebbe succedere se l’incanto venisse erroneamente interrotto?» Vide Allison trattenere il respiro, prima di rispondergli.

«Potrebbero subire dei danni celebrali permanenti, potrebbero andare in stato vegetativo».

Derek si passò la mano sul volto.

Cora strinse le labbra. «Avete idea di dove si trovino?»

Le rispose Isaac. «Io ed Ethan avevamo una traccia, ma abbiamo dovuto interrompere subito le ricerche perché sono scomparsi anche Melissa e lo sceriffo: non volevamo che Allison restasse sola senza aiuto, senza informazioni su chi ci sta attaccando e senza alcuna notizia su come stanno gli altri, così siamo tornati indietro».

«A questo punto» sospirò Derek, «l’unica cosa che possiamo fare è sfruttare tutto quello che sappiamo, al contrario di chi è già prigioniero».

Allison assunse un’espressione risoluta. «Potremmo farci catturare di proposito e agire dall’interno» propose secca e sicura.

Isaac sbarrò gli occhi, stupefatto. «Vuoi fare la stessa mossa che ha fatto tuo padre con la Black?» ribatté sarcastico gesticolando. «Posso ricordarti come hai reagito tu dopo? Posso farti presente in che condizioni eri e in che condizioni ci lascerai?»

Lei gli rivolse un’occhiata di traverso. «Non ho neanche detto che in caso mi sarei offerta come volontaria».

Isaac sbottò amaro. «Mi è sembrato palese. Ti conosco, ormai».

Derek ponderò per qualche minuto la proposta di Allison. «Non mi sembra però un’idea così tanto male». Vide Isaac aprire bocca per ribattere acido, ma lo fermò stendendo una mano in avanti. «Noi al contrario degli altri sappiamo già che non saremo sul serio coscienti, sapremo di essere in una sorta di labirinto e cosa ci aspetta alla fine. Chiunque di noi andrà lì saprà che non dovrà né perdere tempo né lasciarsi provocare facilmente: conosciamo l’obiettivo finale, possiamo risolvere l’intreccio con più facilità rispetto agli altri».

Isaac desisté. «Dovremmo farci prendere tutti?!»

«No» Derek scosse la testa, «soltanto uno o due di noi. I volontari avranno addosso un localizzatore gps abbastanza piccolo da non essere visto dalla congrega» suggerì, «ci daremo un tempo limite compreso fra le sei e le dodici ore e se entro quell’ora il labirinto non sarà disfatto, gli altri attaccheranno la base, con prudenza».

Ethan respirò a fondo. «Come possiamo agire con prudenza? Come minimo saremo contro venticinque streghe e stregoni, e se ci va male perfino cinquanta: ci minacceranno di friggere il cervello del resto del branco alla prima mossa sbagliata!»

Allison si mise a cercare qualcosa fra le armi di suo padre con gesti veloci. «Potremmo agire per vie non sovrannaturali» suggerì senza guardarli. «Grazie ai localizzatori saprete dove siamo e il padre di Scott è ancora in città» e si rivolse a Derek, «fa parte dell’FBI, è logico che sia sulle tracce del figlio e di Melissa» l’informò. «Se quelli della congrega saranno circondati dall’FBI non potranno minacciare di far del male ai prigionieri, saranno anzi impegnati a coprire ogni traccia di operazioni sovrannaturali e scappare a gambe levate, o potrebbero correre il rischio di esporre al mondo l’intera congrega e la magia».

Isaac arricciò il naso. «Dipende però anche da come farà irruzione l’FBI nella loro base: gli agenti potrebbero interrompere di colpo l’incantesimo urlando "Mani in alto!" facendo danni».

Derek scosse la testa. «Abbiamo a che fare con delle streghe, scommetto che tutto il perimetro della loro base sarà sensibile agli intrusi: cominceranno ad arretrare non appena gli incantesimi che hanno usato per proteggersi li avviseranno di stare per essere circondati da persone esterne sconosciute».

Isaac era ancora perplesso. «Ci sono possibilità che abbiano usato anche un incantesimo per rendere invisibile la base ai civili e a chi non appartiene alla congrega?»

Derek gli rispose sincero. «Non me la sento di escludere questa ipotesi».

Isaac si coprì il viso con una mano e scosse la testa. «Questo potrebbe rendere vano l’uso dei localizzatori. Allison, non mi sembra un buon piano».

Lei però era più decisa di prima; posò sulla scrivania una scatola quadrata di velluto nero che aveva trovato fra l’equipaggiamento di Chris Argent. «Papà li aveva ordinati qualche mese fa» spiegò loro mostrando il contenuto – erano due semplici bracciali d’acciaio rigidi, per niente appariscenti e senza alcun dettaglio particolare. «C’è un localizzatore in ogni chiusura, indosseremo questi: non credo proprio che ce li toglieranno di dosso, sono innocui all’apparenza».

Derek assentì. «Quindi saranno due di noi a lasciarsi catturare?» intuì.

Allison annuì sospirando. «Credo che sia meglio: ci potrebbero essere alte probabilità di finire accoppiati e così sarebbe ancora più facile collaborare e disfare il labirinto, o in ogni caso anche se divisi avremo pur sempre delle possibilità in più, considerando anche che non sappiamo quante coppie abbiano già formato e messo nel labirinto».

«Allo scadere del tempo prestabilito» aggiunse Derek, «gli altri di noi rimasti fuori daranno le coordinate del posto al padre di Scott in maniera anonima».

Isaac sbuffò. «Sperando che il posto sia visibile alla gente comune».

Ethan irrigidì la mascella. «Vengo io con te, Allison» si fece avanti, ma lei scosse la testa e stese un braccio verso di lui per fermarlo.

«Ethan, lo so che sei in ansia per tuo fratello, ma ho bisogno di andare lì dentro sapendo che un alpha è rimasto fuori: se sarà necessaria una forza sovrannaturale esterna, tu potresti esserci utile».

«Ma ho questioni irrisolte con quasi tutta la gente presa» protestò, mostrando in modo aperto le proprie colpe – era davvero disperato, come tutti. «Potrei essere accoppiato con uno qualsiasi di loro in meno di un secondo, accelererei i tempi!»

«Lo so» gli replicò Allison, stanca, «ma ho bisogno di saperti fuori e pronto all’attacco, per favore» insisté. Ethan storse la bocca, ma prima che potesse controbatterle, Derek s’intromise nella discussione.

«Andrò io con lei» sentenziò atono fissando la scrivania senza vederla realmente. «Ho alle spalle dell’esperienza e un allenamento quotidiano, e credo di poter dire con tutta certezza che ci sono altissime probabilità che accoppino me e lei».

Allison al suo fianco s’irrigidì per un lungo attimo e trattenne il respiro, poi rilassò appena le spalle prima di esalare «Hai ragione».

Lui e Allison avevano una cosa in comune, una cosa che portava il nome di Victoria Argent.

Cora strinse una mano intorno al braccio di Derek, ma non lo fermò, né disse una parola: sapeva che comunque sarebbe stato inutile.

Ethan però era perplesso. «Sicuri che prenderanno Derek in considerazione? Sono quattro mesi che lui e Cora sono fuori da Beacon Hills, non sono dei beta di Scott e tutto sommato ormai è come se non facessero parte del nostro branco…»

Cora strinse un po’ più forte la mano intorno al braccio del fratello, prima di replicare atona. «Abbiamo ancora dei contatti con voi, dei legami: se stanno frugando nelle menti di chi hanno già preso, sapranno già che relazioni abbiano con loro».

Dopo tutto quello che avevano passato insieme, non c’erano dubbi che in un certo senso fossero ancora "branco".

Allison strinse le labbra e assentì. «Ok, resta da stabilire il tempo: dodici ore?»

Isaac storse il naso. «Sei».

«Otto» replicò lei; Isaac esitò, ma alla fine annuì anche se recalcitrante. Allison rivolse lo sguardo agli altri e ricevette un silenzio-assenso. «E adesso vediamo di discutere dei particolari…»


 

 

Non c’era stato molto da discutere: per quanto Allison, Isaac ed Ethan fossero stanchi ed esasperati erano anche troppo in ansia e preoccupati per lasciarsi andare all’irritazione; sapevano che non c’era tempo da perdere e che era meglio prendere accordi in maniera veloce e precisa.

Tutto quello che potevano poter dire di certo era che non appena fossero stati all’aperto in un posto isolato sarebbero stati catturati senza alcun spargimento di sangue, li avrebbero indotti in una sorta di coma magico e poi avrebbero ripreso i sensi solo una volta all’interno del labirinto. Qualora la congrega avrebbe deciso di non accoppiarli a nessuno, si sarebbero risvegliati soltanto alla fine dei fatti, anche se Allison e Derek speravano il contrario.

Li avrebbero accoppiati con persone con cui avevano delle tensioni o delle questioni irrisolte, perché secondo la congrega l’ansia di non sapere che fine avessero fatto gli altri e il trovarsi in un posto strano e sconosciuto avrebbero portato la coppia a litigare e a farsi male per la frustrazione. Avrebbero dovuto dare prova di avere dei buoni rapporti da branco per raggiungere in qualche modo l’uscita.

E poi, alla fine, c’era il misterioso trial.

Allison strinse nel pugno le chiavi della propria macchina e salutò con un abbraccio Isaac, che nascose la testa nell’incavo del collo di lei a lungo prima di lasciarla andare – aveva gli occhi lucidi. Ethan strinse la mano di Allison e i due si guardarono negli occhi per un intenso attimo. «Tornerò con Aiden, ok?» gli mormorò con voce tremante; lui le annuì tirando su col naso.

Cora sbatté piano la propria spalla contro quella del fratello, sbuffò e gli parlò atona. «Chissà perché, ma me lo sentivo che sarebbe finita così una volta tornati qui».

Lui accennò un sorriso e le baciò la fronte. «Resta con Isaac e non uscire di casa per nessun motivo. Andrà tutto bene, è una promessa».

C’era una marea di cose che potevano andare male – potevano togliere i loro bracciali, potevano mandare nel labirinto soltanto uno di loro o nessuno di loro, la base poteva essere invisibile agli estranei e ai nemici – ma decisamente quello non era il momento di ricordarlo, era il caso di essere positivi.

Allison trasse un respiro profondo e aprì la porta di casa, uscì seguita da Derek.

Una volta in macchina, si diressero spediti fuori città, percorrendo una strada perlopiù deserta a quell’ora per facilitare la cattura.

«Sei nervoso?» gli chiese Allison, tenendo le mani sul volante e lo sguardo sulla strada davanti a loro.

Lui abbozzò un sorriso ironico. «Come lo si può essere quando non si sa con certezza cosa ci aspetta».

«Andrà bene» assentì lei, continuando a fissare solo la strada; era rigida e fredda. «Siamo entrambi informati sulla situazione, allenati e con dell’esperienza. Sappiamo come cavarcela». Trasse un respiro profondo. «Hanno osato prendere i nostri genitori e i ragazzi, si credono in diritto di giocare con le nostre debolezze, di farci male e di metterci l’uno contro l’altro: potrei anche lasciare casa mia domani, ma non prima di aver mostrato loro con chi hanno a che fare e chi hanno osato provocare».

Derek annuì serio. «Conosco la sensazione. Con chi altro credi che potrebbero accoppiarti?»

Allison sorrise nervosa scuotendo la testa, si fermò a un semaforo. «Non saprei… Per quel che sappiamo finora hanno per prima tagliato le nostre fonti e poi preso membri del branco a caso: li avranno accoppiati alla meglio o forse non li avranno accoppiati affatto, ma se nessuno è ancora tornato indietro vuol dire che il labirinto è ancora attivo». Strinse le labbra e ripartì.

«Tendo a credere anch’io adesso che Scott sia finito con Peter» aggiunse Allison. «È raro che un alpha si possa scontrare con il proprio sire, perché la maggior parte delle volte ha ottenuto lo status di alpha uccidendo il proprio sire – a meno che non abbia ucciso l’alpha di un altro branco. Non credo che si siano lasciati sfuggire quest’occasione, soprattutto per via del risentimento di Scott verso Peter: è stato Morso senza il suo consenso».

«Scott è un alpha e uno dei nuclei principali del branco» commentò Derek, «è del tutto improbabile che l’abbiano lasciato fuori dal labirinto».

«Già» mormorò lei. «Tornando alla tua domanda di prima, andando per esclusione ho poche idee sui chi potrebbero provare a mettermi contro… Non penso mio padre, perché abbiamo già ampiamente appianato e discusso la parte più scottante dei nostri problemi» ammise neutrale. «Non credo neanche Lydia, perché io e lei ci diciamo sempre tutto in faccia senza tanti giri di parole… forse» e rise agitata, «forse Stiles».

Derek si accigliò. «Stiles? Perché mai vorrebbero provare a metterti contro di lui?»

Lei deglutì a stento, ma continuò a guardare solo la strada davanti a loro. «Io e lui abbiamo Scott in comune, e Scott purtroppo si è sempre sentito in dovere di fare troppe cose per me – cose e rinunce che però io non gli ho mai chiesto, attualmente non stiamo neanche insieme – ed è innegabile che ciò abbia sempre dato sui nervi a Stiles, come a me ha sempre dato sui nervi il modo in cui Scott finisca spesso nei guai per colpa dell’irresponsabilità di Stiles e della sua stupida mania d’improvvisare» confessò fra i denti; trasse un respiro profondo. «Senti… questi ultimi quattro mesi sono stati molto lunghi, ne stiamo passando davvero tante per colpa di tutte le creature che giungono a Beacon Hills con l’intenzione di appropriarsi del Nemeton e di tutto il suo potere per i motivi più pazzi e cruenti possibili, e ciò ci ha reso tutti quanti frustrati, irritati e sotto pressione – sotto costante pressione» precisò.

«E Stiles non è una persona facile con cui condividere degli spazi» aggiunse Derek.

«Esatto» sospirò Allison. «Diciamo che negli ultimi tempi i nostri rapporti sono stati un po’ tesi».

«Comprensibile» le replicò, «ma se mai finirai con lui, ricordati perché stiamo facendo tutto questo: dobbiamo collaborare con la persona con cui finiremo accoppiati, se vogliamo disfare il labirinto».

«Lo so» esalò lei, afflosciando appena le spalle; poi si voltò a guardarlo accennando un debole sorriso. «Grazie di essere venuto». Lui scosse la testa. «No, dico davvero, Derek: sono stata io a chiamarti e non possiamo dire che fra noi due scorra buon sangue e…» si fermò di colpo accigliandosi, fissò il volante stringendolo più forte.

«Che succede?» mormorò Derek.

Allison staccò piano le mani dal volante traendole indietro verso il proprio petto. «Va per conto suo» sussurrò.

In silenzio, osservarono il volante muoversi da solo, l’auto stava rallentando senza che Allison facesse una sola mossa. Derek provò ad aprire lo sportello, Allison l’imitò subito dal proprio lato: li trovarono entrambi bloccati.

Lungo la strada non c’erano nessuno.

Derek deglutì a stento. «Credo che vogliano fermare l’auto, prima di farci perdere i sensi, per evitare degli incidenti e di farci male».

Allison rise isterica. «Carino da parte loro!»

«Stanno arrivando» le mormorò. La macchina si fermò, videro delle strane figure umane materializzarsi lentamente sul ciglio della strada. «Sei pronta?» Allison gli annuì a labbra strette e con gli occhi lucidi.

Lei era solo una ragazza molto giovane e come lui messa troppo presto alla guida di qualcosa per via di circostante pesanti e non richieste: le strinse la mano. «Siamo pronti» riuscì a dire poco prima che un forte torpore caldo e asfissiante lo cogliesse all’improvviso facendolo addormentare.


 

 

"Trova l’uscita e sarete tutti liberi" echeggiò nella sua mente: più che suonare come una voce, quello sembrò un pensiero persistente, come una sorta di ultimo strascico di un sogno particolarmente vivido e intenso.

Sentì una voce maschile matura chiamarlo con urgenza e qualcuno schiaffeggiarlo piano. Quando sbarrò gli occhi fu accecato dalla luce: chiuse le palpebre serrandole forte ed emise un lungo lamento, ma subito una mano gli fece da scudo parandosi davanti ai suoi occhi.

«Conosco la sensazione» continuò la voce di prima, «mi sono svegliato anch’io così, poco fa. L’ambiente è troppo luminoso».

Derek riconobbe la sua voce e internamente emise un altro lamento, ma c’era poco da fare. Si mise a sedere facendo scrocchiare le ossa del collo e della schiena e guardandosi intorno notò che definire quell’ambiente luminoso era poco.

Seduto a terra davanti a lui, c’era Chris Argent.

«Accusi strani dolori?» gli chiese Chris aggrottando la fronte.

Derek si stropicciò forte gli occhi, si sentiva ancora parecchio intorpidito, e annusò l’aria notando che dall’uomo non proveniva alcun odore di sangue o di ferita infetta – non sapeva ancora quello che li aspettava, meglio assicurarsi subito di essere entrambi interi. «No, sto bene, mi sento un po’ come se fossi sotto effetto di narcotici, ma i miei sensi sono a posto, sia quelli umani, sia quelli da licantropo». Fece scattare gli artigli di una mano per controllare se le streghe avessero bloccato la sua capacità di trasformarsi: non ebbe problemi a farli. «Sembro intero. Tu?»

Chris annuì e con un cenno del mento gli indicò un punto sul pavimento accanto a sé. «Intero» confermò, «ci hanno lasciato dei "regali"». Delle pistole, Derek notò subito che erano dello stesso modello che Chris usava di solito.

«Sono le tue?» gli domandò.

Lui le maneggiò aprendo il caricatore con un gesto veloce. «No, ma sono uguali» estrasse un proiettile e lo lanciò a Derek, che lo prese al volo e l’annusò arricciando il naso in una smorfia, «caricate a strozzalupo». Derek gli ridiede il proiettile e lui ricaricò l’arma.

Si trovavano in un corridoio stretto e infinito, e non per modo di dire: era davvero infinito, così tanto che guardare verso il fondo dava le vertigini, e forse loro due erano al centro di esso, o forse no. Il tetto era basso, il pavimento era piastrellato in modo semplice e gli altri due particolari inquietanti erano il fatto che tutto, ma proprio tutto fosse bianco – non c’erano né finestre, né lampade, né lampadari e l’assenza di colori diversi rendeva l’ambiente accecante, tant’è che Derek fissava le proprie gambe o i piedi di Chris per non continuare a premersi le mani sugli occhi – e che su ambo i lati del corridoio c’era una porta più o meno ogni metro.

Chris gli rivolse un’occhiata seria ma circospetta. «Non so se chiederti prima cosa diavolo ci fai qui o se per caso sai quello che sta succedendo».

«Da quanto tempo sei cosciente?» gli replicò invece Derek spiccio. «Hai visto chi mi ha portato qui?»

Lui scosse la testa. «No, ho ripreso i sensi e ho visto che poco lontano da me c’eri anche tu steso a terra. E prima che tu me lo chieda: le porte non si aprono e non ci sono chiavi in giro».

Derek scrocchiò di nuovo le ossa del collo sentendo il suo corpo tornare di nuovo man mano pienamente attivo. «Siamo stati rapiti da una congrega di streghe. Il nome "Congrega della Quercia Insanguinata" ti dice niente?»

Chris inarcò un sopracciglio, sorpreso. «Sono dei collezionisti di fonti storiche di potere. Vogliono il Nemeton?»

«Esatto» sospirò mettendosi in piedi; Chris l’imitò premurandosi di stringere bene le pistole in mano. «Per caso sai anche come agiscono di solito?»

«Ne so poco e niente a proposito» gli rispose ciondolando appena la testa, «giusto un paio di storie che mi hanno raccontato degli amici di mio padre. Non sono però stregoni crudeli in senso fisico…» insinuò atono.

Derek annuì. «Non siamo svegli sul serio, siamo in una sorta di coma magico, e questo» indicò il corridoio con un cenno vago, «è un labirinto creato apposta per noi».

«Quanti di noi hanno preso?» gli chiese Chris, pratico.

«Te, Deaton, la madre di Scott, il padre di Stiles, la Morrell, Aiden, Peter, Lydia, Scott, Stiles e…» sospirò immaginando che a Chris non avrebbe fatto piacere sapere l’ultimo nome, «Allison» e infatti lo vide irrigidirsi. «Io e lei però ci siamo fatti catturare di proposito: lei, Isaac ed Ethan hanno scoperto chi vi ha preso e cosa stava succedendo, Allison mi ha chiesto aiuto e abbiamo deciso di entrare con l’intenzione di risolvere il labirinto entro otto ore».

«Altrimenti?»

Derek scostò la manica sinistra della giacca indietro sul polso, vide che il bracciale era ancora lì e ghignò; lo mostrò in silenzio a Chris, certo che l’avrebbe riconosciuto, e infatti lo vide accennare un sorriso furbo a propria volta e scuotere la testa.

«Qualcuno dirà al padre di Scott dove trovarci» aggiunse Derek.

Chris si guardò intorno e rivolse lo sguardo al soffitto aggrottando la fronte. «Non credo che possano sentirci: se sono impegnati a tenerci sotto incantesimo non possono entrare nella nostra mente e vedere quello che ci diciamo senza fare danni celebrali permanenti – non sarebbe nel loro stile – penso che ci libereranno solo quando riusciremo a uscire dal labirinto». Tornò a guardare lui. «Dimmi tutto quello che sai».

Derek gli spiegò in modo breve in cosa consisteva la prova e perché li avevano presi e suddivisi in coppie.

Chris ponderò per qualche attimo le informazioni ricevute. «Mi hanno tenuto incosciente fino al momento più opportuno, mi sono risvegliato con uno strano pensiero in testa…»

«"Trova l’uscita e sarete tutti liberi"» incalzò Derek, sicuro, «è successo anche a me».

Chris annuì. «Sono le loro istruzioni per la prova. Dobbiamo uscire dalla prigionia delle nostre stesse menti, altrimenti falliremo come branco» esalò, tornando a guardarsi incontro.

Derek fece una smorfia e si diresse sicuro verso una porta a caso, afferrò la maniglia ma non riuscì ad aprirla. «Sappiamo entrambi perché siamo stati accoppiati, Chris» disse discorsivo, «forse la chiave letterale e materiale per aprire queste porte è mettere in chiaro i motivi che ci hanno portato qui». Non guardò Chris, continuò a scuotere la maniglia storcendo la bocca.

«Hai Morso mia moglie» quasi mormorò Chris, stanco ma non troppo arrabbiato, proprio come lo era stata Allison la volta in cui l’aveva confrontato dentro il caveau della banca dopo la fuga di Boyd e Cora.

Derek non si voltò, ma diede una spallata alla porta, anche se non molto forte. «Hai mai saputo perché sono stato costretto a farlo?»

«Dopo sì».

«Devo dartene atto, tu almeno non hai mai provato a uccidere un licantropo colpevole solo di uscire con tua figlia, l’hai solo minacciato».

«Ho un codice».

Derek sorrise sarcastico, ma continuò a fissarsi sulla porta. «In pochi nella tua famiglia ne hanno uno».

«Probabilmente avrei dovuto essere un fratello migliore e badare di più a mia sorella». Derek non fece cenno di ascoltarlo e diede una spallata più forte alla porta. «Di certo però sono ancora in tempo per provare a essere un padre migliore e non permettere a mia figlia di perdere la propria morale». Bloccò Derek dal colpire di nuovo la porta mettendo un braccio fra lui e la maniglia.

Derek gli rivolse un’occhiata di sottecchi, anche se tutti e due in quel momento erano abbastanza privi d’espressione. Quelle non erano state delle vere e proprie confessioni, quanto delle ammissioni, ma erano entrambi degli uomini troppo amari e amareggiati per soffermarsi troppo sul peso di quelle parole: meglio spostarsi subito verso un altro argomento.

Chris posò la mano sulla maniglia e l’abbassò: la serratura scattò, ma nessuno di loro due provò a spalancare del tutto la porta.

Derek osservò che nonostante la porta fosse appena socchiusa, dall’altra parte non sembrava provenire alcuna luce. «Qualche idea su cosa ci aspetta lì dietro?» mormorò fra i denti.

«No».

«Proviamo ad aprirne una diversa?» chiese Derek.

«Non penso che faccia molta differenza, considerando che non sappiamo nemmeno che schema ci sia sotto».

Derek dovette dargli ragione; sospirò e fece scattare gli artigli per mettersi pronto all’attacco e dietro di lui Chris impugnò meglio le pistole.

Una volta aperta la porta, però, furono abbagliati da una luce forte e improvvisa che fece loro chiudere gli occhi e quando riuscirono a mettere di nuovo a fuoco videro che si trovavano in un posto diverso: il corridoio e perfino la porta erano scomparsi e non c’erano altre tracce di via di uscita veloce, perché erano al centro di una fottuta foresta.

Derek si guardò intorno inarcando un sopracciglio. «E qualche idea su quale schema ci sia sotto, adesso?» disse con un velo di sarcasmo.

Chris sospirò a denti stretti. «Nessuna». Il suo sguardo indugiò per qualche attimo sugli alberi. «Noto però che non hanno riprodotto la riserva di Beacon Hills».

«Forse per non aiutarci a orientarci».

«Probabile» concordò Chris, «e non è un buon segno. L’unica cosa che possiamo fare è continuare ad andare avanti: in fondo non abbiamo impiegato troppo tempo superare quella che era forse la prima tappa, non dovremmo avere grossi problemi a capire il meccanismo che ci fa andare avanti di tappa in tappa».

Lo credeva anche Derek, anche se discutere a cuore aperto dei propri problemi con Chris Argent non era mai stato nella sua lista di cose belle da fare prima di morire. «La prossima uscita potrebbe essere qualcosa di simile all’ingresso di una grotta, visto l’ambiente» ipotizzò ad alta voce.

Chris assentì. «Lo penso anch’io. Meglio metterci subito in marcia alla ricerca di una caverna».

S’incamminarono in silenzio restando a più di due passi di distanza l’uno dall’altro, ma comunque vicini. Derek sapeva che parlare con Chris era parte del piano, ma a parte il fatto che non sapeva nemmeno come iniziare a farlo, la voglia di farlo scarseggiava abbastanza da dargli sui nervi, perché sotto pressione.

«Hai detto che Allison ti ha chiesto aiuto» esordì all’improvviso Chris, senza rivolgergli lo sguardo e proseguendo a camminare fra gli alberi facendosi spazio nel sottobosco, «vuol dire che ti ha cercato

Derek scrollò le spalle. «Io e mia sorella avevamo già dei sospetti che qui a Beacon Hills le cose non andassero bene, perché erano tre giorni che Stiles non era reperibile al cellulare» gli raccontò. «Era nostra intenzione fare qualcosa non appena fossero passate altre dodici ore, ma poi Allison mi ha chiamato: Scott è stato fra gli ultimi a essere presi, ha abbandonato di proposito il cellulare sul posto con sullo schermo un messaggio per gli altri, cioè cercare il mio aiuto».

«Sei tornato per il branco» osservò atono Chris, sempre senza guardarlo.

«Questo non è il mio branco» precisò senza alcuna amarezza, «sono tornato perché lo dovevo a qualcuno». E avere dei legami è diverso dall’avere un branco.

Chris assentì. «Anche se immagino che non sia stato facile tornare qui e invischiarsi di nuovo in "queste faccende"» pronunciò le ultime parole con una lieve smorfia. «Per un breve periodo, prima dell’avvento del branco di Deucalion e del darach, io e mia figlia abbiamo provato a essere… "normali", ma questo non ha fermato lo scorrere degli eventi: a un tratto sempre più persone hanno cominciato misteriosamente a perdere la vita, noi sapevamo o quantomeno intuivamo che la colpa fosse di una minaccia sovrannaturale e per un bel pezzo siamo stati combattuti fra il mettere di nuovo a disposizione le nostre abilità e tornare in contatto con cose che in passato ci hanno rovinato la vita – salvando però così della gente – e restare da parte ostentando ignoranza – lasciando però che le vittime innocenti si accumulassero».

«Alla fine siete tornati, però» commentò Derek.

«Sì» gli rispose passandosi una mano sulla faccia, stanco, «e non è stato indolore confrontarci di nuovo con la morte e i deliri di onnipotenza altrui, per non parlare dei soliti propositi di vendetta».

Derek sorrise sarcastico. «Quelli non mancano mai».

«Già» sospirò Chris. «Il punto è che… immagino che a te e tua sorella sarà costato molto venire qui e aiutare persone con cui forse speravi di non avere più a che fare. Non hai lasciato i ragazzi da soli, la cosa ti fa onore».

Quello era un modo implicito per dirgli che gli era grato o che forse si sentiva in debito con lui, e Derek l’accettò, annuì e continuarono a camminare in silenzio ancora per un po’.

«Io e Cora in effetti stiamo un po’ provando a essere "normali"» disse alla fine Derek – in fondo, se Chris Argent stava provando a parlare, poteva farlo anche lui.

«E ci state riuscendo?»

«Abbastanza» sospirò. «Non sappiamo quando avremo voglia di fermarci in un territorio, per ora ci stiamo prendendo il nostro tempo atteggiandoci come una semplice coppia di fratello e sorella. Ammetto che siamo entrambi un po’ più rilassati».

«Tu e Cora non avete problemi di stabilità e di controllo, quando deciderete di mettere su radici da qualche parte non dovreste avere problemi a rapportarvi con la parte umana della città in cui vivrete. Forse potreste essere più "normali" di quel che immagini».

Derek sogghignò. «Nei limiti in cui un licantropo può essere normale» precisò.

«Ciò che ti rende stabile e in pieno controllo è anche il modo in cui accetti il tuo lato da licantropo e come lo vivi: sappiamo entrambi che tu, a differenza di altra gente che abbiamo incontrato abbastanza spesso, hai le carte in tavola per vivere una vita abbastanza quieta, se lo vuoi».

«Ma io come te non posso non fare nulla se vedo delle persone innocenti morire o finire in pericolo» incalzò Derek.

Chris si fermò e si voltò a guardarlo, serio. «Allora devi fare una scelta. Io ho scelto di non essere più "normale", di restare. Tu sei tornato, ma vuoi restare

Derek scosse la testa e storse il naso, riprese a camminare superando di qualche passo Chris, che tornò a camminare a sua volta. «Ancora non lo so, forse andrò via di nuovo per un altro po’. Anche se devo dire che certe volte mi manca un po’ quella parvenza di normalità che aveva una volta la mia famiglia quando mia madre era ancora viva ed era un alpha» aggiunse con amarezza e con un po’ di sarcasmo – dopotutto aveva un Argent accanto.

«Sei stato un ragazzino molto umano durante l’adolescenza» osservò Chris.

Derek sbuffò una breve risata isterica. «Fino a un certo punto, ma sì, tutto sommato si può dire che in quel periodo ho vissuto quasi da umano: magari da umano avrei avuto una vita migliore» ironizzò amaro, «e forse non mi sarebbero successe così tante… cose» concluse vago.

Chris scosse la testa, pensoso. «Non è l’esistenza del sovrannaturale o la parte sovrannaturale di una persona a rendere qualcuno spietato o assetato di potere: quello è proprio un problema di personalità, e credimi, lo so bene, visto che mi sto riferendo a mio padre».

Derek continuò a sorridere amaro. «Credi davvero che senza l’esistenza della licantropia tuo padre sarebbe stato ugualmente un folle?»

«Sì» rispose sicuro tornando a camminare, «non penso c’entri qualcosa il mondo sovrannaturale di cui è a conoscenza e le sue abilità da cacciatore: è proprio la sua personalità che non va» ammise senza mezzi termini. «E non penso di voler sapere che guai avrebbe procurato alla mia famiglia e a mia figlia se invece di un cacciatore fosse stato un "normale" criminale».

Derek gli rivolse una smorfia. «Nah, non credo di volerlo sapere anch’io, anche se…» sorrise ironico, «è buffo immaginare la mia vita da normale umano. Sono nato licantropo, penso che chiedermi come sarebbe stata la mia vita senza la licantropia sia il più grosso interrogativo che possa pormi» continuò a scherzarci sopra.

«La tua essenza non sarebbe comunque cambiata» gli fece notare Chris.

«Ma di certo avrei potuto evitare certe tragedie che mi ha portato la mia natura» ponderò pensieroso. «Mi piace essere quello che sono, credo ancora nei principi con cui mi ha cresciuto mia madre, ma riflettendoci sopra… una volta tolta la licantropia, quante problemi avrei potuto evitare alla radice?»

«Dipende da quanto credi nel Destino» ironizzò Chris, «alcuni dicono che certe cose sono inevitabili».

«Alcuni dovrebbero soltanto tacere».

Chris sbuffò una risata nasale e fece per aprire bocca per replicare, ma Derek sentì i propri sensi metterlo all’erta e lo fermò alzando una mano; si guardarono intorno e subito dopo videro che a qualche chilometro da loro stava prendendo forma una sorta di piccola montagna.

«Stanno creando una nuova uscita» mormorò Derek, iniziando a correre in quella direzione, seguito subito da Chris.

Arrivati col fiatone ai piedi della massa rocciosa, videro che in effetti come avevano ipotizzato l’uscita era una grotta: adesso ne avevano una grossa serie fra cui scegliere, tutte situate a ridosso della montagna, alcune raggiungibili con una breve arrampicata.

Derek si accigliò. «Dov’è il trucco?» mormorò sospettoso, ma forse non avrebbe dovuto dirlo a voce alta: subito dopo sentì degli animali muoversi dall’interno delle caverne; roteò gli occhi, stanco dell’ironia della sorte.

Chris si preparò a combattere. «Fammi indovinare: lupi?»

«Credo di sì».

«Sono normali?»

«Questo non lo so dire…» fece scattare gli artigli preparandosi anche lui.

Subito dopo, un branco di lupi grigi emerse dall’oscurità della grotta, ringhiando con le orecchie stese all’indietro e i denti in mostra; erano in cinque e di grossa taglia, anche se normali.

Derek e Chris non potevano scappare, perché le caverne erano l’unica via d’uscita e per arrivarci dovevano superare i lupi.

«Se quelle caverne funzionano come le porte di prima» mormorò Chris, «basterà solo varcare una delle loro soglie per "teletrasportarci" in un altro posto ed essere in salvo».

Derek annuì sarcastico. «Quindi il problema è solo affrontare i lupi, fantastico». Le due bestie poste ai lati del branco scelsero quel momento per attaccarli.

Chris sparò con precisione atterrando un animale, Derek si aiutò con gli artigli, salvo poi vedere che da altre due caverne uscirono altri quattro lupi.

«Dio» esalò Derek, «effetto Idra?»

Chris serrò la mascella. «Direi di sì».

«E non abbiano niente con cui bruciarli, sempre più meraviglioso».

I lupi iniziarono ad attaccarli a due a due, ma per ogni animale che uccidevano ne usciva una coppia uguale da una delle grotte. I morsi che riuscivano a infliggere erano dolorosi, così come i graffi, ma l’unica cosa da fare era proseguire sempre avanti verso le entrate, anche se lentamente, senza lasciare che i lupi bloccassero il loro percorso.

Erano sanguinanti, esausti e a soli circa due metri da una delle caverne quando sentirono provenire proprio da essa degli strani rumori: ossa che si muovevano sotto pelle – il suono tipico della trasformazione di un alpha nella sua forma completa – e poi una serie di ringhi belluini.

Derek aveva pensato che avessero dato a Chris dei proiettili di strozzalupo per dargli l’opportunità di ucciderlo durante una lite, ma ora credeva che il motivo fosse anche un altro. Prese fiato. «Penso che siano almeno in tre» informò Chris.

«Dobbiamo solo fare un passo oltre la soglia di una qualsiasi delle caverne» l’incoraggiò Chris, «abbiamo visto entrambi di peggio, no?» scherzò amaro. Derek sorrise scrollando la testa.

Quando i tre alpha uscirono allo scoperto, però, smise di ridere: gli ricordavano in modo atroce la forma distorta che Peter aveva preso da alpha. «Questo non è un punto a nostro favore» commentò mormorando atono. Le bestie acuirono i ringhi e scattarono in avanti attaccandoli insieme.

Era come lottare un’altra volta contro il branco di alpha di Deucalion, forse peggio, perché non aveva mai dovuto affrontare più di un alpha alla volta, prima d’ora.

Derek era un beta, le ferite inflitte da un alpha non guarivano più su di lui come una volta e in più era già stanco della lunga ed estenuante lotta con i lupi di prima; né lui né Chris avrebbero retto ancora per molto, ma l’importante non era sconfiggere quelle bestie quanto avanzare quel che bastava per entrare in una delle caverne. Quando però un forte odore di sangue colpì le sue narici, capì subito che il loro tempo si era pressoché quasi azzerato: rivolse brevemente lo sguardo verso Chris e lo vide premersi con forza una mano sul fianco facendo una smorfia continuando a combattere.

Un alpha l’aveva ferito gravemente.

Derek strinse i denti e provò a resistere ancora per un paio di minuti – ancora qualche passo avanti – poi afferrò Chris per un braccio e con un’ultima spallata a uno degli alpha mise un piede oltre la soglia di una delle caverne, sperando di ritrovarsi in una situazione peggiore.

Era entrato nella grotta quasi tuffandosi in avanti, con poca grazia e tanta frustrazione, tant’è che sia lui che Chris finirono stesi a terra di faccia contro il pavimento della nuova stanza materializzata.

Derek restò fermo per un paio di secondi, giusto per riprendere fiato, poi si mise in piedi per raggiungere Chris; lo aiutò a mettersi a sedere e gli sollevò il braccio per osservare bene la ferita: era profonda e grave e stava perdendo sangue a fiumi diventando sempre più debole a ogni minuto che passava.

«Sto bene» biascicò Chris, mentendo in modo palese, e sbatté più volte le palpebre nel vago tentativo di mettere bene la vista a fuoco – Derek temeva che a breve avrebbe perso i sensi. «Dove siamo?»

Derek si guardò per bene attorno, prima di rispondergli. «Stanza esagonale piccola, pareti a specchio e senza tetto» riassunse veloce, alzando lo sguardo al soffitto: le mura erano altissime, forse più di cinque metri e comunque non pratiche per un’arrampicata visto che erano degli specchi, e sopra di loro sembrava stendersi un cielo nero senza luna e senza stelle. «La luce proviene da delle torce di fuoco, ce n’è una per ogni angolo, il pavimento è cementato, ruvido».

Derek provò a dare dei pugni a uno specchio, fece una smorfia. «Decisamente a prova di licantropo, non posso sfondarlo».

Chris era sempre più pallido, deglutì a stento e con un cenno della testa gli indicò il centro della stanza. «Cosa sono quei segni?»

Derek si assicurò che Chris avesse la schiena contro una delle pareti e poi andò a guardare bene cosa ci fosse disegnato sul pavimento. «È un cerchio magico» gli disse, continuando a osservare con attenzione ogni tratto, «ne ho visti parecchi nei libri di mia madre e di Peter quando ero ragazzino… non sono un esperto, ma è tracciato in rosso, quindi credo che si tratti di una maledizione pronta per essere scagliata, non è un incantesimo».

Chris annuì a occhi socchiusi. «Per gli incantesimi ci vuole un controincantesimo, le maledizioni invece vanno spezzate… brutta cosa» ironizzò flebile, «perché sono come degli indovinelli inquietanti impossibili da risolvere… molte volte gli stessi creatori di una maledizione impiegano anni per capire come fare a spezzare ciò che hanno fatto».

Derek si passò una mano fra i capelli, frustrato. «Avrei dovuto leggere molto di più i libri di famiglia quando ero giovane: non capisco i simboli all’interno del cerchio, non so in che modo affligga le vittime!»

«Questo è il trial finale di cui parlavi, vero?» gli chiese Chris.

Lui tornò ad accovacciarsi davanti a lui per ricontrollare la ferita: andava sempre peggio. «Credo di sì, ma in pratica non sappiamo di preciso cosa fare: la prima volta al risveglio ci hanno dato delle istruzioni, ma ora? Se proprio dobbiamo subire la maledizione, in che modo? Che dobbiamo fare?»

Fu in quel momento che la parte di specchio accanto a Chris s’impannò in modo misterioso come se qualcuno vi avesse alitato sopra e subito dopo videro man mano comparire una scritta tracciata da un dito invisibile.

"In due dovranno accettare il peso di una maledizione sconosciuta entrando entrambi dentro il cerchio: se accetteranno di portare sulle spalle le pene di tutto il branco, il labirinto cadrà".

Chris strinse il braccio di Derek per fare leva per rialzarsi. «Dobbiamo entrare dentro il cerchio, subito».

«No, Chris, fermati! Io entro dentro il cerchio, tu resta qui ancora per un po’ e aspetta che arrivi anche Allison e chiunque sia con lei!»

«Derek…»

«No» lo fermò serrando la mascella. «Non sappiamo se morire qui dentro significhi anche morire nella vita reale: tu sei gravemente ferito e non abbiamo idea di che razza di pene potrebbe infliggere la maledizione! Potrebbe peggiorare la tua situazione e farti morire all’istante!»

«Ma non sarebbe nello stile della congrega della Quercia Insanguinata» obiettò Chris, «loro non uccidono, torturano psicologicamente, ma non uccidono».

Derek l’afferrò per il colletto, irritato. «Sono venuto qui con tua figlia, l’ho guardata in faccia prima di perdere i sensi: abbi rispetto per lei e per quello che ha fatto per te e non morire!» Perché gli Argent dovevano essere una famiglia piena di gente omicida o suicida per le ragioni più sbagliate? Avere due genitori suicida non serviva a un bel niente nella vita.

Chris socchiuse gli occhi e si stese di nuovo con la schiena all’indietro contro lo specchio. «Perché finiamo sempre nelle stesse situazioni? Siamo di nuovo dei guardiani, Derek, l’hai notato? Parenti, tutori… gente che vuole proteggere chi è più giovane come figli, fratelli, sorelle…»

Derek storse la bocca. «Come Jennifer mesi fa ha scelto i guardiani sbagliati con cui impicciarsi, la congrega ha fatto altrettanto, e comunque non possiamo sapere con certezza di essere soltanto noi dentro al labirinto in questo momento: un’altra coppia potrebbe arrivare da un momento all’altro, quindi… aspettiamo un altro po’, ok?» e si rimise in piedi, tanto Chris era troppo debole per rialzarsi senza il suo aiuto e seguirlo cocciutamente.

«Derek, no!» provò a fermarlo, ma lui non si voltò indietro.

Derek mise un piede dentro al cerchio e non sentì nulla di strano, si accigliò e camminò fino ad arrivare al centro. Non successe niente. «Mi sa che dobbiamo entrare qui dentro in due per azionare la maledizione».

Chris scosse debolmente la testa. «Non ho idea di in che razza di guaio tu ti voglia cacciare di proposito… Somigli dannatamente a Stiles, in questo momento: sono mesi che quel ragazzino ci crea problemi con le sue scarse e improbabili capacità di creare diversivi e "Piani B"».

Derek roteò gli occhi sospirando, s’incamminò per provare a uscire dal cerchio. «Potrei anche ritenermi offes…» si fermò accigliandosi.

Un muro invisibile non gli stava permettendo di uscire dal cerchio.

Si passò una mano sul volto. «Sono bloccato qui dentro» sospirò.

Chris fece una smorfia di dolore. «E io sono bloccato a sedere qui in un angolo: il tuo piano si è rivelato geniale».

«Sono certo che a breve arriverà un’altra coppia» provò a rassicurare se stesso.

Chris sospirò. «In alternativa potrei provare a strascinarmi fin lì o a rotolare verso il cerchio».

Derek si passò entrambe le mani sul volto ridendo isterico: quella situazione era grottescamente ilare. «Resta lì, ok?» insisté.

Derek sapeva che non era la prima volta che Allison si sacrificava per suo padre – in modo letterale, Scott prima che lui partisse gli aveva raccontato tutto – e in più sapeva cosa voleva dire essere giovani e restare senza dei genitori, ritrovandosi all’improvviso a capo di qualcosa senza esperienza. Per quanto gli Argent non rientrassero nelle sue simpatie lui sapeva cosa si provava e non era intenzionato a lasciar morire Chris.

Provò a mettere ordine fra i propri pensieri continuando a sperare che Allison li raggiungesse al più presto, e proprio quando ormai la sua mente stava divagando verso le soluzioni più assurde e improponibili, vide comparire dal nulla davanti a sé due corpi che caddero a terra.

Erano Allison e Stiles, misteriosamente bruciacchiati, tra l’altro.

«Papà!» gridò Allison andando subito verso Chris, preoccupata – nel farlo lasciò cadere a terra un arco e una faretra, la congrega doveva aver armato anche lei. Stiles restò sdraiato di schiena a terra, tossiva.

«Sto bene» mentì di nuovo Chris.

«Allison!» la richiamò Derek, lei si voltò a guardarlo. «Tu o Stiles dovete entrare dentro questo cerchio per attivare la maledizione e il trial finale, come detto da Thomas» le spiegò pratico.

Chris provò a rialzarsi. «Andrò io…»

«No!» tuonarono all’unisono Derek e Allison.

«Sei ferito» ripeté Derek, «non abbiamo idea di che cosa consista la maledizione: potrebbe essere letale per te».

«Mia figlia e Stiles si sono già sacrificati una volta!» insisté Chris. «Non possiamo costringerli a farlo di nuovo!»

Allison e suo padre cominciarono a discutere animatamente; Derek vide di sottecchi Stiles mettersi a sedere.

«Stiles, stai bene?» gli chiese Derek preoccupato.

Lui trasse un respiro profondo. «Una meraviglia» annuì atono. «Sono elettrizzato, letteralmente: io e Allison abbiamo subito delle scariche elettriche».

«Allison ti ha spiegato tutto?»

Stiles avanzò a carponi verso il cerchio e osservò i simboli pensoso aggrottando la fronte. «Sì… Per caso sai tradurre questi scritte? O sono dei simboli?»

Derek camminò verso il bordo del cerchio e si accovacciò davanti a lui. «C’è un muro invisibile che non mi fa uscire» gli spiegò spingendo una mano verso l’esterno del cerchio per fargli notare come qualcosa lo respingesse, «ma credo che cadrà una volta che la maledizione avrà attecchito… anche se non so di che tipo di maledizione si tratta: non so decifrare questi segni».

Allison e suo padre stavano ancora discutendo, non li guardavano.

Stiles assentì piano sporgendo un labbro. «Quindi basta che un altro di noi, una persona qualsiasi, entri dentro il cerchio facendosi maledire e tutti potremo tornare a casa come se nulla fosse successo?»

«Stiles» sospirò Derek, esausto, «so cosa stai pensando: discutine con Allison, prima di saltare qui dentro».

Stiles rivolse un’occhiata di sottecchi ai due cacciatori alle proprie spalle. «Penso che Chris sia al limite e non sappiamo quanto tempo abbiamo a disposizione prima che il padre di Scott venga avvisato: l’ingresso dell’FBI nella base potrebbe creare dei danni in modo involontario».

Derek non poteva dargli torto, e del resto stava proprio aspettando una seconda persona. E se c’era una cosa di cui era certo era che il più delle volte lui e Stiles si capivano a vicenda: reagivano in modo diverso, ma erano entrambi impulsivi e per tutti e due non andava mai bene che degli innocenti fossero in pericolo.

«Sei sicuro?» gli chiese Derek, giusto per avere un’ultima conferma.

Stiles abbozzò un sorriso nervoso. «Mi sono già sacrificato una volta, che sarà mai farlo di nuovo?» Si mordicchiò un labbro e stese una mano verso di lui, entrando di fatto nel cerchio: Derek strinse le dita attorno al suo polso e lo strattonò verso di sé per farlo entrare del tutto.

Subito dopo accaddero due cose insieme: Scott e Peter si materializzarono dentro la stanza e Derek e Stiles furono talmente scossi da un dolore fisico asfissiante da finire stesi a terra.

Derek sentì le urla degli altri, ma nessuno di loro li raggiunse – a quanto sembrava adesso il muro invisibile intorno al cerchio impediva a chiunque di entrare dentro – e tutto quello che poteva fare era stringere i denti e resistere a quel dolore che non sembrava neanche avere una vera fonte e gli toglieva il fiato. Era come ricevere scariche elettriche, ma anche come essere in preda a una febbre altissima che provocava deliri.

Finì steso su un fianco ritrovandosi faccia a faccia con Stiles – l’espressione del ragazzo in quel momento doveva essere lo specchio della sua.

Si guardarono negli occhi, terrorizzati, e la paura ben visibile nello sguardo di Stiles fu l’ultima cosa che vide prima di cedere al dolore e perdere i sensi.


 

 

La prima cosa che Derek percepì non appena cominciò a risvegliarsi fu un leggero mal di testa, una sorta di dolore sordo ma persistente; riaprì gli occhi traendo un respiro profondo – e probabilmente anche emettendo un lungo lamento in maniera inconscia – e la prima cosa che vide furono i visi di Cora e Peter.

Lo guardarono entrambi con aria preoccupata; Cora aveva una bottiglietta d’acqua in mano e Peter gli parlava, gli diceva qualcosa che lui non capiva bene. Derek si riscosse sbattendo più volte le palpebre e cercando di prendere più aria possibile con un altro paio di respiri, e infine riuscì a capire quello che Peter gli stava chiedendo.

«Puoi sentirmi?»

«Sì» gli rispose Derek, con voce un po’ roca; Cora l’aiutò subito a mettersi a sedere e a bere dell’acqua.

«Ti senti lucido?» gli domandò ancora Peter. «Hai dolore da qualche parte o avverti in qualche modo qualcosa di strano in te?»

Derek si massaggiò la fronte e provò ad analizzare subito la propria situazione: non provava dolore da ossa rotta o del bruciore da infezioni o tagli, acuendo per un attimo l’udito e l’olfatto scoprì di avere ancora i suoi sensi da licantropo e facendo scattare per un attimo gli artigli notò come nulla di più o meno magico lo bloccasse dal trasformarsi. «A parte una leggera emicrania non ho nulla» sentenziò, «anche se mi sento un po’ intorpidito e debole».

Peter sospirò. «Bene».

«Dove sono? Che è successo agli altri?» domandò in ansia.

Cora gli rispose con un sorriso e posandogli una mano sulla spalla. «Sono tutti a casa, la congrega vi ha lasciato andare, anche se alcuni degli umani sono ancora ricoverati all’ospedale: non appena gli stregoni hanno spezzato l’incanto, il contro effetto dello stato di coma magico si è fatto sentire nel giro di poco tempo… gli umani non bevevano né mangiavano da giorni, chi più chi meno, la magia li ha tenuti sani e in vita, ma una volta svanito l’incantesimo hanno cominciato a risentirne…» storse il naso, «ma stanno bene» lo rassicurò, «si stanno riprendendo in fretta».

Derek si stropicciò gli occhi e si diede una veloce occhiata intorno: dai rumori che sentiva provenire dall’esterno, capì di trovarsi in un appartamento, e considerando che era arredato con una certa classe ed eleganza – con un lusso non molto ostentato – intuì di essere da Peter, e soprattutto sul letto di Peter.

«Cosa ci faccio da te?»

Peter roteò gli occhi. «Bel modo di ringraziarmi, nipote!» gli rispose sarcastico. «Non sapevamo ancora in che modo ti avesse influenzato fisicamente quella maledizione, ma non potevamo di certo mandarti all’ospedale, né tenerti nella clinica di Deaton, dato che anche lui è all’ospedale: preferivi forse riprendere i sensi in quella topaia che ti ostini a definire come "tuo loft"?»

In effetti un posto abbandonato da quattro mesi non era l’ideale per la degenza di una persona indebolita come lui, e pur recalcitrante dovette dargliene atto. «Grazie» mugugnò fissando le coperte.

Peter sospirò teatrale. «Quando vuoi».

Derek si stese all’indietro poggiando la schiena contro la testiera del letto e bevve altra acqua. «Cos’è successo dopo che io e Stiles abbiamo attivato la maledizione?»

Cora si sedette accanto a lui. «Tutti si sono risvegliati, escluso tu e Stiles; gli umani catturati per prima, come Deaton e Chris Argent, erano molto più deboli di quelli presi per ultimi come Allison, e lei ha cercato subito di prendere la situazione in mano, anche perché era quella che stava meglio».

Peter si sedette ai piedi del letto, di fronte a Derek, e storse il naso. «Ero presente e vigile in quel momento» gli disse, «ma quei bastardi non ci hanno dato modo di affrontarli o chiedere molte spiegazioni; quando abbiamo riaperto gli occhi, ci siamo ritrovati tutti in una stanza con una lunga serie di brandine: ci hanno messo a "dormire" su dei materassi invece che a terra, pensa che cari» sottolineò sarcastico.

«La parete frontale della stanza» continuò a raccontare Peter gesticolando, «era trasparente, in plexiglass incantato: era da lì che ci osservavano continuando a recitare il loro incantesimo. Subito appena ripresi, io e Scott abbiamo provato a sfondarla per raggiungere quei tizi dall’altra parte, ma la loro magia ci ha respinto ed eravamo pure troppo deboli per insistere…»

«Quindi al risveglio la congrega era ancora lì?» chiese Derek.

Peter annuì, anche se non sembrava molto soddisfatto di come fossero andate le cose. «Ci hanno dato il "buongiorno"» tracciò delle virgolette in aria flettendo le dita, «e ci hanno riferito che visto che nessuna coppia dentro al labirinto si era ammazzata a vicenda e che due di noi avevano accettato di assumersi il peso delle colpe del branco accettando una maledizione sconosciuta, eravamo liberi di restare a Beacon Hills, loro si sarebbero ritirati».

«Io e Allison avevamo degli accordi con Cora, Isaac e Ethan…»

Peter assentì di nuovo. «Infatti Allison ha subito chiesto loro che ore fossero e di permetterle di chiamare Isaac, per impedirgli di avvertire il padre di Scott: se l’FBI ci avesse trovato, tutti noi avremmo dovuto spiegare troppe cose, invece così ci siamo inventati solo un paio di storielle innocue su degli improbabili fanatici pazzoidi che ci hanno rapito in massa per ragioni oscure…»

«Avevamo ancora molto tempo a disposizione dopo la fine del trial?» chiese Derek.

Peter scosse la testa. «No, solo poco più di quaranta minuti, ce l’avete fatta per poco». Si grattò la testa. «La piccola Argent era la più lucida e assestata di noi, ha fatto presente alla congrega di andarsene e non tornare mai più, pena l’ira del suo intero clan…» Peter sorrise pensieroso, come se stesse ricordando qualcosa, probabilmente le minacce di Allison, «è stata abbastanza gloriosa» sospirò.

«E Chris Argent?» incalzò Derek, ricordandosi delle ferite riportate dall’uomo.

Peter ciondolò la testa. «Sta molto meglio, adesso. Era fra quelli più deboli, ma al risveglio ha chiesto subito alla congrega la verità sulla maledizione scagliata su di te e Stiles». Rivolse uno sguardo teatrale al nipote. «Sei pronto ad ascoltarla?»

Derek alzò gli occhi al cielo sospirando esasperato, ma Cora gli strinse le mani sul braccio, apprensiva. «Dimmi pure».

Peter schioccò la lingua. «Bene. La cattiva notizia è che la maledizione è stata creata dalla congrega appositamente per il nostro branco, sulla base di una caratteristica comune a tutti noi, e nel formularla hanno scelto di proposito di non tracciare il modo per spezzarla: loro stessi non sanno come annullare quello che vi hanno inflitto».

Derek ponderò la notizia trattenendo il fiato per qualche secondo: era un pugno allo stomaco, ma non sapeva bene come reagire, visto che non conosceva ancora gli effetti che la maledizione aveva avuto su di lui. «Ma esiste un modo per spezzarla?»

«Certo» annuì Peter sicuro, «ogni maledizione può essere spezzata, perché non è qualcosa di naturale, è qualcosa di imposto e artificioso, il problema è capire come farlo».

Derek si passò una mano sul volto. «Già, Chris Argent mi ha detto che le maledizioni sono come degli indovinelli inquietanti».

«Esatto, e a proposito di Chris Argent» aggiunse Peter, allungando un braccio per prendere un block notes posato su tavolino lì vicino pieno di libri antichi, di cui alcuni aperti, «lui ha immediatamente insistito per avere dalla congrega una copia del cerchio, una riproduzione fedele, in modo tale da poterla studiare: gli stregoni non ci hanno voluto dire in che modo vi cambierà la vita, anche se noi licantropi abbiamo sentito benissimo che non hanno mentito quando ci hanno detto che non sanno come spezzarla» s’indicò l’orecchio come per dire che avevano ascoltato i battiti cardiaci degli stregoni, «ma studiando questi simboli potremmo trovare qualcosa di utile…»

Derek osservò per bene il disegno tracciato su uno dei fogli del block notes che gli aveva passato suo zio. «Questa è l’unica concessione che vi hanno fatto?»

«Questa e rivelarci su cosa si sono basati per creare una maledizione su misura per noi».

«Ovvero?» incalzò Derek inarcando un sopracciglio.

Peter divenne di nuovo teatrale. «Rimorsi, rimpianti, ripensamenti… tutto quello che inizia per "ri" e che ti può fare angosciare».

Derek si massaggiò le tempie. «E avete trovato nulla sui simboli, finora?»

Lui storse il naso e indicò uno dei segni, quello al centro della parte superiore del cerchio. «Questo qui ha qualcosa a che fare con i sogni, ma nell’accezione di sogno-sonno» precisò, puntando poi il dito verso un simbolo nella direzione opposta in basso del cerchio, «quest’altro invece riguarda sempre i sogni, ma nell’accezione di sogno-desiderio. La serie di scritte antiche e simboli che unisco questi due punti» passò le dita lungo le due arcate del cerchio, «direi che a occhio e croce danno in qualche modo "vita" ai due concetti di cui prima: in pratica la maledizione si basa e parte da questi due principi e poi ciò che sta nel mezzo la "nutre" per renderla pienamente attiva» sospirò. «Per il resto, ancora non ti so dire nient’altro: Deaton è ancora degente, anche se già abbastanza lucido da indicarci in quale dei suoi libri cercare qualcosa, mentre Allison sta già provando a trovare qualcosa nei suoi bestiari di famiglia che la congrega le ha restituito».

Derek trasse un respiro profondo arrendendosi ad aspettare altre notizie. «Stiles?» domandò poi.

Cora gli passò una barretta energetica e non appena Derek la vide, il suo stomaco gorgogliò in maniera imbarazzante; sua sorella abbozzò un sorriso divertito ma comprensivo. «Non mangi da quasi due giorni» sbuffò mettendogli con insistenza la barretta in mano, «avrai pure il corpo di un licantropo, ma il cibo e l’acqua sono cose che possono mancare a tutti. Stiles sta bene» aggiunse infine esalando. «Isaac poco da mi ha chiamata per dirmi che si è risvegliato anche lui circa mezz’ora fa: pure lui non accusa alcun strano sintomo…» concluse pensierosa.

Peter, con mano sicura ed espressione seria, tenne ferma per un lungo attimo la testa di Derek: gli osservò gli occhi con fare clinico. «Sia tu che Stiles soffrite di una leggera emicrania: non mi sorprenderebbe sapere che la maledizione vi ha messo in stato di incoscienza e a riposo per due giorni per attecchire bene… o per creare una buona e solida base da qualche parte della vostra mente da cui partire per fare qualcosa…»

«Credi che sia qualcosa di psichico?» gli domandò Derek.

Peter lasciò andare la presa. «Beh, non presentate alcun danno fisico, quindi l’unica risposta è questa: qualsiasi cosa si tratti, è tutto nella vostra testa».

Derek sorrise sarcastico. «E suppongo che ciò debba rincuorarmi».

Peter ostentò un’aria comprensiva e gli diede delle deboli pacche sulla gamba. «Vuoi che ti prepari dei toast come quelli che ti facevo quando eri piccolo e perdevi una partita di basket?» lo prese in giro.

Derek aprì la bocca per rispondergli a tono, ma il suo stomaco gorgogliò di nuovo in modo inumano.

Cora provò a trattenere malamente una risata e Peter annuì fingendosi colpito quanto preoccupato.

«Mangia la barretta» insisté Peter, alzandosi dal letto, «vado in cucina a prepararti un toast. Dei toast» si corresse.

Derek spacchettò lo snack e si arrese a mangiare; sapeva tuttavia che quello era solo l’inizio.


 

 

Nei due giorni che seguirono, Peter si rifiutò di lasciar tornare lui e Cora nel loft e d’altro canto Cora stessa sembrava non aver alcuna voglia di tornare lì – e Derek non poteva biasimarla.

Non sapevano ancora che direzione avesse preso o stesse prendendo la maledizione, anche se Peter continuava a sostenere che in realtà stesse prendendo tempo per attecchire bene, considerando che sia Derek che Stiles continuavano a svegliarsi con delle strane emicranie leggere ma persistenti che li lasciavano intontiti e in preda a un lieve torpore per un bel pezzo della mattinata.

Derek non aveva ancora visto Stiles: sapeva che era stato già dimesso e che Cora era andata a trovarlo, ma lui si era astenuto dal farlo perché non aveva idea di cosa dire a qualcuno con cui si stava ritrovando a condividere una maledizione – lui stesso non sapeva cosa dirsi nei momenti in cui era da solo e si fissava le mani.

Non era esattamente dispiaciuto per gli eventi successi dentro al labirinto, perché era sempre stato il tipo da accettare le conseguenze delle proprie azioni fino in fondo, soprattutto se erano dovute a delle scelte fatte in prima persona, ma tuttavia non era piacevole sapere che un ragazzo più giovane di lui – Stiles – era stato altrettanto segnato come lui e probabilmente a vita.

Tra l’altro era stata una banale questione di coincidenze e tempistiche a portare Stiles a essere il secondo individuo coinvolto nella maledizione: se avessero aspettato solo un misero minuto in più, all’arrivo di Scott e Peter Derek avrebbe convinto Scott a spingere a calci nel sedere Peter dentro il cerchio – Scott era un alpha, era molto più forte di Peter e di sicuro tutti sarebbero stati d’accordo su questa scelta.

Ancora una volta sia Derek che Stiles avevano peccato di impulsività e testardaggine; si chiedeva quanto pesanti sarebbero state le conseguenze.

Peter continuava le sue ricerche, Allison era perfino venuta due volte da loro a consegnare a Peter i risultati delle proprie indagini e degli appunti di Lydia, e per un po’ avevano discusso dei risultati confrontando ciò che ciascuno di loro aveva trovato finora. Quel furbastro di Peter aveva insonorizzato il proprio studio ed era lì che lui e Allison discutevano, e Derek non poteva sentire niente di quello che dicevano, anche se Peter dopo ogni incontro e confronto non aveva mai una bella faccia – e non era per via della presenza di un Argent, Derek sapeva ormai distinguere l’espressioni facciali di suo zio, ricordava bene quale riservasse agli Argent.

Ogni tanto, quando Peter leggendo qualche vecchio tomo di famiglia sulle maledizione faceva una smorfia, Derek gli chiedeva «Che c’è, morirò?»

«Poco probabile» gli rispondeva esalando, come se fosse un peccato. Era Peter, dopotutto.

Quando finalmente Chris Argent, Deaton e Peter poterono ufficialmente unire le loro capocce per discutere faccia a faccia della maledizione, Derek passò una lunga mezz’ora di attesa fuori dal parcheggio della clinica veterinaria prima di poter avere il loro verdetto.

Durante l’attesa, poco prima di entrare, lui e Cora vennero raggiunti da Allison, Scott e Stiles.

Allison aveva accompagnato gli altri due alla clinica con la propria auto; Scott sembrava essersi ripreso del tutto, Stiles invece era ancora abbastanza pallido e più magro di quanto Derek ricordasse. Si salutarono con dei cenni del capo e poi andarono ad ascoltare la loro sentenza non appena Deaton si affacciò dall’ingresso dell’edificio per fare loro cenno di entrare.

Che Peter fosse in piedi a braccia incrociate sul petto e a labbra strette non era un buon segno: in genere era un tipo da stare in ansia per poche cose e da temerne pochissime altre – faceva parte della sua natura di persona ostinatamente irrispettosa nei confronti della morale comune essere così spavaldo.

Deaton li invitò a sedersi, ma nessuno lo fece; Derek lo fissò inarcando un sopracciglio per intimargli di sbrigarsi a sputare il rospo.

«Abbiamo confrontato le nostre ricerche e le nostre conoscenze nel campo della stregoneria» esordì Deaton, col solito tono dannatamente calmo e monocorde che usava sempre quando voleva spiegare con grandi quanto inutili giri di parole qualcosa di fatale e contorto che poteva essere in maniera più semplice riassunto con una sola parola: "morirete". «Siamo arrivati tutti alla stessa conclusione».

«Cioè?» incalzò Stiles, con voce acuta e nervosa.

«Temiamo che sarà difficile arrivare a una soluzione nell’immediato, perché…» Deaton esitò appena, come alla ricerca delle parole giuste per formulare nell’ennesimo nuovo giro di parole superfluo, «è una maledizione».

Derek si stava esasperando, si passò una mano sulla faccia. «E che vuol dire?»

«È qualcosa di diverso e di più forte di un incantesimo, non…»

Derek sbottò, stanco di essere trattato come una persona moribonda e non più in grado di intendere e di volere. «So cos’è una maledizione! Vai dritto al punto e dicci cosa cazzo ci succederà!»

Deaton prese fiato e si decise a dare una spiegazione. «Sarà come se il vostro subconscio prendesse vita dando forma a una realtà parallela: ogni notte sognerete di una vita diversa da questa – sempre la stessa, come se fosse un mondo alternativo a quello in cui vivete – fino a quando non saprete più distinguere la realtà dal sogno, o fino a farvi credere di dover scegliere in modo estremo quale delle due vite vivere».

Restarono tutti in un silenzio attonito, Derek provò di ripetere mentalmente piano le parole di Deaton, ma tuttavia era sia troppo basito che confuso per capire bene cosa volesse dire davvero tutto quello.

Peter sospirò e si appoggiò di nuovo con le spalle al muro, serio, e si rivolse e Derek. «Entrambi queste due notti non avete sognato nulla, vero?» chiese indicando col capo sia Derek che Stiles; gli risposero tutti e due annuendo. «Perché proprio come pensavo io la maledizione stava attecchendo, stava valutando le vostre memorie, la vostra storia personale, i vostri rimpianti e dolori e soprattutto i punti di svolta focali delle vostre vite… e tutto ciò per costruire una base solida per torturarvi». Tirò su col naso e poi riprese a parlare gesticolando – Derek non l’aveva visto mai così serio, neanche quando avevano discusso del Kanima.

«Grazie a tutte queste informazioni ottenute, la maledizione riuscirà a creare nelle vostre menti un perfetto mondo alternativo a quello reale: sarà tutto uguale, dalle persone che conoscete ai posti in cui siete vissuti o vivete ancora; sarà tutto tremendamente simile alla realtà, alla vostra vera vita, ma con un’unica decisiva differenza…» Li guardò intensamente. «Scommetto che tutti e due almeno una volta nella vita vi siete chiesti come sarebbero andate le cose se davanti a una scelta passata avreste preso tutt’altra decisione, o come avreste vissuto se solo non avreste mai incontrato qualcuno o nella vostra vita non ci fosse stato… qualcosa» lasciò velatamente la parola "sovrannaturale" non detta – come sarebbe stata la loro vita senza la realtà sovrannaturale?

«La maledizione risponderà a questi vostri grandi interrogativi» proseguì Peter, «e notte dopo notte, e perfino pennichella dopo pennichella, ogni dannata volta che dormirete, sognerete di questa vita diversa, a partire da poco prima del vostro primo punto focale di svolta, passando dall’età che avete ora, fino ad andare verso il futuro… fino alla morte, giorno dopo giorno».

Derek non riusciva a parlare, Stiles era stretto nelle spalle e sembrava pietrificato, salvo poi umettarsi le labbra e parlare in modo flebile. «E tutto questo perché?»

Deaton aprì bocca e provò a parlare. «È un modo per…» ma Peter avanzò, mise una mano sulla spalla del veterinario per fermarlo e fissò serio Derek e Stiles, parlando in modo coinciso.

«È una forma di tortura» disse loro diretto. «La realtà alternativa vi farà vedere che comunque sarebbero andate le cose, non avreste mai avuto scampo: avreste fallito lo stesso, non sareste sfuggiti al vostro destino. La maledizione vi farà sentire prigionieri della vostra stessa vita, e considerando che in pratica rivivrete in sogno tutta la vostra storia personale a partire da quando eravate bambini o ragazzini, arriverete al punto di non riuscire più a distinguere la realtà dal sogno… questo potrebbe portarvi all’idea di dover scegliere in modo drastico quale vita vivere, al suicidio».

Derek scosse la testa sorridendo isterico e amaro, Cora si morse un labbro e gli mise una mano sul braccio; sentì Stiles imprecare sottovoce e voltarsi come indeciso se andare via di lì o meno correndo, ma Scott l’afferrò subito dandogli un abbraccio di lato e Allison gli accarezzò la schiena.

Chris Argent era rimasto per tutto il tempo in silenzio, chino con le mani appoggiate sul tavolo pieno di fogli su cui erano scribacchiati dei simboli e degli appunti. «Questo non vuol dire che ci arrenderemo» li riassicurò senza guardarli. «Le maledizioni sono degli indovinelli, e gli indovinelli hanno sempre una soluzione: non sappiamo dirvi quanto tempo impiegheremo a trovarla, ma di certo non ci fermeremo fino a quando non l’avremo ottenuta. Nel frattempo, un consiglio» indicò con cenni secchi Derek e Stiles, «cercate di parlarvi, di stare vicini, perché per creare una maledizione simile ci vuole una quantità enorme di magia e di certo la congrega non avrà voluto impiegare troppe energie per una cosa per cui non avrà un compenso: la maledizione avrà abbastanza forza da creare un solo mondo alternativo, non due, cioè un mondo che comprenderà entrambe le vostre vite diverse; è più che probabile che in sogno vi incontrerete anche se sarete coscienti di sognare soltanto nella vita reale e non in quella alternativa, quindi…» sospirò, «parlate insieme dei vostri sogni e confrontateli trovando i punti che hanno in comune, discutetene, perché potrebbe aiutarvi a mantenere un senso della realtà».

Stiles tirò su col naso e annuì, Derek si limitò a fare un breve cenno del capo.

«Mi dispiace» mormorò Chris, «per quanto possa valere, mi dispiace».

Peter trasse un respiro profondo. «Proveremo ad aiutarvi con degli infusi per il sonno per rallentare un po’ gli effetti» tentò di rassicurarli. «Abbiamo tutti i mezzi per risolvere questa faccenda, solo… non sappiamo ancora come unire tutti i puntini dello schema, ma ci arriveremo» concluse battendo le mani con un pizzico di ironia per sdrammatizzare.

Non c’era null’altro da dire, Scott stava mormorando a Stiles delle banali rassicurazioni che palesemente non stavano funzionando – Stiles era sempre più agitato – e Derek si sentì in gabbia. Uscì dalla clinica a passi decisi ma all’apparenza calmi, rivolgendo prima un’occhiata di sottecchi a sua sorella per lasciarle intendere di voler restare un po’ da solo, e andò verso la propria auto.

Arrivato lì, posò le mani sul cofano, inspirò a fondo, strinse le labbra e poi sferrò un calcio allo sportello ammaccando la carrozzeria.

«So che questa non è una grande auto» lo canzonò Peter alle spalle, «ma non risolverai nulla eliminandola dall’universo».

«Credevo fosse chiaro il messaggio di lasciarmi in pace» gli ribatté fra i denti voltandosi a guardarlo.

Lui scrollò le spalle e incrociò le braccia al petto. «Siamo onesti, Derek: chi più di me può capire cosa vuol dire rivivere la tua intera vita?»

Derek roteò gli occhi. «Sei qui per compiangermi prendendomi allo stesso tempo in giro?»

«Sono qui per dirti che capisco la tua rabbia» gli replicò sincero – e se Derek rimase colpito nel non sentire alcuna bugia nel battito del suo cuore, non lo mostrò. «Faccio parte della tua famiglia, abbiamo una lunga storia in comune e Cora – per sua fortuna – non ricorda molte cose perché all’epoca era ancora una bambina: so a cosa stai pensando in questo momento, so cosa sarai costretto a rivivere e… credimi, per quanto io sia in genere incline alla tortura e all’omicidio so riconoscere quando non è il caso di provocare una morte poco dignitosa come quella a cui in teoria ora sei destinato».

Derek ghignò sarcastico. «Quindi per te indurmi alla pazzia e al suicidio non sarebbe darmi una morte dignitosa? Tu non mi uccideresti così?»

«Sei un Hale» gli replicò sicuro, «e l’unico modo in cui un Hale può morire è combattendo, non certo cadendo vittima di una maledizione simile».

Derek continuò a ridere amaro: ovvio, Peter aveva ucciso Laura, sua nipote, affrontandola, combattendo fino a ucciderla, era un uomo di classe, secondo lui; molto probabilmente prima o poi avrebbe ucciso gli altri due nipoti rimasti in vita allo stesso modo, non necessitava che altri lo facessero al posto suo con mezzucci simili e poco fini.

«Non sarà una passeggiata» aggiunse Peter, «ma troveremo una soluzione. Dopotutto, siamo degli Hale» concluse ostentando un sorriso ironico.

Derek sbuffò un sorriso a propria volta e scosse la testa: cos’altro c’era da fare se non fidarsi del proprio zio psicopatico?


 

 

Per Derek e Cora era fuori discussione lasciare Beacon Hills prima che la maledizione fosse stata spezzata, ma non sapevano nemmeno quanto tempo sarebbero rimasti.

«Pensi che potrebbe ucciderti l’idea di andare a vivere in posto che abbia delle vere camere da letto?» gli disse Peter con sarcasmo, mentre cercava su internet con lui un discreto appartamento in cui stare. «Magari qualcosa che abbia ancora le pareti intere e dei sistemi di sicurezza che non permettano a dei branchi di alpha di entrare e lasciare dei graffiti di dubbio gusto sulle finestre e sulle porte» continuò sullo stesso tono. «Visto che con i soldi dell’assicurazione per l’incendio non abbiamo mai ricostruito la casa di famiglia, concediti almeno un semplice appartamento in cui tu e tua sorella possiate stare ogni volta che deciderete di tornare qui, a casa».

Derek dovette ammettere che non era una cattiva idea trovare un appartamento medio e in buone condizioni da utilizzare come base fissa: lui e Cora erano stati abbastanza onesti con loro stessi da ammettere che quella non sarebbe stata la prima e l’ultima volta che rimettevano piede a Beacon Hills; sarebbe successo di nuovo in futuro, era una buona cosa avere un posto fisso dove stare.

Entro una settimana con l’aiuto di Peter trovarono una discreta sistemazione con solide pareti, priva di umidità e con una porta d’ingresso sicura; consisteva in due camere da letto singole, una cucina, un soggiorno-ingresso, un bagno con doccia e la gioia di una lavatrice per Cora. Era un appartamento piccolo ma luminoso e confortevole e Cora che in vita sua non aveva mai avuto l’occasione di avere un posto da chiamare casa e da arredare a proprio gusto era parecchio eccitata all’idea di andare a caccia di mobili di seconda mano – rigorosamente di legno scuro – e di altra roba dai toni caldi per riempire l’appartamento.

Cora insisté anche nel non coinvolgere Peter nella missione arredamento, o si sarebbero ritrovati con una statua di Venere nuda a grandezza naturale in bagno come reggi asciugamano, o qualcosa di simile e ugualmente da persone maniache e instabili.

Isaac non aveva provato a contattarlo e Derek non lo biasimava affatto: era stato lui a dargli il Morso, ma non era stato buon alpha e il loro ultimo saluto non si era svolto nei migliori dei modi; ora Isaac faceva parte di un branco di persone che condividevano dei legami solidi e calorosi come possono essere solo quelli fra adolescenti che frequentano tutti la stessa scuola, qualcosa che Derek non sarebbe mai stato in grado di dargli, e quindi anche se non si parlavano più Derek era tutto sommato felice per lui e contento che in qualche modo il Morso lo aiutasse a fare parte di qualcosa e a non essere più solo contro il mondo come quando suo padre era ancora vivo e lo maltrattava.

Scott un paio di sere era venuto a parlare con lui per aggiornarlo brevemente sulla situazione a Beacon Hills prima e dopo la visita indesiderata della congrega. Prima della visita, i gemelli aiutavano Scott e il branco di propria spontanea volontà solo quando percepivano che il branco da solo non ce l’avrebbe fatta ad affrontare l’ennesima minaccia arrivata in città perché attratta dal Nemeton, ma per il resto i due non avevano socializzato con loro e conducevano delle vite separate dalle loro e abbastanza quiete: a quanto sembrava volevano essere dei teenagers normali e li aiutavano soltanto quando qualcosa di troppo grosso e pericoloso stesse per distruggere il bozzolo di tranquillità e normalità apparente che avevano costruito intorno a sé stessi.

A Scott era andata bene questa sorta di compromesso: Scott e gli altri erano un branco e i gemelli erano degli alpha che stavano per i fatti propri e non s’impicciavano di niente; i due gruppetti convivevano in modo pacifico. L’arrivo della congrega e il rapimento di Aiden però avevano cambiato alcune dinamiche fra di loro, rendendole più elastiche e meno rigide, soprattutto perché in genere Ethan era un tipo molto protettivo – soprattutto nei confronti del fratello e di tutti quelli a cui si legava in maniera sincera, tipo Danny – e tutta quella faccenda l’aveva scosso e l’aver convissuto a stretto contatto con Isaac e Allison in preda alla paura di un assedio per più giorni l’aveva portato a continuare a essere un po’ protettivo con i due pure dopo, anche se a distanza.

Peter invece non si era mai mostrato interessato a nessuno degli eventi successi dopo l’attivazione del Nemeton, almeno all’apparenza; si era limitato a osservare tutto con occhio critico e armato di una parlantina sarcastica, mostrandosi parco di commenti e suggerimenti le volte in cui il branco in alto mare gli aveva chiesto se mai gli Hale in passato avessero affrontato lo stesso tipo di creature che in quel determinato momento li stava affliggendo. Durante l’estenuante prova del labirinto lui e Scott non avevano appianato alcuna discussione, più che altro si eri detti a voce alta tutto quello che pensavano l’uno dell’altro – cose non molto belle, ma quello era scontato – e forse l’essersi finalmente ben chiariti li aveva aiutati a rapportarsi in maniera più sana e comunicativa: Scott adesso capiva meglio quali erano di volta in volta le vere intenzioni di Peter e il suo sottile doppiogioco, sapeva leggere meglio fra le righe, e quindi l’affrontava in modo diretto senza uscite spettacolari e perdite di tempo. Per il resto, Scott sarebbe stato sempre troppo onesto per i gusti di Peter, e Peter troppo infido per i gusti di Scott, ma andava bene così, tanto era palese che non sarebbero mai diventati amiconi – e comunque neanche Derek avrebbe mai voluto un amico come Peter: era stato già restio ad averlo accanto da ragazzino e aveva detestato vederlo spesso a scuola, figuriamoci ora che erano degli adulti.

Derek disse a Scott di sentirsi libero di chiedere il suo aiuto per tutta la sua temporanea permanenza a Beacon Hills, durante la quale lui e Cora sarebbero stati più o meno una specie di ospiti del branco.

Derek non aveva cercato di contattare Stiles, non lo vedeva da quando si erano incontrati alla clinica veterinaria, e d’altro canto neanche Stiles aveva cercato di parlare con lui.

Derek stava cercando di dargli spazio, soprattutto perché sapeva che Stiles non era il tipo da mandarle a dire e che parlava pure troppo, quindi pensava che se finora Stiles non l’aveva neanche chiamato era perché non se la sentiva, non era pronto. Cora però incontrava Stiles quasi tutti i giorni e aveva riferito a suo fratello che anche Stiles pensava che Derek non fosse ancora pronto e che non lo stava contattando per primo per questo, e che quindi erano due idioti.

Peter aveva commentato il tutto brontolando qualcosa da dietro un grosso e vecchio libro rilegato in pelle scura che stava leggendo. «Dovete parlarvi, Derek: in sogno le vostre vite saranno in qualche modo intersecate, quindi dovete cercare il più possibile di confrontarvi per accumulare dettagli su dettagli comuni che vi ancorino alla vita vera. Essere in due a sognare le stesse cose, anche se da punti di vista diversi, vi aiuterà a tenervi stretto il senso della realtà».

La verità per Derek era che ciò implicava sostenere delle lunghe conversazioni intime con una persona che non faceva parte del suo branco e Derek non era più abituato a questo: non lo faceva da quando era un ragazzino. Jennifer era stata una sorta di oasi protetta prima di rivelarsi un darach, e lui l’aveva mantenuta lontana da possibili confessioni oscure e contorte, il che era stato maledettamente ironico viste le conseguenze.

Era pronto a condividere il suo passato con Stiles? No, perché più in generale Derek non era pronto a condividerlo con nessuno, quindi si ostinava a non chiamare Stiles.

Intanto erano passate quasi due settimane e i mal di testa mattutini si erano fatti sempre più lievi, segno che la maledizione stesse finendo di raccogliere tutti i dati – i ricordi – necessari per la creazione di un mondo alternativo, e che fra non molto il gioco avrebbe avuto inizio.

Non che Derek stesse trattenendo il fiato per l’emozione perché non vedesse l’ora che tutto cominciasse.

La notte fra il quindicesimo e il sedicesimo giorno successivo all’attivazione della maledizione, Derek andò a letto e la sua vita alternativa ebbe inizio.


 

 

Da che Derek ricordasse, vivere così vicini alla riserva di Beacon Hills per la sua famiglia era sempre stato un vanto e un piacere.

Sua madre era un’agente dell’FBI spesso impegnata con delicati casi di terrorismo, e lei e suo marito avevano costruito quella casa con l’idea di crescere i loro figli in una piccola e quieta cittadina della California, vicino a un ambiente sano e naturale, il più lontano possibile dallo stress delle grandi città e di tutte le brutture del mondo a cui dedicarsi solo al lavoro.

Suo padre era un architetto ed era stato lui stesso a progettare la casa, la cui costruzione era finita quando Derek aveva sei anni e Cora stava per nascere.

Zio Peter era un giovane scapestrato prossimo ai vent’anni sempre alla ricerca di informazioni che gli potessero far guadagnare qualcosa senza muovere un solo dito – o almeno non troppe dita. Viveva con loro e sua madre diceva sempre che le sue morbose abilità investigative e la sua discutibile persistenza e testardaggine l’avrebbero reso prima o poi un paparazzo di dubbia moralità.

Laura, Derek e Cora stavano crescendo abbastanza forti, sicuri e indipendenti: Talia per lavoro non era spesso a casa e loro tre fin da piccoli avevano dovuto stare attenti a nascondere le proprie marachelle e i loro piccoli segreti allo zio per evitare di essere ricattati da lui – "Io non dirò alla mamma che hai rotto il vaso con il pallone, e tu non dirai alla mamma che anche ieri notte non ho dormito a casa" – erano quindi sempre certi su cosa volere e la madre aveva insegnato loro svariate tattiche di autodifesa – temeva sempre che qualcuno potesse aggredirli per minacciarla per via del suo lavoro – e trasmesso loro anche i valori degli sport a squadre.

Al liceo Derek in poco tempo era diventato uno dei migliori giocatori della squadra di basket maschile, mentre Laura si dilettava con la pallavolo e ciò le stava facendo guadagnare molte offerte da parte di talent scout di svariati college statunitensi – ormai doveva solo scegliere quale college frequentare.

Derek aveva quindici anni e una vita normale che comprendeva una famiglia sana ma un po’ impicciona, la passione per il basket e i propri amici e compagni di squadra.

Non aveva ancora una ragazza, ma ehi, ci stava lavorando! O almeno era quello che diceva agli altri della sua cricca che l’accusavano sempre di non sapersi tenere una ragazza dopo la prima pomiciata.

Derek non aveva problemi ad attirare tutte le ragazze che voleva, perché aveva tutto il necessario per farlo: era uno sportivo, l’asso della sua squadra, un tipo popolare e di certo mica brutto; il problema stava nel parlare con una ragazza dopo la prima pomiciata avvenuta nel sottoscala da ubriachi durante una festa. Rimorchiare gli riusciva bene, ma dopo essere arrivati al punto… non sapeva dire se fosse sempre la ragazza di turno a essere noiosa o se fossero gli appuntamenti a due a essere noiosi in generale, ma tutto ogni volta scivolava presto nel piattismo più assoluto: non sapeva più che dire e la storia finiva lì, non c’era mai un secondo appuntamento.

Visto il modo in cui cambiava spesso ragazza, per gli altri della scuola lui era un rubacuori dall’aria malandrina, mentre per i suoi amici che sapevano la verità era solo un enorme sfigato.

Poi tutto cambiò quando incontrò lei.

Paige.

Lei era totalmente immune alla sua popolarità da giocatore di basket, i suoi sorrisi da ruffiano non la influenzavano affatto e ogni occasione era buona per dargli poco sottilmente dello zoticone.

Laura diceva che il fatto che secondo Paige lui fosse un poco di buono impegnato ad avere una ragazza dopo l’altra rendeva la situazione ancora più disastrosa in modo adorabile, ma Derek non poteva non fissarsi su una ragazza così cocciuta da ribattergli sempre a tono dandogli l’occasione di non annoiarsi mai e soprattutto di non stancarsi mai di starle attorno.

«Prima o poi ti infilerà l’archetto del suo violoncello su per il culo» gli dicevano gli amici, quando non gli ricordavano che «Occhio che suo padre è il vice sceriffo, non metterti nei guai!» ma Derek non arretrava di un passo e andava sempre a punzecchiarla quando lei si esercitava a suonare da sola.

Quando finalmente Paige si arrese a concedergli un appuntamento, Derek fu ancora più sorpreso e felice di vedere come lei riuscisse a tenergli testa e a stuzzicarlo a propria volta anche dopo: ci fu un secondo appuntamento e da lì a poco la loro relazione ebbe inizio.

Peter amava sostenere che suo nipote avesse sempre un’espressione da ebete strafatto quando andava ad assistere ai saggi di Paige, ma Laura gli ribatteva che piuttosto lui doveva smetterla di pedinare Derek e Paige per trovare nuovo materiale per i suoi ricatti, o prima poi un’altra coppietta nelle vicinanze l’avrebbe scambiato per maniaco picchiandolo a morte – e nessuno degli Hale sarebbe corso a salvarlo.

Dopo molte insistenze, Paige andò perfino ad assistere a una sua partita di basket; certo, lei restò un po’ in disparte da tutti gli altri che facevano il tifo per lui e la loro scuola, ma il punto è che lei andò a vederlo e gli sorrise dagli spalti.

Paige era tutto quello che un ragazzino quindicenne come lui potesse desiderare, e insieme erano entrambi felici.

Lei era qualche mese più vecchia di lui e quando compì sedici anni sua madre – la proprietaria della lavanderia cittadina – le regalò un vecchio maggiolino di seconda mano azzurro.

Paige mise le mani sul volante con aria soddisfatta. «È pratico e compatto»

«Non è vero che è pratico» protestò Derek incrociando le braccia al petto, «il tuo violoncello ci entra a stento!»

«Tanto ci devo portare solo quello e la borsa per la scuola» ribatté lei con aria di sfida, «cos’altro vorresti che io ci facessi qui dentro?»

«Non esattamente quello che stai pensando, cioè» si corresse, «anche, però…» Lei gli rivolse un’occhiataccia. «Andiamo, Paige!» si lamentò.

«Derek, mio padre è il vice sceriffo: non possiamo appostarci in macchina nella riserva, vuoi per caso essere la prossima coppia che beccherà a compiere atti osceni in luogo pubblico in auto? Né io né mio padre abbiamo bisogno di questo, e credo che neanche tu ne abbia bisogno se mai volessi venire a cena da noi nelle prossime settimane».

«Per i miei sedici anni mi comprerò un’auto migliore» mugugnò Derek, non sapendo come altro ribattere.

Lei inarcò un sopracciglio con espressione ironica. «Magari una macchina sportiva ma austera che si addica alla tua aria da atleta spezza cuori popolare e dannato?»

Derek roteò gli occhi. «Credevo avessimo superato questa fase».

Paige schioccò la lingua e scosse piano la testa. «Prenderti in giro per la tua presunta reputazione per me non sarà mai qualcosa di vecchio».

Erano davanti alla casa di Paige, seduti dentro al maggiolino ma con gli sportelli aperti; la porta d’ingresso dell’abitazione si spalancò di colpo e un bambino dai capelli castani che gli coprivano quasi gli occhi e una maglietta un po’ troppo grande per lui uscì andando di corsa verso di loro.

«Paige, Paige! Portami a mangiare hamburger e patatine!» strepitò il piccolo battendo una mano sulla carrozzeria, accanto allo sportello di lei.

Paige sospirò stanca. «Stiles, ti sei sfondato di patatine fritte giusto ieri, non puoi mangiarle anche oggi!»

«Ma mi avevi promesso che ci saremmo andati insieme non appena fosse arrivata l’auto!» protestò lui. «Avevi detto che sarebbe stata la nostra prima uscita insieme da soli

Lei ponderò il da farsi tamburellando le dita sul volante. «Magari un gelato? O un frappé?»

«No» scosse la testa risoluto. «PATATINE FRITTE!»

«Facciamo un frappé oggi e delle patatine fritte nel fine settimana?»

Il bambino storse le labbra ma poi annuì, anche se poco convinto; Paige sorrise e gli scompigliò affettuosamente i capelli. «Lui è Derek!» lo presentò, prima che Derek scendesse dall’auto per far salire il piccolo.

Derek gli raggiunse raggirando il maggiolino e gli sorrise anche lui. «E così tu sei il fratellino di Paige».

Stiles gli rivolse un’occhiata critica da dietro il ciuffo che quasi gli copriva la visuale. «E quindi tu saresti il famoso ragazzo di mia sorella?» gli ribatté come se in realtà gli stesse dicendo "Per te niente frappé".

«Stiles» sospirò Paige, riprendendolo, «non essere scortese».

Ma il fratello le replicò sullo stesso tono arrampicandosi su di lei per andare a sedersi sul sedile passeggero. «Ma ho detto solo la verità!»

«Ma il tono era scortese».

«Tu hai sempre un tono scortese!» sottolineò Stiles, provando ad allacciarsi la cintura di sicurezza ma fallendo: s’ingarbugliò la cinghia attorno a un braccio; la sorella l’aiutò.

Derek assisté al battibecco sogghignando: in fondo era cotto di Paige anche per il suo perenne tono sarcastico.

«Non è la stessa cosa» disse infine lei a Stiles dandogli un debole scappellotto.

Derek chiuse lo sportello per lei poi si chinò a guardare entrambe gli Stilinski dentro l’abitacolo. «Ti chiamo stasera?» domandò a Paige.

«Sì» gli rispose ostentando con ironia l’aria di una che stesse faticando a concedergli un enorme favore.

Derek sbuffò una risata e si protrasse oltre il finestrino abbassato per scoccarle un piccolo e casto bacio sulla fronte, a cui lei replicò con una smorfia arricciando il naso e storcendo la bocca.

Poi Derek si rivolse al bambino. «Ciao, Stiles!»

Lui lo ricambiò agitando la mano come se stesse scacciando una mosca molesta. «Ciao-ciao, Derek» "Fammi andare a prendere un frappé con mia sorella!" sembrò dire.

Derek scosse la testa sorridendo e si allontanò dal maggiolino per permettere a Paige di fare manovra. Con le mani in tasca, guardò l’auto allontanarsi fino a quando non fu troppo lontana per distinguerla ancora.

Quando un giorno anche lui avrebbe avuto un’auto, forse avrebbe potuto comprarsi la complicità di Stiles portandolo a mangiare delle patatine fritte: magari l’avrebbe aiutato a fare delle sorprese alla sorella. O magari l’avrebbe convinto a tacere se mai avrebbe sorpreso lui e Paige a fare sesso in camera di lei – forse Peter lo stava influenzando troppo, e ciò era un male.

Derek sorrise di nuovo mordicchiandosi un labbro e si avviò a piedi verso casa propria.

 


 

Si svegliò di colpo col fiato corto riaprendo gli occhi sulla realtà.

Nella sua vita alternativa era umano e Paige era la sorella maggiore di Stiles.


 

 

"Musing through memories,

Losing my grip in the grey.

Numbing the senses,

I feel you slipping away.

Fighting to hold on,

Clinging to just one more day

Love turns to ashes,

With all that I wish could say"

Still here– Digital Daggers @ YouTube

   
 
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