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Autore: AnAngelFallenFromGrace    16/05/2008    3 recensioni
Cosa succede quando il passato torna all'improvviso a ribussare alla tua porta? Quando meno te lo aspetti, quando la vita sembra aver perso il suo significato e ogni giorno appare più triste e difficile del precedente. E' proprio allora che qualcosa accade e finalmente si ritorna a vivere. Per chi ancora crede che il primo amore non si scorda mai. Per chi è convinto che siano solo sciocchezze, ma ogni tanto ci pensa ancora. Per chi non crede nell'amore, ma che forse un giorno cambierà idea.
Cos'è successo a Ville poco prima di conoscere la sua Elisa, protagonista di 'Lost in your eyes'? Fic appena antecedente all'altra, con la quale svillupperà un legame^^
Dedicata a tutte le Angels e in particolare a Puz, che ha contribuito al partorimento su efp e senza la cui pazienza e infinità abilità mors sarebbe perduta. Grazie *.*
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ch 1

Chapter 1

 

Mi avvicinai alla reception  e attesi. Il concièrge mi ignorò spudoratamente e fece finta di leggere qualcosa sullo schermo di un grande computer. Mi appoggiai sbuffando al banco, ticchettando nervosamente le dita sul piano di marmo, ma senza sortire alcun effetto. Odiavo quell’uomo. La sua collega, una ragazza di circa trentacinque anni, che tra l’altro conosceva la mia band, era molto più simpatica e mi rivolgevo sempre a lei. Ma sfortunatamente in quel momento lei non c’era.

 
Giunse allora una donna di mezza età che indossava una pelliccia di visone ed aveva letteralmente fatto il bagno in una vasca piena di un profumo asfissiante che non fece altro che aumentare il mio mal di testa  e mi provocò un moto di nausea.
La signora non fece in tempo ad allungare una tozza mano coperta di anelli verso il signor Norton, come recitava l’etichetta appuntata sull’uniforme, che le fu subito vicino, con un sorriso stampato in faccia.
 
“Stanza numero 412”gorgogliò la donna.
“Ecco a lei e buona notte” le augurò porgendole la chiave.
Guardai allibito la scena e non appena sua altezza si fu allontanata senza nemmeno ringraziare, richiamai l’ attenzione del concièrge: “Mi scusi!”
L’ uomo si voltò finalmente verso di me e con voce untuosa domandò: “Si?”
Gli chiesi la chiave della mia camera.
Continuò a squadrarmi con disprezzo: “Il suo nome prego”
Cosa? Chissà quante volte mi aveva visto!
“Valo” lo guardai dritto negli occhi, con aria di sfida.
 
Consultò il computer per qualche istante, poi risollevò gli occhi dal monitor, le labbra nuovamente incurvate in un sorriso, ma questa volta pieno di malignità.
“Sono spiacente, ma quella camera è assegnata ad un’altra persona.”
“Sta scherzando vero? Quella è la mia camera!” ribattei, mentre percepivo gli ultimi granelli della mia già provata pazienza volar via e dissolversi nel nulla, e l’irritazione trasformarsi in rabbia.
“Io non scherzò mai signore” sibilò, senza un battito di ciglia.
Sebbene fosse molto difficile pensare in quelle condizioni, d’un tratto mi accorsi di quanto fossi stato stupido: ma certo! L’agenzia aveva fatto la prenotazione con un nome fittizio.
Era…era…
Oh cazzo, lo avevo completamente scordato.
 
Quando riaprii gli occhi mi ritrovai davanti ancora la faccia schifata e scocciata del calvo consièrge.
Sospirai: “L’ospite della stanza sono io. La mia agenzia ha prenotato con un altro nome, per evitare che fossi rintracciato da paparazzi o fan maniaci, perché sono il leader di un’importante band finnica”
“Oh, è sicuramente una storia molto avvincente” riprese lui, con calma studiata “Ma senza quel nome non sono autorizzato a consegnarle nessuna chiave. A meno che lei non voglia prendere una camera”
“Ma io ho già una camera!” sbottai poco elegantemente “E lei mi ha già visto un sacco di volte in questo hotel! La sua collega mi conosce. Può chiedere a lei se vuole”
Davanti al suo sguardo impassibile non riuscii più a trattenermi e sbattei una mano sul banco della reception: “Oh insomma! Sono stanco e fradicio. Voglio soltanto andare a farmi una doccia e mettermi a letto!” iniziai a gridare.
 
“Mi vedo costretto a chiederle di controllarsi e abbassare il tono della voce, se non vuole che chiami la sicurezza” mi sputò in faccia le parole come veleno.
Mi allontanai dal banco, stringendo i pugni.
Quell’odioso, orribile essere frustrato. Certo con quella faccia e quella palla da biliardo al posto del cranio nessuna donna doveva essere molto desiderosa di approfondire la conoscenza…
Già immaginavo le mie mani intorno al suo collo e quel volto da cartone animato straziato dal dolore, quando, all’improvviso, un’illuminazione: non so come il criceto nella mia testa aveva alla fine deciso di oliare la sua ruota e farla ricominciare a girare (ndLamapozXD).
 
Iniziai a ridacchiare come un idiota e non mi sarei meravigliato se qualcuno, vedendomi, avesse chiamato l’ospedale psichiatrico.
Mi riaccostai alla reception, sfoderando il mio miglior sorriso.
“Ho appena” pronunciai ogni sillaba con entusiasta lentezza “ricordato quel nome. E’ Gargamella, non è vero?”
Notai con piacere il suo volto rabbuiarsi, mentre di malavoglia mi passava la famosa chiave.
“Molto gentile da parte sua. E grazie per avermi aiutato a ricordare” dissi con ironia, prima di avviarmi agli ascensori, sempre accompagnato da uno sguardo non proprio amichevole.
Fortunatamente quella terribile serata stava per terminare. Non che avessi grandi speranze per il giorno successivo…
 
“Oh cavolo!” proruppe una voce, mentre aspettavo l’ascensore.
Mi voltai curioso, e mi ritrovai ad osservare uno spettacolo alquanto divertente: una donna era inginocchiata presso i divanetti celesti della hall e continuava a muoversi a carponi, alla disperata ricerca di qualcosa.
Non poteva scorgerla in viso, dato che era di spalle, ma aveva lunghi capelli castani, dai riflessi quasi cremisi e gambe sottili, fasciate in collant caffè, scoperte più del dovuto sotto all’elegante tailleur a causa della posizione non troppo ortodossa.
Un altro ospite dell’hotel le chiese cosa fosse successo, e non appena questa borbottò, con la testa quasi sotto uno dei divani, che aveva perso il suo anello, subito si offrì di aiutarla.
Da parte mia, preferivo di gran lunga restare a guardare da quella posizione.
 
Volle il caso che, girando appena la testa, vidi qualcosa luccicare presso il vaso di una pianta finta, a pochi passi da me; doveva trattarsi del povero anello: certo aveva fatto un bel volo!
Proprio in quel momento si aprirono alle mie spalle le porte dell’ascensore: una parte di me, una parte maligna ma piuttosto consistente, fu assai tentato di salire su quell’ascensore e lasciare la povera sfigata alla sua disperata ricerca.
Ma forse una buona azione poteva aiutare il mio fottutissimo karma.
 
Feci quindi dietro-front e mi chinai per raccogliere l’oggetto che si rivelò essere effettivamente un anello d’argento.
Non appena lo ebbi fra le mani un brivido percorse la mia spina dorsale. Lo esaminai più da vicino, scoprendo l’incisione fatta dalla mano inesperta di un giovane innamorato, che riportava due lettere, ombra tremante sulla superficie argentea: una T e una V.
Mi resi conto che quel piccolo oggetto non mi era affatto sconosciuto e, mentre il passato mi travolgeva con la potenza di un meteorite, togliendomi il fiato, ebbi il timore che il mio cuore non avrebbe retto il colpo.
Appurato il fatto che, non so bene come, ero ancora vivo, mi diressi con passo insicuro e la testa che girava (e questa volta non a causa dell’alcol) verso la ragazza che nel frattempo si era alzata, arresa o decisa cambiare luogo di ricerca.
Non era lei. Non poteva essere lei.
Eppure…
 
Recuperai la voce dal fondo di un pozzo, prima di biascicare incerto: “Tarja?”
Vidi il suo corpo irrigidirsi tutto: rimase immobile per quelle che mi parvero ore, per poi voltarsi lentamente e posare su di me i grandi e famigliari occhi nocciola, nei quali potevo leggere un incredibile stupore.
“Ville” balbettò, facendo un passo indietro, uno soltanto, trovandosi la strada bloccata dal divano.
Stava tentando di scappare. Perché voleva fuggire da me?
Avrei voluto chiederglielo, ma la mia bocca sembrava aver perso ogni facoltà di parlare.
Come un automa sollevai il braccio e davanti al suo naso aprii la mano, mostrandole l’anello.
“Grazie” mormorò, prendendo velocemente l’anello: ma nonostante il contatto fosse stato così rapido e quasi impercettibile, fu come se una scossa elettrica mi avesse attraversato.
 
Rimasi a fissarla come un idiota, ricercando nei suoi tratti la ragazza che tanto tempo prima aveva stregato il mio cuore: ma la donna che mi stava di fronte era così diversa, così adulta: i lineamenti erano più duri, il suo viso più altero, i suoi capelli non erano più fili dorati. Era diversa, ma sempre bellissima, e quegli occhi, oh quegli occhi erano sempre gli stessi, in grado di togliermi il respiro ad un solo battito di ciglia.
“Come stai?” fu tutto quello che riuscii ad elaborare. Una domanda originale e profonda, eh?
“Bene” rispose senza alcuna intonazione nella voce, piatta “E tu?”
Oh beh, direi uno schifo, con un piede nella fossa.
“Bene” Keep on pretending Ville.
E di nuovo il silenzio calò su di noi.
 
Ci sarebbe stato così tanto da dire, eppure la mia testa era come vuota.
“Vivi qui?” ed ecco parte la fiera delle domande intelligenti. Dato che non rispose subito, puntualizzai: “Cioè, non intendo nell’hotel, ma qui, a Seattle. Anche se probabilmente se stai in un albergo significa che non vivi qui. O forse vivi qui davvero…o potresti essere venuta a trovare qualcuno…” Vi prego, fermatemi! Cazzo Ville, hai perso completamente il cervello.
Tarja non riuscì a trattenere un piccolo, fugace sorriso: per un secondo riapparve sulla sua guancia quella fossetta che tanto amavo.
Ma ritornò subito seria: “No, vivo a Sacramento. Sono qui…” sembrò cercare le parole adatte “per motivi di lavoro” concluse infine, ma sembrava poco convinta lei stessa della proprio affermazione.
“Ah”
 
Abbassai lo sguardo, notando le sue mani attorcigliarsi nervosamente una sull’altra. Non appena si accorse della meta dei miei occhi le lasciò ricadere compostamente lungo i fianchi.
“Mi ha fatto piacere rivederti, ma ora devo proprio andare” mormorò, scusandosi e iniziando a muovere qualche passo.
Andare?
“Addio Ville”
E senza emettere un suono la guardai allontanarsi verso l’uscita.
 
‘Addio’. La parola vagò nella mia testa mentre, ancora gocciolante, restavo immobile sotto lo sguardo curioso degli altri ospiti.
Addio? Come addio? La consapevolezza di ciò che era appena successo  mi investì di colpo come un treno in corsa.
L’hai lasciata andare, idiota!
Mi misi a correre come un pazzo, sgusciando fuori dall’hotel e quasi investendo il mio allibito amico concièrge.
Mi guardai intorno disperato, sotto la pioggia ancora scrosciante, fin quando non la riconobbi mentre cercava di ripararsi sotto una tettoia.
 
Vedendola lì, tutta tremante e bagnata come un pulcino, con il solo tailleur a proteggerla dal freddo della notte, mi sentii una persona orribile, più di quanto già non lo fossi.
Non appena si accorse che mi stavo avvicinando ricominciò a camminare svelta lungo la via deserta.
“Tarja!” gridai, cercando di sovrastare con la mia voce il rumore incessante della pioggia.
 Si fermò, serrando i pugni. La raggiunsi e, non appena la fronteggiai, mormorò a denti stretti: “Non chiamarmi così”
La guardai senza capire. Erano soltanto gocce di pioggia quelle che le rigavano il viso?
“Quello non è più il mio nome.” spiegò “Il mio nome è Meredith adesso”
“Meredith…” pronunciai, sebbene lo trovassi così strano. “Ti prego, non fuggire. Voglio parlare un po’. E’ passato così tanto tempo e…” allungai una mano, seguendo l’irresistibile impulso di sfiorarle i capelli.
Ma lei si ritrasse, scuotendo la testa: “Non c’è niente da dire. Ormai camminiamo su strade diverse.”
 
“Ma le nostre strade si sono riincrociate. Per la seconda volta, per caso. Non puoi combattere il destino, ricordi?” tentai un mezzo sorriso. Non ottenni risposta.
Ma quanto ero stupido: di certo non ricordava.  Ogni momento era marchiato a fuoco nella mia memoria, ma perché doveva essere così anche per lei?
“Ti prego” la supplicai, guardandola dritto negli occhi, imprigionandola con lo sguardo “Ti prego: parliamo un po’. Prendiamo un caffè, ti va?”
Tarja, o forse dovrei dire Meredith, deglutì, passandosi una mano fra i lunghi capelli bagnati.
Sospirando, fece un piccolo e quasi impercettibile segno di assenso con il capo, prima di essere colta da forti tremori.
Immediatamente mi tolsi il cappotto e, nonostante i suoi fermi tentativi di rifiuto, la convinsi ad indossarlo.
Cercai di prenderla per mano, ma lei accelerò il passo, scostandosi da me.
 
Faceva male, ma cosa diavolo pretendevo?
Proseguimmo in silenzio, quasi uno in fila all’altro, fino alla prima tavola calda.
 
 
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Ecco qui il nuovo capitolo^^ Oggi faccio veramente presto perché devo andare a studiare filosofia, perché naturalmente mi hanno estratto per essere interrogata domani *sigh*
 Un grazie gigantesco a chi ha letto e soprattutto commentato!

@Lithi: sono contenta che ti abbia incuriosito^^ Spero anche questo capitolo ti piacciuaaa cara! Bene, allora non sono l’unica che cu crede ancora xD A presto!!
 
@Ale: Ehm si xD Mors è infinitamente pigra xD Ma grazie a Puz e anche a Lampoz eccola qui! Mi fa troppo strano avere i capitoli pronti xD anche se è troppo noioso ricopiareee! Fammi saper cosa ne penzi di questo^^ Suukko
 
@Lampz: Ma come divertenti? xD Povero Villeeeeeeeeeee xD LAmps sei la mejo! Ecco qui! Ho già postato il prossimo pezzus! Si, si, Jonna è odiosissima! Ma tanto se l’è già scordata xD anche io ti amooo lamps! Ora mors però va a studiare xD
 
Allora a presto!!
Un abbraccio
La Vostra
FallenAngel Aka Mors
  
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