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Autore: Hermione Weasley    16/05/2008    1 recensioni
Gli avevano detto, una volta, che l'odio non è altro che amore congelato.
[Sylar/Maya] [Spoilers: fino a 2x10]
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sylar
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Allora, questo è un altro sclero fanfictioniano che è venuto fuori mentre viaggiavo allegramente per communities di fanfictions. Sono incappata in questo bellissimo prompt e .. bè, non ho potuto fare a meno di pensare a loro. Quindi, ho fregato il prompt (spero che il furto di prompt non sia contemplato nel nostro Codice Penale) e sono andata alla ricerca della citazione e ho scoperto che è il titolo di una raccolta di Cesare Pavese (come sono ignorante). Quindi, colta da spassionato amore per tale omino (che ho imparato ad apprezzare dopo anni di quello che potrei tranquillamente definire odio), mi sono spulciata le poesie che ne fanno parte. Quei sei versi qui citati sono proprio presi da una poesie di questa raccolta, esattamente quella datata 15 Novembre 1945.
Bene, dopo la pappardella esplicativa, direi che posso anche chetarmi. E no, non posso proprio smettere di scrivere di questi due, mi dispiace.
Grazie a Eli che l'ha letta in anteprima :)


Verrà la Morte e Avrà i Tuoi Occhi.

Ogni volta rivivi

come una cosa antica

e selvaggia, che il cuore

già sapeva e si serra.


Ogni volta è uno strappo,

ogni volta è la morte.


Cesare Pavese




Quando aveva deciso di uccidere Gabriel, aveva creduto di averlo fatto per sempre.
Gli era bastato macchiarsi le mani di sangue, sporcarsele per sempre, per soffocare quella parte di sé che trovava ridicola, quasi ripugnante.
Una parte fin troppo debole per essere considerata.

Le cose erano cambiate rapidamente, senza dargli realmente il tempo di assimilare e metabolizzare la cosa.

Mentre Sylar prendeva il sopravvento, Gabriel sprofondava sotto montagne di cadaveri che si accumulavano senza sosta.
Teste scoperchiate, di cui era ancora convinto di poter sentire il fetore.

Si era completamente dimenticato di Gabriel. L'innocuo Gabriel Grey che riparava orologi e faceva visita a sua madre ogni domenica, nella snervante attesa che qualcuno arrivasse a bussare alla sua porta, con un gran sorriso sulla faccia e la promessa di un avvenire unico e speciale. Qualcosa (o qualcuno) che potesse trascinarlo via dal grigiume ticchettante della sua routine quotidiana.

Ed era sotto quella coltre di sangue raggrumato e crani spaccati in due, che Gabriel aveva pazientemente aspettato.
Inconsapevolmente, era rimasto lì, in silenzio. Era l'accelerarsi del battito cardiaco, o il sentirsi improvvisamente mancare il respiro, la fitta gelida al petto che preannunciava un fallimento, a ricordare a Sylar che Gabriel era proprio lì.
Ancora. Dov'era sempre stato e da dove, bene o male, non sarebbe mai stato in grado di sradicarlo totalmente.

Fissava il buio della notte dalla finestra spalancata.
Il cielo era scuro e spento. Non una stella interrompeva quella massa d'oscurità informe, non un rumore ad infrangere quello snervante silenzio.
Perché era nel silenzio che la voce di Gabriel riusciva a diventare più assordante.

Non risultava difficile, in quel momento, rendersi conto che qualcosa non andava.
Il respiro di Maya accompagnava il suo, in un lento salire e scendere, come di una ninna nanna cantata sottovoce ad un bambino che non riesce a dormire.

Le aveva detto che avrebbe dormito per terra. Che non ci sarebbero stati problemi: l'unica cosa che gli premeva portare a termine era la riconquista dei suoi poteri. Non gli interessava come avrebbe dovuto conseguirla, l'importante era riappropriarsene una volta per tutte. Riprendersi ciò che di più prezioso aveva al mondo, il suo marchio distintivo, la coccarda di merito orgogliosamente appuntata al petto.

Ma dopo essere rimasto disteso a terra, con il fastidioso odore di moquette e detersivo ad invadergli le narici, si eran semplicemente rimesso in piedi. Il pensiero di quell'imminente riconquista sembrava troppo poco per una notte intera. Era abituato a trascorrere le notti in silenzio, nel dormiveglia, perso nei suoi pensieri, nelle sue follie, pianificando minuziosamente l'azione del giorno successivo, il modo per arrivare a questa o a quella persona, o di impadronirsi della preziosissima lista del dottor Suresh.

Ma in quel momento, c'era il respiro di Maya a mescolarsi ai suoi pensieri.

E gli sembrava di star commettendo peccato. Iniziava a sentirsi sporco e fuori luogo.

Era un attimo.

Un solo, stupidissimo attimo, prima che il desiderio di potere non tornasse a prevalere su qualsiasi altra cosa.

Un attimo, e la sensazione che aveva provato stringendola a sé in riva al lago, prorompeva senza alcun motivo. Gli sembrava quasi di poter sentire di nuovo il suo cuore battere di una nuova esaltante eccitazione, mentre scopriva di poter controllare quell'orrendo potere demoniaco con cui Dio l'aveva punita - punita per qualcosa che non aveva commesso.
Si era fatto stringere a sua volta, e gli era sembrato totalmente naturale e sensato, almeno fino a quando non l'aveva lasciata andare, e il contatto si era sciolto definitivamente.

Aveva realizzato di non aver mai abbracciato così qualcuno che non fosse stata sua madre - sua madre, che ora era morta, per una tragica fatalità di cui - a volte - si sentiva disperatamente responsabile.
Non ci volle poi molto, perché sentisse un estraneo calore al petto, che sembrava alimentato dalla luce negli occhi di Maya, e da quel sorriso che le tendeva il volto in quell'espressione infantile che più e più volte aveva considerato stupida.

Quel calore era Gabriel. Gabriel che era rimasto là dentro, nel suo cuore riempito d'odio e incomprensione.

Gli avevano detto, una volta, che l'odio non è altro che amore congelato.
Ma mai - mai - aveva temuto che qualcosa arrivasse a sciogliere quel ghiaccio, e a renderlo definitivamente libero, come mai era stato.

Sylar si stava approfittando di Maya. Non era cattiveria, ma solo puro egoismo quello che lo animava. Era soltanto un mezzo. Lo strumento di cui aveva bisogno per riparare se stesso.

E mentre tentava di sistemare gli ingranaggi, i pezzi, e cercava di tornare a far funzionare quel meccanismo così sofisticato, non si era reso conto di non aver fatto altro che confonderli sempre di più, di averli rimescolati, e rimontati nell'ordine e nel posto sbagliati.

Il tichettio non era chiaro. Non era pulito.
Era sordo e distorto.
Insopportabile.

Nel bel mezzo della notte, lo spasmodico desiderio di sentire di nuovo quel calore l'aveva colto di sorpresa, totalmente spiazzato.
Gli c'era voluta una gran forza di volontà per non avvicinarla, là, sul letto, sopra il materasso, per stringerla a sé e sperare disperatamente di provare ancora la sensazione del ghiaccio che si scioglie... per un misero istante.

Si era imposto di restare fermo, concedendosi solo il lusso di restare ad osservarla.
Maya era qualcosa che poteva guardare, ma non toccare.
E non per chissà quale profondità o nobiltà d'animo, ma solo perché sapeva che - altrimenti - si sarebbe scottato. Era perfettamente cosciente del fatto che, a lungo andare, quella fiamma che scioglieva il freddo avrebbe finito per inghiottirlo e arderlo vivo.
Se fosse successo, Gabriel avrebbe ripreso il sopravvento.
Avrebbe finito per schiacciare Sylar, forse per sempre.

Non era qualcosa che poteva concepire. Tutto ciò per cui aveva lavorato... perduto.
Semplicemente fuori discussione.
Un brivido di freddo improvviso sembrava coglierlo, ogni qual volta quel pensiero finiva per prendere forma nella sua testa.

Gabriel gli faceva paura. Forse più di quanta Sylar riusciva a fargli a sua volta.
Lui era il calcolatore, Gabriel era istintivo ma anche più subdolo (a suo modo) e pericoloso.

E allo stesso modo, Maya finiva per attrarlo e schifarlo allo stesso tempo.
Era un'arma a doppio taglio che non poteva esimersi dall'utilizzare - pena la sconfitta, il fallimento.

Aveva già detto ad Alejandro (e a se stesso almeno un miliardo di volte) come quella storia sarebbe andata a finire se non fosse stato in grado di riprendersi tutti i suoi poteri. Avrebbe ucciso lui, e si sarebbe consolato con lei - avrebbe potuto manipolarla, piegarla al suo volere, spingerla ad utilizzare il suo dono per scopi devastanti. Li avrebbe uccisi tutti, uno ad uno.

Così bella, così letale.

E se invece tutto fosse andato per il verso sperato, li avrebbe tolti di mezzo entrambi.
Sapeva che avrebbe finito per uccidere pure lei.
L'eventualità di non poter riavere i suoi poteri lo disgustava e terrorizzava come non mai, e raramente riusciva a prenderla in seria considerazione.

Si voltò verso il letto sul quale ancora dormiva profondamente, con la lucida consapevolezza di una colpa che già pendeva sulla sua testa.
Avrebbe soffocato quel respiro così dolce con le sue stesse mani. Se l'era promesso, e non poteva permettersi alcuna debolezza.

Gabriel ne avrebbe sofferto, e il ricordo di Maya, di quel calore, di quel bacio, non sarebbero scomparsi nel niente assieme a lei.

Gli aveva mostrato sincero affetto e gratitudine.
Sylar poteva facilmente dimenticarlo.
Gabriel no.

Paradossalmente, il terrore di quegli occhi neri pieni di morte l'avrebbero accompagnato per sempre.

Perché sarebbe arrivata anche per lui, quell'ora, e avrebbe avuto il suo volto, le sue labbra, i suoi capelli neri e morbidi... i suoi occhi.

  
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