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Autore: bimbarossa    21/12/2013    1 recensioni
Questa storia ha vinto il secondo posto e il premio Miglior stile nel contest The darkest night.
Due creature inseguite nella notte, un amore che solo nella morte può manifestarsi, mentre esseri malvagi e misteriosi si nascondono nelle ombre dei boschi francesi del Massiccio Centrale. Ma alla fine solo una domanda importa: chi è la preda e chi il cacciatore? E soprattutto da che parte sta il bene, e dove il male?
Genere: Dark, Horror, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Anno 1623. Massiccio Centrale, Francia.




La grande bocca famelica e piena di saliva bianca che è la Luna, è enorme, spalancata come per divorarci tutti.

E le orrende creature sue figlie, altrettanto fameliche e divoratrici di carne che escono alla sua luce pallida e cadaverica, sono appena uscite dalle loro tane, con le loro armi mortali, che non lasciano scampo, crudeli come gli artigli del Demonio.

Li sento ululare, ringhiare spasmodicamente in attesa di poterci sbranare tutti, uno per uno, fino a che di noi non rimanga più niente, lasciando la valle inerme e loro liberi di prendersela interamente.

Quando sono arrivati, alcuni di noi, i più saggi credevano che avremmo potuto convivere in pace, ma io sapevo che quegli essere demoniaci non si accontentano mai, che non smettono mai di prendere, prendere, prendere.

Hanno ucciso centinaia di nostri compagni, divorando e scarnificando le ossa dei miei amici, dei miei parenti.

Della mia famiglia sono rimasto l'unico, non ho più nessuno, eccetto Isabeau.

Lei è la mia sola consolazione, la mia sola speranza, il solo raggio di vita e candore che mi è rimasto, in questa atmosfera lugubre che circonda il villaggio da quando quegli esseri mostruosi sono arrivati per sterminarci.

La notte, nelle notti come queste di plenilunio e con il cielo nero senza neanche una stella ad addolcire la sua estrema grandezza che fa quasi più paura degli animali là fuori, proprio in queste notti avverto la loro presenza intorno a me, attorno al nostro accampamento dove ci siamo rifugiati, i loro occhietti luminosi che brillano al buio come fiaccole imbevute in un veleno che ha la consistenza di fiamme, delle fiamme dell'Inferno, lo stesso che ha generato quegli obbrobri la cui natura malvagia noi combattiamo ogni giorno, ogni notte.

Vorrei poter credere che verranno i soccorsi a salvarci, ma quelli tra i più coraggiosi e valorosi che sono stati scelti per andare a chiedere aiuto, una volta entrati nella foresta oscura a nord non sono più tornati, e temo che siano stati già divorati da un pezzo da quegli esseri.

Ci sono rimaste solo le montagne a est come via d'uscita, altrimenti siamo circondati.

Siamo venuti qui, in questo posto solitario e ameno, per fondare una nuova colonia, per trovare un po' di pace da quella che è la vita in una società complessa come la nostra.

Ora mi rendo conto che saremmo dovuti rimanere con gli altri, ora mi rendo conto della forza che possiede il gruppo,il stare e restare insieme.

Ora mi rendo conto che qualcosa, probabilmente l'intento malvagio del Demonio, ci ha guidato in questa valle maledetta per fare da cibo per i suoi dannati figli, e noi povere prede siamo schiacciate, alla completa mercé di quegli spiriti nelle tenebre, che con le loro zanne retrattili spiano le nostre mosse protetti dall'oscurità del fitto fogliame del bosco a nord.

Ho detto a tutti, specialmente ad Isabeau, che non ci si devono avvicinare neanche di giorno, con la luce del sole che non riesce a penetrare in quel baldacchino vegetale e nero, ma la mia Isabeau è uno spirito libero, a cui piace correre e sentire il vento che la trapassa in ogni suo anfratto, in ogni centimetro della sua pelle bellissima e bianca, come la Luna piena.

Per questo ora, e guardo la Luna tra gl alberi allungando l'orecchio per sentire eventuali rumori sospetti, io e lei siamo qui, in un riparo di fortuna, all'interno e non si sa dove della foresta, mentre loro ci cercano e ci braccano,come la più crudele delle fiere.

Isabeau ha acceso il fuoco, e mi sono subito allarmato. Il freddo entra dentro di me come un coltello lento ed implacabile, ma preferisco questa tortura al fatto che ci trovino così facilmente.

Non ti preoccupare, ci ho messo queste foglie che producono fumo scuro come il cielo notturno, e il bagliore non si vedrà se chiudiamo la grotta con questi cespugli.”

La sento muovere, lavorare lentamente ma con una precisione e un silenzio che la rende una delle più temibili cacciatrici che abbia mai visto.

Suo padre l'ha addestrata bene, d'altronde non l'avrebbe mai fatta venire qui se non fosse stata sufficientemente preparata a sopravvivere a cose che molte femmine, e anche maschi si sognano di poter affrontare.

Ed è anche per questo che l'amo, che l'amo di un amore incandescente, che brucia come quel tizzone grigio-arancio appena staccato dal pezzo di legno che sta bruciando di un fuoco misterico e lugubre, invisibile e caldamente protettivo.

Per un attimo il fatto che forse stiamo per morire mi rende così lucido che devo astrarmi, uscire dal mio corpo e stringere in un abbraccio quel rifugio, stringere in un abbraccio quel fuoco, per poi arrivare a sentire con gli occhi, a sentire con le braccia di un osservatore esterno e che vede tutto dall'alto, la ragazza che si sta scaldando le mani gelate vicino alle fiamme, e farle odorare il mio cuore, a lei che ha un olfatto così sviluppato da percepire l'afrore di quegli esseri a due leghe di distanza; e vorrei che gustasse il sapore dei miei sentimenti, che a volte si arrotolano dentro il mio stomaco come un un groviglio di membra estranee e violente, quasi incontrollabili, filacciose e fibrose come muscolo di manzo, e metalliche come il sangue appena versato, appena lavato.

Mi stupisco di quanto sia carnale, viscerale il rapporto che ho con lei. Vorrei unirmi a lei fino a farle male, a volte di notte mi sento grugnire e dimenare per i pensieri che faccio su di lei, pensieri che solo un animale potrebbe fare. E forse lo sono davvero un animale, non molto dissimile da quelli là fuori, eppure questa consapevolezza, questa vergogna che mi fa bruciare gli occhi di lacrime infuocate non serve, non mi serve a seppellire ciò che provo, quello che mi spinge a seguirla con lo sguardo da quando è apparsa nella valle, quello che mi ha spinto stanotte a seguirla nella sua sconsiderata e avventurosa spedizione qui dentro, in questa trappola vegetale, in questo labirinto da cui so già che non ne usciremo entrambi vivi.

Mi dispiace, non avrei dovuto trascinarti con me. Penserai che sia una pazza, un'avventata e imprudente giovane che non segue i consigli dei più vecchi,” mi guarda con quei suoi occhi verde scuro, così diversi da quelli della nostra gente, e così somiglianti a quelli dei.......no, non è così, lei non ha niente a che fare con quelle creature!

Questi pensieri sanno di bestemmia, un acido che cerca di corrodere il credo che ho fondato su di lei, su di noi.

Nonostante cerchi in tutti i modi di frenare queste colate di eresie che mi affettano il cervello e l'anima, quando invece dovrei essere integro, lucido e intero per proteggere lei e me stesso dalla minaccia incombente, posso solo tuttavia osservarla come non ho mai fatto prima, come non mi sono mai potuto permettere di fare prima. Uno umile come me,con le dita sempre sporche di fango e il puzzo della sporcizia addosso, come potrebbe avvicinarsi ad una come Isabeau?

Lei, con la sua chioma di un colore incredibile, tra il biondo cenere, lunare e un rosso mattone che non ho mai visto in vita mia.

Ma non sono fili normali quelli che scendono lungo il suo collo lungo, muscoloso, da baciare, da succhiare, da mordere fino a sentire i suoi gemiti uscire dalla sua bella bocca così piccola, così rosa, così fallacemente innocua, gemiti che mi sogno di notte e di giorno nel tentativo di bramarla meno, di amarla meno.

Ciocche di quello strano biondo rosso infatti hanno disegni antichi disegnati sopra, di clan misteriosi che risalgono alla notte dei tempi, alle origini di noi tutti. Intrecciati in maniera elaborata, sembrano corde a cui impiccarsi, croci da usare come talismani o da profanare, cuori da aprire con suppliche o da mordere per mangiare, spire e gorghi in cui cadere e morire, finalmente, ma di una morte dolcissima, una morte in cui spero, che anelo, che sarebbe una consolazione in confronto a quella reale, che ci aspetta se usciamo da questa grotta, o se ci trovano prima loro.

Siamo solo in due, e loro hanno capito che la vera forza sta nel numero. Non voglio essere presuntuoso e commettere peccato, ma anche noi li abbiamo rifilato belle batoste a quelle empietà della natura!

Ne abbiamo eliminati parecchi, e Isabeau, ovviamente non nelle spoglie di ragazza per non allarmare e preoccupare suo padre e i nostri compagni, ne ha uccisi a dozzine, in maniera efficiente, pulita, con una grazia e una imperturbabilità che mi fanno fremere di desiderio e di gioia al solo pensiero che una come lei sia al mondo.

Quello che mi domando però è perché mi hai seguito. Insomma, non sei tenuto a farmi da scorta, no? Mio padre mi ha messo una guardia dietro le spalle che farebbe invidia ad un imperatore!”

Prende altri ciocchi piccoli e umidi, in modo che facciano fumo scuro e non rivelatore, poi con un bastoncino spezza un tizzone a forma di ala d'angelo, con le venature più fredde che sembrano piume, che sembrano le sue vene, bluastre e in rilievo per il freddo.

Ho talmente voglia di baciarla, di baciare quelle braccia così strane, così nude, che non so se potrò resistere.

I miei occhi dicono tutto, le replico solo con quelli, poiché sa benissimo che non posso parlare, che non posso urlarle il mio amore, ne a lei ne al vento gelido del nord.

Mi guarda di sottecchi, la sua risposta nel rossore che comincia a invaderle le guance e quelle cose assurde e bellissime che sono gli zigomi.

Frantuma l'ala angelica che diventa una somma di piume grigie e spente.

E' proprio vero, la somma non è sempre uguale al totale. Un insieme sparso di piume non sempre dà un'ala, dà delle ali con cui scappare e fuggire via di qui, in salvo; così come unirsi con qualcuno non sempre significa fondersi con lei così come vorrei fare io in questo momento.

La delusione per un attimo mi gela più del freddo, più della paura delle bestie in agguato; e la vita mi sembra così vuota che andrei là fuori pregandoli di uccidermi lentamente e con sofferenza.

Ma non posso farlo, tradirei la posizione non solo mia ma anche di Isabeau, e anche se lei non ricambia i miei sentimenti, il pensiero del suo corpo smembrato è aberrante.

Così non posso fare altro che starmene accucciato su me stesso, sperando che la notte e le ombre che non sono ombre passino e vengano asciugate, evaporate dalla luce del Sole, insieme alla mia umiliazione e a questo dolore insopportabile.

Vuoi che canti per te?”

Alzo la testa di scatto, questo proprio non me lo aspettavo.

Prima è un mugolio leggero, soffuso, che quasi mi pare di sentirlo, e tendo l'orecchio come prima ho fatto per la più oscura delle minacce.

Ma non sono le voci dell'odio che cerco adesso, sono le parole di Isabeau, che si avvicina, piano, felina, sicura.

Si spoglia di sé, della sua pelle, con strappi che mi fanno sussultare e lacerare il cuore per la sofferenza che le provocano ogni volta che lo fa, e il fatto che ora lo faccia per me mi fa esultare e sprofondare assieme.

Nuda, e questa volta uguale a me, mi scivola sopra affinché io scivoli dentro di lei, e mi sento male, spaccare come quel tizzone che sapeva di paradiso.

Paradiso in terra.

Percepisco il suo affanno, i suoi ansiti che sono alla ricerca dei miei che neanche mi accorgo di emettere; e questi sospiri sono una canto, una canto che non ha parole, perché lei ha rinunciato anche a quelle, un canto che non ha note, che non può essere ascoltato da tutti, restio a rivelare e a rivelarsi come il fumo nero del fuoco sopra e dentro di noi.

E' di una chiarezza fulgida invece per noi due, solo noi che non siamo una semplice somma ma un totale raggiunto a fatica, e che forse non potrà mai più essere replicato.

Accarezzo i suoi peli di quel colore così particolare, che ora ricoprono interamente il suo corpo, compresa la gola che non può emettere ora, in questa forma, suoni umani, suoni da nemici.

Una gola invece da cui parte quel rollio, quella vibrazione tipica nostra, tipica della nostra felicità, quel ronfare sonoro che è una melodia stupenda, assoluta nella sua generosità, nella sua devozione.

Ci guardiamo negli occhi, e vedo la sua pupilla che è diventata piccola, falciforme, che ha finalmente perso quella rotondità e quella limitatezza dei demoni a due zampe che ci stanno accerchiando.

La ringrazio con una carezza dei miei polpastrelli rosa confetto, mentre lei, che piano piano, inesorabilmente e dolorosamente sta tornando la ragazza di prima, passa le dita dal pollice opponibile nella mia peluria bianchissima, che non è tanto bianca quanto priva di colore.

Pensavi che non ti ricambiassi, vero? Pensavi che non morissi dal desiderio di fare quello che abbiamo fatto stanotte ogni volta che andavamo a caccia, così come pensi di non essere un mio pari perché non puoi mutare la tua forma,” la sua voce è ancora gracchiante, le corde vocali si stanno ancora assestando e posso solo immaginare il dolore atroce che ogni sillaba di quel linguaggio che ho imparato solo per lei, le provochi come una stilettata dritta alla giugulare.

Una come lei la chiamano versipellis, e sfortunatamente il nome calza come una pelle adatta, come una pelle giusta.

Ma la sua di pelle non è ne adatta ne giusta. Essere un licantropo,un loup garou è un destino di crudeltà e di compromesso.

Essere donna e lupo significa non essere ne l'una ne l'altra. Per poter fare l'amore con me, con un semplice mannaro come il sottoscritto, ha dovuto rivoluzionare se stessa, strapparsi la maschera che è metà della sua sostanza e fare del suo corpo un cumulo di brandelli.

Brandelli di sangue e carne che sono adesso ammucchiati in quell'angolo, e che risplendono di una luce mistica, quasi come le reliquie putride che i nostri orrendi demoni caccianti venerano in quelle che definiscono chiese, luoghi in cui puntano l'indice contro esseri come noi, anche se siamo su questa terra da più tempo di loro e ci siamo evoluti molto prima di loro.

Anche se so che la pelle da bipede le sta già ricrescendo davanti ai miei occhi innamorati, la smorfia di tormento coraggioso delle sue labbra mi dice tutto, parla per lei che sa parlare ma che per orgoglio sta zitta, mentre io che sono muto vorrei urlare contro il cielo e contro Colui che ci ha creati e dirgli che non è giusto, che questa è un infamia, che questo amore scoperto solo ora non può essere macchiato dal dolore, o che se lo sia allora il destino deve farci uscire da qui vivi e insieme per pareggiare i conti.

Ma tutto questo è nulla in confronto al terrore che appare improvvisamente negli occhi di Isabeau.

Sono arrivati, sono là fuori, ci hanno scoperti.

I miei sensi da cacciatore si mettono in moto in un lampo, i muscoli tesi e pronti ad attaccare.

Sento come una cortina, una rete che ci avvolge, e la sensazione di essere al riparo, al sicuro sfuma fino a svanire, sostituita da un odio senza limiti che proviene direttamente dalle figure che si stanno delineando nel buio, come se avessero l'impensabile capacità di risaltare nel nero essendo ancora più neri, ancora più malefici nel loro intento e nei loro intenti.

Sento Isabeau che, con un lamento sfuggito a mezza bocca e un sospiro rassegnato che mi fa infuriare più di mille soprusi, si toglie con i denti, cresciuti con uno stridio da brividi di un gesso su una lavagna, la pelle da umana appena nata, ancora rosa e pallida come quella dei cuccioli dei nostri letali e spietati avversari.

Deve farle un male incredibile, questo crescere, questo dilatarsi e restringersi del suo corpo, dei suoi denti, delle sue ossa. Quella dei lupi e quello degli umani è una struttura diametralmente diversa, e lei deve passare dall'una all'altra in un malinconico e nostalgico battito di cuore,e vivere in questo limbo eterno senza via di scampo.

Come ora, anche se questa situazione paradossalmente è più sopportabile, più netta nella sua mortale demarcazione. O noi o loro. Uccidi o vieni ucciso.

Le sue ultime parole nel linguaggio umano prima di perdere l'uso delle corde vocali sono”combattiamo insieme e usciamo di qui”poi i suoni che escono dalla sua bocca sono solo ululati, quelli a me famigliari, quelli che potrei emettere io stesso. Eppure, anche se dei bipedi odio tutto, e odiavo che lei li assomigliasse tanto nelle usanze e nella biologia, solo adesso che so che potrei morire o peggio che potrebbe morire lei, una parte di me è consapevole che l'amo anche per quella sua altra metà, i suoi capelli morbidi e ondulati come il mare che non sono duri peli da animale, i suoi occhi che non vedono al buio e la carne liscia e tenera, che basta premere con una delle mie unghie per vedere lasciato un segno rossastro, una cicatrice che sa più di potente vulnerabilità piuttosto della tipica bellicosità di noi animali selvaggi,di noi lupi.

Ecco perché gli uomini stanno conquistando il mondo, ecco perché sono così difficili da fermare.

Una follia brutale li pervade, e li fa risplendere come faceva risplendere noi una volta, al tempo dei grandi clan.

Ma non posso soffermarmi sulla storia della razza a cui appartengo, non posso soffermarmi sull'invidia che in quel momento proprio non può invadermi, un'invidia per Isabeau e per il suo sangue meticcio, sporco, corrotto. Nessuno sa come siano nati i mutaforma, come si siano immessi nella nostra catena evolutiva, se antichi dei abbiano deciso di creare queste chimere, questi sogni in una notte di plenilunio, di questi incubi ad occhi aperti.

I versipellis sono delle leggende, degli esseri epici e terribili, e se fossi nei bipedi nascosti dietro gli alberi laggiù comincerei a tremare.

Isabeau, completamente trasformata, completamente ritornata da me e per me, per noi, così come era poco prima quando eravamo noi, il totale più totale, si acquatta, le creste della sua spina dorsale che sembrano una freccia pronta a scattare.

Mi metto nella stessa posizione, e siamo uno lo specchio dell'altro; ci sorridiamo, perché sentiamo la nostra intesa che scorre come un fluido magico tra i nostri corpi, e se davvero dobbiamo morire lo faremo come deve fare la nostra gente.

Nello stesso momento in cui scattiamo in avanti, fuori dalla grotta, decine di fiaccole imbevute nella resina si accendono, e io vengo paralizzato da tutta quella luce. Quell'esitazione mi costa cara perché subito un colpo di uno di quelle loro armi insidiose e disonorevoli mi ferisce ad un fianco, e barcollo in cerca di un'oasi di oscurità per riacquistare la vista e difendermi. E difendere Isabeau.

Non riesco a vederla, ma percepisco i suoi movimenti pallidi, il bianco-rosso del suo pelo lucido che si accompagna a pezzi di carne che volano in aria, braccia umane che cadono a terra come uccelli morti, e urla piene di rabbia che la inseguono, che la vogliono più di qualsiasi altra cosa.

Non riesco ad accostare le parole umane che Isabeau usa a quelle che sento ora, parole che escono dalle bocche dei diavoli senza peli che ci stanno addosso, che vogliono la nostra pelle per andare nelle loro città e dire di avere ucciso un licantropo.

Finalmente riesco anche io ad assestare colpi utili, le pupille che saettano avanti e indietro, sopra e sotto, poi un urlo mezzo umano mezzo lupesco che fa fermare tutto, tutto il mondo, tutto il mio mondo.

Persino i cacciatori che ci insultano e ci bestemmiano si fermano, perché quell'urlo ha messo il terrore addosso ad ognuno, come se avessero appena ferito Dio o uno dei suoi angeli.

Isabeau è una macchia grigio rosata, per terra come un ammasso di pelle senza valore, come l'ammasso di pelle che si era lasciata dietro per unirsi a me, per unirsi a me nell'amore prima, e per unirsi a me nella battaglia dopo.

Come hanno fatto a colpirla?

La mia mente riesce a pensare solo quello, chiusa in un circolo vizioso che si spezza per l'odio che mi esce dal sangue, dagli occhi, dal muso allungato e rincagnato di un lupo che si prepara a fare una strage.

Il sangue, gli occhi e il muso diventano una cosa sola; voglio sbranare, voglio sentire le fibre dei muscoli umani che si intrecciano ai miei denti come il mio amore per Isabeau si intreccia nel mio stomaco; voglio affondare i miei denti nei loro di stomaci e tirare fuori gli intestini per decorare la tomba della mia compagna; voglio strappare i loro occhi per buttarli ai corvi affinché non possano vedere la morte di quella che era una leggenda, un personaggio epico,una ragione di vita. La mia ragione di vita.

Quando mi fermo c'è solo rosso, rosso ovunque. Gli uomini che ci hanno attaccato non esistono più, hanno perso la loro forma umana nello scempio che felicemente ho portato a termine. Se la mia Isabeau non potrà più tornare ad essere come una di loro, neanche coloro che l'hanno uccisa potranno andare nell'aldilà interi, ma solo fatti a pezzi, a pezzi come sono io.

Mi avvicino faticosamente a lei. Respira ancora ma ci sono delle bolle che le escono dalla bocca ogni volta che lo fa. Le hanno perforato un polmone quindi non posso fare più niente.

Le lecco la faccia, gli occhi semichiusi, e la sento tremare, gli spasimi che la squassano implacabili.

Vorrebbe parlare, lo sento, parlare come un'umana, perché lei è anche questo, e io l'amo anche per questo.

E ciò diventa il mio più grande cruccio, il pensiero che muoia così, muta e lupesca; ma poi un canto debolissimo, inverosimile, esce da lei e mi raggiunge, per salire verso il cielo, quel cielo con la Luna attaccata come una bocca che conduce in un mondo migliore, in un mondo in cui Isabeau sarà donna e lupo nello stesso istante.

Ed io in quello stesso istante sarò vicino a lei, e l'amerò nelle sue due forme poiché in quel mondo sarò in grado di farlo, e potrò parlare, cantare, intrecciare delle mani dai pollici opponibili alle sue candide come il latte lunare che ci bagna, in questa foresta che è un abisso di morte e una scala spalancata verso una nuova esistenza.

L'adrenalina che mi pervade scivola via al ritmo del fluire della vita che sta abbandonando Isabeau, e le ferite, e le loro conseguenze quindi, che mi hanno inferto nella foga della battaglia diventano concrete, un cappio irrespirabile, mortale.

Non riuscendo quasi più a respirare respiro di sollievo, perché sopravvivere a lei sarebbe stato esecrabile, una malvagia ed empia blasfemia.

Mi avvolgo a lei, due lupi che si tengono insieme per non cadere, due eroi che hanno vinto venendo uccisi, due essere che non vogliono morire da soli.

Vedo i segni dei clan sparsi sul suo corpo. Croci, cappi, cuori e gorghi. Mi fisso su questi primordiali segni, voglio che siano l'ultima cosa che vedo, voglio portarli con me per ricostruire su di essi ciò che eravamo, ciò che potremo ancora essere.

Il muso di Isabeau è davanti al mio, e nel preciso attimo che se ne va la forma umana e quella di lupo si sovrappongono, si fondono e lei diventa qualcosa di straordinario, a metà tra una Mormolice e la dea Venus, un mito ancestrale pieno di tutti quei significati che sono la trama su cui si dovrebbe basare l'esistenza di tutti. Degli uomini e dei lupi.

La bacio, per condividere quel barlume di onnisciente consapevolezza, e riesco a guardare oltre.

Oltre l'odio, oltre il canto, oltre me stesso.

Io e Isabeau, occhi negli occhi, come angeli caduti che si rialzeranno, ancora.



I versipellis, cioè i licantropi sono così denominati nella cultura e nei testi latini,come per esempio il Satyricon di Petronio poiché la pelle di lupo permaneva sotto quella umana, restando così intercambiabile.

  
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