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Autore: Morganna    22/12/2013    2 recensioni
[IN PAUSA]
Il Brothers Bright è un edificio imponente, ideato per spalancare le sue braccia di nosocomio in epoca vittoriana, e conserva in parte una struttura romantica e decadente. Si potrebbe dire, e forse a ragione, che sia abitato ancora quando ogni luce sembra affievolirsi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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I calicanto. I fiori d’inverno. Germogliano quando ancora la stagione è rigida, ancora nella neve e nel gelo.
Sono fiori tenaci, che si fanno spazio dove nessun altro potrebbe mai pensare che sia il momento di nascere.
Esplodono nel buio e tutti gli altri dormono, nascosti sotto la neve. Sono i fiori d’oro su rami che sembrano secchi.
Li ho sempre ammirati. Li trovo bellissimi. Le loro corolle sembrano stelle cadute dal cielo, nell’incanto di zucchero impalpabile e di gelo.
Ho sempre trovato io il primo calicanto, in Gennaio. Il primo calicanto del mio bosco è sempre stato per me, pronto a riversare il suo segreto nella mia bocca. Ma c’era quell’uomo. Lo stesso uomo che aveva preso l’abitudine di portare il fieno al mio cervo.
Era colpa sua se la bestia era sopravvissuta, se le sue femmine non l’avevano abbandonato, se era diventato il nuovo capobranco.
Camminava sempre a piedi, in silenzio, stringendosi nelle sue camicie di flanella a quadretti e nei pantaloni di velluto a coste.
L’ho osservato a lungo, seguivo le sue tracce come se volessi cacciarlo. Alcune volte avevo con me il mio fucile, altre volte no.
Quella volta si era portato delle cesoie e le usò per tagliare di rami di calicanto. Li strinse in un nastro color ghiaccio, accomodandoli l’uno all’altro con delicatezza. Non ruppe neanche un singolo fiore. Ho seguito le sue impronte fino a giù. Mettendo i piedi dove li aveva messi lui, sovrapponevo la suola delle mie scarpe ai suoi stivali.
La sua meta era il piccolo cimitero alla fine della collina, confinante con l’area picnic. Ma nessuno si avvicina così tanto a mangiare accanto alle tombe. Così quell’angolo era sempre stato tranquillo, se si escludono i giorni affollati di visite. Probabilmente è lì che andrò, fra qualche giorno.
Conosco bene quel posto.
Feci scivolare il cancelletto di ferro sui suoi cardini, seguendolo anche all’interno.
Raggiunse una lapide periferica, sormontata dalla semplice immagine di un angelo con le mani congiunte.
Lo vidi con le ginocchia a terra sul terreno indurito dal freddo chinarsi verso le lettere del nome fino a rimuovere la brina lettera per lettera.
Forse è per quello che mi avvicinai, perché anche lui sembrava aver perso qualcosa.
Mi abbracciai le ginocchia e mi sedetti sui gradini di un mausoleo di famiglia poco distante.
- Chi sei?
Stava sistemando i calicanto su tutto il tumulo, disponendoli come una corona dorata tutto intorno alla fanghiglia scura. Attesi a lungo prima che rispondesse. Temetti che non rispondesse mai.
- Llewellyn. E tu?
- Romy
Non gli porsi una mano, come si dovrebbe fare sempre se si è delle persone educate, ma lasciai che la sua aleggiasse nell’aria invano.
- Ti ho visto nel bosco.
Era una frase molto stupida da dire, ma non mi veniva in mente altro. Lui sembrava essersi del tutto disinteressato, e copriva con la sua ombra il nome sulla lapide, così non riuscivo a leggerla. Quando mi guardò di nuovo il suo viso aveva preso una piega severa.
- Anche io ho visto te, cacci di frodo.
Rabbrividii. Sono sempre stata molto attenta con le mie trappole, piazzandole lì dove nessuno si spinge e controllandole la mattina presto, quando è ancora buio. Non ho mai fatto lo stesso giro, perché non si dicesse che ho delle abitudini.
- Non mi denuncerai vero?
Llewellyn si sollevò in piedi, battendosi le mani sulle cosce fino a cacciare via i frammenti di ghiaccio rimasti intrappolati nella stoffa.
- No, non ti denuncerò
Ho sempre parlato molto poco, e ancor meno ho usato la parola che usai in quel momento. Ma lo guardai negli occhi e capii che era sincero.
- Grazie
Cominciammo a vederci all’altura, prima del tutto casualmente, poi come ad una sorta di orario.
Quando scendeva la sera ed arrivavano i cervi lui era lì con il suo sacco, ed io lì a guardarli, generalmente nascosta fra le fronde.
Mi premevo contro il corpo le mie prede ancora calde, trovando conforto nel sangue che colava a terra bagnando i piedi e la neve,finché cominciai a trovare un po’ di cioccolato sul masso, quando se ne andava, ed un giorno un thermos intero con del the ancora fumante.
Mi avvicinavo sempre più, attirata da quelle briciole che prima credevo dimenticate.
Ma in verità lui mi trattava come una bestiola selvatica, mi addomesticava come aveva fatto con il mio cervo.
Imparai a fidarmi di quel cibo, ed a presentarmi all’appuntamento per carpirlo. Aspettavo che se ne andasse per andare a vedere cosa era rimasto, cosa era stato lasciato indietro.
Io ed il mio cervo ci guardavamo e non comprendevamo come tutto ciò fosse possibile. Come avessimo fatto a superare anche quell’inverno. Stavamo bene.
  
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