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Autore: Lacus Clyne    22/12/2013    2 recensioni
Natale: la notte in cui i sogni si avverano.
Aurore ha sempre temuto i suoi sogni. Ma nella notte magica in cui tutto è possibile, i suoi desideri più inconsci prendono forma. Un mondo diverso, una famiglia inaspettatamente completa, la vita che Aurore ha sempre, ostinatamente inseguito è lì, immersa nell'atmosfera di un Natale mai stato più felice. Avvertenza: spoiler e missing moment di "Underworld - La Croix du Lac".
Buona lettura!
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Buonasera! <3 Ooook, so che avrei dovuto pubblicare lunedì, ma trattandosi della settimana di Natale compresa dei giorni pre-Natale ovvero tempo infinitamente ridotto, approfitto della domenica per postare questo piccolo pensierino oneshottoso per gli amici che seguono Underworld! <3 Pensavo da un po' di scrivere alcune one-shot, ma per il momento, vista l'occasione, ho voluto provare a lasciare andare la fantasia a briglia sciolta e a scrivere qualcosa di natalizio ed è uscito questo lavoretto che spero con tutto il cuore possa piacere a voi tanto quanto è piaciuto a me! <3 Avviso: ci sono spoiler e potrebbe essere considerata una sorta di AU, tranne che per il finale (leggendo capirete)! Relativamente alla pubblicazione "istituzionale", per ora prendo momentaneamente una pausa festiva, torno presto però! u_u Se intanto vi va di regalarmi un pensiero per questa OS, è ben gradito, grazie! <3 Ne approfitto inoltre per dare a tutti gli amici che mi seguono, che seguo etc etc gli auguri per un sereno Natale e per delle buonissime feste! Mangiate panettone, volemose bene e ricordate sempre che Natale porta con sè la possibilità di realizzare sogni e miracoli! <3

Buone feste, amici e buona lettura! :)

 

 

 

 

 

 

Underworld – Christmas Special!

 





 

 

- Violet Hammond!

Esclamai il nome completo della mia migliore amica richiamandola all’appello. Sorrise, mentre sollevava il braccio con aria entusiasta e i lunghi capelli color nocciola legati in due morbidi codini boccolosi saltellavano con lei.

- Presente!

Annuii, soddisfatta nel rivolgerle una complice occhiata, per poi procedere col resto delle chiamate.

- Evan Kensington!

Mio fratello, felpa grigia, jeans scuri e pantofole, comodamente stravaccato sul divano e impegnato nella lettura di “Romeo e Giulietta”, alzò pigramente il braccio.

- Evan, dannazione, puoi essere un po’ più partecipe una volta tanto?

Protestai, sbuffando. Evan sollevò appena il viso dal libro, inarcando il sopracciglio. Riuscivo a vedere giusto i suoi occhi amaranto che mi ricambiavano con aria annoiata.

- Maestà, il suo umile servo è presente. Evviva!

Rispose, senza nemmeno sforzarsi di assumere un tono quantomeno ironico nonostante le parole che mi aveva appena rivolto. A quel punto, afferrai la prima pallina che riuscii a prendere dalla scatola trionfante accanto a me e gliela lanciai addosso, colpendolo in piena fronte.

Una risatina dalle parti di Violet mi fece pensare alla soddisfazione di qualcuno. Evan, al contrario, mugolava massaggiandosi la parte colpita. E io mi beai di quella scena.

- Ti ha dato di volta il cervello, razza di scema?

Protestò.

- E tu insisti a volermi sfidare, Evan?

Replicai, afferrando un’altra pallina.

Evan si alzò, libro ancora in mano, rivolgendomi un broncio.

- Vado a leggere in cam--

Non portò a termine la sua dichiarazione di resa. Arabella, nostra sorella, si era appena affacciata con un grosso scatolone tra le mani. Anche lei, come Violet, aveva legato i capelli, ma in una coda alta. Ed esattamente come me, aveva optato per una comoda mise che comprendeva maglione di lana rosa antico e gonna pieghettata bordeaux con calze pesanti.

- Qualcuno mi aiuta? Ci sono i festoni qui!

Disse, con un sorriso che bastò a far desistere Evan dai suoi propositi e farlo correre ad aiutarla. Loro due erano sempre stati così. Sin da bambini. A volte mi ero ritrovata persino a essere gelosa del legame che li univa. Erano talmente complici che sembrava quasi che si capissero con un solo sguardo. E io, da sorellina più piccola, nonostante amassi entrambi, ogni tanto mi sentivo esclusa da questo loro modo di intendersi tanto particolare.

- Arabella Kensington. Eccola qui. Manca solo…

Fece eco Violet prima che mi rendessi conto che si era avvicinata a leggere i nomi sul foglio che avevo preparato. Mi voltai verso la mia migliore amica.

- Eh già… manca solo…

Entrambe ci voltammo verso il ragazzo in felpa nera, jeans e Converse che chiacchierava al cellulare.

- Mi dici perché è dovuto venire anche lui?

Domandai.

- Perché l’anno scorso la nostra scuola ha vinto un premio per il miglior allestimento scenografico natalizio ed è stato grazie a lui. Quindi chi meglio di Damien Warren poteva aiutarci a preparare l’albero di Natale in casa tua?

Damien si voltò nel sentirsi nominare. Quando incontrai il suo sguardo, due smeraldi divini sull’odioso volto del despota del liceo di Darlington, desiderai uccidere Violet almeno un migliaio di volte. E non soltanto perché io odiavo Damien Warren, ma anche perché detestavo l’effetto dannatamente contraddittorio che aveva su di me.

- Sei arrossita.

Mi fece notare Violet.

- I-Io? M-Ma quando? E’ il caldo.

Risposi in tutta fretta.

Damien, del canto suo, rassicurò il fratello sul fatto che sarebbe tornato per cena, dicendogli che anche Livia sarebbe rimasta con loro. Quel nome mi indispose, stranamente. Chissà di chi stava parlando. Eppure, cercai di non dargli troppa corda.

- Ruben viene?

Domandai di rimando, vedendo il bel viso della mia migliore amica farsi momentaneamente lontano.

- Non credo… ha un turno in ospedale stasera e ne approfitta per riposare.

- E’ dura la vita dello studente tirocinante, eh?

Le chiesi, dandole una pacca sulla spalla. Violet e Ruben si erano conosciuti la primavera di quello stesso anno durante una festa e il loro era stato un colpo di fulmine. Di quelli che ti fanno rimettere in discussione tutta la tua vita in un attimo e ti portano a compiere le follie più disparate. Ma Ruben, più grande di noi, frequentava Infermieristica al college già da qualche anno e nonostante approfittasse di ogni momento libero per trascorrerlo in qualsiasi modo con lei, ogni tanto, capitava anche a lui di non riuscire a far fronte a tutto. E Violet era sempre spaventata dall’idea di essere un peso, in qualche modo. Un po’ come accadeva a me quando pensavo di esserlo per Evan e Arabella. Anche se i casi erano davvero molto diversi. Non mi ero mai innamorata in vita mia e non sapevo cosa significasse in concreto per Violet l’idea di averlo così lontano ed essere preoccupata di tarpargli le ali, in qualche modo. Ma quando li vedevo insieme, contenti anche solo nello stare vicini per qualche ora, sapevo che niente e nessuno li avrebbe separati e mi sentivo incredibilmente felice per loro, per Violet, soprattutto. La mia migliore amica meritava tutto l’amore possibile.

- Vedrai che presto starete insieme!

La rincuorai, ricevendo in cambio un dolce sorriso.

- Grazie, Aurore.

Poi, cambiando registro, si rivolse ai miei fratelli.

- Evan, Arabella! Volete stare lì a poltrire? L’albero ci aspetta!

Esclamò, indicando il grande abete ancora spoglio che troneggiava in un bell’angolo del nostro soggiorno. Papà l’aveva trovato durante una scampagnata nel bosco che circondava Darlington, assieme al suo amico Gregor. Quando la mamma l’aveva visto arrivare portando con sé quel bestione di quasi tre metri d’altezza per due di larghezza, la coppa con l’impasto per la cheesecake le era caduta dalle mani, con mio sconfinato rammarico. Se c’era qualcosa che adoravo era proprio la cheesecake di mia madre. “Oh cielo, amore, quello dove lo mettiamo?”, aveva chiesto, incredula. “Avevo pensato a quell’angolo, vicino al camino”, aveva risposto papà, indicando lo spazio tra il camino da un alto e le larghe finestre bordate di legno che erano dall’altro. “Così prende fuoco tutto”, aveva controbattuto la mamma, mentre io, preda di una tristezza indicibile, osservavo la fine della crema di formaggio e mascarpone che adoravo. “Se lo mettiamo verso la finestra non succederà”, ribattè papà, studiando la situazione. “Scordatelo, toglieresti luce!”, aveva invece controbattuto la mamma. Intanto, la cheesecake era andata. “Con te non c’è modo di spuntarla, eh, Celia?”, aveva infine replicato sconfitto papà. Nonostante quei due passassero buona parte del loro tempo a discutere, alla fine, la mamma trovava sempre un modo per vincere. Oltretutto, quando si trattava di arredamento, era pressochè impossibile spuntarla per chiunque. “Naturalmente no, amore mio”, aveva risposto la mamma, optando in fine per l’angolo dirimpetto, sorridendo come solo lei sapeva fare. E alla fine, avevamo spostato le due poltrone in pelle, mettendo l’albero dalle parti del grande comò che ospitava le nostre foto, sin da quand’eravamo piccoli.

- Aurore? Sei ancora tra noi?

La voce di mia sorella maggiore mi riportò al presente. Mi voltai verso Arabella. Ci somigliavamo molto, nonostante lei fosse bionda e io avessi i capelli corvini. Ma avevamo lo stesso colore degli occhi, una particolare tonalità dell’ametista, che avevamo ereditato proprio da nostro padre. Solo i suoi erano appena un po’ più scuri, ma li trovavo incantevoli. Mi sventolò un festone davanti, sorridendo.

- Se li avvolgessimo attorno alle fronde? Che ne dite?

Domandò.

- Oppure potremmo imbastire in quattro e quattr’otto una sfilata di boa!

Rise Violet.

Evan fece spallucce.

- Vi vorrei proprio vedere.

- Almeno tu rispondi. C’è un certo asociale che vive in simbiosi col cellulare!

Fece eco Arabella, riferendosi a Damien, che ci raggiunse.

- Kensington, se parli di me, sappi che tuo fratello è molto peggio.

Rispose. Evan gli rivolse un’occhiataccia.

- Fuori dai piedi, Warren.

- Non posso. Non sei stato tu a invitarmi.

Ribattè.

- E’ casa mia.

- Non c’è il tuo nome sul campanello.

- Ma in questo momento i miei genitori non ci sono. Faccio io le veci del capofamiglia.

- Certo. In quale universo parallelo?

Evan strinse il pugno. Arabella, Violet e io ci sedemmo sul divano a sgranocchiare i pop corn che la mamma ci aveva lasciato prima di uscire con papà a cercare gli ultimi regali.

- Tu non mi piaci per niente, Warren.

Dichiarò per l’ennesima volta da quando si conoscevano, mio fratello. A ben guardarli, Evan sembrava un po’ più grande di Damien, forse complici i due o tre centimetri di altezza in più, ma Damien non sembrava il tipo di persona che si lasciava intimorire. Del resto, non sarebbe stato considerato il despota del liceo se non avesse avuto la stoffa per diventarlo.

- E’ reciproco, Kensington.

- Bene, allora. Ognuno per sé.

- Ognuno per sé.

Convenne Damien. Entrambi si voltarono verso di noi, che li guardavamo ancora.

- No, no, continuate pure, è divertente.

Commentò Violet.

- Che peccato… siete giù di tono o è che a Natale si è tutti più buoni? Perché a scuola siete anche peggio… ricordo la volta che il professor Warren vi ha buttati fuori dall’aula perché facevate a gara a chi si lanciava frecciatine omicide…

Riprese Arabella.

- Oh, me lo ricordo anch’io! La mamma ha messo Evan in punizione perché quel comportamento gli è costato persino una nota disciplinare! Niente playstation per due settimane… Evan era in crisi d’astinenza! Passava notti intere seduto sul letto con la coperta addosso, ripetendo: “Sono Ezio Auditore!” e alla fine papà l’ha trascinato con lui in cas-- 

Fui fermata da un festone lanciato dritto addosso.

- Evan!

- Dio, davvero hai fatto una cosa del genere? Sei più fuori di testa di quanto pensassi…

Commentò Damien, sovrappensiero.

- Voi! Dateci un taglio! C’è un albero da addobbare e Natale è alle porte! Muovetevi! Violet, tu a Aurore appendete queste palline. Arabella, tu pensa ai festoni. Se hai bisogno di aiuto ci penso io.

- Agli ordini, capo!

Esclamammo tutte e tre, rialzandoci e mettendoci sull’attenti.

- E voi due che fate?

Domandai.

Un brillio sinistro comparve negli occhi amaranto di mio fratello. Prese un elastico rosso dalla tasca dei jeans antracite, tirò indietro i capelli scuri e ribelli, che portava da sempre quasi lunghi fino al collo e li legò. Poi indicò il ripostiglio.

- Warren, là dentro c’è una scala. Portala qui. Noi appendiamo le decorazioni.

Damien gli scoccò un’occhiataccia.

- Perché devo appendere le decorazioni?

- Wow, immagina Warren che tende le braccia per appenderle… il suo torso che si allunga, la felpa che si solleva e ne mette in mostra i muscoli…

La voce malefica di Violet al mio orecchio mi fece trasalire.

- C-Che?! E chi lo vuole vedere così?!

Esclamai, a voce un po’ più alta di quanto pensassi, considerando che tutti si voltarono verso di me.

- Cosa non vuoi vedere, Aurore?

- I festoni!! I festoni… che si allungano… e… ehm… ecco…

Deglutii imbarazzata, sentendo i loro sguardi perplessi addosso. Evitai di incrociare quello di Damien e mi chinai a prendere le palline dalla scatola.

- Rosse! E gialle! Ehm… Violet, coraggio!

Dissi, sperando di distogliere l’attenzione. I miei amici si guardarono dubbiosi, poi alla fine, ci mettemmo all’opera.

A dispetto di com’era cominciata, quell’esperienza si rivelò davvero un piacevole e divertente passatempo. Evan e Damien finivano puntualmente col discutere sulle più piccole sciocchezze, al punto che sembrava di assistere a un litigio tra marito e moglie. A quell’idea, entrambi finirono col lanciarsi occhiatacce e maledizioni da metri di distanza. Ridevamo tanto, con Violet che faceva finta di usare le palline a mo’ di grosse perle e Arabella che si fingeva una dark lady con indosso un festone-boa. E ci eravamo ritrovate persino a ballare sulle note delle canzoni natalizie, prima tra tutte Jingle Bells Rock, cercando di trascinare con noi quei due pali di frassino che erano Evan e Damien impegnati nelle loro scaramucce a distanza e a soffiarsi come due gatti rivali. Avevamo scattato anche tante foto che comprendevano una vasta gamma di espressioni. Violet e io che sorridevamo abbracciate, poi Arabella che ci affiancava prendendo Evan per orecchio e mio fratello e Damien che si guardavano come due arieti pronti a scornarsi in alto e in basso sulla scala a pioli. E infine, l’autoscatto ci aveva regalato le nostre espressioni soddisfatte davanti al soggiorno addobbato a festa e i nostri segni di vittoria.

Quando i nostri genitori tornarono ci trovarono seduti tutti sul divano a commentare le foto.

- Però… che accoglienza calorosa…

Mormorò la mamma, mentre papà posava i pacchi regalo su una poltrona.

- Bentornati! Vi piace il nostro lavoro?

Domandai, voltandomi sul divano per guardarli.

Papà tolse il cappotto nero pesante, annuendo compiaciuto, mentre la mamma ci sorrise.

- Siete stati bravi, ragazzi, mi piace. E ora, chi vuole una doverosa e gustosa cioccolata calda?

Cinque braccia si sollevarono contemporaneamente.

- Vada per la cioccolata allora!

Ridendo, la mamma raggiunse la cucina.

E mentre papà si fermava dietro di noi, accarezzando la testa bionda di mia sorella e la mia corvina, il cellulare di Damien squillò nuovamente, attirando la nostra attenzione.

- Mio fratello.

Disse.

- Toh, la balia in azione.

Gli fece eco Evan.

Damien rispose con uno sguardo assassino.

- Meglio che non parli, Kensington. Aggravi la tua posizione.

Ribattè, per poi rispondere.

E dopo circa cinque minuti, Damien ci comunicò che ci avrebbe dovuti lasciare per raggiungere il suo fratellino Jamie e la misteriosa Livia.

- Rivale all’orizzonte…

Mormorò Violet al mio orecchio. Mi voltai imbronciata.

- Anche se fosse, non mi interessa minimamente…

Risposi, ignorando un’irritante vocina che in un microscopico angolino del mio cuore ripeteva: “Pericolo!”.

Infine, Damien ci lasciò scusandosi, seguito da Violet circa un’oretta più tardi.

Quella stessa sera, seduti davanti al camino, ci ritrovammo a trascorrere un dolce momento di condivisione familiare. La mamma era seduta sul divano, con indosso una coperta di pile rosso scuro che richiamava tanto il colore degli occhi di Evan. Papà, accanto a lei, col braccio teso sullo schienale e le dita che giocavano coi capelli d’oro della mamma, ci guardava rilassato con quegli incantevoli occhi d’ametista che amavo. Evan, Arabella e io, seduti sul tappeto come quand’eravamo bambini, chiacchieravamo dei progetti per l’indomani. Sarebbe stata la vigilia e non vedevo l’ora di poter scartare i regali. Ogni Natale, mi sentivo sempre come se fossi tornata a essere una ragazzina, all’idea di poter ammirare i pensieri che ci scambiavamo durante quella notte. In quest’occasione, però, non saremmo stati da soli. I miei genitori avevano invitato dei loro cari amici, che sarebbero intervenuti col figlio che, da che sapevo, era un po’ più grande di noi. Violet mi aveva detto, entusiasta, che Ruben sarebbe stato libero grazie al turno di quella sera e avrebbe partecipato alla nostra festicciola. E infine, anche Damien Warren e il suo fratellino Jamie sarebbero venuti. Il che non era esattamente il mio ideale, ma mi sembrava alquanto scortese non invitarlo dopo che ci aveva aiutati ad addobbare il soggiorno.

- Stavo pensando che sarà un Natale affollato… è la prima volta che ci succede, vero?

Notò Arabella, giocando con la punta delle babouche rosse che si adattavano al pigiama con Biancaneve. Il mio invece, raffigurava la principessa Aurora, mia omonima.

- Già. Ma ogni tanto fa bene avere un po’ di compagnia.

Commentò la mamma, facendole l’occhiolino. Arabella sorrise.

- Comunque, io non sarò molto felice… un Natale con Warren… nemmeno nei miei peggiori incubi avrei potuto immaginare una cosa del genere.

Protestò Evan, seduto all’indiana tra me e Arabella, in pigiama blu notte, giocherellando con un cubo di Rubik. Sentendo il cognome Warren mi irrigidii, poi cercai di prenderla stoicamente e lo punzecchiai.

- Povero Evan… eppure è il tuo fidanzato…

A quelle parole, papà arricciò le labbra, scettico. Evan mi lanciò un’occhiataccia.

- Com’è questa storia, Evan?

- Naturalmente è un’invenzione di Aurore. Ci mancherebbe pure.

Rispose, facendo saltellare il cubo in mano senza staccarmi gli occhi di dosso. In realtà, adoravo vederlo imbronciarsi. Quell’espressione lo rendeva un po’ più giovane. Non che non lo fosse, ma a volte, Evan dava l’impressione di essere cresciuto presto. Forse era a causa di papà, che essendo un ufficiale e avendo preso parte a diverse missioni nel corso degli anni, aveva voluto per il figlio maschio un’educazione piuttosto rigida riguardo ai principi a cui ispirarsi nella vita. Evan aveva mantenuto questo retaggio, soprattutto quando si trattava di impartire ordini.

- Comunque Evan non ha una ragazza… su questo non ci piove…

Aggiunse Arabella, divertita. Evan si voltò verso di lei.

- Ti ci metti anche tu?

La mamma si mise a ridere.

- Beh, quando ammorbidirà quei lati un po’ troppo spigolosi del suo carattere, forse la troverà.

- O potrebbe trascorrere la sua vita in ascesi…

Aggiunsi.

Evan sospirò.

- Magari è solo perché non riesco ancora a raggiungerla.

Mormorò.

- Chi non riesci a raggiungere?

Lo canzonai io, sporgendomi incuriosita verso di lui. C’era una strana vena di nostalgia in quegli occhi, che mi colpì. Arabella gli scoccò un bacio sulla guancia, poi gli arruffò giocosamente i capelli.

- Stavamo scherzando, suvvia… vedrai che quando accadrà, le potrai prendere la mano… così!

Sorridendo, prese la mano di Evan, che la guardò in tralice e la strinse nelle sue.

- E le potrai dire quelle parole che vengono proprio dal più profondo del tuo cuore…

- Arabella?

Sorrisi guardando mia sorella. Era sempre stata brava a rincuorarci tutti. Eppure, nemmeno lei in fondo, aveva ancora un ragazzo.

- I-Io…

Evan strinse più forte le mani di Arabella, incerto.

- Arabella, io…

Arabella chiuse gli occhi, poi sollevò il viso al cielo.

- Oh, Warren, ti amo così tanto… non posso vivere la mia vita senza di te…

Disse, ispirata. A quelle parole, rimanemmo tutti sgomenti. Persino papà ebbe un momento d’esitazione. La mamma scoppiò a ridere. Evan impietrito, sembrava aver appena perso l’anima. E io guardai mia sorella, che imitando la mamma, proruppe in una risata contagiosa che finì col prendere anche me. Solo quando vedemmo che Evan era diventato più imbalsamato delle cere del Madame Tussauds, Arabella e io ci rendemmo conto di avere un po’ esagerato e lo abbracciammo entrambe, stringendolo forte.

- Ti vogliamo bene, Evan!

Dichiarammo all’unisono, coccolando quel nostro fratello tanto musone e così facilmente suscettibile mentre rinsaldavamo il nostro eterno legame in un momento così squisitamente intimo per la nostra famiglia.

 

 

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E così, la sera della vigilia arrivò.

Per l’occasione, Arabella e io avevamo deciso di indossare degli abiti simili che avevamo scelto insieme durante la nostra ultima uscita al centro commerciale. Arabella portava un vestito bianco, con le maniche larghe che le arrivavano a metà braccio e una cintura d’argento che le cingeva la vita, leggins neri e stivaletti stile parigina dello stesso colore. Il mio vestito era simile, appena più lungo del suo, ma avevo associato un dolcevita e le calze color carne, insieme alle ballerine scure. Evan, stupendoci, aveva indossato la cravatta, per una volta legata decentemente, e un gilet nero sulla camicia bianca. Quello che non ci era riuscito era fargli optare per pantaloni diversi dai jeans. Dal momento che già doveva tollerarli a scuola, voleva almeno manterli a casa. Nel pomeriggio, avevamo aiutato la mamma in cucina, pregustando gli squisiti manicaretti che avremmo servito. Pudding, biscottini di zenzero, mince pie che avevamo messo anche sul camino, secondo la tradizione. Gli amici dei miei genitori, Vere e Gregor Lambert, assieme al figlio Shemar e alla fidanzata Amber, avevano portato persino un tacchino per replicare il Thanksgiving, mentre Violet e Ruben (e in quell’occasione scoprì che Ruben e Shemar erano amici di vecchia data), avevano portato la cheesecake, perché a detta di Violet “Non c’è Natale per Aurore senza cheesecake” e Damien, assieme al fratello Jamie e a Livia, che con mio inaspettato sollievo si rivelò essere la fidanzatina di Jamie, portò un paio di bottiglie di spumante.

Trascorremmo una serata divertente, chiassosa anche. Il padre di Shemar era un vero e proprio comico nato. Lui e mio padre si conoscevano dai tempi dell’Accademia e ci raccontò aneddoti che fecero luce anche sugli aspetti più divertenti del mio sempre serio papà. La mamma e Vere furono perfette donne di casa, e noi avemmo modo di conoscere quei ragazzi più grandi di noi.

- E così studi anche tu, Amber?

Domandai alla fidanzata di Shemar, una bella ragazza bionda sulla ventina dai modi gentili che mi ricordava tanto Arabella.

- Sì, Giurisprudenza.

Rispose, sorridendo, nell’agitare il calice col vino bianco.

- Amber è molto portata. Ha una capacità oratoria da fare invidia a Cicerone, sapete?

Aggiunse Ruben, addentando un pezzo di tacchino.

- Oh, potresti fare concorrenza a Warren, allora… a proposito, l’anno prossimo tocca a voi scegliere…

Notai, nel guardare i miei fratelli e Damien, che ascoltava interessato.

- Avete già deciso dove iscrivervi?

Chiese Amber.

- A me piacerebbe seguire le orme della mamma… magari sceglierò qualcosa che abbia a che fare col design…

Confessò Arabella.

- Io non lo so ancora. E ho tempo per decidere.

Aggiunse Evan, invece.

- E tu, Warren?

Chiese Violet, guardandolo. Damien ci riflettè un po’ su.

- Damien diventerà un giudice!

Intervenne Jamie, entusiasta. Quei due si somigliavano tanto, nonostante il colore degli occhi e dei capelli fosse diverso, come accadeva con me, Arabella ed Evan.

- Non è così, Jamie… non ho ancora deciso…

- Avete ancora qualche semestre per farlo.

Disse Shemar, che da che ne sapevo, aveva preso la stessa strada del padre, arruolandosi. E poi mi ritrovai a osservare lui e Amber. Erano davvero una bella coppia.

- E voi da quanto state insieme?

Chiesi. Entrambi mi guardarono. Avevano occhi caldi e ambrati.

- Cinque anni. Ci sposiamo a giugno.

Rispose Shemar, prendendo la mano della sua fidanzata, al cui anulare brillava una fedina che non avevo notato prima.

- Auguri allora!

Esclamammo Violet e io. Adoravamo entrambe i matrimoni, sin da quand’eravamo piccole.

- E figli maschi.

Aggiunse Livia, trangugiando un succo. Rivolsi uno sguardo perplesso alla biondina. Aveva pressappoco la stessa età di Jamie, e sembrava alquanto seccata.

- Grazie… ehm… invece tu sei la fidanzata di Ruben, Violet?

Riprese Amber. La mia amica annuì.

- Anche se non stiamo insieme da tanto…

Shemar sorrise.

- Beh, ora che ci penso, nemmeno Rose e Blaez stanno insieme da molto, vero, Ruben?

- Chi è Rose?

Domandai.

- Mia sorella. E Blaez è il suo fidanzato. Solo che loro sono stati, come dire… ehm…

Ruben era visibilmente in imbarazzo. Guardai Violet, che sollevò le sopracciglia.

- Entro marzo diventeranno genitori.

Confessò alla fine.

- Wow, un bambino! E’ una bella cosa!

Esclamai, contenta. A giudicare dalla reazione perplessa di chi li conosceva, forse avevo un po’ esagerato. Considerando che Ruben poi ci disse che quei due giocavano a tira e molla, capii che non doveva essere una situazione rose e fiori. Al di là del nome della diretta interessata.

- Comunque avere un figlio è qualcosa di importante… e ti cambia la vita per sempre…

Disse Arabella, sorridendo ad Amber. Non so cosa avesse intuito, ma lo sguardo che le giunse in risposta fu un timido assenso.

Diventare genitori… che cosa al di fuori di ogni mio progetto… non che non lo volessi, certo, ma non avevo mai considerato l’idea concretamente. Dopotutto, non avevo nemmeno sedici anni, ancora. Ero ancora troppo piccola. Invece Arabella mi sembrava molto più matura, anche da quel punto di vista. Sarà che la mamma aveva avuto lei ed Evan molto giovane, complice il fatto che papà era stato il suo primo e grande amore, ma mi sentivo ancora troppo piccola per pensare a certe cose. Eppure, chissà per quale arcano motivo, nel pensarci avevo cercato, finendo con l’incontrarli, gli occhi di Damien. Distolsi in fretta lo sguardo, cambiando discorso.

- Allora, che ne dite del dolce?

Esclamai, tentando di ignorare quel batticuore che non passò inosservato a mio fratello.

Al termine di quella lunga e piacevole serata, poco prima della mezzanotte, seduti a chiacchierare del più e del meno in prosecuzione con la tavola, ma evitando riferimenti a certe situazioni, ci ritrovammo a giocare e a scambiarci i regali. Vedere la felicità sui volti dei miei amici, dei miei genitori e dei miei fratelli era tutto ciò che desideravo. Non che non ricevetti regali, anzi, in quanto più piccola, ne ebbi tanti, ma la realtà era che amavo il Natale e lo spirito che vi si respirava al sol pensiero di avere accanto le persone a cui volevo bene. Ci scambiammo gli auguri quando giunse la mezzanotte, brindammo alla speranza di un giorno meraviglioso e pieno di buoni sentimenti. Sorrisi intenerita quando vidi le coppie scambiarsi un dolce bacio sotto al vischio, che al contrario, io avevo evitato. Ma nonostante fossi felice, quella nota di sottile amarezza si fece sentire col suo suono cupo e uscii sul balcone, per non sentirmi un po’ quella esclusa da quell’amore che ancora non mi aveva baciata. Aveva ricominciato a nevicare e faceva parecchio freddo. Mi strinsi nel cappotto, raccogliendo sul palmo della mano guantata i fiocchi di neve e osservandoli incantata. Mi piaceva la neve. Quel candore mi ricordava la luna nelle notti di oscurità.

- Insieme a te, io starò per sempre… non temere mai, la tua mano stringerò… quando dormirai, sul tuo sonno veglierò, sai… ricorda che io ti proteggerò…

Canticchiai debolmente, la voce un sussurro rotto dall’emozione e dal gelo di quella notte santa. Non sapevo nemmeno come mi fosse venuta in mente quella canzoncina, una ninna nanna dolce e commovente.

- Sei qui con me e non ho più paura… non lasciarmi mai, io non resisterei… quando tu sei qui accanto a me, amor, son forte e sai… io non mi arrenderò…

La voce di Evan alle mie spalle. Non mi voltai, nemmeno quando vidi il suo braccio col pesante cappotto nero appoggiarsi alla balaustra.

- Che c’è, Aurore?

Mi domandò. Scossi la testa.

- Niente, torna dentro…

Evan sospirò e il suo fiato apparve visibile per via del gelo. Pochi istanti e ci raggiunse anche Arabella, anche lei avvolta in un cappotto, bianco però. Con delicatezza, mi mise in testa un cappello, poi mi abbracciò.

- Che succede, piccola?

Avevo sempre parlato tanto con mia sorella. Eravamo confidenti l’una dell’altra da tempo immemore e sapevo che nasconderle il modo in cui mi sentivo sarebbe stato inutile. La guardai, sforzandomi di sorridere.

- Pensavo solo che a volte mi sento un po’ giù…

Arabella mi studiò seriamente.

- Insomma, so che è da scemi, ma tutti si baciano sotto al vischio… ecco, l’ho detto…

Arrossii sentendomi incredibilmente in colpa e volendo sprofondare per la vergogna. Evan alzò gli occhi al cielo, poi mi richiamò.

- Guardami.

- Che c’è?

Chiesi, un po’ frustrata.

Evan sorrise dolcemente, poi scambiò uno sguardo d’intesa con Arabella e prima che me ne accorgessi, le labbra, fredde, dei miei fratelli furono sulle mie guance fredde altrettanto. Quel gesto mi fece sussultare e mi ritrovai ad arrossire più di quanto avessi già fatto.

- R-Ragazzi?

- Buon Natale, principessina.

Dissero entrambi accarezzando affettuosamente quell’appellativo col quale mi chiamavano ogni tanto, quand’ero piccola. E rincuorata dai loro sorrisi, emozionata, li strinsi forte entrambi, ricambiando quei baci.

- Buon Natale anche a voi, Evan, Arabella!

Esclamai, desiderando poter ricordare per sempre tutta la gioia che quel gesto aveva suscitato nel mio cuore.

E poi, quando anche quella festa fu finita, al momento del congedo, dopo aver salutato Violet, Ruben, gli amici dei miei genitori e Amber e Shemar, augurando loro una vita di felicità, mi ritrovai a dover salutare per ultimo proprio Damien. In realtà avevo visto Evan bisbigliargli qualcosa dopo che eravamo rientrati dal balcone e lui aveva risposto con un’espressione corrucciata a cui non avevo saputo dare un senso. Alla fine, eravamo rimasti solo noi, sulla porta di casa. Livia e Jamie lo attendevano nell’androne, due piani più sotto.

- Grazie per l’invito, allora.

- Non c’è di che… grazie per essere venuti.

Dissi, agitando la mano a mezz’aria. Damien, chiuso nel montgomery, con la sciarpa bianca che gli avvolgeva il collo, frugò nelle tasche.

- Che stai facendo?

- Il mio regalo. Non te l’ho dato prima per evitare che Hammond ti mettesse ancora una volta in imbarazzo.

- Eh?

Arrossii. Dannazione, doveva essere proprio un buon osservatore? Prese una scatolina incartata di satin. Io gli avevo preso delle cuffiette, sapendo che parlava spesso al telefono. Chissà per quale motivo mi sentivo così tesa nel vedere le mie stesse mani che trafficavano con la carta e si ritrovavano a scoprire un piccolo ciondolo per il cellulare a forma di fetta di torta. Istintivamente, mi ritrovai a ridere al pensiero che avevamo pensato qualcosa di simile entrambi. Damien aggrottò le sopracciglia.

- Non ti piace? Se vuoi cambiarlo…

- No, no, anzi! Mi piace molto, grazie!

Mi affrettai a dire, prima che pensasse male. In realtà non volevo che pensasse che non l’avevo gradito, perché non era affatto così. Damien sembrò sollevato.

- Posso chiederti perché hai scelto la fetta di torta?

Domandai, sorridendo. Però speravo che non si accorgesse più di tanto quanto mi avesse fatto piacere riceverlo. Fece spallucce, poi infilò nuovamente le mani in tasca.

- Se ti va, qualche volta, possiamo andare a mangiarne una insieme. Per quello.

Sgranai gli occhi, col cuore che prese a battere come un martello pneumatico e mi sentii mancare il fiato.

- M-Messaggio subliminale?

Domandai, imbarazzata. Damien arricciò le labbra in un sogghigno.

- Come ti pare. Buon Natale, Aurore Kensington.

- A-Anche a… no, cioè… buon Natale anche a te, Dam-- 

Aurore?

Il viso di Damien incuriosito. Io che mi avvicinavo e mi sollevavo sulle punte, aggrappandomi al suo montgomery

Aurore?

Tanto vicini da sentire quasi il suo respiro e il calore delle sue labbra…

Aurore?

Riaprii gli occhi, un po’ confusa.

- Mh…

Sbattei le palpebre, il tempo di mettere a fuoco e vedere il viso di Evan a pochi centimetri dal mio. A quel punto sgranai gli occhi e mi tirai indietro, mettendo le mani davanti alla bocca.

- C-Che diavolo ci fai qui, Evan?!

Protestai, tirandomi un po’ su. Ero nel mio letto e la sensazione di beatitudine che stavo provando poco prima stava felicemente andando a farsi una passeggiata senza ritorno. Evan, nel suo pigiama blu scuro, puntellato sul braccio, accanto a me, mi guardava alquanto perplesso.

- Ti sei addormentata sul divano un paio d’ore fa e senza lasciarti lì a prendere freddo, la mamma mi ha chiesto di portarti in camera. Solo che non sembravi affatto intenzionata a lasciare andare il mio pigiama e ho dormito qui.

- Oh…

Poco a poco, cominciai a fare mente locale. Mentre mi sentivo alquanto triste all’idea che ciò che avevo visto fosse stato solo un sogno, per giunta piacevole, dal momento che non mi capitava mai di farne di belli, cominciai a ricordare che avevamo passato la sera della vigilia a chiacchierare dei nostri viaggi e delle persone che avevamo incontrato e a ricordare il nostro misterioso papà, di cui non ricordavamo nulla. La mamma ci aveva detto che il suo sogno più grande era quello di poter addobbare l’albero tutti insieme e trascorrere le feste insieme all’amore dei nostri cari ed ecco spiegato perché avevo fatto quello strano sogno, che purtroppo, stava sfiorendo troppo velocemente per ricordare.

- Evan, ho sognato… b-beh, è strano, ma… c’erano tante persone… e non riesco a ricordare… maledizione! Ho detto qualcosa nel sonno? Perché mi hai svegliata?

Evan aveva la sua solita espressione inintelligibile, ignaro della mia frustrazione improvvisa.

- P-Per favore, Evan… aiutami a ricordarlo…

Sollevò la mano, accarezzandomi la guancia. Chissà da quant’era sveglio.

- Avevi un’espressione felice e doveva essere un gran bel sogno considerando il tuo sorriso. Ma no, non hai detto nulla… ti ho svegliata perché mi avevi afferrato il pigiama e avevi una bocca da polpo, il che mi ha inquietato e dunque, non vol--   

- Evan?

Gli feci eco, posando la mano sulla sua. Stavo fremendo, non so se più per rabbia per il modo in cui aveva appena definito la mia bocca o per l’imbarazzo dato dall’aver tentato, evidentemente, di baciare mio fratello.

- Sì?

Calma, Aurore. La ruota gira e tutto va bene, l’ago si posa sullo spicchio della tranquillità e tutto va bene. Perché rovinare la mia notte di Natale con un pugno dritto nella faccia di Evan che a quanto pare, aveva solo cercato di impedirmi di fare qualcosa di cui avrei potuto pentirmi a vita? Sospirai e gli rivolsi un sorriso indecifrabile persino per me.  

- Buon Natale, fratello mio e grazie…

Evan aggrottò le sopracciglia, non capendo. E vedendo quell’espressione, mi tornò alla mente il suo volto di bambino quando mi guardava senza riuscire a capire il perché non volessi dormire da sola, soprattutto durante le notti di Natale. Quel pensiero mi emozionò e il sorriso che ne seguì mi scaldò il cuore. Evan chiuse gli occhi, poi mi baciò in fronte e mi strinse a sé. Mi calmai all’istante, rassicurata dalle sue braccia forti e protettive.

- Dormi, Aurore, è tardi e domani sarà una lunga giornata.

Annuii, accomodando il viso nel suo petto caldo, felice di quella sensazione, nonostante ormai non riuscissi nemmeno più a ricordare cos’avessi sognato. Ma se Evan aveva detto che ero felice, allora doveva essere di certo stato un sogno stupendo.

Sogni d’oro, Aurore… e buon Natale anche a te, principessina…

 

 

  
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