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Autore: Harley_s    22/12/2013    1 recensioni
[Mitologia norrena]
Questo testo é scritto secondo il mio headcanon: per quanto la Creazione dell'universo, di uomini, Dei e animali sia già stata descritta, ho voluto dare una mia personale rivisitazione delle creature nordiche che abitano e vivono accanto e sotto Yggdrasill.
Le opere da cui traggo i personaggi sono l'Edda di Snorri.
Buona lettura!
"La storia che mi accingo a narrare non parlerà di Astri o Firmamenti, eroi infanti o amori rubati, avventure utopiche o vicende fantastiche,
Poiché non é di ciò di cui oggi ho premura e, a quanto pare, anche del domani. [...] É una storia divertente alla quale nessuno ride mai, poiché nessun animo é in grado di provare orgoglio di fronte alla verità. [...] Fuscello leggero e verde di propositi, Yggdrasill il Frassino aiutò gl'Astri e sorresse sulle sue possenti radici compiti e colpe e fiumi e lande desolate.[...] Non è il Tempo a distruggerti, vile idiota. É la cadenza degli eventi ad essere effimera.»[...] Ma chi nutrì mai, Heiðhrún, che di latte materno ne diede fin troppo e di lezioni paterne solo l'ombra?"
Genere: Generale, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Telja, Narrare
I personaggi, i luoghi, e le creature qui descritte non mi appartengono, ma sono un gentile prestito dell'Edda di Snorri, eccezion fatta per Blóta: questo testo é scritto secondo il mio headcanon, per quanto la Creazione sia già stata descritta, ho voluto comunque dare una mia personale rivisitazione delle creature di cui si parla nell'Edda.
Vi ringrazio e buona lettura!




Telja


La storia che mi accingo a narrare non parlerà di Astri o Firmamenti, eroi infanti o amori rubati, avventure utopiche o
vicende fantastiche, poiché non é questo che oggi mi preme e, a quanto pare, non lo sarà nemmeno domani.

Tutto cominciò quando le Stelle ancora non brillavano e i fiumi solcavano i cieli, quando il Sole cavalcava le terre e la Notte
dei Tempi era ancora un lontano sogno: in principio fu solo Luce e solo Buio, poiché l'uno era l'altro e il Tempo non valeva
più di un sospiro ghiacciato.
Fu il Sole Re a chiedere riposo e venia, e mai i suoi fratelli provarono tanto dolore come quel giorno: le piaghe e le ferite
ch'egli portava, dono della terra e delle montagne che lo sfidavano, non lasciavano via libera alle menti, ignare ancor oggi
del fatto che quella morsa gelata tutt'intorno al cuore fosse il peso delle loro colpe.

Riposo fu concesso al Sole, Re della Luce e del Fuoco, ma egli mai mostrò la rabbia e l'ira figlie della sofferenza: ancor oggi
quell'odio é visibile sulla sua pelle, nera come pece e rossa come fuoco e grande, solo come il dolore secolare sofferto.
Poi fu delle Stelle il turno: bolse e dolenti, il peso del Firmamento fu tale da dividerle e scoraggiarle.
Fuscello leggero e verde di propositi, Yggdrasill il Frassino aiutò gl'Astri e sorresse sulle sue possenti radici compiti e
colpe e fiumi e lande desolate.

Fu utopica la sua impresa e prodigioso il suo valore, e per quanto a centinaia furono le creature che lo lenivano, di queste
solo una ha l'orrido merito di essere rimembrata: occhi roventi come braci e freddi come il suo cuore; zanne affilate come
acqua di ruscello, grandi come cime aguzze e tinte dello scarlatto e dell'animo dei suoi stessi figli - che d'animo ebbero solo
il battito del loro cuore - e delle sue limpide intenzioni é offuscata la mente.
Fu ed é la guerra vera e mera, la tipica nenia, la lotta tra giusti infami e crudeli infanti, la battaglia cui vinti e vincitori sono
a pari merito valorosi scialacquatori di mendaci virtù e biechi ideali, e inetti pianificatori di mire idiote e trappole guastate.

É una storia divertente della quale nessuno ride mai, poiché nessun animo é in grado di provare orgoglio di fronte alla verità.

Solo dopo i primi dissidi anche il Tempo fu scandito: l'infame Messaggero non capì mai come accadde, né gli occhi dell'Albero
conobbero mai il perché: si seppe solamente che la vita cominciò ad affievolirsi ed una mistica figura tanto morta quanto viva
si presentò al cospetto del Re chiamandolo Regina, ed inchinandosi disse con calda voce il gelido nome: Hel.
Fu il mostro di cui prima narrai la bellezza che sentì i primi sospiri della Morte sul suo volto: dilaniando rabbioso la prole, vide
la verità e la decadenza sgorgare dalle labbra rosse di fascino e viola di morte della Dama senz'animo.
Hel non nacque per profetizzare, ma si é mai visto figlio illegittimo ignorare la sua vera natura?
«Non é il Tempo a distruggerti, vile idiota. É la cadenza degli eventi ad essere effimera.»

E fu dopo queste parole vittoriose che Niðhǫggr smise di tradire il suo stesso sangue: se non poteva recidere lui l'ultimo filo
vitale del vecchio Fuscello, allora sarebbero stati i posteri a pagare le colpe del Tempo e a concludere la pazzia voluta dal male.
La rabbia regna sovrana, caso sia che la paura si insinui; e il cuore della Bestia ne fu colmo a tal punto da renderlo cieco di
fronte alla luce più chiara: mai capì la Fiera che, se le radici fossero state divorate, pesi di colpe e di vite e di morti lo
avrebbero schiacciato, uccidendolo prima nel capo e poi nel corpo.

Il Tempo era ancora in fasce, reo del solo atto di non comprendere l'immenso potere a lui dato.
Rideva il Bimbo senza Futuro delle morti inaspettate di quelle piccole e fragili creature che pullulavano nel Profondo e
che, risalendo la corteccia e le Stelle, sentivano le loro membra staccarsi dalle ossa e le loro carni lacerate dall'aquila
angelica, guardiana innominabile del pigro e acuto falchetto e dell'infame gallo e dei quattro egoisti e della capra che sfama.
Ma chi nutrì mai Heiðhrún la capra, che di latte materno ne diede fin troppo e di lezioni paterne solo l'ombra?

L'eccesso della sua bontà cadde sino alle radici, sfamando sia il Divino Fuscello che l'orrida Fiera digrignante: il logoro divenne forza,
l'odio follia, e ciò che del cuore rimaneva pietra.
Dei Nove Frutti solo sette sbocciarono in vita e per questo il Saggio senza volto divenne invece grato: fu la speranza
delle sue lacrime a dare vita e mortalità ai rimasti, la sua gloria a far schioccare loro le lingue e muovere gli arti.
L'amarezza prese forma negl'occhi del Secondo, l'Uomo che mai si era voltato e né camminava: a lui andavano gli errori e la
vergogna di gesta e volontà mortali.

Capitò tuttavia, libera fatalità, che furono quattro le fanciulle che rubarono la giovinezza, poiché della bellezza eran già dee: dolci e
innocenti come poche, di tutte le meraviglie loro ne erano la perfezione.
La più vecchia, Blóta, saggia e forte, dalla chioma scarlatta come il sacrificio e il sangue, dorata come il Re Lucente e fiera
della stessa vita come della natura, che dal veder lontano trasse virtù e forza.
Ancora più bella fu la seconda, Skuld, forgiata dalla neve e dal buio, timida come i boccioli d'inverno e desiderosa d'innocenza
e tempo passato.
Fu erede di montagne e oceani Verðandi, dai castani capelli, dalla chioma d'onde d'oceano, dalle chiare efelidi sulle guance,
dagl'occhi di spuma e dalla pelle figlia della sabbia.
Più giovane e dolce, Urð, dal sorriso radioso, rosea come la Primavera, bionda più del grano, correre e ridere sono la sua vita,
il futuro la sua volontà.

Fu un battito di troppo per le piccole tre sorelle.
Un respiro mancato per i fratelli.

Delle quattro fu la scarlatta a piangere preghiere e gridare suppliche, giacché della morte di una di loro sognò la venuta,
ma a nulla valsero i suoi tentativi.
Il Tempo si innamorò di loro, mai verità fu più vera, ma la superiorità li portò a pensare e a rinunciare.
«E se fossero mere mal'intenzioni? Vi invito, miei fratelli, a rammendare che loro immuni saranno ai nostri poteri.»
Ma il Saggio desisté, «Rimembrate la virtù della maggiore: furono due quarti di luna passati, e la notte la torse nel suo
abbraccio. Di quale Hel bacerà la fronte?»
«Di furbizia si veste la cagna ladra! E copre le sorelle sue con la stessa avidità della dolce Skuld! Desistete al pericolo,
alla tentazione! Mirate Niðhǫggr: chi fu mai altrettanto capace di sottomettere al volere i figli suo sangue?»
Unanimi nel silenzio, decisero di mettere alla prova cuore e mente delle fanciulle: finsero la morte; ad essa avrebbero
potuto trovare rimedio solo col sacrificio da parte delle tre.

A Skuld fu posto il dilemma e la risposta non destò sorpresa: la vita dell'amante per la sua vecchiaia; per il cuore, avrebbe
donato il suo futuro.
Indignato, il Tempo si avvicinò a lei e la baciò: dal Saggio Skuld ereditò per forma nove vite passate, e a lei fu donato l'obbligo
di strisciare nel fango delle radici come i figli della Fiera.

Della più giovane non si può certo invidiare la fine: promise il suo passato e la giovane bellezza di cui vestiva affinché
l'animo dell'uomo amato potesse starle vicino sino alla venuta di Hel l'Immonda.
Di lei non si fecero beffe, poiché della Primavera e dell'innocenza ella era macchiata: una dolce carezza confuse la giovane,
e quando vide nel suo riflesso la sé stessa di sei inverni addietro non represse lo sguardo sdegno e scagliò una pietra contro
l'amato, dannandolo sotto le fauci della stolta Bestia.
Iracondo, il Tempo la tramutò in cigno: relegandola lontana dalla sorella, la sfidò a lasciare quel dirupo di morte e distruzione;
quando le radici di Yggdrasill tentarono di mostrarle invano la via di fuga, poiché d'amore e rimorso fu dettato il gesto,
l'infame Fiera non resistette al canto dell'opportunità e ad ella vietò la salvezza: ai figli fu ordinato di mordere il candido
manto della nera Urð qualora gl'occhi, nascosti nel buio, avessero desiderato le fronde del Frassino e la fine della sua origine.

Fu più furba Verðandi; o fu forse la verità ad essere data come risposta?
Per l'amato recise i capelli e sfregiò il viso, donò gl'occhi e la vita stessa: mai il Tempo provò tanto dolore, né Hel tanto sdegno.
Ma la Dama non si dette per vinta: scuoiò i fratelli, si vestì delle loro membra, appese ossa e frattaglie alle volte del suo
castello e tramutò le loro carni in squallidi corvi e fameliche carogne.

Il Tempo fu restituito al Divino Albero ma, bisognosa di anime, la Morte fece visita a Blóta: la più vecchia delle fanciulle
non aveva perso la bellezza e il tono fiero, ma gl'occhi rossi e gonfi e il viso stanco e solcato da graffi parlarono al suo posto.
Le poche parole di Hel furono invitanti e portatrici d'immensa gioia per la sopravvissuta, che accettò il patto pagando con
la vita: come le fu indicato, Blóta scese Yggdrasill e si addentrò in luoghi e lande proibite, in steppe e selve mistiche,
viaggiando fino alle radici.

Fu qui che la spada recise il cuore, che l'animo di Blóta l'Assopita si donò al corpo di Verðandi la Donna, che
Skuld la Vecchia maledì tutti coloro che di felicità e fortuna ne ebbero molta; fu qui che Urð la Giovane pregò
il Frassino loro padre e tramutò la sorella dai rossi capelli in pietra, la sue ossa in legno e la sua bellezza in acqua,
fonte d'immortalità.
Fu qui, al pozzo di Urð: ancora affamata, la Dama senz'animo diede loro un'ultima punizione: portatrici del Passato,
del Presente e del Futuro.
Su Urð la Giovane cadde la prima scelta; le altre sorelle capirono, e Verðandi la Donna la si conobbe solo come il
Presente, Futuro fu il nome dato a Skuld la Vecchia.

Ma come avrete certamente imparato, le colpe e le disgrazie subite troveranno sempre la via del ritorno; queste
non furono da meno.

Persi la bellezza, il calore di una famiglia, l'amore e persino la pace, la Donna non seppe trattenersi e sfidò colma
d'ira e di follia la Morte e Ratatoskr, l'infame Messaggero: da esso nacque il Tempo, ed Hel fu l'artefice di tanta malignità.
Si tramutò in bestia, Verðdandi: un ragno rosso e visibile solo alle sorelle sue care, che ancora oggi tesse le sue
mire e i suoi propositi verso gli unici che vissero senza colpe: i mortali.
La Donna tesse le fila d'ognuno, Urð le sfilaccia con zampe e becco, e la Vecchia Skuld le taglia con le sue possenti
fauci: tuttavia non tutte le anime vengono gettate tra le vesti della Morte.

Coloro cui le colpe manchino o vengano perdonate seguiranno Heiðhrún ed Eikþyrnir suo cervo
compare: le loro corna apriranno ai giusti le porte del Valhǫll, e spingeranno negli Inferi di Hel le creature che
di meritevole ebbero poco, se non la condanna.

Ed é qui che il mio canto potrebbe finire, se non per il fatto che il Messaggero corre sempre più veloce, le tre
sorelle Nornir hanno smesso di tessere e sfilacciare e tagliare, i quattro cervi egoisti balzano timorosi da un
ramo all'altro del Frassino, Hel grida con ancor più fervore la sua rabbia, Niðhǫggr vomita le carcasse dei
suoi figli, e Veðrfǫlnir il falchetto becca l'infame gallo affinché non canti: se ciò accadesse, il Ragnarǫk farebbe
di Niðhǫggr il Re e di Hel la Regina.
L'acqua seccherebbe e la neve brucierebbe; le donne diverrebbero madri di cadaveri putrefatti e sfilacciati,
le infezioni diverrebbero cancro e le lacrime sangue, i nascituri sopravvissuti storpi e usurpatori e assassini,
gli aguzzini vittime, i guerrieri traditori del loro re.
Yggdrasill si sfalderebbe pezzo per pezzo, il sangue ormai marcio infetterebbe le foglie e le creature diverrebbero
folli ammassi di manto e ossa.
Mangiandosi e mordendosi a vicenda , i cervi e il falchetto e l'aquila e lo scoiattolo sanerebbero le ferite della Bestia
con le loro stesse frattaglie e la loro morte.

Vorrei poter narrare di come Niðhǫggr morì solo e inerme, di come la prole divorò gl'occhi e la mente della Fiera,
di come Urð si librò alta sino alle fronde e in che modo Verðandi rinunciò alla losca vendetta.

Ma non posso.

Sarà questo ciò che narrerò, mentre esalo il mio ultimo respiro...

Lo sentii.
Lo sentimmo tutti.
In una mite giornata d'autunno, quando ancora ne puoi ammirare le vivaci foglie secche e il fresco splendore,
una stridente carogna mozzò la testa al falchetto.

Maligna Hel rise.

E il gallo cantò.




Suvvia, non siate rattristati: io vi avevo avvisato.









Angolo dell'autrice:
A voi che siete arrivati fin quaggiù grazie per aver letto!
Telja
, se non ho sbagliato le mie ricerche, significa appunto narrare.
Come ho detto prima é una rivisitazione nata dal mio headcanon, e spero vi sia piaciuto: e per questa ispirazione devo ringraziare un mio caro amico, senza il qualche non avrei scritto nemmeno un "ciao".

Ho letto solo stamattina la creazione dell'Edda. Quindi se vi sono somiglianze a cui non ho fatto modifica, perdonatemi.

Bé, che dire?
-Per la nascita del Tempo, ho pensato al mio caro scoiattolino che, per percorrere l'intero albero, ne farà di miglia all'ora, no?
Così mi sono detta: e se fosse la velocità la vera madre del tempo? Dopotutto senza di quella noi non ci muoveremmo, e nessuna sveglia dovrebbe suonare per sbaglio la domenica.
Così ho immaginato la rivelazione di qualcosa a cui nessuno sa dare spiegazione, qualcosa che capita anche oggi nell'ambito della scienza: i cosidetti grandi Perché?.
-Essendo Hel la morte, la definisco una figlia del tempo; la frase in cui mi riferisco a lei come figlia illegittima é un tributo al Loki shakspeariano di Sir Hiddleston, di Thor.
Chi non ama questo villain?
Il fatto che la Morte non profetizzi non vuol dire, inevece, che non possa sapere.
-Ho immaghinato Niðhǫggr un mostro senza cuore, pronto a tutto per ottenere ciò che brama: quindi mi pare naturale che uccida i suoi figli.
-Il Bimbo, l'Uomo e il Saggio sono figure inerenti al Passato, al Presente e al Futuro: il fatto che s'innamorano di mortali indica l'umanità e i sentimenti che dopotutto vi sono anche negli dei e nelle altre entità divine.
-Blóta é stato una manna dal cielo, a mio avviso: senza di quella non avrei potuto dare una motivazione al nome del Pozzo, Urð giustappunto, che ha trasformato la sorella più vecchia in qualcosa di perpetuo. In poche parole, la fine della storia e la sua pubblicazione é dovuta anche a questa illuminazione.

-Le figure della serpe, del cigno e del ragno sono proprio i corrispondenti animali delle Norne; così come la colpa/debito di Skuld, che eredita la vecchiaia; l'origine cioè la nascita di Yggdrasill che Urð dovrebbe dannare proprio per l'esser relegata laggiù; e infine Verðandi che rappresenta il Presente ed é l'unica a rimanere tale, se non per l'orrido aspetto che ha. Da qui il collegamento al suo nome "ciò che diviene".
Blóta é colei che vede, ma non ha particolari poteri come quelli della moglie di Óðinn (Odino), né possiede il Seiðr: é solo una figura-ponte, a cui mi sono appigliata per la creazione del Pozzo Urð e della sua acqua dai poteri magici.
-Infine, ho dato una mia personificazione del Ragnarǫk, immaginando cosa potesse accadere senza dover rifarmi alle vera venuta della Fine nell'Edda.
Il fatto che tutti muoiano (perché, muoiono tutti, nessuno escluso) lo devo ad una mia amica: quando mi chiese come l'avrei fatta finire e se l'avrei fatta finire, mi disse scherzando che li avrei uccisi tutti.
E io l'ho abbracciata per aver trovato soluzione al mio dilemma!

Adesso prometto che smetto di parlare, ma prima un'ultima cosa: ringrazio di nuovo tutti coloro che hanno letto e spero che vogliate perdere qualche minuto per dirmi cosa ne pensate.

E ultima cosa: se potete, ditemi se ho fatto o mi sono sfuggiti errori di grammatica e/o ortografia: ve ne sarò immensamente grata!
Bacioni,

Harley_s




  
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