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Autore: lulubellula    22/12/2013    6 recensioni
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La nona stagione?
Dimenticatevela e ripartite da dove tutto è iniziato, dall' incidente aereo, che ha sconvolto le vite di molti.
Di Lexie che non c'è più.
Di Mark che deve continuare senza di lei.
Di Arizona che ha QUASI perso la sua gamba e deve affrontare l'ultimo addio del suo migliore amico.
Di Callie che deve rimettere insieme i pezzi.
Aggiungete un nuovo bambino in arrivo, un uomo misterioso e sua figlia malata, tanti imprevisti, lacrime e sorrisi e otterrete una storia che vi terrà con il fiato sospeso sino alla fine.
Che cosa state aspettando?
Entrate e scoprirete tutto (o quasi).
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres, Mark Sloan
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nona stagione
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Non c’è due senza tre

Capitolo Trentatreesimo


Mark era sconvolto come non mai, era uscito di casa in tutta fretta e senza voltarsi indietro, le mani nelle tasche della giacca a vento, i piedi che camminavano troppo veloci e quasi asincroni, la porta sbattuta con rabbia come se in mancanza della possibilità di sfogarsi con suo padre, avesse preferito prendersela con un pezzo di legno verniciato.

Calliope era corsa in corridoio per fermarlo, per provare a farlo ragionare, ma ogni tentativo era stato vano; con il solito gesto d’intesa, Mark le aveva fatto capire che aveva bisogno di stare da solo e di far sbollire la sua rabbia, perciò la donna l’aveva lasciato andare, del resto non aveva nemmeno la più pallida idea di ciò che dirgli.

Sapeva molto poco della famiglia dell’uomo, poche parole colte qua e là nel corso degli anni, telefonate imbarazzate e formali per Natale, finché cessarono persino quelle e restarono telefoni lasciati suonare a vuoto e biglietti di auguri prestampati buttati in tutta fretta nel caminetto.

 “Provengo da una famiglia molto ricca e altrettanto fredda, Callie, ti basti sapere questo. La famiglia di Derek, quella sì, è stata quanto di più simile abbia avuto ad un legame parentale” le aveva detto una volta Mark in occasione della festa della mamma, mentre acquistava un regalo per Carolyn Shepherd, la madre del suo amico d’infanzia.

Nell’appartamento era crollato il silenzio. Il padre di Mark, Samuel Sloan, se ne stava poco lontano dall’uscio e squadrava la casa del figlio come se stesse cercando di farle una radiografia e di catturare anche il più piccolo particolare.
Era un uomo sulla settantina, distinto, curato nei modi e nel vestire, la classica persona che sapeva stare al mondo e trovarsi a proprio agio nelle situazioni più disparate. Aveva gli occhi azzurri, di un azzurro torbido e indecifrabile, ma vivi, un lampo di luce sembrava attraversarli in continuazione, i capelli, una volta probabilmente di un castano piuttosto chiaro, erano ora argentei. Indossava un completo di colore grigio antracite e calzava dei mocassini che con ogni probabilità costavano alcuni mesi di stipendio di una persona qualunque, pur portandoli tuttavia con una naturalezza e uno savoir faire tutt’altro che comuni.

Il padre di Mark osservava con attenzione ogni angolo della casa, ogni quadro, suppellettile, tonalità delle tende, della stoffa dei divani, la tinteggiatura delle pareti.

L’atmosfera iniziava a farsi glaciale, le due donne erano piuttosto imbarazzate; lo shock generale per arrivo dell’uomo aveva lasciato il posto al silenzio e a sguardi che si spostavano dal pavimento al soffitto senza dare alcun segnale apparente del fatto che la situazione si potesse sbloccare in alcun modo.

L’unica che sembrava non essere per nulla turbata era la piccola Sofia che continuava a canticchiare e a colorare, sempre gli stessi disegni, gli stessi colori, le medesime ambientazioni: lei, Jerry e un aeroplano che volava nel cielo.
Ad essere insoliti erano i colori utilizzati dalla bambina: il cielo violaceo e con nubi nerastre, il prato blu, i fiori grigi e l’aereo color rosso acceso; di sicuro la Dottoressa King, la psicologa infantile avrebbe avuto molto materiale su cui lavorare il giorno seguente.

L’attenzione del padre di Mark si spostò ben presto sulla bambina, ero intento a riconoscere nella piccola delle somiglianze, degli atteggiamenti simili ai suoi, a quelli di suo figlio.

D’un tratto, Samuel ruppe il silenzio, parlando con voce insolitamente incerta, quasi rotta e malferma.
“Lei è …” iniziò.
Callie e Arizona annuirono anticipando le sue parole.
“E’ Sofia, è sua nipote, la figlia di Mark” disse Callie a bassa voce per non farsi sentire da lei.

L’uomo si ricompose quasi subito, l’emozione che l’aveva tradito prima, sembrava come svanita nel nulla, volatilizzata, lasciando spazio alla sua freddezza ed eccessiva compostezza nei modi, nei pensieri.

“Gli assomiglia – constatò l’uomo – ha preso molto dei tratti somatici di sua madre, ma i suoi modi, la sua decisione nello scegliere i pennarelli e il suo tratto sicuro … Ha il nostro piglio, la nostra sicurezza – poi si corresse – quella di Mark intendevo”.
Sofia parve non accorgersi dell’elettricità che stava invadendo la stanza, lei era diventata il fulcro delle attenzioni dei tre adulti, senza esserne consapevole.

I suoi capelli castani erano legati con una semplice coda di cavallo, un fermaglio verde e arancione con un fiore come decorazione ad incorniciarle il viso infantile, un sorriso assorto dipinto sulle sue labbra, la dentatura bianca e incompleta e un paio di manine intente a completare l’opera.

Agli occhi dei tre appariva come una creatura perfetta, una bambina ancora piccola e forse fragile, ma che, tuttavia, aveva conosciuto prima del dovuto alcune amarezze della vita.

Arizona cercò di fare del suo meglio per sbloccare la situazione invitando l’uomo a bere una bevanda calda nel salone, bevanda che il padre di Mark accettò di buon grado, cogliendo al balzo l’occasione di conquistare l’attenzione, se non del figlio, perlomeno quella delle madri della nipotina.

Callie si sedette al tavolo e Samuel, a sua volta, fece lo stesso.

La donna tentò di intavolare un discorso con lui, ma ben presto le sfuggì di mano e la conversazione cadde irrimediabilmente su Mark e sul bambino in arrivo.

“Vedo che Sofia avrà presto un fratellastro o una sorellastra” iniziò l’uomo, ponendo volutamente l’accento sul suffisso delle due parole.

Calliope, indignata per il tono e per la supponenza dell’eloquio di Samuel, ribattè infervorata:” Sofia avrà un fratello o una sorella, perché sia lei che il piccolo hanno gli stessi genitori biologici. Ma, ciò  non toglie che, se in futuro Arizona volesse avere un figlio, quest’ultimo non sarebbe considerato un fratellino o sorellina di seconda categoria per Sofia rispetto al piccolo che nascerà tra breve. Io e mia moglie abbiamo tutte le intenzioni di avere una grande famiglia piena di amore, affetto e di bambini!”.

L’uomo non battè ciglio di fronte allo sfogo della donna, piuttosto soffermò la sua attenzione su ciò che lei aveva detto in principio.
“Dunque – iniziò – immagino che dovrei rallegrarmi del fatto che entro pochi mesi avrò un nuovo nipote, un nuovo erede” constatò con sufficienza, quasi con leggero tedio.

“Immagino di sì” tagliò corto lei, sollevata per l’arrivo di Arizona con caffè e tè caldi.

“Ecco. Caffè espresso per lei – porse la tazza a Sam - e per me. Ti ho preparato un tè zuccherato con miele di tiglio, Callie, sono già un paio di notti che hai il sonno agitato; ho pensato che qualcosa di caldo e senza caffeina ti potesse aiutare” le disse porgendole amorevolmente una piccola teiera di porcellana, dipinta a mano, fiori minuscoli, ghirigori e fili d’erba ad ornarla.

“Grazie, hai fatto bene, è stato un pensiero gentile”.

L’uomo alzò le sopracciglia e aprì la bocca con l’intento espresso di ferire con le sue parole:” Quando avrete finito con la fiera delle smancerie, una di voi due potrebbe prestare attenzione a mia nipote e preparare anche a lei qualcosa da mangiare o da bere, invece di continuare a pensare egoisticamente ai vostri comodi”.

Arizona rimase molto offesa dalle sue frasi e si preparò a reagire, pensò di ribattere qualcosa dapprima, ma poi sentì quel fastidioso e famigliare formicolio agli occhi che precedevano le lacrime e si limitò ad alzarsi da tavola e a prendere in braccio la piccola.

“Porto la bambina nel nostro appartamento, è stanca, è passata da un po’ l’ora della messa a letto. Poi sono stanca anche io. Mi raggiungi?” le chiese con un tono di voce fin troppo calmo e piatto, ma con lo sguardo che comunicava ben altro.

Calliope si ritrovò in mezzo a due fuochi, da una parte Arizona e Sofia, sua moglie e sua figlia, dall’altra Samuel e per esteso anche Mark, perché capire le motivazioni dell’arrivo improvviso dell’uomo aveva conseguenze che sarebbero ricadute anche sul suo migliore amico.

La scelta di restare lì o di tornare nel suo appartamento non era così semplice e scontata ed implicava un certo margine di errore in entrambi i casi.



Intanto, là fuori, Mark stava camminando senza avere una meta ben precisa, cercava solo di dar sfogo attraverso ai suoi passi all’arrivo inaspettato di suo padre, del resto avevano passato gli ultimi anni delle loro vite ad ignorarsi completamente e potevano benissimo continuare così ancora. O forse no?

Faceva ancora freddo, erano quasi le undici ormai, era stato lontano da casa per un po’, scappando dai suoi problemi e riversandoli sulle spalle di Callie e di Arizona e per questo si sentiva in colpa, ma sapeva anche che in questo modo aveva risparmiato loro di assistere ad un litigio furioso e acceso con il suo vecchio, litigio che, purtroppo, era stato solo momentaneamente rimandato.

Non erano mai stati migliori amici loro due, nemmeno quando lui era fanciullo e il papà rappresentava una sorta di modello a cui ispirarsi, una figura forte da imitare e da seguire; suo padre non c’era mai, non per lui almeno, c’era per i suoi collaboratori, per gli amici del circolo del golf, per sua madre e nemmeno più di tanto e per la segretaria di turno, ma praticamente mai per lui.

Allora lui aveva imparato a cercare l’affetto di cui aveva bisogno altrove e l’aveva trovato a casa di Derek, in una famiglia decisamente più modesta e meno abbiente ma che aveva qualcosa che nella sua mancava del tutto: amore, fiducia, rispetto, laddove sembrava che mancasse tutto per via della condizione economica, aveva trovato quello che i soldi non gli avrebbero mai permesso di ottenere.

Suo padre era tornato da lui, ma era in ritardo di oltre quarant’anni, quello di cui aveva bisogno da bambino non gli serviva più ora, aveva trovato amore e amicizia in luoghi inaspettati, aveva amato e voluto bene persone con cui non condivideva nemmeno una goccia di sangue, persone che lo avevano fatto sentire uno di famiglia più dei suoi stessi genitori.

Quarant’anni di niente e di silenzi non si potevano cancellare così, d’un tratto, in una sola serata, sempre ammesso che il perdono fosse quello di cui era in cerca quell’uomo in cui stentava a riconoscersi, in cui faceva fatica a credere di assomigliare, pur essendone figlio, pur sentendosi estraneo.

Mark continuava a camminare imperterrito per le vie semideserte e buie di Seattle, un passo davanti all’altro, destro, sinistro, di nuovo destro, concentrarsi sul rumore dei suoi passi sull’asfalto bagnato sembrava riuscire a sgombrargli la mente, a non permettergli di pensare a nulla.

Distratto, stanco, arrabbiato, questi erano gli aggettivi che meglio parevano descrivere il suo stato d’animo, a questi si sarebbe potuto aggiungere anche deluso, se solo gli fosse ancora importato qualcosa di suo padre, di tutti quegli anni infantili che lui aveva preferito trascorrere lontano e assente verso l’unico figlio che avesse al mondo.

Gli unici pensieri che gli giravano per la testa erano quello del padre a casa sua e del fatto che dovesse smetterla di pensare al fatto che quest’ultimo fosse piombato sulla porta di casa sua e nella sua stessa vita.

Era così distratto da non notare che un uomo stava provenendo dalla parte opposta alla sua, malfermo sulle gambe e che si stavano letteralmente scontrando, l’uno troppo assorto nei suoi problemi, l’altro troppo brillo, per non dire letteralmente ubriaco.

Lo scontro fu inevitabile e sembrò risvegliare Mark dalla stato di nervosismo, tensione e ricordo in cui era piombato da oltre un’ora.

“Mi scusi” disse lui mostrandosi mortificato per non essersi accorto prima dell’uomo.

“Mi scusi un accidente! Lei non stava nemmeno guardando dove mettesse i piedi e mi è venuto addosso! Guardi come ha rovinato la mia giacca!” rispose lui in modo arrogante e scortese, arroganza e scortesia che sembravano comparire in gran parte a causa del suo stato dell’ebbrezza.

“Io mi sono scusato con lei già una volta e non intendo farlo una seconda. Inoltre lo stato della sua giacca non è di certo colpa mia … che si scolato? Rum, gin, tequila? Mi lasci indovinare un mix di tutti e tre a giudicare dal suo stato mentale” ribattè prontamente il chirurgo plastico.

“Come si permette di darmi dell’ubriacone? Sono un ingegnere stimato, un padre di famiglia, mi ha forse preso per un alcolizzato?”.

“Nemmeno immagina quanti stimati professionisti, quanti padri di famiglia riempiano le sale degli alcolisti anonimi, le camere delle cliniche per disintossicarsi anche da altre sostanze”.

“Non sono un alcolizzato, né un drogato, ho solo bevuto un bicchierino di troppo stasera, ma questo non le dà alcun diritto per etichettarmi in questo modo!” disse aggrappandosi al bordo di una panchina.

“Paranoia, irritabilità e anche ansia a quanto pare, lei deve aver bevuto un bel po’”.

“Mi lasci stare! Se ne vada!”.

L’uomo si dovette sedere e iniziò a portarsi le mani alla testa.
Mark gli si avvicinò.
“Si sente male? Sono un medico, posso aiutarla, mi dica quanto alcol ha ingerito!”.
“St-sto bene! Ho solo un po’ di mal di testa, qui c’è troppa, troppa luce!” disse indicando una strada semideserta e scarsamente illuminata.
“Mi senta, signore, sarebbe meglio che la accompagnassi a casa e ancora meglio che la portassi in ospedale, visto che cominciano a preoccuparmi le sue condizioni psico-fisiche, come il mal di testa e l’eccessiva intolleranza alla luce che lei ha appena manifestato per farne un paio di esempi”.

“Non c’è nessuna casa”.
“Ma lei mi ha appena detto di essere uno stimato ingegnere”.
“Sì, ma non c’è nessuna casa perché non sono di qui, vivo in una stanza d’hotel e dubito mi farebbero entrare in questo stato, ho il conto in banca già all’asciutto per via delle spese mediche”.
“Ha qualche patologia particolare di cui dovrei essere a conoscenza?”.
“Io no, ma mia figlia è ricoverata da diverse settimane nel reparto di chirurgia pediatrica e sembra solo peggiorare, solo peggiorare!”.

“E ora arriva il pianto …”.
“Non è colpa dell’alcol però, piangerebbe anche lei se avesse una figlia nelle condizioni della mia!”.
“Sì, certo” disse Mark imbarazzato.
“Io la accompagno all’ospedale lo stesso, sua figlia è degente al Seattle Grace Mercy West?”.
“Sì, l-lì”.
“Le do una mano ad alzarsi, non credo che lei abbia granchè equilibrio ora come ora”.
“G-grazie”.

“Pensa di riuscire a camminare? Mancano solo un paio di isolati all’ospedale”.
“Credo di sì, insomma, dovrei riuscirci, nonostante mi giri incredibilmente la testa”.

Entrambi si avviarono verso l’entrata del Pronto Soccorso dell’ospedale, Mark non se la sentiva di lasciar solo quell’uomo tanto ebbro, spaventato, solo in quella notte così fredda e triste e non voleva nemmeno tornare a casa, vista la situazione che si era lasciato alle spalle.

Camminò con passo incerto e la vista sfocata l’uomo incontrato dal plastico, dovendosi fermare di tanto in tanto a prendere enormi respiri, boccate d’aria fredda che per qualche istante gli alleviavano il senso di nausea e la secchezza della gola.

“Ho appena avvertito una specializzanda con il cercapersone in modo che al suo arrivo si possa occupare di lei, preferirei che entrasse in reparto su una sedia a rotelle, è incredibilmente pallido e sudato, non sono proprio dei buoni segnali, mi creda”.

L’altro annuì.

“Mi servono nome e cognome per compilare poi la sua cartella clinica”.
“Davies, sono Robert Davies”.
Mark si appuntò nome e cognome.
“Ok, siamo quasi arrivati. Murphy, vieni qui”.

La specializzanda si avvicinò a lui con la sedia a rotelle.
Robert si fece improvvisamente ancora più bianco e pallido.
“Credo, credo di sentirmi … m-male” disse prima di imbrattare le scarpe ortopediche e i pantaloni della specializzanda.
A Mark scappò un sorrisetto:” Bè, se non altro la lavanda gastrica potrebbe non essere più necessaria a questo punto” disse osservando la faccia di Leah che era a metà tra il disgustato e il sorpreso.

“La accompagnerà dentro ora, lei ha bisogno di riposare, di essere monitorato per la notte e idratato a dovere”.

“Ma mia figlia …” iniziò Rob.

“Sua figlia starà bene questa notte, non si preoccupi, cerchi di pensare a rimettersi in forze lei al più presto”.

“Grazie”.
“Non c’è di che”.

La Murphy lo fece salire sulla sedia a rotelle e fece per accompagnarlo, ma venne interrotta da Sloan.

“Mi raccomando Murphy, tienilo sotto controllo, che non faccia sciocchezze di  cui ti riterrei diretta responsabile”.

“D’accordo, Dottor Sloan” .


Mark si voltò e fece qualche passo in direzione del bar di Joe, quando sentì il tocco di qualcuno sulla sua spalla sinistra, conosceva quel tocco, ragion per cui avrebbe evitato di voltarsi se solo ne avesse avuta l’opportunità e avrebbe iniziato a correre verso casa di Derek come faceva quando aveva undici anni, solo che ormai era cresciuto e la casa del suo migliore amico era troppo lontana per essere raggiunta a piedi in un lasso di tempo ragionevole.


 
NdA:
Rieccomi qui, dopo molto tempo dalla pubblicazione dell’ultimo capitolo di questa long.
Non disperate, prometto che non ne passeranno altrettanti per il prossimo e che la narrazione si sta avviando lentamente a chiudere il cerchio (mancano ancora alcuni capitoli alla fine però).
Spero che vi sia piaciuto quanto avete appena letto e che abbiate voglia di scriverlo (anche per confrontarvi con me, dirmi se c’è qualcosa che non va, non vi convince).
Come avrete notato mi sono tolta un sassolino dalla scarpa per la parte in cui compare Leah … (spero che non abbia dato fastidio a qualcuno).
Alla prossima miei cari lettori.
Lulubellula
E vi ricordo la pagina fb: https://www.facebook.com/pages/Greys-anatomy-italia-fanfiction-Lulubellula-2calzona3/396998680414584
 

   
 
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