Libri > I Miserabili
Ricorda la storia  |       
Autore: piuma_rosaEbianca    23/12/2013    0 recensioni
Grantaire ed Enjolras sono gli unici Grifondoro del loro anno a rimanere ad Hogwarts durante le vacanze natalizie. Si ritroveranno a passare fin troppo tempo insieme, ma forse non andrà poi così male.
Ambientato in era moderna, non troppo sporadici riferimenti all'universo di Harry Potter (bookverse, ovviamente, you mudbloods.)
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
2312 23 dicembre.
Iniziano oggi le vacanze in molte scuole, Hogwarts compresa. Grantaire ed Enjolras sono in vacanza e anche io lo sono, non è meraviglioso?
*no*
Niente, ok, vi lascio subito alla lettura.
Ci rivediamo giù.

Grantaire si aggiustò la cravatta rossa e oro e sospirò.

Si sentiva stranamente in ansia. In teoria avrebbe dovuto essercisi abituato ormai, dopo cinque anni. E, comunque, passare due settimane da solo non era un problema così grosso per avere tutta quella preoccupazione.

Lui e gli altri avevano evitato l'argomento per giorni, sin da quando il professor Paciock era passato a prendere i nomi di chi sarebbe rimasto a scuola per le vacanze. Non si era premurato di chiedere conferma a nessuno, ormai abituato ad essere l'unico a non avere una famiglia che lo volesse a casa, che sentisse la sua mancanza. L'unico per cui Hogwarts, nonostante fosse una semplice scuola, era sempre e comunque meglio di casa sua.

Sospirò di nuovo e scese le scale, lentamente, per niente frettoloso di constatare quanto deserta fosse la sala comune.

Nonostante si fosse alzato tardi di proposito per evitare di intristirsi nel salutare i suoi amici, lo amareggiava sempre un po' vedere di essere effettivamente solo. Portava ancora fresco il ricordo della sera prima, vivo nel suo mal di testa e nell'odore di alcool che permeava il dormitorio, e voleva tenerselo stretto per il resto delle vacanze, fino a quando i suoi amici non sarebbero tornati e avrebbero ripetuto l'esperienza.
Era così che superava la malinconia: aggrappandosi ai ricordi. I pochi belli che aveva appartenevano quasi tutti a quelle vecchie mura di pietra, a quelle tende di velluto rosso e ai sorrisi dei suoi migliori amici. Quei pochi che riuscivano a fargli dimenticare cosa lo aspettava a casa, cosa nascondeva dietro al suo sarcasmo e la sua sfacciataggine.

Caracollò nella sala comune occupata solo da un paio di ragazzini del primo anno e un gruppetto di ragazze del terzo, e andò a sedersi in una delle poltrone più vicine al fuoco, pensando di rimanerci sprofondato fino all'ora di pranzo.

«Gli altri ti salutano.» disse all'improvviso una voce molto familiare dalla poltrona accanto.
Grantaire sobbalzò girandosi di scatto. In un attimo, la sua ansia prese senso e pesò un po' di più sul suo cuore già stanco.
«Enjolras!» esclamò stupidamente, rivelando si essersi completamente dimenticato che anche lui sarebbe rimasto per le vacanze. O forse non l'aveva proprio mai saputo, dopotutto non l'aveva chiesto.
Enjolras fece un mezzo sorriso alla sua sorpresa prima di riportare la sua attenzione al libro che teneva aperto sulle ginocchia.

Grantaire non riusciva a capire se fosse o meno felice della presenza dell'amico. Certo, era bello non essere completamente solo per una volta, ma, fra tutti, non avrebbe mai scelto Enjolras come unica compagnia per quasi due settimane.

Non che non gli facesse piacere. Anzi. Diamine, gli faceva fin troppo piacere.
Nel tentativo di ignorare l'orrenda torsione che il suo stomaco aveva appena deciso di effettuare, decise di infastidire l'amico distraendolo dalla sua lettura.

«Come mai sei rimasto? Non mi ricordo di avertelo sentito dire nei giorni scorsi.» disse in tono che voleva essere casuale.
«Non l'ho fatto, infatti. Non avrei dovuto, in teoria. L'ho deciso pochi giorni fa, e non mi andava di darvi preoccupazioni inutili.» rispose l'altro rivolgendogli un altro mezzo sorriso. Sospirò prima di continuare.
«Mi hanno mandato una lettera la settimana scorsa, i miei genitori, ricordandomi che a casa ci sarebbe stata la famiglia al completo e che avrei dovuto trattenermi dal litigare di nuovo con mio zio. Avrei dovuto, cito, “tacere le mie stupide e infantili idee sull'uguaglianza, e almeno fingere di essere una persona ragionevole nel conversare con i miei parenti”. Ho deciso che i miei ideali valgono di più di loro. Se non vogliono avere ogni parte di me, non ne avranno nessuna.» disse, infuocandosi un po' sulle ultime parole.

«Come se gli interessasse, poi.» aggiunse poi in un sussurro amareggiato.
«Hai fatto bene.» mormorò Grantaire in risposta, ed Enjolras lo guardò sorpreso.
«Una volta che mi dai ragione! Un miracolo di Natale, proprio.» scherzò, alleggerendo la tensione dell'argomento spinoso.

Grantaire fece una smorfia, trattenendosi dal commentare.

«Tu, invece? I tuoi ancora litigano?» chiese poi Enjolras, tornando serio.
«A dire il vero non ne ho idea. Non li sento da mesi. Ho passato tutta l'estate al Musain, lo sai. Solo che non mi sembra mai una buona idea tornare a casa, e adesso non ho nessun altro posto dove andare. Ma sai anche questo.» rispose Grantaire, e sorrise. Ne avevano parlato e riparlato.

Il Musain era un campo estivo completamente gratuito per giovani maghi, dove molti studenti con problemi familiari passavano l'estate. Grantaire ci andava ogni estate sin da quando aveva scoperto i suoi poteri e i litigi erano cominciati. Aveva sette anni.

Dall'anno precedente era passato da essere ospite a far parte dello staff come volontario. A sorpresa, tutti i suoi amici si erano uniti a lui, sacrificando parte delle loro estati potenzialmente tranquille e felici a lavorare duramente.

Molti dei ragazzi che frequentavano il campo avevano problemi dovuti allo stato di sangue. Tantissimi, come Grantaire, avevano un genitore con poteri e uno Babbano in continua disputa, altri erano Nati Babbani i cui genitori non capivano o non accettavano la loro diversità. C'era perfino una minoranza di Maghinò disprezzati ed emarginati dalle loro famiglie, incapaci di sostenere la tensione che si creava nelle loro case.

Lavorare al Musain aveva fomentato le idee di Enjolras sul dover cambiare la società magica, sulla necessità di una completa rivoluzione, l'abolizione degli stati di sangue, la fusione del mondo magico con quello babbano e la fine di quella auto ghettizzazione nel quale l'intero mondo magico si rifugiava, ancora ferito dagli anni di violenta persecuzione.

Grantaire, ogni tanto, ci pensava, e quasi si sentiva in colpa per avere portato Enjolras a discutere con la sua intera famiglia, tutta di Purosangue estremamente conservatori, ma poi lo osservava fare uno dei suoi infiammati discorsi alla sala comune affollata, vedeva la luce brillare negli occhi dei suoi compagni di casa, sentiva il cuore gonfiarsi di qualcosa così simile alla speranza, qualcosa che non aveva mai avuto modo di provare, e non c'era niente che potesse fargli rimpiangere quello che Enjolras era diventato.

«Già, lo so.» disse amaramente e sospirò, giocherellando distrattamente con il bordo delle pagine del libro che teneva ancora aperto fra le mani.

«Non che importi più di tanto, ormai. Il Natale ad Hogwarts offre molto più di quello che sembra. Fosse anche solo per il banchetto, diamine. E la neve. E i corridoi deserti.» disse Grantaire, e un pensiero attraversò veloce la sua mente, abbastanza veloce per far colorare le sue guance di un rosso così lieve da poter essere imputato al calore del fuoco.
«Me lo mostrerai.» commentò Enjolras con un sorriso, ovviamente innocente, ma il basso ventre di Grantaire non riuscì a trattenere uno spasmo piuttosto violento.
Si insultò mentalmente prima di tornare a sprofondare nella sua poltrona, lasciando Enjolras al suo libro.
Sarebbero state due settimane davvero, davvero lunghissime.

▲▲

Dopo pranzo, stranamente privo di silenzi imbarazzati, Grantaire avrebbe tanto voluto ritirarsi nel dormitorio e giacere inerme sul letto per tutto il pomeriggio, magari avrebbe anche tirato fuori dal baule una di quelle vecchie riviste babbane che facevano sempre comodo nei momenti di solitudine, ma sapeva quanto Enjolras avesse bisogno di compagnia. Non era abituato al silenzio o alla solitudine, necessitava costantemente di un pubblico, di un uditorio attento, di qualcuno che gli facesse eco o che gli rispondesse.

O almeno, così Grantaire sosteneva di credere, per non ammettere che le sue abitudini e le sue voglie passavano tutte in secondo piano quando aveva la possibilità di star vicino ad Enjolras.

Così nidificarono intorno all'unico divano della sala comune, Enjolras mezzo disteso a leggere il solito libro della mattina e Grantaire seduto sul pavimento per appoggiarsi al tavolino da caffè, con un blocco di carta riciclata e un astuccio pieno di matite.
C'era un silenzio opprimente, infranto solo dallo scoppiettio del fuoco e dal respiro dei due ragazzi.

«Sai,» proruppe Grantaire, giusto per fare rumore. «Dovresti includere nei tuoi discorsi il bisogno che hanno i maghi di aprirsi agli oggetti babbani. Non dispiacerebbe a nessuno poter avere uno stereo in questa cavolo di scuola.»
«Ci stavo pensando giusto qualche giorno fa. È così ridicolo, ci sono stati un sacco di esperimenti sulla modifica degli apparecchi elettronici, e hanno visto che possono funzionare perfettamente con la magia, ma non ne vogliono sapere. Dobbiamo andare avanti a gufi e grammofoni.» commentò Enjolras con uno sbuffo.
«C'è da dire che mi accontenterei anche di quaderni e penne a sfera, eh. Dovrebbero rendersi un po' conto del limite fra vintage e antiquato. A volte mi stupisco del fatto che usiamo libri stampati.» rise Grantaire, e anche Enjolras sorrise.
«Si sentono tutti tanto superiori per i loro poteri e poi non sanno usare un telefono. O una televisione.»
«O un computer.» aggiunse Grantaire, lanciando un ghigno a Enjolras, che gli fece una brevissima linguaccia. In quel campo anche lui era un completo inetto. Al Musain si teneva sempre ben lontano dalla sala informatica, quasi come se quelle macchine lo spaventassero.

«Anni fa qualcuno provò a far passare una legge a riguardo, ma il Ministero non ne volle neanche sentir parlare. Ignorò completamente tutte le prove scientifiche e continuò per la sua strada. Dei folli, a mio parere. Ma prima o poi ci arriveranno, giuro su Merlino.» Enjolras cambiò argomento con decisione. Grantaire sorrise dell'espressione tipicamente da mago che gli era sfuggita, ma non commento.

«Lo spero proprio. Non hai idea di quanto mi manchi la mia tavoletta grafica, ad esempio. Odio dover colorare a mano.» disse poi, appuntando per l'ennesima volta una matita bianca consumatissima che continuava a sporcarsi prima di averlo portato alla sfumatura che cercava.
«Cosa stai disegnando?» chiese curioso Enjolras spostandosi di lato, lasciando il libro aperto sul divano e accucciandosi al suo fianco.
Grantaire fece del suo meglio per ignorare il suo fiato caldo che gli accarezzava il collo e gli lanciava brividi lungo la schiena.

«Niente di che. Credo voglia essere una scena apocalittica, ma non riesco a far risaltare le fiamme sul verde e questi fulmini non saranno mai abbastanza chiari.» commentò noncurante, un po' infastidito dalla propria inettitudine.
Enjolras aveva la bocca spalancata. Portò una mano a sfiorare il disegno, tastando i diversi strati di colore e i solchi che matite troppo dure avevano lasciato sulla carta, come a volersi accertare del fatto che fosse vero.

«È...è magnifico.» mormorò, facendolo arrossire.
«Non esagerare, andiamo. Non è neanche finito.» ribatté l'artista con poca convinzione, ma Enjolras scosse la testa incredulo.
«Voglio proprio vedere cos'altro puoi aggiungerci. A me sembra perfetto così.»
«Vedrai.» sorrise Grantaire, prendendola come una sfida, e si chinò di nuovo a cercare di dare la giusta luminosità ai fulmini.

Enjolras tornò a sedersi sul divano, cercando per un po' di riprendere la sua lettura, ma ritrovandosi a fissare con sguardo vacuo il retro della testa di Grantaire, pensando a tutt'altro.
Passò un'ora. Forse erano due.

Erano circa le quattro del pomeriggio e fuori il sole stava già tramontando.
Un paio di ragazzini del primo anno rientrarono coperti di neve, stettero un po' vicino al fuoco senza rivolgergli neanche uno sguardo e salirono nel loro dormitorio.
Grantaire li guardò con disprezzo mentre se ne andavano.

«Questi bambini...» mugugnò.
«Ti va di uscire?» disse all'improvviso Enjolras, sconvolgendo l'amico. Di primo impatto pensò che intendesse tutta un'altra cosa e il cuore gli schizzò in gola per qualche istante, prima che capisse e riuscisse a impostare il suo miglior sguardo da “Ma sei sicuro?”.
«Lo so che fa freddo, ma non ce la faccio più a stare chiuso qui.» disse Enjolras, quasi implorando.

Grantaire sorrise, aspettò un po', come se stesse ponderando la questione, come se fosse stato davvero capace di dirgli di no, e poi si alzò deciso.
Il sorriso immenso che fiorì sul volto dell'altro lo riscaldò abbastanza per permettergli di affrontare l'uscita.
Raccolse i suoi strumenti e salirono insieme nel dormitorio per indossare vestiti più pesanti e prendere i mantelli.

Mentre passavano davanti al dormitorio del primo anno sentirono uno dei due ragazzini che diceva qualcosa come “ma 'sti vecchi del quinto che non sanno godersi la vita” e non riuscirono a trattenere una risata. Continuarono a sparlare dell'arroganza dei primini di queste generazioni per tutta la discesa dalla Torre di Grifondoro al portone d'ingresso.

Un puttino di vetro trasfigurato uscito svolazzando dalla Sala Grande tentò di ammaliare Grantaire con una carola nella speranza di convincerlo a farlo stare sulla sua testa, ma il ragazzo lo scacciò con una mano.
«Anche gli angeli sono impertinenti al giorno d'oggi.» commentò, facendo ridere Enjolras.
Per sfuggire ad eventuali altri angioletti stregati attraversarono veloci il portone, ritrovandosi al freddo.

Altra gente passeggiava fra la neve. Qualcuno aveva acceso un falò clandestino in riva al lago. Qualcun altro si vedeva in lontananza fare cerchi sul campo da Quidditch.
Uno stormo di uccelli si sollevò all'improvviso da un albero nella Foresta Proibita e volò verso il lago, nel quale il sole si stava lentamente immergendo.
Nonostante tutti i difetti che aveva, era innegabile che Hogwarts fosse bellissima.

I due ragazzi si incamminarono lentamente verso il lago, parlando di decorazioni natalizie e attività invernali.
Grantaire pensò che Enjolras fosse adorabile immerso in conversazioni così frivole e serene.
Enjolras trovò che fosse davvero piacevole parlare con Grantaire senza discuterci, una volta tanto.

Si fermarono a un paio di metri dal falò, non volendo avvicinarsi troppo al gruppo di burberi Tassorosso del settimo anno che l'aveva acceso, ma allo stesso tempo desiderandone almeno un po' il calore.
Rimasero per un po' fermi rivolti verso l'orizzonte ad osservare il ghiaccio, la neve e le nuvole che si tingevano di oro e arancio e rosa.
«Come lo dipingeresti?» chiese all'improvviso Enjolras, a bassa voce, come a non voler disturbare lo spettacolo della natura.

Grantaire ci pensò un po', ponderando varie tecniche, vari colori.
Poi rispose:
«Olio su tela bagnata. Prima il bianco-azzurro del ghiaccio, e poi il tramonto sopra. Pesca, corallo, oro, rosa antico, anche vermiglio, dipende. Non tutti i tramonti hanno gli stessi colori. Sfumerei sul grigio chiaro le nuvole, grigio-blu dove non arriva la luce. Poi dipende da quanto è esteso il campo visivo. Se deve arrivare ai monti, bisogna vedere quanta luce colpisce gli alberi e scegliere i colori di conseguenza. E le mura del castello, il fatto che siano bagnate dalla neve le rende più scintillanti del solito. Se la neve fosse vecchia, sarebbero di un oro più opaco. È importante il contesto.» mentre parlava gesticolava molto, descrivendo l'ambiente in movimenti dolci, come se già stesse proiettando le pennellate su una tela invisibile. Enjolras lo guardava ammirato, nascondendo a fatica un sorriso orgoglioso.

Era bello vedere Grantaire appassionato a qualcosa che non fosse dargli torto. Vederlo sereno nella concentrazione, sentirlo parlare in tono non di accusa né sarcastico.
«Potresti farmelo? Esattamente così com'è adesso.» chiese prima di riuscire a trattenersi. Grantaire si voltò lentamente a guardarlo, un po' incredulo, un po' compiaciuto.
«Potrei.» sorrise. Enjolras rispose al sorriso.

La conversazione cadde lì, ma il silenzio che seguì non fu imbarazzante. In pace aspettarono che il sole sparisse, godendosi la vista, Grantaire così immerso nei suoi pensieri da dimenticarsi del freddo e Enjolras cercando di non tremare troppo visibilmente.
I Tassorosso se ne erano andati portandosi via il fuoco, così che la temperatura sembrava scesa di diversi, significativi gradi.

Quando anche l'ultimo raggio di sole fu sparito e il tramonto ebbe lasciato spazio al crepuscolo, Enjolras batteva i denti. Era chiaro che, essendo stato lui a proporre di uscire, non voleva suggerire di rientrare. Grantaire rise quando se ne accorse. Si sarebbe ammazzato, quel cretino, pur di non risultare incoerente con se stesso.
Mosso a pietà alla vista della sfumatura violacea che le labbra dell'amico avevano assunto, Grantaire lo prese per mano, in silenzio, e lo tirò delicatamente. Quando si girò a guardarlo e capì che voleva rientrare, il sollievo sul suo volto quasi brillò nella penombra del crepuscolo.

Per qualche ragione non sciolse la stretta per tutto il tragitto fino al castello. Forse perché gli rendeva più facile camminare nella neve alta, forse in cerca di un po' di calore, forse per qualche altro motivo che Grantaire non riusciva a trovare, ma di cui era comunque molto, molto grato.
In Sala Grande la cena era già sui tavoli, in porzioni ovviamente ridotte, e tutti gli studenti presenti nella scuola erano già seduti a mangiare.
«Dovremmo....» mormorò Enjolras, che chiaramente aveva solo voglia di tornare in sala comune e rannicchiarsi vicino al fuoco.

«No, ho un'idea migliore.» rispose Grantaire con un ghigno enorme. «Seguimi.» disse e scartò velocemente di lato per imboccare un corridoio a sinistra della scalinata di marmo. Varcarono una porta alla fine di quel corridoio e scesero veloci giù per una ripida scala di pietra fino a ritrovarsi in un ampio corridoio di pietra, illuminato da torce e decorato da allegri quadri che raffiguravano soprattutto cibo.
Circa a metà del passaggio si fermarono davanti a un grosso quadro raffigurante una gigantesca ciotola d'argento piena di frutta.
«Dove siamo?» chiese Enjolras confuso.

Grantaire si limitò a sorridere mentre tendeva un indice e faceva il solletico a una grossa pera verde, la quale prese subito a contorcersi, ridacchiando, e si trasformò in una maniglia. Il ragazzo la afferrò e spalancò la porta, per poi attraversarla trascinandosi dietro Enjolras.
Subito un gruppetto di elfi domestici gli venne incontro, tutti sorridenti e disponibili.
«Gavroche.» salutò Grantaire, riconoscendo il piccolo elfo nella massa.

Aveva grandi occhi azzurri, il naso piccolo che quasi si perdeva nella grande faccia sorridente, e sulla testa alcuni ciuffi di peli biondi spuntavano da sotto un cappellino. Era piuttosto giovane, ma figlio di una generazione intera di elfi liberati a seguito della Riforma Granger, così non era mai stato costretto a servire una famiglia. Nonostante tutto, nutriva un profondo rispetto per i maghi, e gli anni di lavoro ad Hogwarts lo avevano formato all'obbedienza.

«Grantaire, signore! Ha bisogno di qualcosa, signore? Gavroche è al suo servizio.» squittì, gli occhi acquosi fissi sul ragazzo.
«Vorremmo qualcosa di caldo da portare in sala comune, se non vi dispiace.» disse Grantaire con gentilezza, sorridendo al piccolo elfo.
«Oh! Salve amico di Grantaire.» esclamò Gavroche, accorgendosi solo in quel momento della presenza di Enjolras. «Devo raddoppiare le bottiglie quest'anno, signore?» chiese l'elfo a Grantaire, che arrossì violentemente.
«No, no, niente bottiglie quest'anno.» rise nervosamente, cercando di ignorare lo sguardo inquisitore di Enjolras. «Delle brocche di cioccolata calda sarebbero più gradite da tutti, se poteste.» si affrettò a cambiare argomento.
«Ma certo.» squittì un elfo che stava ascoltando la conversazione, prima di correre via verso i fornelli.
«Possiamo farvela trovare tutte le mattine in sala comune.» disse un altro, seguendo poi il collega.
«E riempirla ogni volta che si svuota.» aggiunse un terzo, raggiungendo gli altri due.
«Sarebbe grandioso.» sorrise Grantaire.

Quelli che avevano parlato erano tutti elfi liberati. Si distinguevano facilmente, se non dall'abbigliamento, dal modo di fare. Quelli ancora a servizio tendevano a evitare troppi contatti con gli studenti, servendoli quando venivano nelle cucine ma non portando il cibo fuori dalla Sala Grande. Gli altri, invece, se qualcuno, come Grantaire, era abbastanza furbo da farseli amici da subito, diventavano estremamente disponibili a fare qualsiasi cosa questi gli chiedesse, pure se andava contro le regole della scuola.

Enjolras era più che sorpreso, quasi sconvolto, nel vedere tutto quello.
Chiunque sapeva che nelle cucine di Hogwarts lavoravano centinaia di elfi, e dall'inizio della battaglia del Fronte di Liberazione degli Elfi Domestici, nel 2003, tutti erano a conoscenza delle condizioni di sfruttamento in cui erano sempre vissuti, ma vederlo con i propri occhi era tutta un'altra cosa.

Per Enjolras, sopratutto, che aveva vissuto in prima persona la ribellione di un elfo, in quanto il vecchio elfo domestico di suo nonno era stato fra i primi ad unirsi alla ribellione, era abbastanza sconvolgente vedere che alla fine aveva ragione e che il suo gesto era stato più che giusto, cosa che non aveva pienamente capito al tempo.
Allo stesso tempo, il pensiero che la sua famiglia era stata in torto anche su quello lo riempiva di una sorta di perversa soddisfazione.

Prima che potesse anche solo pensare a qualche domanda da fare ai piccoli rivoluzionari, Grantaire gli mise in mano una borsa di cibo caldo e lo spinse fuori, voltandosi per salutare le creaturine prima di richiudersi la porta alle spalle.
Non appena fuori prese il sacchetto dalle braccia di Enjolras, lo nascose sotto il mantello e, ridendo, si avviò verso le scale.
Enjolras gli trotterellò dietro, guardandolo come se non l'avesse mai davvero visto prima.
«Chi sei tu? Dove hai messo il Grantaire che conosco?» disse mentre risalivano lentamente il castello fino alla Torre di Grifondoro.

«Le feste mi mettono allegria, credo.» rise Grantaire. Si sentiva euforico e non riusciva a capire perché. Aveva improvvisamente voglia di fare cose, di parlare, di ridere. Per un attimo si chiese se stare fuori tutto quel tempo non gli avesse dato la febbre, arrivò perfino a mettersi una mano sulla fronte per sentire se era calda, ma niente.
Una parte di lui gli suggerì che forse era la presenza di Enjolras, ma la ignorò.
«Raccontami un po', da quant'è che frequenti le cucine?» chiese allora il biondo, rinunciando a capire l'amico e accontentandosi di spiegazioni più facili.

«Metà primo anno, credo. Mi ci portò quella Tassorosso che ci provava con me, una certa Smith mi pare. Poi andò male, come sai, ma continuai a frequentare gli elfi. Erano meno appiccicosi di lei, dopotutto. E decisamente più utili.» spiegò Grantaire, imboccando una scorciatoia dietro un arazzo al terzo piano.
«Perché non ce l'hai mai detto?» chiese allora Enjolras.

«In realtà l'ho fatto. Beh, alla maggior parte di voi.» disse Grantaire. «Ok, forse solo a Courfeyrac.» ammise sotto lo sguardo accusatore di Enjolras.
«Ma capisci, non posso certo rivelare i miei segreti a tutti. Non posso più tenervi nascosto neanche cosa faccio durante le vacanze, lasciami almeno il gusto di non dire a tutti da dove prendo l'alcool.» disse, e sorrise, e Enjolras sorrise di rimando.

Arrivarono alla torre dopo un altro paio di rampe di scale, dissero la parola d'ordine in coro e entrarono nella sala comune deserta. Dovevano essere tutti ancora in Sala Grande. Dopotutto durante le vacanze il coprifuoco veniva spostato e si poteva stare in giro più a lungo.
«Mi sento un po' uno sfigato a rientrare così presto.» mugugnò Enjolras togliendosi sciarpa e mantello e lasciandosi cadere sul divano.

«Preferiresti essere a prendere gli spifferi in Sala Grande o in qualche aula a far casino? Il bello delle vacanze ad Hogwarts è che puoi goderti il castello in solitario.» disse Grantaire sedendosi al suo fianco. Aprì il sacchetto di carta degli elfi e tirò fuori dei panini al tacchino ancora caldi, porgendone uno all'amico, e una bottiglia di succo di zucca, che appoggiò sul tavolo.

Mangiarono per un po' in silenzio osservando il fuoco, e, di nuovo, Grantaire si stupì della leggerezza di quel momento. Non era quasi mai successo prima che fra loro ci fosse una tale pace, forse perché la presenza degli altri spingeva entrambi a comportarsi in modo diverso, forse perché la stanchezza e la fame e il freddo li avevano indeboliti abbastanza da fargli cadere di mano l'ascia di guerra con la quale litigavano sempre, o forse davvero era il Natale in arrivo.

In ogni caso, era incredibile. E rimase incredibile per tutta la sera, mentre continuarono a mangiare e a chiacchierare di niente e a sorridersi come mai prima.
Quando si diedero la buonanotte, qualche ora più tardi, a Grantaire tremavano le mani nel chiudere le tende del suo baldacchino, e quasi si convinse a dar la colpa al freddo, mentre il cuore, incurante dei suoi tentativi, saltava un battito nel vedere Enjolras sorridere un'ultima volta.

▲▲▲

Ebbene quindi, così inizia. Questa cosina che avete letto è la prima parte di un progetto che ho iniziato a scrivere un paio di settimane fa e che non ho ancora finito, ma che inizio a postare oggi con l'idea di postare un giorno al giorno, almeno fino al 29, per poi riprendere probabilmente il 3. 
Ma comunque. 
Questa storia è ispirata a questo post trovato per caso sulla mia dashboard tumblr. Uno di quei post che ti fa brillare gli occhi e ti riempie il cuore di gioia e ti fa allegramente svenare su qualcosa di immenso e insostenibile. Non è stupendo?

Questa fanfiction è un regalo per la mia Sammy, perché la mia ossessione per l'Enjoltaire è in gran parte colpa sua (e di George Blagden, ma non posso davvero incolpare lui, come si fa a dire qualcosa a quel faccino? çwç ). Buon Natale, giuro che un giorno imparo a fare regali decenti.
Devo inoltre un ringraziamento alla mia compagna di banco e di sventure, Valeria, che non so come riesce ancora a leggere la mia roba dopo sei anni che la ossessiono, e che sono due settimane che sostiene conversazioni praticamente monotematiche su whatsapp. Non so come fai, davvero. Grazie ♥

E poi ringrazio, ovviamente, chi è arrivato a leggere fino a qua, chi recensirà o seguirà o anche solo chi avrà la forza di aprire questa cosa.
Buone feste, spero di potervi accompagnare nelle vostre giornate di ozio vacanziero come questi due scemi faranno per me. 
A domani, 

Piuma_

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > I Miserabili / Vai alla pagina dell'autore: piuma_rosaEbianca