Iniziano oggi le vacanze in molte scuole, Hogwarts compresa. Grantaire ed Enjolras sono in vacanza e anche io lo sono, non è meraviglioso? *no*
Niente, ok, vi lascio subito alla lettura.
Ci rivediamo giù.
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Grantaire si aggiustò la cravatta rossa e oro e sospirò.
Si sentiva stranamente in ansia. In teoria avrebbe dovuto essercisi abituato ormai, dopo cinque anni. E, comunque, passare due settimane da solo non era un problema così grosso per avere tutta quella preoccupazione.
Lui e gli altri avevano evitato l'argomento per giorni, sin da quando il professor Paciock era passato a prendere i nomi di chi sarebbe rimasto a scuola per le vacanze. Non si era premurato di chiedere conferma a nessuno, ormai abituato ad essere l'unico a non avere una famiglia che lo volesse a casa, che sentisse la sua mancanza. L'unico per cui Hogwarts, nonostante fosse una semplice scuola, era sempre e comunque meglio di casa sua.
Sospirò di nuovo e scese le scale, lentamente, per niente frettoloso di constatare quanto deserta fosse la sala comune.
Nonostante si fosse alzato
tardi di proposito per evitare di intristirsi nel salutare i suoi
amici, lo amareggiava sempre un po' vedere di essere effettivamente
solo. Portava ancora fresco il ricordo della sera prima, vivo nel suo
mal di testa e nell'odore di alcool che permeava il dormitorio, e
voleva tenerselo stretto per il resto delle vacanze, fino a quando i
suoi amici non sarebbero tornati e avrebbero ripetuto l'esperienza.
Era così che superava la
malinconia: aggrappandosi ai ricordi. I pochi belli che aveva
appartenevano quasi tutti a quelle vecchie mura di pietra, a quelle
tende
di velluto rosso e ai sorrisi dei suoi migliori amici. Quei pochi che
riuscivano a fargli dimenticare cosa lo aspettava a casa, cosa
nascondeva dietro al suo sarcasmo e la sua sfacciataggine.
Caracollò nella sala comune occupata solo da un paio di ragazzini del primo anno e un gruppetto di ragazze del terzo, e andò a sedersi in una delle poltrone più vicine al fuoco, pensando di rimanerci sprofondato fino all'ora di pranzo.
«Gli altri ti salutano.»
disse all'improvviso una voce molto familiare dalla poltrona accanto.
Grantaire sobbalzò
girandosi di scatto. In un attimo, la sua ansia prese senso e
pesò
un po' di più sul suo cuore già stanco.
«Enjolras!» esclamò
stupidamente, rivelando si essersi completamente dimenticato che
anche lui sarebbe rimasto per le vacanze. O forse non l'aveva proprio
mai saputo, dopotutto non l'aveva chiesto.
Enjolras fece un mezzo
sorriso alla sua sorpresa prima di riportare la sua attenzione al
libro che teneva aperto sulle ginocchia.
Grantaire non riusciva a capire se fosse o meno felice della presenza dell'amico. Certo, era bello non essere completamente solo per una volta, ma, fra tutti, non avrebbe mai scelto Enjolras come unica compagnia per quasi due settimane.
Non che non gli facesse
piacere. Anzi. Diamine, gli faceva fin troppo piacere.
Nel tentativo di ignorare
l'orrenda torsione che il suo stomaco aveva appena deciso di
effettuare, decise di infastidire l'amico distraendolo dalla sua
lettura.
«Come mai sei rimasto?
Non mi ricordo di avertelo sentito dire nei giorni scorsi.»
disse in
tono che voleva essere casuale.
«Non l'ho fatto, infatti.
Non avrei dovuto, in teoria. L'ho deciso pochi giorni fa, e non mi
andava di darvi preoccupazioni inutili.» rispose l'altro
rivolgendogli un altro mezzo sorriso. Sospirò prima di
continuare.
«Mi hanno mandato una
lettera la settimana scorsa, i miei genitori, ricordandomi che a casa
ci sarebbe stata la famiglia al completo e che avrei dovuto
trattenermi dal litigare di nuovo con mio zio. Avrei dovuto, cito,
“tacere le mie stupide e infantili idee sull'uguaglianza, e
almeno
fingere di essere una persona ragionevole nel conversare con i miei
parenti”. Ho deciso che i miei ideali valgono di
più di loro. Se
non vogliono avere ogni parte di me, non ne avranno nessuna.»
disse,
infuocandosi un po' sulle ultime parole.
«Come se gli
interessasse, poi.» aggiunse poi in un sussurro amareggiato.
«Hai fatto bene.»
mormorò Grantaire in risposta, ed Enjolras lo
guardò sorpreso.
«Una volta che mi dai
ragione! Un miracolo di Natale, proprio.» scherzò,
alleggerendo la
tensione dell'argomento spinoso.
Grantaire fece una smorfia, trattenendosi dal commentare.
«Tu, invece? I tuoi
ancora litigano?» chiese poi Enjolras, tornando serio.
«A dire il vero non ne ho
idea. Non li sento da mesi. Ho passato tutta l'estate al Musain, lo
sai. Solo che non mi sembra mai una buona idea tornare a casa, e
adesso non ho nessun altro posto dove andare. Ma sai anche
questo.»
rispose Grantaire, e sorrise. Ne avevano parlato e riparlato.
Il Musain era un campo estivo completamente gratuito per giovani maghi, dove molti studenti con problemi familiari passavano l'estate. Grantaire ci andava ogni estate sin da quando aveva scoperto i suoi poteri e i litigi erano cominciati. Aveva sette anni.
Dall'anno precedente era passato da essere ospite a far parte dello staff come volontario. A sorpresa, tutti i suoi amici si erano uniti a lui, sacrificando parte delle loro estati potenzialmente tranquille e felici a lavorare duramente.
Molti dei ragazzi che frequentavano il campo avevano problemi dovuti allo stato di sangue. Tantissimi, come Grantaire, avevano un genitore con poteri e uno Babbano in continua disputa, altri erano Nati Babbani i cui genitori non capivano o non accettavano la loro diversità. C'era perfino una minoranza di Maghinò disprezzati ed emarginati dalle loro famiglie, incapaci di sostenere la tensione che si creava nelle loro case.
Lavorare al Musain aveva fomentato le idee di Enjolras sul dover cambiare la società magica, sulla necessità di una completa rivoluzione, l'abolizione degli stati di sangue, la fusione del mondo magico con quello babbano e la fine di quella auto ghettizzazione nel quale l'intero mondo magico si rifugiava, ancora ferito dagli anni di violenta persecuzione.
Grantaire, ogni tanto, ci pensava, e quasi si sentiva in colpa per avere portato Enjolras a discutere con la sua intera famiglia, tutta di Purosangue estremamente conservatori, ma poi lo osservava fare uno dei suoi infiammati discorsi alla sala comune affollata, vedeva la luce brillare negli occhi dei suoi compagni di casa, sentiva il cuore gonfiarsi di qualcosa così simile alla speranza, qualcosa che non aveva mai avuto modo di provare, e non c'era niente che potesse fargli rimpiangere quello che Enjolras era diventato.
«Già, lo so.» disse amaramente e sospirò, giocherellando distrattamente con il bordo delle pagine del libro che teneva ancora aperto fra le mani.
«Non che importi
più di
tanto, ormai. Il Natale ad Hogwarts offre molto più di
quello che
sembra. Fosse anche solo per il banchetto, diamine. E la neve. E i
corridoi deserti.» disse Grantaire, e un pensiero
attraversò veloce
la sua mente, abbastanza veloce per far colorare le sue guance di un
rosso così lieve da poter essere imputato al calore del
fuoco.
«Me lo mostrerai.»
commentò Enjolras con un sorriso, ovviamente innocente, ma
il basso
ventre di Grantaire non riuscì a trattenere uno spasmo
piuttosto
violento.
Si
insultò mentalmente prima di tornare a sprofondare nella sua
poltrona, lasciando Enjolras al suo libro.
Sarebbero
state due settimane davvero, davvero lunghissime.
▲▲
Dopo pranzo, stranamente privo di silenzi imbarazzati, Grantaire avrebbe tanto voluto ritirarsi nel dormitorio e giacere inerme sul letto per tutto il pomeriggio, magari avrebbe anche tirato fuori dal baule una di quelle vecchie riviste babbane che facevano sempre comodo nei momenti di solitudine, ma sapeva quanto Enjolras avesse bisogno di compagnia. Non era abituato al silenzio o alla solitudine, necessitava costantemente di un pubblico, di un uditorio attento, di qualcuno che gli facesse eco o che gli rispondesse.
O almeno, così Grantaire sosteneva di credere, per non ammettere che le sue abitudini e le sue voglie passavano tutte in secondo piano quando aveva la possibilità di star vicino ad Enjolras.
Così nidificarono intorno all'unico divano della sala
comune, Enjolras mezzo disteso a leggere il
solito libro della mattina e Grantaire seduto sul pavimento per
appoggiarsi al tavolino da caffè, con un blocco di carta
riciclata e
un astuccio pieno di matite.
C'era un silenzio opprimente,
infranto solo dallo scoppiettio del fuoco e dal respiro dei due
ragazzi.
«Sai,» proruppe Grantaire,
giusto per fare rumore. «Dovresti includere nei tuoi discorsi
il
bisogno che hanno i maghi di aprirsi agli oggetti babbani. Non
dispiacerebbe a nessuno poter avere uno stereo in questa cavolo di
scuola.»
«Ci stavo pensando giusto
qualche giorno fa. È così ridicolo, ci sono stati
un sacco di
esperimenti sulla modifica degli apparecchi elettronici, e hanno
visto che possono funzionare perfettamente con la magia, ma non ne
vogliono sapere. Dobbiamo andare avanti a gufi e grammofoni.»
commentò Enjolras con uno sbuffo.
«C'è da dire che mi
accontenterei anche di quaderni e penne a sfera, eh. Dovrebbero
rendersi un po' conto del limite fra vintage e antiquato. A volte mi
stupisco del fatto che usiamo libri stampati.» rise
Grantaire, e
anche Enjolras sorrise.
«Si sentono tutti tanto
superiori per i loro poteri e poi non sanno usare un telefono. O una
televisione.»
«O un computer.» aggiunse
Grantaire, lanciando un ghigno a Enjolras, che gli fece una
brevissima linguaccia. In quel campo anche lui era un completo
inetto. Al Musain si teneva sempre ben lontano dalla sala
informatica, quasi come se quelle macchine lo spaventassero.
«Anni fa qualcuno provò a far passare una legge a riguardo, ma il Ministero non ne volle neanche sentir parlare. Ignorò completamente tutte le prove scientifiche e continuò per la sua strada. Dei folli, a mio parere. Ma prima o poi ci arriveranno, giuro su Merlino.» Enjolras cambiò argomento con decisione. Grantaire sorrise dell'espressione tipicamente da mago che gli era sfuggita, ma non commento.
«Lo spero proprio. Non hai idea
di quanto mi manchi la mia tavoletta grafica, ad esempio. Odio dover
colorare a mano.» disse poi, appuntando per l'ennesima volta
una
matita bianca consumatissima che continuava a sporcarsi prima di
averlo portato alla sfumatura che cercava.
«Cosa stai disegnando?» chiese
curioso Enjolras spostandosi di lato, lasciando il libro aperto sul
divano e accucciandosi al suo fianco.
Grantaire fece del suo meglio per
ignorare il suo fiato caldo che gli accarezzava il collo e gli
lanciava brividi lungo la schiena.
«Niente di che. Credo voglia
essere una scena apocalittica, ma non riesco a far risaltare le
fiamme sul verde e questi fulmini non saranno mai abbastanza
chiari.»
commentò noncurante, un po' infastidito dalla propria
inettitudine.
Enjolras aveva la bocca
spalancata. Portò una mano a sfiorare il disegno, tastando i
diversi
strati di colore e i solchi che matite troppo dure avevano lasciato
sulla carta, come a volersi accertare del fatto che fosse vero.
«È...è magnifico.»
mormorò,
facendolo arrossire.
«Non esagerare, andiamo. Non è
neanche finito.» ribatté l'artista con poca
convinzione, ma
Enjolras scosse la testa incredulo.
«Voglio proprio vedere cos'altro
puoi aggiungerci. A me sembra perfetto così.»
«Vedrai.» sorrise Grantaire,
prendendola come una sfida, e si chinò di nuovo a cercare di
dare la
giusta luminosità ai fulmini.
Enjolras tornò a sedersi sul
divano, cercando per un po' di riprendere la sua lettura, ma
ritrovandosi a fissare con sguardo vacuo il retro della testa di
Grantaire, pensando a tutt'altro.
Passò un'ora. Forse erano due.
Erano circa le quattro del
pomeriggio e fuori il sole stava già tramontando.
Un paio di ragazzini del primo
anno rientrarono coperti di neve, stettero un po' vicino al fuoco
senza rivolgergli neanche uno sguardo e salirono nel loro dormitorio.
Grantaire li guardò con
disprezzo mentre se ne andavano.
«Questi bambini...» mugugnò.
«Ti va di uscire?» disse
all'improvviso Enjolras, sconvolgendo l'amico. Di primo impatto
pensò
che intendesse tutta un'altra cosa e il cuore gli schizzò in
gola
per qualche istante, prima che capisse e riuscisse a impostare il suo
miglior sguardo da “Ma sei sicuro?”.
«Lo so che fa freddo, ma non ce
la faccio più a stare chiuso qui.» disse Enjolras,
quasi
implorando.
Grantaire sorrise, aspettò un
po', come se stesse ponderando la questione, come se fosse stato
davvero capace di dirgli di no, e poi si alzò deciso.
Il sorriso immenso che fiorì sul
volto dell'altro lo riscaldò abbastanza per permettergli di
affrontare l'uscita.
Raccolse i suoi strumenti e
salirono insieme nel dormitorio per indossare vestiti più
pesanti e
prendere i mantelli.
Mentre passavano davanti al dormitorio del primo anno sentirono uno dei due ragazzini che diceva qualcosa come “ma 'sti vecchi del quinto che non sanno godersi la vita” e non riuscirono a trattenere una risata. Continuarono a sparlare dell'arroganza dei primini di queste generazioni per tutta la discesa dalla Torre di Grifondoro al portone d'ingresso.
Un puttino di vetro trasfigurato
uscito svolazzando dalla Sala Grande tentò di ammaliare
Grantaire
con una carola nella speranza di convincerlo a farlo stare sulla sua
testa, ma il ragazzo lo scacciò con una mano.
«Anche gli angeli sono
impertinenti al giorno d'oggi.» commentò, facendo
ridere Enjolras.
Per sfuggire ad eventuali altri
angioletti stregati attraversarono veloci il portone, ritrovandosi al
freddo.
Altra gente passeggiava fra la
neve. Qualcuno aveva acceso un falò clandestino in riva al
lago.
Qualcun altro si vedeva in lontananza fare cerchi sul campo da
Quidditch.
Uno stormo di uccelli si sollevò
all'improvviso da un albero nella Foresta Proibita e volò
verso il
lago, nel quale il sole si stava lentamente immergendo.
Nonostante tutti i difetti che
aveva, era innegabile che Hogwarts fosse bellissima.
I due ragazzi si incamminarono
lentamente verso il lago, parlando di decorazioni natalizie e
attività invernali.
Grantaire pensò che Enjolras
fosse adorabile immerso in conversazioni così frivole e
serene.
Enjolras trovò che fosse davvero
piacevole parlare con Grantaire senza discuterci, una volta tanto.
Si fermarono a un paio di metri
dal falò, non volendo avvicinarsi troppo al gruppo di
burberi
Tassorosso del settimo anno che l'aveva acceso, ma allo stesso tempo
desiderandone almeno un po' il calore.
Rimasero per un po' fermi rivolti
verso l'orizzonte ad osservare il ghiaccio, la neve e le nuvole che
si tingevano di oro e arancio e rosa.
«Come lo dipingeresti?» chiese
all'improvviso Enjolras, a bassa voce, come a non voler disturbare lo
spettacolo della natura.
Grantaire ci pensò un po',
ponderando varie tecniche, vari colori.
Poi rispose:
«Olio su tela bagnata. Prima il
bianco-azzurro del ghiaccio, e poi il tramonto sopra. Pesca, corallo,
oro, rosa antico, anche vermiglio, dipende. Non tutti i tramonti
hanno gli stessi colori. Sfumerei sul grigio chiaro le nuvole,
grigio-blu dove non arriva la luce. Poi dipende da quanto è
esteso
il campo visivo. Se deve arrivare ai monti, bisogna vedere quanta
luce colpisce gli alberi e scegliere i colori di conseguenza. E le
mura del castello, il fatto che siano bagnate dalla neve le rende
più
scintillanti del solito. Se la neve fosse vecchia, sarebbero di un
oro più opaco. È importante il
contesto.» mentre parlava
gesticolava molto, descrivendo l'ambiente in movimenti dolci, come se
già stesse proiettando le pennellate su una tela invisibile.
Enjolras lo guardava ammirato, nascondendo a fatica un sorriso
orgoglioso.
Era bello vedere Grantaire
appassionato a qualcosa che non fosse dargli torto. Vederlo sereno
nella concentrazione, sentirlo parlare in tono non di accusa
né
sarcastico.
«Potresti farmelo? Esattamente
così com'è adesso.» chiese prima di
riuscire a trattenersi.
Grantaire si voltò lentamente a guardarlo, un po' incredulo,
un po'
compiaciuto.
«Potrei.» sorrise. Enjolras
rispose al sorriso.
La conversazione cadde lì, ma il
silenzio che seguì non fu imbarazzante. In pace aspettarono
che il
sole sparisse, godendosi la vista, Grantaire così immerso
nei suoi
pensieri da dimenticarsi del freddo e Enjolras cercando di non
tremare troppo visibilmente.
I Tassorosso se ne erano andati
portandosi via il fuoco, così che la temperatura sembrava
scesa di
diversi, significativi gradi.
Quando anche l'ultimo raggio di
sole fu sparito e il tramonto ebbe lasciato spazio al crepuscolo,
Enjolras batteva i denti. Era chiaro che, essendo stato lui a
proporre di uscire, non voleva suggerire di rientrare. Grantaire rise
quando se ne accorse. Si sarebbe ammazzato, quel cretino, pur di non
risultare incoerente con se stesso.
Mosso a pietà alla vista della
sfumatura violacea che le labbra dell'amico avevano assunto,
Grantaire lo prese per mano, in silenzio, e lo tirò
delicatamente.
Quando si girò a guardarlo e capì che voleva
rientrare, il sollievo
sul suo volto quasi brillò nella penombra del crepuscolo.
Per qualche ragione non sciolse
la stretta per tutto il tragitto fino al castello. Forse
perché gli
rendeva più facile camminare nella neve alta, forse in cerca
di un
po' di calore, forse per qualche altro motivo che Grantaire non
riusciva a trovare, ma di cui era comunque molto, molto grato.
In Sala Grande la cena era già
sui tavoli, in porzioni ovviamente ridotte, e tutti gli studenti
presenti nella scuola erano già seduti a mangiare.
«Dovremmo....» mormorò
Enjolras, che chiaramente aveva solo voglia di tornare in sala comune
e rannicchiarsi vicino al fuoco.
«No, ho un'idea migliore.»
rispose Grantaire con un ghigno enorme. «Seguimi.»
disse e scartò
velocemente di lato per imboccare un corridoio a sinistra della
scalinata di marmo. Varcarono una porta alla fine di quel corridoio e
scesero veloci giù per una ripida scala di pietra fino a
ritrovarsi
in un ampio corridoio di pietra, illuminato da torce e decorato da
allegri quadri che raffiguravano soprattutto cibo.
Circa a metà del passaggio si
fermarono davanti a un grosso quadro raffigurante una gigantesca
ciotola d'argento piena di frutta.
«Dove siamo?» chiese Enjolras
confuso.
Grantaire si limitò a sorridere
mentre tendeva un indice e faceva il solletico a una grossa pera
verde, la quale prese subito a contorcersi, ridacchiando, e si
trasformò in una maniglia. Il ragazzo la afferrò
e spalancò la
porta, per poi attraversarla trascinandosi dietro Enjolras.
Subito un gruppetto di elfi
domestici gli venne incontro, tutti sorridenti e disponibili.
«Gavroche.» salutò Grantaire,
riconoscendo il piccolo elfo nella massa.
Aveva grandi occhi azzurri, il naso piccolo che quasi si perdeva nella grande faccia sorridente, e sulla testa alcuni ciuffi di peli biondi spuntavano da sotto un cappellino. Era piuttosto giovane, ma figlio di una generazione intera di elfi liberati a seguito della Riforma Granger, così non era mai stato costretto a servire una famiglia. Nonostante tutto, nutriva un profondo rispetto per i maghi, e gli anni di lavoro ad Hogwarts lo avevano formato all'obbedienza.
«Grantaire, signore! Ha bisogno
di qualcosa, signore? Gavroche è al suo servizio.»
squittì, gli
occhi acquosi fissi sul ragazzo.
«Vorremmo qualcosa di caldo da
portare in sala comune, se non vi dispiace.» disse Grantaire
con
gentilezza, sorridendo al piccolo elfo.
«Oh! Salve amico di Grantaire.»
esclamò Gavroche, accorgendosi solo in quel momento della
presenza
di Enjolras. «Devo raddoppiare le bottiglie
quest'anno, signore?» chiese l'elfo a Grantaire, che
arrossì
violentemente.
«No, no, niente bottiglie
quest'anno.» rise nervosamente, cercando di ignorare lo
sguardo
inquisitore di Enjolras. «Delle brocche di cioccolata calda
sarebbero più gradite da tutti, se poteste.» si
affrettò a
cambiare argomento.
«Ma certo.» squittì un elfo
che stava ascoltando la conversazione, prima di correre via verso i
fornelli.
«Possiamo farvela trovare tutte
le mattine in sala comune.» disse un altro, seguendo poi il
collega.
«E riempirla ogni volta che si
svuota.» aggiunse un terzo, raggiungendo gli altri due.
«Sarebbe grandioso.» sorrise
Grantaire.
Quelli che avevano parlato erano tutti elfi liberati. Si distinguevano facilmente, se non dall'abbigliamento, dal modo di fare. Quelli ancora a servizio tendevano a evitare troppi contatti con gli studenti, servendoli quando venivano nelle cucine ma non portando il cibo fuori dalla Sala Grande. Gli altri, invece, se qualcuno, come Grantaire, era abbastanza furbo da farseli amici da subito, diventavano estremamente disponibili a fare qualsiasi cosa questi gli chiedesse, pure se andava contro le regole della scuola.
Enjolras era più che sorpreso,
quasi sconvolto, nel vedere tutto quello.
Chiunque sapeva che nelle cucine
di Hogwarts lavoravano centinaia di elfi, e dall'inizio della
battaglia del Fronte di Liberazione degli Elfi Domestici, nel 2003,
tutti erano a conoscenza delle condizioni di sfruttamento in cui
erano sempre vissuti, ma vederlo con i propri occhi era tutta
un'altra cosa.
Per Enjolras, sopratutto, che
aveva vissuto in prima persona la ribellione di un elfo, in quanto il
vecchio elfo domestico di suo nonno era stato fra i primi ad unirsi
alla ribellione, era abbastanza sconvolgente vedere che alla fine
aveva ragione e che il suo gesto era stato più che giusto,
cosa che
non aveva pienamente capito al tempo.
Allo stesso tempo, il pensiero che
la sua famiglia era stata in torto anche su quello lo riempiva di una
sorta di perversa soddisfazione.
Prima che potesse anche solo
pensare a qualche domanda da fare ai piccoli rivoluzionari, Grantaire
gli mise in mano una borsa di cibo caldo e lo spinse fuori,
voltandosi per salutare le creaturine prima di richiudersi la porta
alle spalle.
Non appena fuori prese il
sacchetto dalle braccia di Enjolras, lo nascose sotto il mantello e,
ridendo, si avviò verso le scale.
Enjolras gli trotterellò dietro,
guardandolo come se non l'avesse mai davvero visto prima.
«Chi sei tu? Dove hai messo il
Grantaire che conosco?» disse mentre risalivano
lentamente il castello fino alla Torre di Grifondoro.
«Le feste mi mettono allegria,
credo.» rise Grantaire. Si sentiva euforico e non riusciva a
capire
perché. Aveva improvvisamente voglia di fare cose, di
parlare, di
ridere. Per un attimo si chiese se stare fuori tutto quel tempo non
gli avesse dato la febbre, arrivò perfino a mettersi una
mano sulla
fronte per sentire se era calda, ma niente.
Una parte di lui gli suggerì che
forse era la presenza di Enjolras, ma la ignorò.
«Raccontami un po', da quant'è
che frequenti le cucine?» chiese allora il biondo,
rinunciando a
capire l'amico e accontentandosi di spiegazioni più facili.
«Metà primo anno, credo. Mi ci
portò quella Tassorosso che ci provava con me, una certa
Smith mi
pare. Poi andò male, come sai, ma continuai a frequentare
gli elfi.
Erano meno appiccicosi di lei, dopotutto. E decisamente più
utili.»
spiegò Grantaire, imboccando una scorciatoia dietro un
arazzo al
terzo piano.
«Perché non ce l'hai mai
detto?» chiese allora Enjolras.
«In realtà l'ho fatto. Beh,
alla maggior parte di voi.» disse Grantaire. «Ok,
forse solo a
Courfeyrac.» ammise sotto lo sguardo accusatore di Enjolras.
«Ma capisci, non posso certo
rivelare i miei segreti a tutti. Non posso più tenervi
nascosto
neanche cosa faccio durante le vacanze, lasciami almeno il gusto di
non dire a tutti da dove prendo l'alcool.» disse, e sorrise,
e
Enjolras sorrise di rimando.
Arrivarono alla torre dopo un
altro paio di rampe di scale, dissero la parola d'ordine in coro e
entrarono nella sala comune deserta. Dovevano essere tutti ancora in
Sala Grande. Dopotutto durante le vacanze il coprifuoco veniva
spostato e si poteva stare in giro più a lungo.
«Mi sento un po' uno sfigato a
rientrare così presto.» mugugnò
Enjolras togliendosi sciarpa e
mantello e lasciandosi cadere sul divano.
«Preferiresti essere a prendere gli spifferi in Sala Grande o in qualche aula a far casino? Il bello delle vacanze ad Hogwarts è che puoi goderti il castello in solitario.» disse Grantaire sedendosi al suo fianco. Aprì il sacchetto di carta degli elfi e tirò fuori dei panini al tacchino ancora caldi, porgendone uno all'amico, e una bottiglia di succo di zucca, che appoggiò sul tavolo.
Mangiarono per un po' in silenzio osservando il fuoco, e, di nuovo, Grantaire si stupì della leggerezza di quel momento. Non era quasi mai successo prima che fra loro ci fosse una tale pace, forse perché la presenza degli altri spingeva entrambi a comportarsi in modo diverso, forse perché la stanchezza e la fame e il freddo li avevano indeboliti abbastanza da fargli cadere di mano l'ascia di guerra con la quale litigavano sempre, o forse davvero era il Natale in arrivo.
In ogni caso, era incredibile. E
rimase incredibile per tutta la sera, mentre continuarono a mangiare
e a chiacchierare di niente e a sorridersi come mai prima.
Quando si diedero la buonanotte,
qualche ora più tardi, a Grantaire tremavano le mani nel
chiudere le
tende del suo baldacchino, e quasi si convinse a dar la colpa al
freddo, mentre il cuore, incurante dei suoi tentativi, saltava un
battito nel vedere Enjolras sorridere un'ultima volta.
▲▲▲
Ebbene
quindi, così inizia. Questa cosina che avete letto
è la
prima parte di un progetto che ho iniziato a scrivere un paio di
settimane fa e che non ho ancora finito, ma che inizio a postare oggi
con l'idea di postare un giorno al giorno, almeno fino al 29, per poi
riprendere probabilmente il 3.
Ma comunque.
Questa storia è ispirata a questo
post
trovato per caso sulla mia dashboard tumblr. Uno di quei post
che
ti fa brillare gli occhi e ti riempie il cuore di gioia e ti fa
allegramente svenare su qualcosa di immenso e insostenibile. Non
è stupendo?
Questa
fanfiction è un regalo per la mia Sammy,
perché la
mia ossessione per l'Enjoltaire è in gran parte colpa sua (e
di
George Blagden, ma non posso davvero incolpare lui, come si fa a dire
qualcosa a quel faccino? çwç ). Buon Natale,
giuro che un
giorno imparo a fare regali decenti.
Devo inoltre un ringraziamento alla mia compagna di banco e di
sventure, Valeria, che non so come riesce ancora a leggere la mia roba
dopo sei anni che la ossessiono, e che sono due settimane che sostiene
conversazioni praticamente monotematiche su whatsapp. Non so come fai,
davvero. Grazie ♥
E
poi ringrazio, ovviamente, chi è arrivato a leggere fino a
qua,
chi recensirà o seguirà o anche solo chi
avrà la
forza di aprire questa cosa.
Buone feste, spero di potervi accompagnare nelle vostre giornate di
ozio vacanziero come questi due scemi faranno per me.
A domani,
Piuma_