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Autore: sensibility    24/12/2013    6 recensioni
Bella ha solo ventidue anni quando si ritrova sola, senza un tetto sopra la testa e senza un soldo in tasca, costretta a crescere una bimba di pochi mesi senza l'aiuto di nessuno. E' proprio quella bimba il motivo per cui suo padre, furioso, l'ha cacciata di casa senza pensarci due volte. Bella decide allora di lasciare la città in cui è nata e cresciuta e che tanto l'ha fatta soffrire nella sua vita per trasferirsi in un piccolo paese sperduto tra le montagne dove troverà un lavoro, una casa, dei nuovi amici, una famiglia. E chissà che con il tempo non riesca ad aprire di nuovo il cuore all'amore...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Emmett/Rosalie
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Ciao a tutti! Questa è la mia nuova storia. È nata per caso e non ho scritto molto ma la trama è ben chiara nella mia mente, si tratta solo di trovare il tempo di tradurre i miei confusi pensieri in un testo chiaro e leggibile.
È la mia prima fanfic, di solito preferisco scrivere storie originali, e questa non sarà da meno, ma ho voluto provare questa nuova sfida. Sarete voi a dirmi se ne vale la pena o se è meglio se lascio perdere. Sono sicura che sarete sincere con me, non vorrei diversamente.
Vi lascio alla lettura del prologo. Si capisce poco della storia ma se vi sorgono almeno un paio di domande allora saprò di aver centrato nel segno. Dal prossimo capitolo, il primo, che spero di pubblicare entro la fine dell’anno ma non ve lo posso assicurare vista la frenesia di questi giorni, le domande cominceranno a trovare le prime risposte. Non crediate però che i segreti saranno rivelati in fretta!
Mettetevi comode e godetevi il viaggio…
Sensibility
 
 
PROLOGO
 
 
Mi volto indietro una sola volta, ammirando la bella villa bianca in cui ho trascorso quasi tutta la mia vita. È stata mia madre a sceglierla, quando io avevo poco più di un anno, ed è stata lei ad arredarla, scegliendo persino quale dovesse essere la mia stanza.
Alzo lo sguardo e lo lascio correre sulla facciata principale della casa, cercando di imprimermi nella mente ogni dettaglio prima di andarmene. La prima cosa che si nota, appena arrivati, sono gli immensi giardini che circondano tutta la casa, con l’erba tagliata con cura e le alti siepi che ne nascondono la vista dalla strada; percorso il vialetto, si arriva a un elegante porticato in legno chiaro che nasconde il pesante portone di legno scuro; alzando lo sguardo, si notano le ampie finestre del primo piano che riflettono i raggi del sole che sorge tingendosi di un tenue color rosa; proprio al centro della facciata svetta un balcone di un bianco candido, decorato da lussureggianti vasi di fiori dai colori sgargianti che segnano la stanza dei miei genitori; sulla sinistra appariscenti tende rosa spiccano sul bianco della casa, tende scelte appositamente da mia sorella.
Quando è nata la mia sorellina, ero felice perché finalmente avrei avuto un’amica con cui giocare, qualcuno che mi avrebbe fatto compagnia nelle ampie stanze fredde e silenziose della villa. Per anni avevo aspettato che la piccola Victoria fosse abbastanza grande da poter giocare con me, limitandomi a guardarla da lontano sotto l’occhio vigile di mia madre che si affrettava a sgridarmi ogni volta che mostravo di volermi avvicinare alla piccola.
Con il passare del tempo capii che non avrei mai avuto il permesso di avvicinarmi alla principessa di casa, come la chiamava mio padre, ma non per questo ero stata gelosa; nonostante tutto, le volevo bene, anche se con il suo arrivo le già poche dimostrazioni di affetto di mio padre si spostarono su di lei e la poca considerazione che mia madre aveva mostrato fino a quel momento nei miei confronti svanì in un secondo.
Victoria, con i suoi lunghi capelli rossi e gli occhi color ghiaccio, era la copia esatta di sua madre e crescendo, questa somiglianza non fece che aumentare rendendola, agli occhi di tutti, perfetta.
Solo io sembravo pensare che mia sorella fosse un po’ troppo viziata e che dargliele tutte vinte non fosse la scelta migliore per lei ma nessuno ascoltava mai il mio parere; mio padre, completamente influenzato dalla moglie, passava la maggior parte del tempo al lavoro, stringendo legami con le persone più influenti della città, e non si rendeva conto di come stava crescendo.
Mia madre, invece, non mancava mai di farmi notare le mie mancanze ogni volta che io mi permettevo di criticare la sua bambina, sottolineando il banale colore castano scuro dei miei capelli e l’ancora più banale color cioccolato dei miei occhi, che uniti al pallore della mia pelle, non facevano che rendere palese al mondo il fatto che non fossi veramente sua figlia. Infatti, nonostante l’avessi sempre considerata mia madre, non lo era; mio padre l’aveva spostata meno di un anno dopo la mia nascita, solo un paio di mesi dopo la morte di mia madre.
La prima cosa che la nuova moglie di mio padre aveva fatto dopo il matrimonio era stata eliminare qualsiasi traccia di mia madre, e cambiare casa era stata la via più rapida ed efficace.
Una sola foto si era salvata, l’avevo trovata per caso qualche anno prima in un vecchio libro che ora conservavo gelosamente, e vedendo quella foto che ritraeva mia madre il giorno del suo matrimonio non potevo che essere felice di assomigliarle, anche se poco: lunghi capelli castano scuro, arricciati in morbidi boccoli, occhi color cioccolato, pelle chiara e fisico esile.
Con un ultimo sguardo alla casa, mi volto e me ne vado, questa volta senza più voltarmi indietro. Ho portato con me ben poche cose, una piccola valigia con qualche vestito, il libro in cui custodisco la foto di mia madre e qualche altra foto a cui tengo particolarmente, e poco altro.
Non c’è niente in quella casa di cui sentirò la mancanza, l’amore che provavo e provo ancora per mia sorella non se ne andrà mai ma ciò che mi ha fatto non lo posso perdonare, non dopo tutto ciò che ho fatto per lei negli anni.
E nonostante tutto, la colpa è stata data a me, perché sono io quella adulta, quella che dovrebbe far rispettare le regole, quella che avrebbe dovuto sorvegliarla e impedirle di fare ciò che ha fatto. Inutile far notare a mio padre e a sua moglie che avevo provato ad avvertirli più di una volta ma senza mai essere ascoltata; era colpa mia e ne dovevo pagare le conseguenze, mia sorella era troppo giovane per rendersi conto che le regole esistevano per un motivo e toccava a me l’ingrato compito di metterla in riga, quando i suoi genitori erano i primi a lascarle fare qualsiasi cosa volesse, quando io che avevo quasi otto anni più di lei dovevo chiedere il permesso per la minima sciocchezza.
E così ora mi ritrovavo a lasciare la mia casa, sola e senza un soldo, senza sapere dove andare e senza nessuno a cui poter chiedere aiuto; questo però non mi importava. Quando varcai il cancello, lo richiusi alle mie spalle e mi avviai lungo la strada che portava alla stazione dei treni, sul mio volto c’era un sorriso. Ero spaventata, certo, ma sapevo che me la sarei cavata in qualche modo; avrei trovato un posto dove vivere e un lavoro, presto tutto sarebbe andato bene. Ne ero sicura.
Sono sempre stata una persona ottimista e nemmeno questa volta sono da meno. Con la mia valigia e il mio prezioso carico, motivo per cui mio padre mi ha gentilmente cacciato di casa solo la sera prima, mi allontano dalla mia casa e dal mio quartiere affrontando il mondo.
Il mio unico rammarico è di lasciare la mia piccola e immatura sorellina nelle mani dei miei genitori che per sedici anni non sono riusciti a imporle nulla; ho paura di quello che potrebbe succederle ma con un sospiro mi rendo conto che non può essere peggio di ciò che è già accaduto e che proprio questo episodio potrebbe averle messo in testa un minimo di buon senso che le impedirà di comportarsi come una bambina viziata che fa i capricci se non ottiene ciò che vuole, anche senza di me.
Arrivo alla stazione che il sole è appena sorto; volevo lasciare la mia casa prima che qualcuno si svegliasse per non dover affrontare di nuovo le accuse che la sera prima mi erano state rivolte. Faccio il biglietto per il primo treno in partenza senza badare alla destinazione, non m’importa dove vado, tutto ciò che voglio è allontanarmi il più possibile da quella città e dalla mia famiglia. Quando il treno parte, dirigendosi lentamente verso le montagne, lascio il mio passato sulla banchina di quella stazione mentre il mio sguardo corre in avanti, alla mia meta, ancora sconosciuta, in cui spero finalmente di sentirmi a casa.
“Ce la faremo” mormoro, cercando di convincermi che andrà tutto bene. “Troverò una casa e un lavoro e non ti farò mai mancare niente” prometto, abbassando lo sguardo sul fagotto che tengo tra le braccia. Un visetto dolce spunta tra le coperte rosa pallido e due occhi azzurri come il cielo mi guardano curiosi.
Sorrido, le do un rapido bacio sulla fronte e mi assicuro che sia coperta bene prima di tornare a prestare attenzione al paesaggio che scorre rapido davanti ai miei occhi.
  
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