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Autore: Rinalamisteriosa    24/12/2013    2 recensioni
[La famiglia italiana]
- Minilong AU | Presenza di Fem!Nord Italia | Accennini SeboMona -
“Davvero? Possiamo sapere come mai?” domandò perplessa Flavia, guardandola confusa.
Romano invece sgranò gli occhi, certo di aver capito male. Niente lavoro per lui… Possibile?
Assunta annuì. “Avrete tutta la mattina per prepararvi: alle undici in punto dovrete essere all'aeroporto di Roma Ciampino. Mentre dormivate, ha telefonato Giulio e ha chiesto espressamente che andiate ad accogliere vostro cugino Diego. È tutto chiaro?” s’interruppe, per accertarsi che la notizia fosse stata recepita a dovere dai figli.
Assistette a due reazioni completamente opposte.

(...)
“Non potrei desiderare di meglio. In famiglia siamo delle brave persone e ci vogliamo tanto bene!”.
“Tu la metti sempre su un piano troppo sdolcinato per i miei gusti”

**Dedicata a SunliteGirl**
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Antica Roma, Nord Italia/Feliciano Vargas, Principato di Seborga, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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[A SunliteGirl]

 

 

 

***

 

 

 

La patria del cuore

 

 

 

 

*La famiglia italiana*

 

Capitolo I

 

 

 

 

 

Ore sette del mattino.

 

In casa Vargas, al primo piano, in fondo all’umile corridoio entrambe le camere da letto erano avvolte da un silenzio perfetto e dalla penombra per via delle imposte semichiuse.

In quella di destra, talmente disordinata da far pensare che al suo interno fosse passato un ciclone, si mise in funzione la chiassosa radiosveglia, appoggiata sul comodino accanto al letto, dove giaceva scomposto un giovane addormentato.

Lui mugugnò infastidito, voltandosi dall’altra parte, mentre la voce potente di Luciano Pavarotti intonava la prima strofa di ‘O sole mio.

 

(Che bella cosa ‘na jurnata ‘e sole

n’aria serena doppo ‘na tempesta)

 

“E che cavolo!” borbottò, spingendo la testa sotto il cuscino.

Non aveva nessuna voglia di alzarsi in piedi e di prepararsi per andare a lavoro, perché se lo avesse fatto, allora avrebbe dovuto anche sorbirsi l’immancabile predica di mamma Assunta, per non parlare delle lodi infinite rivolte alla sorellina Flavia.

Lei era più carina, più educata, più dolce, più ordinata e più creativa di quanto Romano fosse mai stato in vent’anni: ecco cosa insinuava sua madre.

 

(pe’ll’aria fresca pare già ‘na festa

che bella cosa ‘na jurnata ‘e sole)

 

Si rigirò nel materasso e tese il braccio nudo verso l’oggetto incriminato, tastandolo con le dita più volte e tirando un sospiro di sollievo quando finalmente si spense.

Si sistemò nuovamente tra le calde coperte, ma il richiamo della donna dal pianterreno gli precluse ogni tentativo di rilassarsi.

Si portò a sedere mettendo su un broncio ostinato, era semiaddormentato, con i corti e morbidi capelli scuri che ricadevano in ciuffi spettinati fino al collo, mentre si aggiustava le spalline della canotta rossa.

Un altro richiamo lo indusse a gridare: “E sì, ho capito, sono sveglio!”, a lasciare subito il suo letto e a recuperare le ciabatte e un paio di pantaloncini.

 

 

In attesa fuori dal bagno trovò Flavia, una mano a strofinarsi l’occhio destro, i capelli più chiari dei suoi e ugualmente spettinati a incorniciarne il grazioso visino.

Indossava una camicia da notte verde, che le ricadeva fino alle gambe magre.

Si fissarono, entrambi assonnati.

“Buongiorno…” gli augurò poi in tono soave, sporgendosi per dargli un bacio sulla guancia prima di superarlo ed entrare a sua volta in bagno, socchiudendo la porta di legno.

Romano decise di aspettarla nel corridoio, così sarebbero scesi insieme per la colazione.

 

 

Sette minuti dopo, Assunta, vedendo che i suoi due figli si erano degnati di arrivare in cucina, posizionò le mani chiuse a pugno sui fianchi e li fissò severa.

“Flavia, Romano, buongiorno. Sbrigatevi a fare colazione, perché tu – indicò la più piccola – non andrai a scuola e tu – indicò il maggiore – non ti recherai a lavoro”, spiegò la donna in tono spiccio e categorico.

“Davvero? Possiamo sapere come mai?” domandò perplessa Flavia, guardandola confusa.

Romano invece sgranò gli occhi, certo di aver capito male. Niente lavoro per lui… Possibile?

Assunta annuì. “Avrete tutta la mattina per prepararvi: alle undici in punto dovrete essere all’aeroporto di Roma Ciampino. Mentre dormivate, ha telefonato Giulio e ha chiesto espressamente che andiate ad accogliere vostro cugino Diego. È tutto chiaro?” s’interruppe, per accertarsi che la notizia fosse stata recepita a dovere dai figli.

Assistette a due reazioni completamente opposte.

La figlia minore esultò, levando le braccia al cielo ed esclamando candidamente: “Che bello! Lo zio Giulio ci manda Diego, finalmente passeremo del tempo insieme!”.

Il figlio maggiore sembrò contrariato e dubbioso.

“Io non mi fido…” mormorò a denti stretti, aggrottando le sopracciglia. “Per tutto questo tempo non si è curato di noi, e oggi improvvisamente ci obbliga a ospitare suo figlio?! Per me c’è sotto qualcosa”.

Romano chinò il capo, per poi strizzare gli occhi e contrarre le labbra quando Flavia gli domandò piano: “Fratellone… davvero non sei contento?”.

Non si sarebbe voltato a guardarla dritto negli occhi, no, perché sapeva che altrimenti avrebbe ceduto di fronte allo sguardo da cucciola bastonata che sicuramente l’altra gli stava lanciando per convincerlo.

Anche quando si sentì abbracciare, agitò energicamente il capo.

“Accidenti, non voglio! Lasciami subito!” protestò.

“Ospitiamo il cugino Diego, che ti costa? Per favore…” lo pregò, stringendo.

“No. E finiscila, non siamo più bambini!” la riprese.

“Niente storie, Romano”, intervenne perentoria la donna. “Tu lo accetterai, che ti piaccia o no. Non vi ho forse insegnato l’importanza dell’ospitalità? Ancor più se si tratta di un membro della nostra famiglia?” ricordò loro.

“Sì, mamma”, risposero all’unisono, uno con il tono scocciato, l’altra accondiscendente.

“Nella mia vita ho fatto tanti sacrifici, anche per tirarvi su… Non vorrete deludere le aspettative mie e della buon’anima di vostro padre?”.

“No, mamma”.

“E anche se loro sono così distanti, non vuol dire che non tengano a noi tre”.

“Hai ragione, mamma”.

Con un sorriso compiaciuto, Assunta tornò al lavello per continuare a lavare i piatti della sera prima e per aspettare le tazze e i cucchiaini che entrambi avrebbero utilizzato, di lì a poco, per il latte caldo e per il caffè.

 

 

 

La colazione si consumò in un’atmosfera pregna di sottintesi e di parole non dette, soprattutto da parte di Romano.

Sapeva bene di essere un figlio problematico, deludente sotto molti aspetti, pigro, che faceva il commesso in un negozio d’abbigliamento soltanto perché costretto dalla precaria situazione familiare, essendo l’unico che poteva contribuire alle spese, portando uno stipendio a casa. Era modesta, la loro casetta, ma ci vivevano bene.

Romano si lamentava sempre, però il suo contributo manteneva le donne più importanti della sua vita.

A suo modo ci teneva e provava fastidio per se stesso, per quella sua natura tormentata e orgogliosa da fare schifo.

E sparte adesso si aggiungeva un’altra bocca da sfamare. Che bello.

“Mamma?” la chiamò all’improvviso; esitò, ma dopo un cenno di incoraggiamento della donna, dopo aver sbirciato con la coda dell’occhio Flavia e il suo sorriso lieve, sentiva di doverlo dire.

“Grazie, ma’. Ti prometto che non farò più storie”.

Incassò la testa sulle spalle, strinse i pugni sotto al tavolo e le guance s’imporporarono per l’imbarazzo, come se in una frase avesse concentrato tutto l’affetto e tutta la stima che raramente le dimostrava.

Solo, era stata una confessione pronunciata con un tono più basso del suo solito, quindi aveva temuto per un attimo di dover ripetere, ma fortunatamente lei aveva sentito. L’avevano udito entrambe, in realtà.

Sua madre lo rassicurò, aggiungendo che pure lei da giovane era una testa calda come lui, mentre Flavia continuò a sorridere, passandole il barattolo della marmellata di ciliegie, per poi esclamare contenta: “Non potrei desiderare di meglio. In famiglia siamo delle brave persone e ci vogliamo tanto bene!”.

“Tu la metti sempre su un piano troppo sdolcinato per i miei gusti”, aggiunse schiettamente Romano. Però doveva ammettere che si sentiva un po’ più sereno, rilassandosi sulla sedia e osservando la mamma che cingeva dolcemente le spalle dell’altra con un braccio, invogliando loro a sbrigarsi e a salire nelle rispettive camere, per poi lavarsi, per darsi una sistemata, soprattutto ai capelli, e per prepararsi.

 

 

*

 

 

“Fratellone, puoi aiutarmi con i lacci degli stivali?” chiese Flavia entrando tranquillamente nella sua camera, mentre lui era intento a infilare gli ultimi bottoni nelle asole della camicia bianca. Aveva perso tempo a contattare qualcuno che lo sostituisse alla cassa per quel giorno, quindi stava cercando di vestirsi in fretta.

“Che palle, Fla’! Non hai ancora imparato a farlo da sola?” rispose seccato Romano, per poi sospirare pesantemente alla vista del suo abbigliamento. La camicetta nera ci poteva anche stare, ma secondo lui quella gonna blu era troppo corta, metteva in evidenza le gambe snelle e chissà se in aeroporto sarebbero passate inosservate.

Flavia abbassò ingenuamente lo sguardo. “Devi solo allacciare questi e sono pronta. Nostra madre mi ha già visto e ha detto che sto bene”, gongolò soddisfatta, la lunga coda di cavallo che oscillava a destra e a sinistra come il pendolo di un orologio.

Quando finì con i bottoni, lui la fece sedere sul bordo del letto e si inginocchiò per armeggiare con quei lunghi lacci, in un’operazione per nulla semplice, intricata. La spuntò soltanto per abitudine, dato che la aiutava da quando erano piccoli con tutti i tipi di scarpe, eccetto le ballerine.

“Certo che questa stanza sembra proprio un campo di battaglia…” pensò ad alta voce Flavia, osservandone il gran disordine che toccava ogni angolo.

“Sta’ zitta!” esclamò lui. “Capirai che m’importa. Lascia che ci pensi mamma quando ce ne saremo andati. È la giusta punizione per lei, perché… perché sì, cavolo!” gli venne da dire con un certo nervosismo.

Poi si alzò in piedi e trascinò la sua perplessa sorellina fuori da lì, sbattendo la porta e precipitandosi di fronte all’armadio, alla ricerca dei pantaloni color sabbia.

 

 

“Fatevi guardare…” li incitò a mettersi vicini, uno accanto all’altra.

Il suo bambino e la sua bambina erano diventati grandi.

Avevano gli occhi e alcuni tratti molto simili, Romano e Flavia, a parte delle ovvie eccezioni, come il colore dei capelli e il modo di acconciarli, poi un ricciolo caratteristico – quello del primo pendeva a destra, quello della seconda a sinistra – e il fatto che uno era costantemente serio e svogliato, mentre l’altra aveva un’allegria spontanea, naturale.

Molti le chiedevano se fossero gemelli, per poi stupirsi quando specificava che in realtà Romano era nato due anni prima di Flavia e che avevano rispettivamente venti e diciotto anni.

“Per me state benissimo”, fece sapere loro la donna, orgogliosa.

Romano diede una veloce occhiata al proprio orologio da polso: erano le dieci e cinque.

“Speriamo che la tua amica non tardi, Fla’. Mi sono già rott-”.

“Romano! Vedi di non dire parolacce!” lo avvertì severamente la madre, addolcendosi quando la piccola di casa annuì.

Assunta allargò le braccia e l’accolse in un delicato abbraccio, depositando un bacio materno sulla fronte liscia. “Mi raccomando cara, assicurati che tuo fratello si comporti bene, sai com’è fatto…” le disse con un sorriso intenerito. L’altro fece una linguaccia e si girò verso la porta, pronto ad andarsene.

“Non mi saluti, Romano?”.

“E piantala, ci rivedremo presto!” pronunciò queste parole apparentemente scocciato, ma in realtà sentiva delle lacrime birichine che premevano per uscire dagli occhi.

“Dai, Romano, unisciti all’abbraccio anche tu!” esortò Flavia.

Il giovane sospirò, ma un attimo dopo si costrinse a tornare sui suoi passi, assecondandole, ricevendo un bacio sulla frangia dalla loro mamma che lo fece vergognare e chinare il capo.

La sorella allargò il sorriso, per via del broncio imbarazzato che lui stava mostrando. “In questo momento sei adorabile. Dovresti guardarti allo specchio, fratellone”.

“Ma smettila!”.

Dopo un po’ il suono di un clacson fece trasalire la famigliola. Contemporaneamente diedero un bacio, chi in una guancia chi nell’altra, alla mamma e sciolsero l’abbraccio. Si affrettarono poi a prendere le rispettive giacche, a indossarle e a correre alla porta d’ingresso dopo che Flavia aveva agguantato al volo la sua borsa.

“Ciao, mammina!”.

“Arrivederci”.

“Ciao!” li salutò lei, ritornando alle sue faccende con la speranza che sarebbe andato tutto bene.

Assunta era una donna esigente e autoritaria, ma sapeva essere anche comprensiva, paziente e amorevole quando serviva.

Inoltre era forte e robusta, abituata a lavorare in casa fin da piccola.

Aveva amato molto e aveva perduto, crescendo da sola due figli piccoli e diversi tra loro.

Il suo buonumore si affievolì quando le toccò salire al piano superiore e aprire la porta della camera del primogenito. Era messa ancor peggio del solito, ma si rimboccò le maniche con decisione e si diede da fare.

A preparare una bella ramanzina ci avrebbe pensato più tardi.

 

 

A proposito di lui e di Flavia, si era offerta di accompagnarli con la macchina una giovane donna dai capelli lunghi, mossi, color castano chiaro e dai brillanti occhi verdi.

Si trattava di una cara amica della sorellina, proveniva dall’Ungheria e anche se viveva in Italia da cinque anni aveva imparato a padroneggiare quasi alla perfezione la lingua italiana.

Romano si era seduto sul sedile posteriore, limitandosi a un cenno sbrigativo con il capo, mentre sua sorella aveva dato un saluto caloroso a Elisa – così era solita chiamarla – occupando il posto accanto a lei e spiegandole la situazione mentre la osservava guidare.

“Sono proprio contenta, non vediamo Diego da qualche anno, sarà cresciuto! Mi chiedo se lo riconosceremo…” aggiunse Flavia quando esaurì il discorso. Poi prese a giocherellare con il portachiavi tricolore che pendeva dalla cerniera della propria borsa.

“Ho capito. E il signorino asociale dietro di te che pensa?” s’interessò Elizabeta, dal momento che l’altro non aveva ancora aperto bocca.

“Che?” sbottò, poiché l’avevano chiamato in causa mentre era sovrappensiero. “A cosa ti riferisci?”.

“Mi chiedevo se come tua sorella sei entusiasta per la visita improvvisa…” replicò pazientemente l’ungherese.

“A dirti la verità no, per niente. Dovrò adattarmi… Ho un brutto presentimento, accidenti!” dichiarò, distogliendo l’attenzione dal paesaggio che scorreva dal finestrino: tanto gli passavano davanti solamente abitazioni, cartelli, lampioni spenti, macchine parcheggiate, strade asfaltate e qualche traccia di verde qua e là.

“Romano pensa che ci sia sotto qualcosa”, chiarì la sorella. “Secondo me non ha motivo di preoccuparsi. Si tratta di un ragazzino, vero Elisa? Cosa potrebbe succedere di male?”.

“Che pizza...” mormorò lui assottigliando lo sguardo, scocciato di vederla sempre così fiduciosa, ottimista e ignara.

“In questo caso tenete gli occhi aperti”, suggerì solidale Elizabeta, per non contraddire nessuno dei due.

Il breve viaggio proseguì senza intoppi, finché non arrivarono a destinazione, entrando con il veicolo nel parcheggio antistante l’ingresso dell’aeroporto.

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

***

Disclaimer: A parte uno, i personaggi citati non mi appartengono (ci ho semplicemente fantasticato sopra) e non ho scritto a scopo di lucro.

 

Note: Non avrei mai dato una possibilità a quest’idea alternativa se la cara SunliteGirl non mi avesse cortesemente incitato a scrivere. Se lo merita davvero, perciò ho vinto la mia indecisione e ho pubblicato >.<

Questa, in parole povere, è la prima di una serie di storie, che verteranno sulle varie famiglie di Hetalia a cominciare dagli italiani.

Ho voluto una madre per Italia Romano e Italia Veneziano, così è nata Assunta.

Ho voluto cambiare sesso al minore, ma capirete più avanti il motivo, se svelo tutto subito non c’è gusto ;)

Inoltre qui non rappresentano le nazioni e la fic è ambientata non proprio ai giorni nostri, ma negli anni ’90.

Ah, il titolo viene da una citazione di Giuseppe Mazzini, “La famiglia è la patria del cuore”.

Spero vi piaccia questa premessa, anche se non ha molte pretese (personalmente preferisco i prossimi capitoli, questo è soltanto l’inizio xD) e prometto all’autrice a cui è dedicata che non dovrà aspettare molto per leggerla tutta. Anticipo che può sembrare semplice e scontata, ma non sarà così, ho fatto il possibile =)

 

Rina

 

 

Prossimo aggiornamento: 29 dicembre. Perciò ne approfitto per augurarvi una buona Vigilia e un Felice Natale! =)

 

 

 

  
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