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Autore: Ruta    24/12/2013    3 recensioni
C’erano cose di lei che non aveva avuto modo di conoscere, che non avrebbe avuto mai: tante possibilità venute a mancare. Ce n’erano altre, però: l’odore della sua pelle, agrodolce e pungente come i ricordi che si era lasciata dietro [...]. Il tempo che si dilatava, ora lento ora veloce. Relativo al desiderio che ne accompagnava lo scorrere.
Un’ora soltanto per perdersi e ritrovarsi. Un’ora appena per ricordare e poi fingere di dimenticare fino all’anno successivo. Di fronte ad una vita intera cosa contano pochi altri minuti? Che differenza possono fare?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lyra Belacqua, Will Parry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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possibilità

 

 

Possibilità mancate

 

 

 

 

 

Will

 

C’erano cose di lei che non aveva avuto modo di conoscere, che non avrebbe avuto mai: tante possibilità venute a mancare.
Ce n’erano altre, però: l’odore della sua pelle, agrodolce e pungente come i ricordi che si era lasciata dietro; la sensazione ardente e acuta nello stringerla a sé, sentendola calda, pulsante di vita contro di lui; i capelli morbidi a fare da intralcio ai loro baci frettolosi, le spalle ossute a cozzare tra loro nell’irruenza della presa. Il tempo che si dilatava, ora lento ora veloce. Relativo al desiderio che ne accompagnava lo scorrere.  
Queste cose Will le sapeva a memoria, le percepiva ancora con la stessa intensità con cui aveva coscienza del vento inglese che gli sferzava le guance, la stessa violenza che impazzava sottopelle, condensata in grumi di rimpianti e macchie di sentimenti scuri.
Le sentiva per averle incise a fuoco nelle cavità più profonde di se stesso.
Anche adesso che erano lontane e perdute, memorie di un tesoro smarrito, anche ora erano cose che gli appartenevano di diritto, solo sue e, assieme a lui, di Lyra soltanto.
Ma c’era anche altro oltre a quello, molto e molto altro. Un altro che non fosse il suo corpo acerbo o il suo sorriso audace, il bagliore temerario e ferino che, ricordava, i suoi occhi assumevano a ogni idea nuova e intrepida, o quella sfumatura infinitamente vulnerabile che avevano preso poco prima che lui chiudesse per sempre la finestra tra i loro mondi.
In quel momento, nel vedere il proprio riflesso attraverso gli occhi di Lyra, gli si era come spaccato dentro qualcosa. Nel risanare la ferita dello spazio, allora, un’altra tanto più intima gli si era aperta dentro, definitiva. Una crepa piccola e poco appariscente, appena una breccia nel muro, ma comunque una spaccatura comparsa ad incrinare l’insieme compatto che la circondava.
Di Lyra aveva conosciuto le corde del cuore oltre che dell’anima, le bugie e le maschere, un presente troppo breve per poter essere definito tempo e troppo prezioso per definirlo in qualsiasi modo.
Di Lyra aveva il ricordo, presente e passato, a perseguitarlo come un fantasma amico. Aveva l’assenza nociva, il posto accanto a sé vuoto o invece occupato dalla persona sbagliata.
Di Lyra aveva i segreti, anche quelli più nascosti, quelli che lei non aveva avuto occasione di confessargli, ma che lui ugualmente aveva intuito.
Di Lyra aveva ogni cosa, tutto e niente.
Non aveva il suo futuro tanto per cominciare. Non aveva la sua realtà. Aveva l’immagine sfocata di un rimpianto che bruciava come sale su una ferita aperta, sempre uguale, sempre lo stesso. 
Non aveva l’adesso, l’immediatezza del “qui e ora”.
Aveva una panchina di legno troppo grande per una persona sola, il profumo penetrante di piante dell’orto botanico che avrebbe voluto respirare direttamente tra i suoi capelli, la luce abbacinante di mezzogiorno a fargli socchiudere lo sguardo come nel dormiveglia.
Aveva mille e mille desideri senza possibilità di avverarsi.
Aveva tutto ciò che lei era stata e che probabilmente non era più ormai.
E Lyra aveva lo stesso. Provava lo stesso. Lo stesso senso di vuoto, gli stessi sentimenti inesprimibili e intensi, la stessa voragine nel cuore.
Quello che aveva e provava per Lyra non subiva cambiamenti.
Il suo corpo cresceva, si allungava, si irrobustiva. Il suo cuore per contro si assottigliava, si snervava nella ricerca dell’impossibile. Ininterrottamente teso altrove.
Will non credeva nei miracoli. Non ci aveva creduto neppure quando sua madre, dopo mesi e mesi di mutismo, un giorno si era come svegliata dal torpore indotto della malattia e lo aveva riconosciuto. Non era mai più andata via da allora. 
Eppure ancora oggi, ad anni di distanza, Will si ritrovava di quando in quando a lanciarle sguardi indecifrabili. Era come se si aspettasse di perderla di nuovo se avesse allentato la presa su di lei. Era la stessa sensazione provata una vita fa con Lyra sul bordo dell’abisso, subito dopo che era caduta ed era stata salvata dall’arpia Senzanome.
In lontananza le campane incominciarono a suonare. Kirjava gli sfregò il muso contro il dorso della mano serrata e Will si riscosse a stento.
- È passato un altro anno - disse stancamente e si costrinse ad un sorriso doloroso. Aprì le dita contratte per sgranchirle, ma ancora non si alzò.
Un’ora soltanto per perdersi e ritrovarsi. Un’ora appena per ricordare e poi fingere di dimenticare fino all’anno successivo. Di fronte ad una vita intera cosa contavano pochi altri minuti? Che differenza potevano fare?

 

 

 

 

Lyra

 
- Ce la faremo, vero Pan? –
Non era da Lyra andare in cerca di rassicurazioni, ma in quel momento Lyra non era Lyra, o meglio era una Lyra diversa, bella come mai, con lo sguardo assorto, l’espressione greve e una luce, nei capelli e nel sorriso rivolto al nulla, che era insieme pesante e dolce come miele d’acacia.
Pantalaimon era accucciato non lontano da lei, tra le radici nodose di un vecchio olmo dove si era divertito a immergere il muso nei mucchietti di foglie raccolte dai giardinieri. Una, piccola e ondulata, gli era rimasta incastrata nel pelo fulvo. Sollevò gli occhi scuri e scintillanti su di lei e tutto il corpo ebbe un tremito in risposta a quello che percepiva dentro Lyra. - Nessuno che non sia tu potrebbe riuscirci – rispose.
Lyra annuì, quasi serenamente, ma il daimon sapeva che avrebbe preferito urlare. Una delle cose più incredibili della Lyra adulta era l’autocontrollo. Lui la considerava l’altra faccia della medaglia di quella che era stata la sua vena di bugiarda incallita da ragazzina.
- A volte… - disse lei dopo un po’, - non credi che sarebbe stato meglio essere una qualunque? Una bambina come le altre: con una famiglia, una casa e tutto il resto, tanto per cominciare. –
Pan piegò la testa su un lato, scrutandola negli occhi con attenzione. - Ma non saresti stata più tu allora - le fece notare. - E neppure io sarei stato più me stesso e i bambini che hai salvato sarebbero morti e… -
- Roger sarebbe vivo - lo interruppe lei con un cipiglio deciso. - Non saremmo mai diventati amici, non avremmo mai giocato a rincorrerci per i giardini del Jordan o a gettare i noccioli sulle teste dei passanti dai tetti. Un giorno, da grandi, forse ci saremmo incrociati per strada. Io mi sarei voltata a guardarlo un attimo, uno soltanto, credendo di conoscerlo, sentendolo da qualche parte dentro di me, ma poi l’attimo sarebbe passato e sarei tornata ai miei pensieri, a decidere se indossare l’abito pervinca o piuttosto quello turchese per il ballo del Duca di quella sera. Perché sarei stata invitata, ovvio, e avrei sempre saputo cosa dire o come comportarmi. Sarei stata una di quelle donnine frivole e un po’ superficiali che non vanno mai oltre l’apparenza, non si pongono alcuna domanda, che ritengono la curiosità un abominio della natura. Sarei stata noiosa e… - la voce di Lyra si spezzò e lei fece un respiro profondo.
Per qualche minuto rimase in silenzio e il viso tradiva che la conversazione intanto continuava, anche se nascosta, profonda. Era come quando formulava delle domande all’aletiometro, solo che questa era un tipo di verità diversa, più preziosa e fragile, più difficile da scoprire e soprattutto da accettare. Alla fine lei parve venire a patti con se stessa perché riaprì gli occhi e si concesse un sorriso minuscolo, negli occhi il riverbero che la risposta le aveva lasciato.
- Will non avrebbe mai amato una Lyra del genere così come questa Lyra non avrebbe mai potuto amare il mio Will - rivelò, risoluta, come se la scoperta la rendesse soddisfatta, ma non felice. - Non lo avrebbe capito, non davvero. Non avrebbe mai conosciuto la sua mancanza o forse sì, ma non sarebbe mai riuscita a spiegarsene la ragione. Avrebbe vissuto nell’ignoranza, speso la vita nella ricerca senza mai trovare una risposta. Non avrei avuto lo stesso Will, ma comunque mi sarebbe mancato come l’aria. Io so dare un nome a tutto questo, so come chiamarlo, so riconoscerlo. Posso vivere il dolore allo stesso modo in cui avrei vissuto il mio amore. –
Lyra allungò una mano per permettere al suo daimon di poggiarci sopra il muso. Sull’indice e sull’interno del pollice c’erano residui dell’inchiostro usato quella mattina per ricopiare degli appunti, la pelle conservava ancora l’odore sottile di polvere dei libri da cui quasi mai si staccava, ma Pan non ci badava e così Lyra. Quando ebbe Pan vicino, l’espressione di Lyra si fece meno remota, si addolcì. Tra tante cose spiacevoli, averlo accanto serviva sempre a ricordarle quanto fosse fortunata, che avesse sì perso tanto, ma che le rimanesse anche tanto altro di cui essere grata.
- In fondo, sai Pan - disse, - credo che quella Lyra ci avrebbe rimesso ben più di me. –

 

 

 

 

 


 
N/A:

Quando ho scritto quanto avete letto sopra, avevo da poco concluso la saga e la voragine che avevo al posto del cuore era niente se paragonata alla tristezza che provavo.
Ci sono libri, a volte, da cui quando arrivi alla parola fine ti risvegli come da un sogno e occorrono ore, giorni, mesi per scrollarseli di dosso. Nel caso di altri, invece, il sogno ti resta dentro più a lungo fino a diventare parte di te, una parte essenziale.
Ci sono libri che si trasformavano in schegge di luce e carattere, in ricordi dolcissimi o agri. Ci sono libri che al solo nominarli ti riempiono di nostalgia, ti riportano a quel tempo andato, scavano fino al centro dell’animo per ritrovare la bambina che su quelle pagine ha pianto e riso, la ragazzina che ha imprecato e stretto i pugni e preso a morsi il cuscino per non urlare a pieni polmoni la propria rabbia in una notte d’estate.
Ci sono libri che sono stati con te, ti hanno fatto compagnia e accompagnato, fedeli e leali, fino alla fine, fin quando è stato loro possibile e permesso.
È a quei libri che apparteniamo per sempre, è a quei libri a cui doniamo noi stessi, cuore e anima, in cui riversiamo le nostre paure e speranze, è in quei libri che sono custoditi i nostri Daimon, credo. Pezzi piccoli, enormi, indefinibili, ma sempre Daimon.

 

  
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