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Autore: SylviaGreen    24/12/2013    1 recensioni
23 Agosto 2006.
Ho finalmente trovato la mia luce in un mare di ombre.

Una storia vera.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Libertà
 
 

Tac.
È il suono dell’interruttore automatico a svegliarmi.
Come tutte le mattine, sempre alla stessa ora, il fascio accecante di luce al neon, mai ingentilito da un genuino raggio di sole, colpisce rudemente i miei occhi chiusi, penetrando sotto le palpebre e distogliendomi dai miei sogni confusi, che ora mi vorticano indistinti nel cervello. Guardo fisso il soffitto della mia stanza, analizzando con cura ogni imperfezione per concentrarmi. Ricordo alcuni libri di scuola infilati a forza in un piccolo zaino; una giacca a vento rossa di cui andavo tanto fiera; una foresta fredda, vista attraverso il finestrino di un’automobile; rametti che si spezzano, sotto i passi affrettati di un uomo alto che sbraita al telefono; una coperta che mi avvolge e che potrebbe essere una sicurezza come una prigione … so perfettamente che cosa ho visto, anche se non mi sembra che nel sogno le immagini fossero collegate in qualche modo, anche se sono sorpresa: è da molto tempo che non vedo più il mio oscuro passato, di notte.
Non sono che brandelli insignificanti di quando l’ombra si è richiusa su di me, e ora che ormai quei momenti non esistono più, sotterrati da altri più recenti e importanti, non so nemmeno se mi piace averli visti. Anche se il mio corpo lo rinnega, non sono più la bambinetta di dieci anni che andava a scuola tremando da capo a piedi, e quella quotidianità non potrà mai più tornare: ho otto anni in più, e ora i miei problemi sono altri e molto più gravosi. Ne sento già il peso sulla schiena, come un enorme masso di chili e chili che preme sulla mia colonna vertebrale, ma non è l’unico: ce n’è un altro, gelido e incorporeo, che mi strizza il petto in una morsa e quasi mi impedisce di respirare. Chiudo gli occhi nella speranza che sia solo un altro innocuo temporale di sentimenti che passa e non lascia traccia, anche se so che questa tecnica non funzionerà. Purtroppo ormai riconosco i sintomi a menadito, perché mi hanno accompagnato per troppo tempo: è mancanza, la mia. Nessuna cura ha mai funzionato per riportarmi chi e quello che vorrei, e non lo farà mai.
A meno che …
Il mio respiro si fa più intenso e affannoso, e ogni volta che l’aria entra nei miei polmoni, una consapevolezza in più entra nella mia mente.
… perché no?
In fondo ormai ho diciotto anni.
Nel bene e nel male, ormai il tempo è passato.
Ho trascorso troppi anni qui dentro.
È tempo di cambiare.
Rievoco il momento di quando, otto anni fa, mi sono immaginata il mio Io del futuro diciottenne venire da me e portarmi via, tendendomi una mano forte e sicura; ora ho quell’età, ma non la stessa forza.
O forse non ce l’ho solo perché ho sempre avuto troppa paura per utilizzarla.
Fisso quella ragazza paffutella che mi sorride, e lentamente, incurvo anche io le mie labbra.
È tempo di mantenere la mia promessa.
Scatto in piedi, lo stomaco che gorgoglia dalla fame, e scendo dal letto a baldacchino più velocemente del solito. Mi affretto a nascondere il piatto vuoto che ieri sera, prima che la mangiassi, conteneva la mia colazione, ma non faccio altro per mettere in ordine la mia stanza: non sento il bisogno di sistemare i miei pensieri con essa, perché c’è qualcosa, dentro il mio petto, che mi illumina da quando mi sono svegliata e di cui solo adesso mi accorgo. Non credevo che avrei mai più provato questa sensazione così benefica, e sentirla irradiarsi dentro di me come tanti raggi luminosi e caldi di sole non fa altro che rinforzare la mia determinazione.
Sì: oggi ce la farò.
Mantengo saldo il mio proposito fino a quando un clic mi fa voltare: è il suono della serratura della piccola porticina di questa stanza.
Si apre lentamente, mandando strani riflessi con la luce al neon, ed entra lui.
La sua ombra si allunga nella mia stanza prima della sua persona, sovrastandomi, e ormai lo conosco talmente bene da ricordare ogni suo particolare non appena ne vedo la sagoma: è alto, molto magro, con tratti giovanili e delicati. Ha i lunghi capelli biondi ben pettinati, con la riga in mezzo, vestiti curati e perfetti, e occhi scuri, penetranti, che entrano nella stanza e la analizzano. Se si accorgono del piatto che ho nascosto, non ci fanno caso, perché ora si spostano su di me. Mi scrutano con più attenzione del necessario, come se mi trovassi su un vetrino di microscopio e fossi qualche strano batterio da dover identificare.
Riconosco un guizzo di stupore e incredulità, prima che la sua espressione ritorni gelida come al solito.
Forse ha già capito quello che intendo fare, o almeno ne ha un sospetto; ma io non permetterò che me lo impedisca stringendomi di nuovo nelle sue catene.
Andrò via di qui, fosse l’ultima cosa che faccio nella vita.
Uscirò da questa prigione opprimente da sola, perché nessun altro lo può fare per me.
Scapperò.
 
*
 
Mi blocco a fissare le cuciture del tappetino che sto pulendo, senza veramente vederle. È come se i miei occhi avessero ruotato dietro la testa, e posso osservare indirettamente la sua voce che si allontana sempre più. Attraversa il viottolo del giardino. Oltrepassa la soglia di casa. Entra in salotto. Socchiude la porta, quasi senza pensarci. Si muove tra divani e televisore, tutta presa dalla telefonata.
I suoi occhi, che come una corda mi tengono legata a lui, si stanno allontanando, e io quasi ne percepisco la trazione sulla schiena, che mi spinge a voltarmi e a guardarmi intorno: nessuno.
Riesco a smettere di lavorare e a evitare il mio compito, senza nessuna sgridata per convincermi a ritornarci.
Per la prima volta, non sono sotto il suo sguardo indagatore.
Non sono sorvegliata.
Non sono sola.
Osservo il paesaggio che ormai conosco a memoria, riflettendo. Le siepi ben potate, il basso cancelletto di legno, le case quadrate dei vicini, la piscina nel giardino accanto, i passanti disinteressati a me che camminano frettolosi nel viale. Il sole mi batte sul viso e sul mio corpo mezzo nudo, cercando di illuminare l’ombra in cui vivo da ormai troppo tempo e di offrirmi la chiave della prigione che mi nasconde da tutti: dai vicini di casa, dai miei familiari, dal mondo, da me stessa.
A occhio e croce, il cancello del giardino non mi arriverebbe che al ginocchio, eppure sembra invalicabile. Intorno c’è un enorme muro costruito apposta per me, in cemento armato, che mi rende invisibile a tutti e mi imprigiona nei suoi desideri. Andarci contro è inutile, perché mi farei soltanto del male e lui, poi, mi punirebbe in un modo troppo crudele da immaginarsi.
Ma lui ora non c’è.
Il mio Io del futuro mi guarda, con quegli occhi tranquillizzanti e confortanti, ricordandomi le parole che le avevo giurato otto anni fa.
Lui per te è un estraneo.
Scegli la vita, e a lui non resterà che la morte.
È solo uno stupido cancello di legno.
Forse non è nemmeno chiuso a chiave.
Corri.
Il sorriso della ragazza, del mio Io, è caldo e rassicurante. È un’espressione che io non possiedo, ma che giganteggia tra i miei ricordi più di tutto il resto e quindi non faccio fatica a riconoscerla.
È il sorriso di mia madre, che non vedo da otto anni.
E io, immediatamente, so cosa devo fare.
Le sabbie mobili che mi stringevano le gambe si sciolgono come ghiaccio sotto il sole.
Mi libero della mia immobilità con uno strattone e raggiungo il cancelletto.
Le mie mani toccano il pezzo di legno e lo spingono.
È aperto.
Mi precipito fuori, il sole che mi illumina tutta, e corro come non avevo mai corso prima. Non so per dove; forse verso la casa di qualcuno, un telefono, la polizia, i miei genitori.
Un senso meraviglioso e benefico mi invade tutta nuovamente, ma ora so perché.
Ho vinto.
Ho scelto la vita, quella vera, e al rapitore non resterà che la morte.
Ce l’ho fatta.
Dopo otto anni di prigionia, sono finalmente libera.
Ho finalmente trovato la mia luce in un mare di ombre.
 
 
 
23 Agosto 2006: Natascha Kampusch, ragazza diciottenne, dopo otto anni di prigionia fisica e mentale nella casa di Wolfgang Priklopil, è riuscita da sola a fuggire.
Priklopil, dopo pochi giorni dalla sua fuga, si toglie la vita.




*Angolino autrice*

La storia è vera, naturalmente, e le informazioni sulla dinamica della fuga di Natascha sono state tratte dal libro 3096 giorni.
Con questo piccolo scritto, buttato giù in mezz'ora a mezzanotte il giorno prima della scadenza, partecipo alla prima fase del concorso letterario della mia scuola. Il titolo era "luci e ombre" e non avevo la minima idea di che cosa scrivere ... bah, vedremo come andrà. 
Sono in un deficit di ispirazione e non scrivo più niente da un mese.
Mi sento una cacchetta, e l'unica cosa che posso farvi come regalo di Natale è questo piccolo scritto.
E niente, ciao.
Buon Natale a tutti e vado a scaricare musica.



Edit del 27. 12. 13.
La storia è stata recensita con un commento breve di Cristina90, e quindi riporto il suo commento e contemporaneamente le faccio un po' di pubblicità perché mi ha messo tra gli autori preferiti ^_^

"Davvero molto profondo, complimenti!"
Grazie mille per la tua opinione! :D Mi ha fatto molto piacere leggerla :D
   
 
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