La neve
possiede questo segreto di ridare al cuore un alito di gioia infantile
che gli
anni gli hanno impietosamente strappato.
Antonine Maillet,
Pointe-aux-Coques
La
neve aveva iniziato a
cadere. Il cielo, bianco e freddo, ricordava le membra di chi non aveva
una
casa in cui poter trovare un lieve tepore. Essa attecchiva al suolo
silenziosa,
leggera e mutevole, l’attimo prima aveva la forma di piccole
palline informi,
l’attimo dopo, non era più nulla. Si mischiava con
altra neve perdendo se
stessa, la sua forma, la sua caratteristica.
Un
po’ come me.
Quel
breve pensiero ebbe
il potere di far tornare Amber coi piedi per terra.
Cosa
poteva importare a
lei della neve? Certo, c’era stato un momento, in cui da
piccola aveva
desiderato essere la principessa della neve, quella che magicamente
faceva
cadere grossi fiocchi dal cielo, coprendo i tetti delle case addobbate
di luci.
Aveva sempre pensato, scioccamente,
che la neve fosse magica, poiché aveva il potere di coprire
ogni cosa col suo
manto bianco. La considerava un abbraccio, una coperta. Nessuno poteva
notare
le strade sporche, i rami spogli o addirittura, le foglie secche e non
raccolte
nelle grondaie. Per lei, la neve copriva ogni difetto e il mondo, il
suo mondo,
sembrava perfetto.
Ma
poi Amber ricordò
quella volta che volle uscire a giocare nel suo giardino, a soli tre
giorni da
Natale. Ricordava le urla della Tata che la rincorreva, ma lei non se
ne
curava. Correva, correva a perdifiato. Il suo unico obiettivo era
toccare con
le sue mani quei morbidi batuffoli, sentirne la consistenza e plasmarla
a suo
piacimento. Voleva fare un pupazzo di neve, come il piccolo vicino
davanti casa
sua. Non conosceva quel bambino, ma quel mattino, ricordò,
lo aveva invidiato
molto; munito di sciarpe, cappelli e guanti, assieme al padre e alla
sorellina
più piccola, aveva costruito un enorme pupazzo di neve, un
po’ buffo e
sbilenco, ma che parve farli divertire comunque. Ogni tanto scappava
qualche
palla, tra le risa divertite dei bambini. Ricordò
perfettamente, l’esatto
momento in cui le urla di sua madre la sorpresero alle spalle,
strappandole via
quel breve momento di leggera euforia. Lo sguardo freddo e quasi
disgustato che
le riservò non appena si era voltata. Indossava soltanto un
leggero pigiamino
di flanella con degli orsacchiotti, ma non fu quello a farle provare
improvvisamente freddo, ma lo sguardo di disapprovazione che le rivolse
suo
padre, una volta raggiunta la moglie.
«
Amber! Ti rendi conto
quanto sia sconveniente uscire conciata come una ragazzina di strada,
urlando e
saltando in quel modo? » proruppe la madre isterica.
Aveva
soltanto sei anni,
a chi sarebbe importato, se lei avesse toccato quel piccolo batuffolo
di neve?
Amber
per pochi istanti,
ignorò gli sguardi ostili dei suoi genitori e
tornò a guardare quella famiglia
sorridente e gioiosa dall’altra parte della strada e si
sentii defraudata. Lei
voleva soltanto toccare un po’ di neve, fare un pupazzo,
magari con l’aiuto di
suo padre. Ma osservando con tristezza quella famiglia, capì
che avevano
ragione i suoi genitori; lei non poteva comportarsi come una qualunque
ragazzina di strada.
Ad
ogni modo, il giorno
seguente prese la febbre, e per i tre giorni consecutivi le
rinfacciarono che
la colpa era stata sua e della sua impudenza. Ovviamente non glielo
dissero mai
di persona, i suoi genitori quel giorno stesso erano partiti per un
viaggio di
cortesia a Londra, assieme ad amici. Ma perlomeno, ebbero premura di
farle
sapere attraverso le domestiche il loro pensiero. Quei tre giorni,
rammentò,
furono i più tristi della sua vita; stesa su un letto troppo
grande, ad
osservare la neve cadere lentamente dal cielo e a sentire le voci
allegre dei
bambini che giocavano nel quartiere. Si riprese giusto in tempo per
Natale, era
così euforica quel mattino che non mise nemmeno le ciabatte.
Scese al
pianterreno, aspettandosi i suoi genitori ad attenderla con le braccia
aperte.
Invece una volta arrivata in sala, non c’era nessuno ad
aspettarla. Andò a
guardare sotto l’albero aspettandosi di trovare un regalo.
Ovviamente non
credeva in Babbo Natale, il padre si era premurato di dirle che erano
solo
sciocche credenze, e che in realtà erano loro a farle regali
e non altri.
Ciononostante aveva deciso che non le importava, il padre alla fin fine
era
stato sincero con lei e le aveva persino comprato un bel paio di
scarpette
rosse. Doveva solo essere grata e basta.
Niente,
quel mattino,
nonostante avesse cercato per tutta la sala qualche segno di vita, non
c’era
nessuno. Fu nell’esatto momento in cui decise di salire in
camera da letto dei
suoi, pensando che dormissero, che la sua Tata, Adeline,
entrò con un enorme
pacco tra le braccia.
«
Adeline, Adeline! Dove
sono mamma e papà? » chiese Amber, saltellando
attorno alla formosa signora.
La
donna mise giù il
pacco trafelata e guardò quella piccola bambina dai capelli
castani e gli
occhioni scuri, colmi di speranza, e quasi le si strinse il cuore al
pensiero
di darle la notizia da poco giuntale alle orecchie.
«
Cara, i tuoi genitori
sono bloccati a Londra, c’è stata una bufera di
neve durante la notte, però si
sono raccomandati ti consegnassi questo. » disse indicandole
il grosso pacco
color vermiglio, posato al centro della stanza. Amber lo
guardò, ma al contempo
non lo osservò affatto. Avrebbe passato il Natale da sola.
La
Tata si accigliò.
«
Cara… Sono cose che
succedono. » disse la donna, vedendo gli occhi tristi della
bambina.
Amber
si riscosse e le
sorrise.
«
Grazie Adeline. »
Aprì
quel pacco
sorridendo, all’interno, vi era una bambola di porcellana,
accompagnata da un
mini servizio da Tea. Era da collezione e sua madre
le adorava. Si alzò e la ripose accanto alle altre tre, poi
corse in stanza e si mise davanti alla finestra. Lei voleva la neve,
voleva il
Natale, voleva quel pupazzo di neve davanti casa sua. Voleva essere una
bambina
di soli sei anni.
É
così snervante il Natale.
Si ritrovò a pensare Amber, calpestando la
neve su cui camminava, con i suoi stivaletti firmati, nuovi di zecca.
Era il
23 Dicembre
e a Fort Wayne,
Indiana, la gente camminava per strada sorridendo e salutando chiunque,
anche
coloro che non conoscevano. Reputava quel comportamento così
ipocrita e
patetico che avrebbe fatto a meno di uscire quel giorno alla ricerca di
un
regalo. Solitamente regalava a tutti una penna a sfera o
un’agenda; roba
sterile come sterile era la gente che la circondava.
Lei
era egoista e
viziata, sapeva si esserlo e non se ne vergognava affatto. Lo sapevano
anche i
suoi amici, che quando la vedevano non facevano altro che decantare
qualità che
non possedeva affatto, ma che per ingraziarsela, avrebbero detto
persino che
tramutasse l’acqua in vino. Idioti.
Ma
ad Amber andava bene
così, insomma, era la sua vita, aveva avuto tutto: soldi,
lussi, i migliori
studi, le migliori conoscenze, perché lamentarsi? Odiava la
gente che si
lamentava. Non ho questo, non ho quello,
non appena sentiva quel genere di esternazioni, si alzava e voltava le
spalle
andandosene.
Non
provava affetto per
nessuno dei suoi amici, i regali
che
faceva, erano soltanto di facciata; dei contentini per sdebitarsi degli
stupidi
doni ricevuti.
Però
c’era una persona
per cui provava una sorta di affetto, lei
era diversa dagli altri. Quel 23 Dicembre, era proprio per lei, che era uscita in mezzo a quella
gente così borghese e così
rumorosa, per trovarle un regalo grazioso,
un regalo per lei, Violet,
era il
suo nome.
Era
una sorta di
migliore amica, o almeno, Violet insisteva nel dire che lo fossero, ed
Amber
provava un forte rispetto per quella ragazza. Si erano conosciute
all’università,
entrambe studiavano medicina, Violet si laureò con lode in
fisioterapia
sportiva, mentre lei… Lei si ritirò ed
entrò nell’azienda di famiglia, una casa
editrice molto rinomata, la Devereux Editors.
Violet
era così diversa
dagli altri, non aveva peli sulla lingua, né si preoccupava
di cosa la gente
potesse pensare di lei. La prima volta che si scontrarono, Amber era
scivolata
sul pavimento dell’ateneo, facendosi seguire dai libri.
Nessuno si era mosso
per aiutarla, almeno finché non spuntò Violet con
i suoi occhiali e la sua
enorme sciarpa multicolore a coprirle quasi tutto il viso. Sorrise,
ricordando
il modo in cui le si era rivolta.
«
Ehi principessina,
puoi anche non guardarmi con quel cipiglio schifato, sono un essere
umano,
almeno in parte. Penso… E comunque, ti conviene spostarti da
lì o rischi di
essere calpestata. » nonostante parlasse come una macchinetta
e avesse capito
poco di quello che aveva detto, si ritrovò in piedi con la
ragazza sciarpa a porgerle i tomi.
«
Mi chiamo Sarah Violet
Armstrong, però adoro mi si chiami Violet, quindi sei tenuta
a chiamarmi
Violet, niente diminutivi, rovinano l’essenza, tu come ti
chiami? » chiese,
senza prendere nemmeno il respiro.
«
Amber. » disse
irritata, quella ragazza era da internare.
«
Solo Amber? Insomma,
avrai un secondo nome, no? » chiese seguendola.
«
Amber e basta. » disse
con un tono che non ammetteva repliche.
«
Ti capisco, anche io
quando devo dire il mio nome per intero è una rottura.
Comunque carine: Amber e
Violet! Beh adesso devo andare, ci si vede Amber! » disse
allontanandosi
correndo verso la sua lezione.
Quel
giorno, Amber si
appoggiò al muro, trattenendo i libri nel petto. Ma che razza di gente frequentava
l’università. Si era ritrovata a
pensare.
Erano
passati quattro
anni da allora, ed erano diventate amiche, Violet le diceva sempre
quello che
pensava e il più delle volte, le diceva che era una
bisbetica brontolona, ma
che nonostante tutto, avesse un grande cuore.
Lo
vedeva solo lei, però.
Ad
Amber piaceva la sua
compagnia, le piaceva ascoltarla, sentirla parlare dei suoi pazienti,
la faceva
sentire un po’ più umana e meno regina dei
ghiacci.
Mentre
camminava,
cercando di non scivolare o farsi spintonare da tutte quelle persone,
vide un
negozio di sciarpe e cappelli.
Sorrise,
ripensando al
loro primo incontro e decise di entrare. Avrebbe trovato il regalo
perfetto.
Benedict,
continuava ad
osservare la sorella spalare la neve, borbottando su quanto lui e i
suoi due
fratelli minori fossero dei fannulloni.
«
Eddai Bridget! Vorrei
aiutarti ma come tu ben sai… » disse Benedict
indicandosi.
«
Oh, Benedict Francis Mccallister, non
provarci nemmeno! Tu e quegli altri due
pelandroni siete degli scansafatiche! »
Benedict
sorrise, adorava sua sorella, era più grande di lui di soli
due anni, eppure
sembrava la teenager che quando tornava da scuola gli correva incontro
abbracciandolo. Amava la sua famiglia, era ciò che di
più bello potesse avere.
Gli erano stati accanto in quegli anni, e soprattutto quando successe
quel che
successe. Aveva pensato che la sua vita fosse finita, ma la sua
famiglia lo
aveva aiutato a farlo reagire, Bridget più di tutti. Sua
sorella era forte, lo
era sempre stata, anche quando quel bastardo del suo ex marito
l’aveva lasciata
per la segretaria. Bridget aveva preso i suoi due piccoli ed era
tornata a
casa, ricominciando da zero.
«
Oh
non farla così tragica, prenditela con i gemelli. Aaron,
Dennis? Bridget dice
che siete due fannulloni. » urlò Benedict per
farsi sentire. Aaron e Dennis
spuntarono dalla porta con uno sguardo annoiato e circospetto.
«
Oh
andiamo. Nessuno glielo ha chiesto!
Dick
ci procuri dei biglietti per la partita di Natale? » chiesero
i gemelli
euforici.
Avevano
vent’anni, erano davvero i più piccoli di casa,
quando nacquero, Benedict e
Bridget si erano divisi i compiti per aiutare i loro genitori e
ovviamente,
quelli più puzzolenti erano toccati alla sorella. Nonostante
i ventinove anni
di Benedict e i trentuno di Bridget, tra loro quattro non esisteva
differenza,
si volevano davvero bene al di là di tutto.
«
Che
razza di furfanti! Dick, procuraglieli e ti rigo la macchina, ti
avverto. »
disse Bridget minacciosa.
«
Ah
beh, in questo caso… Ragazzi non posso, la sorellona ha
sentenziato. »
Un
coro
di no si elevò lungo il vialetto.
«
A
meno che, non mi aiutate a spalare, in quel caso il nostro stupendo
fratellone
vi procurerà quei biglietti. » disse Bridget
sorridendo furba. I gemelli si
lanciarono lungo il vialetto prendendole la pala dalle mani,
spingendola via
per cominciare a spalare.
«
Tu lo
sai che questo è ricatto, no? » chiese Benedict
con un sopracciglio inarcato.
«
Affari, fratellone, solo affari. Oddio ora che mi ricordo! Dovevo
ritirare lo
scialle alla mamma! Ma ho messo il pranzo sui fornelli e se lo lascio
nelle
mani dei gemelli mandano a fuoco la casa! » Dick sorrise.
«
Ci
vado io, dammi l’indirizzo. » la sorella si
lanciò ad abbracciarlo.
«
Oh
grazie fratellone! Sei il migliore! »
Benedict
la strinse a sé, dandole un bacio tra i capelli.
«
Ovviamente. »
Una
volta spiegatogli dove fosse il negozio, Benedict si mise il giubbotto
in piuma
e una sciarpa e iniziò a fare pressione sulle braccia,
sì braccia e non gambe.
Quelle ormai non funzionavano da anni. Doveva stare attento, i gemelli
stavano
spalando senza remore, ma non avevano passato il sale, e nonostante
fosse un
bravo sportivo, con quella viottola ghiacciata, avrebbe rischiato di
fare un
bel capitombolo dalla sua sedia, facendo ridere a crepapelle i suoi
fratelli.
Raggiunse in poco tempo la sua macchina, ovviamente nessuno lo aiutava,
lui era
autonomo da anni, e amava esserlo. Amava la naturalezza con cui i suoi
fratelli
lo trattavano; non poteva camminare, ma era lui, era Benedict e questo
non
sarebbe cambiato per nulla al mondo. Una volta sistematosi, mise in
moto e si
diresse al negozio indicatogli dalla sorella.
Mentre
guidava lungo le stradine innevate di Fort Wayne, Benedict si
ritrovò a
sorridere nell’osservare i bambini che si rincorrevano sui
marciapiedi,
lanciandosi palle di neve a tutto spiano. Aveva sempre adorato il
Natale, ma
soprattutto, aveva sempre amato
la neve. Da piccoli, il padre, il mattino dopo
la grande nevicata, li faceva uscire in giardino, pronti per una grande
battaglia di neve. Lui e Bridget erano davvero competitivi, mentre la
madre
teneva a stento sotto controllo le due pesti dei gemelli che a soli due
anni
erano dei veri Diavoli della Tasmania.
Avrebbe
dovuto sentirsi triste per la sua condizione; sedeva da circa nove anni
su una
sedia a rotelle, ma nonostante ciò avesse cambiato la sua
vita radicalmente,
lui aveva avuto la fortuna di avere accanto persone che credevano in
lui, nel
suo potenziale. Non voleva mentire a se stesso, illudendosi di essere
felice al
cento per cento, perché non era così,
c’erano cose che avrebbe voluto fare,
cose che sognava di fare, ma la sua
condizione di paraplegico, aveva
diminuito le probabilità che si realizzassero. Diminuito non
proibito.
Nonostante fosse costretto su una sedia a rotelle, Benedict era
diventato il
coach allenatore di basket di una squadra di ragazzi nella sua stessa
condizione. Era stata la speranza ad alimentare questa sua passione, il
basket.
Prima che accadesse la tragedia, lui era stato il migliore cestista di
tutta
l’Indiana, e sebbene i primi tempi aveva pensato di mollare
tutto, la sua
famiglia e i suoi amici, gli avevano ridato la speranza di
ricominciare, anche
senza due gambe su cui contare. E lui, avrebbe fatto lo stesso con quei
ragazzi.
Arrivò
all’indirizzo che
la sorella gli aveva dato, ma non c’era modo di trovare
parcheggio. Lo capiva
ovviamente, erano giorni festivi e le persone si affrettavano a
comprare gli
ultimi regali. Nonostante raramente usufruisse dei posteggi per
diversamente
abili, pregò perché ne trovasse almeno uno
libero. Purtroppo per lui non ne
trovò nemmeno uno, ma la cosa che lo lasciò
perplesso, fu passare accanto a una
Porsche grigio scuro, parcheggiata
proprio
su uno di quei posteggi senza avere nemmeno il permesso dovuto.
«
Dannazione! Gli idioti
abbondano a Natale! » si ritrovò ad imprecare.
Dovette
fare retromarcia
e andare davanti al negozio indicatogli dalla sorella. Un poliziotto
batté sul
suo finestrino.
«
Signore, non può sost…
Dick, ma sei tu! »
Jackson
Spencer, un suo
vecchio compagno di scuola. Aveva fatto domanda nella polizia subito
dopo il
liceo, era cambiato molto da allora, il suo fisico dinoccolato e magro
adesso
era come fiorito, più robusto, più uomo. Si
ritrovò a sorridergli, Jack era
stato uno dei suoi amici più stretti, uno di quelli con
abbastanza palle da
scuoterlo e dirgli di darsi una mossa.
«
Ehi Jack! Sì, sono io,
so che non dovrei sostare, ma non trovo il parcheggio e mi ha mandato
Bridget
solo per ritirare il regalo alla mamma e sai le mie
condizioni… » e va bene,
era un gran bastardo. Non si giocava mai quella scusa del paraplegico,
ma a
mali estremi, estremi rimedi no?
Jackson
alzò gli occhi
al cielo, avendo capito al volo la sua messinscena.
«
Sarebbe bastato menzionare
tua sorella, Dick. Ti do qualche
minuto, vai. »
Benedict
alzò il pollice
per poi dare una pacca sulla spalla dell’amico.
«
Stasera ci sei a
poker? » chiese Benedict, mentre con le braccia metteva
giù la sua sedia.
«
Vuoi proprio essere
stracciato eh? » chiese Jack rimirandosi le unghie,
apprezzava il fatto che non
cercasse di aiutarlo.
«
Io vinco sempre,
sbirro. »
Amber
continuava ad
osservare tutte quelle matasse di lana, la signora davanti a lei
continuava a
consigliarle ogni sorta di prodotto, dai guanti in lana merino a veri e
propri
set personalizzati. Le era venuta una terribile emicrania a sentir
ciarlare
quell’odiosa.
Nonostante
si aggirasse
da almeno mezz’ora in quel negozietto, nulla le era parso
così speciale da
regalarlo a Violet. E le idee della signora, erano alquanto insipide,
quanto la
merce che vendeva. Stava per dirle che non le interessava niente,
quando su uno
scaffale, vicino alla vetrina, vide una sciarpa viola, tutta lavorata a
mano
con delle violette color glicine, cucine a mano. Violet,
quella sciarpa, gliela ricordò all’istante. Stava
per
chiamare quella cornacchia, ma quando si voltò per indicarle
l’oggetto trovato,
non era è più dietro di lei. Molto più
in là, guardandosi attorno, la vide
parlare con un uomo su una sedia a rotelle, appena entrato.
«Scusi?
Signora? Vorrei
ricordarle che stava servendo me! » disse sbracciandosi.
Benedict
alzò lo sguardo
a quella voce stridula, da lontano una tipa con un cappellino nero e i
capelli
corti, continuava a sbracciarsi per richiamare l’attenzione
della povera
Colette.
«
Perdinci, chi è quell’indiavolata?
» chiese Benedict divertito del viso sgomento della signora
Colette. La povera
signora alzò gli occhi al cielo.
«
Una di quelle coi
soldi, è da quasi mezz’ora che non faccio che
elencarle ogni sorta di prodotto
e non ha fatto che storcere il naso. Mi chiedo come possano esistere
individui
simili. »
Benedict
sorrise
comprensivo.
«
Mia cara Colette, è
Natale, anche loro hanno diritto a uscire. » disse portandosi
un dito sulla
testa ruotandolo come a spiegare cosa volesse dire.
La
signora Colette
scoppiò a ridere, adorava quel ragazzo, lo conosceva fin da
quando era un
bambino. Lei e sua madre erano amiche del liceo.
«
Sto ancora aspettando!
» urlò la ragazza col cappellino nero. Benedict le
diede un’altra occhiata,
storcendo il naso. Aveva sempre odiato quelle tipe legnose con la puzza
sotto
al naso.
«
Colette vai, o la
signora potrebbe arrabbiarsi. » disse divertito.
«
Oh mi spiace, Dick. Ti
mando una delle ragazze a darti il regalo per tua madre, ok? »
Benedict
alzò il
pollice, a mo’ di assenso.
Amber
continuava a
battere il piede sul pavimento in linoleum color muschio.
Dio,
che maleducazione.
Si ritrovò a pensare. Era da almeno cinque
minuti che chiamava quella cornacchia, e lei invece che raggiungerla,
aveva
continuato a parlare con quel tipo sulla sedia a rotelle. E quando
notò che il
ragazzo si era sporto per guardarla, si era infuriata ancora di
più, capendo
che stavano parlando di lei.
E
dopo averla incitata
ancora una volta a raggiungerla, finalmente si era decisa.
«
Mi scusi signorina, ma
era il figlio di una mia amica e… »
cercò di scusarsi Colette, ma Amber la
interruppe.
«
Non mi interessa la
storia della sua vita, vorrei prendere quella sciarpa e possibilmente
non
perdere altro tempo. » tagliò corto Amber. Non le
importava di ferire i sentimenti
altrui, lei pagava e quindi pretendeva di essere servita a dovere.
La
signora Colette annuì
e andò a prendere quella sciarpa.
Benedict
alzò lo sguardo
sul pacco che la ragazza bionda gli stava porgendo.
«
Oh, grazie… Claudia. »
disse leggendo la targhetta sul maglione, facendo un sorriso sbieco.
La
ragazza arrossì, ma
lui fece finta di niente. Non era raro che accadesse, nonostante le sue
condizioni, non aveva mai avuto problemi di quel
tipo, con le donne.
«
Signor Mccallister…
» lui la interruppe.
«
Chiamami Benedict e dammi del tu! Non sono così vecchio.
» disse facendole
l’occhiolino.
«
Be…
Benedict, questo è il pacco che sua… Tua sorella
aveva ordinato, è già tutto
pagato, devi solo ritirarlo. »
Benedict
lo afferrò, sorridendole. La ragazza lo salutò
sempre rossa in viso e si
allontanò.
Stava
per uscire quando un’indiavolata con un cappellino nero gli
tagliò la strada
facendolo inchiodare con la sedia.
«
Ma
prego, passi pure! » disse Benedict sarcastico.
«
La
ringrazio, ma non dovrebbe intralciare così il passaggio.
» gli
disse miss puzza sotto al naso.
Stava
per risponderle, ma non gli diede il tempo che la ragazza
scappò via.
«
Sarà
pure Natale, ma certi soggetti dovrebbero rimanere rinchiusi.
» si ritrovò a
borbottare Benedict irritato.
Una
volta salito in auto, mise in moto e si avviò verso casa.
Stava per prendere la
strada principale, quando una Porsche
grigio scuro, gli tagliò la strada, non
rispettando lo Stop. Si ritrovò a
inchiodare per la seconda volta in quella giornata.
Amber
era furiosa, aveva perso metà della sua mattinata, e lei
odiava perdere tempo.
E poi quell’arrogante sulla sedia a rotelle, aveva osato fare
del sarcasmo con
lei. Tsk, idiota. Arrivò
di corsa al
parcheggio e bloccato dai tergicristalli, poté notare un
foglietto, lo aprì e
lesse.
“Spero che un giorno tu possa meritare
davvero questo parcheggio, ma fino ad allora permetti agli altri di
usufruirne
:)”
Amber
lo accartocciò e lo lanciò a terra. I soliti
perbenisti, tutto perché aveva
parcheggiato in uno di quei parcheggi per diversamente abili.
Sciocchezze, a
lei serviva un posto e quello era disponibile, punto. Non si sarebbe
sentita in
colpa per questo. Mise con cura il regalo di Violet sul sedile del
passeggero. Missione compiuta, si
ritrovò a pensare,
le aveva trovato il regalo perfetto. Mise in moto, e partì
sgommando, aveva
perso abbastanza tempo quel giorno e doveva tornare al suo appartamento
per
sbrigare alcune cose. Non si fermò nemmeno allo Stop,
qualcuno le suonò, ma lei
lo ignorò. Odiava il Natale e odiava soprattutto la neve.
Una
volta arrivata a casa, trovò la sua amica Violet seduta sul
divano. Solo lei
possedeva le chiavi del suo bilocale.
«
Violet, almeno avvisa quando irrompi nel mio appartamento. »
la ragazza sul
divano alzò lo sguardo inarcando il sopracciglio.
«
E che
gusto ci sarebbe? Non potrei vedere quel cipiglio irritato che adoro
tanto. »
disse radiosa.
Amber
appoggiò la borsa sulla sedia e si tolse il cappellino col
cappotto.
«
Hai
tagliato di nuovo i capelli? Ti erano arrivati sulle spalle, erano
così belli!
Sei un’assassina! » disse Violet, portandosi una
mano in bocca con fare
drammatico.
«
Sono
solo capelli, inoltre sono pratici. » disse Amber alzando le
spalle.
Prese
il pacchetto che aveva posato sul pavimento e lo porse a Violet.
«Questo
è per te! Ci ho perso dietro molto tempo, quindi fingi che
ti piaccia. » disse
burbera. Violet glielo staccò dalle mani.
«
Noi
non crediamo alle tradizioni vero? » chiese Violet euforica.
Amber
alzò le spalle.
«
A me
non importa tanto, a te il Natale piace, quindi non saprei. »
disse con
indifferenza. Violet alzò gli occhi al cielo.
«
Oh
non filosofeggiare! Va bene, io e te siamo speciali, quindi i nostri
regali li
apriamo adesso. Sì giusto. Questo è mio! Ti
piacerà ne sono sicura. » finì
porgendole una scatolina rossa.
Amber
sorrise, ma non lo fece notare. Violet ci mise poco a scartare il suo
regalo e
il suo sguardo era valso tutto il tempo perso.
«
Amber
è stupenda! Sapevo che tenevi a me! » disse
melodrammatica. Amber la guardò
divertita, per poi assumere una posa altezzosa.
«
Era
l’ultima rimasta ed era anche scontata. » disse
senza guardarla.
«
Oh ma
piantala di fare la bisbetica borbottona! No, seriamente è
stupenda! » urlò attorcigliandosela
attorno al collo.
Fu
il suo turno, aprì la
scatolina rossa che Violet le aveva passato, al suo interno una
collanina con
un piccolo ciondolo a forma di goccia color ambra.
È
stupendo, si
ritrovò a pensare. Lo rimirò ben bene, la
sua amica le aveva fatto il più bel regalo che potesse
farle. Ma di cosa si
stupiva? Al di là di quello che le avrebbe mai potuto
regalare, era il gesto in
sé che ad Amber spezzava il cuore, mai nessuno si era
preoccupato di cosa
potesse piacere a lei, Violet era diversa.
«È
per caso un sorriso
quello? » disse Violet, distogliendola dai suoi pensieri.
«
Eh? Ma va, un riflesso
involontario. » disse Amber. Violet socchiuse gli occhi per
poi sorridere
apertamente.
«
Lo sapevo ti sarebbe
piaciuto! » finì gongolante.
Amber
alzò gli occhi al
cielo.
«
Appena passabile. »
«
Ma piantala, che lo
adori come io adoro la sciarpa, su! »
Amber
non poté far altro
che sorridere. Odiava il Natale e la neve, però aveva
imparato a voler bene a quella
stramba ragazza seduta davanti a lei. Guardò ancora quel
ciondolo tra le mani. Ambra, in
quel momento un pensiero
strano si insinuò nella sua mente. Non era il suo nome a
ricordarle il colore
di quel ciondolo. Ma erano un paio di occhi, che non sapeva a chi
collocarli.
Scosse la testa e guardò fuori dalla finestra aveva ripreso
a nevicare. Lei odiava la neve.
Benedict
arrivò a casa
di sua madre, appena in tempo per trovare tutta la famiglia riunita in
cucina.
Bridget
lo raggiunse in
sala.
«Allora?
Lo hai preso? »
chiese euforica.
«
Sì sorellona, ma è
l’ultima volta! Sono incappato in più pazzi io che
Freud in tutta la sua vita. »
Bridget
inarcò un
sopracciglio.
«Ma
come? »
Benedict
si accinse a
spiegarle.
«
Tutto è iniziato dal
parcheggio, non c’era nemmeno un posto libero, ricorro a
quello per
diversamente abili e chi c’è? Uno dei soliti
coglioni senza permesso. Ah ma
tranquilla! Gli ho lasciato un bel bigliettino! »
«
Ma Dick! » lo riprese
la sorella esasperata, ma anche un po’ divertita.
«
Dick un corno, poi
come se non bastasse, incappo in una pazza che urla come
un’indiavolata al
negozio, con la povera Colette, senza contare che mentre stavo per
uscire la
medesima indiavolata mi passa davanti facendomi inchiodare con la sedia
e sai
cosa ha il coraggio di dire? »
«
No, cosa? » chiese
Bridget mettendosi una mano davanti alla bocca per non ridere.
«
Che intralcio il
passaggio!! »
A
quel punto Bridget non
ce la fece più e scoppiò a ridere.
«
Ridi? Alla fine stavo
per prendere la strada principale e una Porsche grigio scuro, la stessa
del
parcheggio, mi ha tagliato la strada! » finì
Benedict con le braccia
incrociate.
«
Oh povero il mio
fratellone, prometto che non ti manderò più a
ritirare regali, ok? » disse Bridget
dandogli un bacio sulla guancia.
«
Puoi ben dirlo,
sorella! » disse allungando un braccio per dare un buffetto
sulla guancia della
sorella.
«
Andiamo a mangiare? I
gemelli hanno già preso d’assalto
l’arrosto e Christine e Harry li hanno
seguiti a ruota. » disse Bridget sconsolata.
«
Tu lo sai, che non
dovresti far frequentare ai tuoi figli i gemelli, vero? »
chiese Benedict
divertito.
«
Troppo tardi, hanno la
stessa sfacciataggine di zio Dick! » disse lei facendogli la
linguaccia e
andando in cucina.
Benedict
sorrise, e
cominciò a seguirla, ma si bloccò guardando fuori
dalla finestra la neve che
aveva iniziato a scendere piano. Sorrise, adorava
la neve, adorava il Natale, ma soprattutto, adorava la sua
famiglia. Improvvisamente
guardando fuori, gli venne in mente un cappellino nero e una voce
stridula.
«
Pazza indiavolata. »
si ritrovò a borbottare. Raggiunse la sua famiglia e si disse che quella era
l’immagine perfetta
del Natale. Perfetta per lui, ovviamente. In quel momento, mentre la
neve
attecchiva al suolo, Amber e Benedict ignoravano il fatto che il Natale
era
davvero un qualcosa di magico e che il destino si era già
messo in moto.
ANGOLO AUTRICE
Buona Natale a tutti quanti! In via del tutto eccezionale, ho creato questa one shot, ispirandomi al Natale per fare un bel regalo a chi mi segue e a chi ama leggere le mie storie :). Vorrei però precisare, che questa Os, altri non è che un prequel, per una storia che ho in progetto e che vedrà la luce più in là. Da quello che avrete potuto leggere, non sarà una storia come un’altra, anzi. I personaggi all’interno saranno un po’ complessi, soprattutto Amber e Benedict, il mio nuovo eroe romantico diverso dagli altri e non per la sua condizione ma per il suo carattere, che spero apprezzerete quando la storia sarà postata! Beh che altro dire? Spero che questo piccolo pensiero sia gradito. Colgo l'occasione per ringraziare chi mi segue anche nelle mie altre storie e in particolare voglio ringraziare la mia bellissima migliore amica, la mia Violet, un pezzo di me del quale senza non saprei che fare. Mi sopporta e mi supporta sempre e non è poco. Grazie mille di cuore, non è molto lo so, ma è un qualcosa! Ti voglio bene Mia :P e questo mi sa che sarà per sempre, come nelle fiabe ;)
Rinnovo di nuovo i miei auguri: Buon Natale e felice feste! Un bacione, Lily.
Per chi segue la mia storia "Un amore formato cupcakes", io con l'aiuto della mia best Mia Swatt, abbiamo creato un blog dedicato interamente alla mia storia e a i suoi personaggi, per chi volesse aggiungersi e dare un'occhiata può cliccare qui sotto:
Io
e la mia amica Mia abbiamo messo su un gruppo su fb,in cui si parla di
libri,spoiler delle nostre storie,giochi,quiz,film,o semplicemente ci
si conosce,ci si scherza e si fa amicizie! Siete le benvenute vi
aspettiamo ;)