Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Lilyanne Gautier    25/12/2013    3 recensioni
A Natale si sa, tutti sono più buoni, tutti amano la neve, decorare le proprie case e perché no? Sorridere anche a chi non si conosce. Tutti tranne Amber. Lei odia il Natale e odia la neve, odia persino le persone, tutte eccetto una: la sua migliore amica. Ed è proprio per lei a soli due giorni da Natale che va alla ricerca del regalo perfetto incappando in Benedict. Lui è il contrario di Amber: ama il Natale, la neve, la vita, nonostante la sua condizione. Infatti Benedict siede su una sedia a rotelle a causa di un incidente, ciononostante osserva ancora ciò che lo circonda con la stessa gioia di quando poteva camminare. Due anime opposte che si scontreranno per caso, ignorando il fatto che il destino si è già messo in moto affinché le loro anime si scontrino di nuovo.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La neve nel cuore, Os.
La neve nel cuore

La neve possiede questo segreto di ridare al cuore un alito di gioia infantile che gli anni gli hanno impietosamente strappato.

Antonine Maillet, Pointe-aux-Coques



La neve aveva iniziato a cadere. Il cielo, bianco e freddo, ricordava le membra di chi non aveva una casa in cui poter trovare un lieve tepore. Essa attecchiva al suolo silenziosa, leggera e mutevole, l’attimo prima aveva la forma di piccole palline informi, l’attimo dopo, non era più nulla. Si mischiava con altra neve perdendo se stessa, la sua forma, la sua caratteristica.

Un po’ come me.

Quel breve pensiero ebbe il potere di far tornare Amber coi piedi per terra.

Cosa poteva importare a lei della neve? Certo, c’era stato un momento, in cui da piccola aveva desiderato essere la principessa della neve, quella che magicamente faceva cadere grossi fiocchi dal cielo, coprendo i tetti delle case addobbate di luci. Aveva sempre pensato, scioccamente, che la neve fosse magica, poiché aveva il potere di coprire ogni cosa col suo manto bianco. La considerava un abbraccio, una coperta. Nessuno poteva notare le strade sporche, i rami spogli o addirittura, le foglie secche e non raccolte nelle grondaie. Per lei, la neve copriva ogni difetto e il mondo, il suo mondo, sembrava perfetto.

Ma poi Amber ricordò quella volta che volle uscire a giocare nel suo giardino, a soli tre giorni da Natale. Ricordava le urla della Tata che la rincorreva, ma lei non se ne curava. Correva, correva a perdifiato. Il suo unico obiettivo era toccare con le sue mani quei morbidi batuffoli, sentirne la consistenza e plasmarla a suo piacimento. Voleva fare un pupazzo di neve, come il piccolo vicino davanti casa sua. Non conosceva quel bambino, ma quel mattino, ricordò, lo aveva invidiato molto; munito di sciarpe, cappelli e guanti, assieme al padre e alla sorellina più piccola, aveva costruito un enorme pupazzo di neve, un po’ buffo e sbilenco, ma che parve farli divertire comunque. Ogni tanto scappava qualche palla, tra le risa divertite dei bambini. Ricordò perfettamente, l’esatto momento in cui le urla di sua madre la sorpresero alle spalle, strappandole via quel breve momento di leggera euforia. Lo sguardo freddo e quasi disgustato che le riservò non appena si era voltata. Indossava soltanto un leggero pigiamino di flanella con degli orsacchiotti, ma non fu quello a farle provare improvvisamente freddo, ma lo sguardo di disapprovazione che le rivolse suo padre, una volta raggiunta la moglie.

« Amber! Ti rendi conto quanto sia sconveniente uscire conciata come una ragazzina di strada, urlando e saltando in quel modo? » proruppe la madre isterica.

Aveva soltanto sei anni, a chi sarebbe importato, se lei avesse toccato quel piccolo batuffolo di neve?

Amber per pochi istanti, ignorò gli sguardi ostili dei suoi genitori e tornò a guardare quella famiglia sorridente e gioiosa dall’altra parte della strada e si sentii defraudata. Lei voleva soltanto toccare un po’ di neve, fare un pupazzo, magari con l’aiuto di suo padre. Ma osservando con tristezza quella famiglia, capì che avevano ragione i suoi genitori; lei non poteva comportarsi come una qualunque ragazzina di strada.

Ad ogni modo, il giorno seguente prese la febbre, e per i tre giorni consecutivi le rinfacciarono che la colpa era stata sua e della sua impudenza. Ovviamente non glielo dissero mai di persona, i suoi genitori quel giorno stesso erano partiti per un viaggio di cortesia a Londra, assieme ad amici. Ma perlomeno, ebbero premura di farle sapere attraverso le domestiche il loro pensiero. Quei tre giorni, rammentò, furono i più tristi della sua vita; stesa su un letto troppo grande, ad osservare la neve cadere lentamente dal cielo e a sentire le voci allegre dei bambini che giocavano nel quartiere. Si riprese giusto in tempo per Natale, era così euforica quel mattino che non mise nemmeno le ciabatte. Scese al pianterreno, aspettandosi i suoi genitori ad attenderla con le braccia aperte. Invece una volta arrivata in sala, non c’era nessuno ad aspettarla. Andò a guardare sotto l’albero aspettandosi di trovare un regalo. Ovviamente non credeva in Babbo Natale, il padre si era premurato di dirle che erano solo sciocche credenze, e che in realtà erano loro a farle regali e non altri. Ciononostante aveva deciso che non le importava, il padre alla fin fine era stato sincero con lei e le aveva persino comprato un bel paio di scarpette rosse. Doveva solo essere grata e basta.

Niente, quel mattino, nonostante avesse cercato per tutta la sala qualche segno di vita, non c’era nessuno. Fu nell’esatto momento in cui decise di salire in camera da letto dei suoi, pensando che dormissero, che la sua Tata, Adeline, entrò con un enorme pacco tra le braccia.

« Adeline, Adeline! Dove sono mamma e papà? » chiese Amber, saltellando attorno alla formosa signora.

La donna mise giù il pacco trafelata e guardò quella piccola bambina dai capelli castani e gli occhioni scuri, colmi di speranza, e quasi le si strinse il cuore al pensiero di darle la notizia da poco giuntale alle orecchie.

« Cara, i tuoi genitori sono bloccati a Londra, c’è stata una bufera di neve durante la notte, però si sono raccomandati ti consegnassi questo. » disse indicandole il grosso pacco color vermiglio, posato al centro della stanza. Amber lo guardò, ma al contempo non lo osservò affatto. Avrebbe passato il Natale da sola.

La Tata si accigliò.

« Cara… Sono cose che succedono. » disse la donna, vedendo gli occhi tristi della bambina.

Amber si riscosse e le sorrise.

« Grazie Adeline. »

Aprì quel pacco sorridendo, all’interno, vi era una bambola di porcellana, accompagnata da un mini servizio da Tea. Era da collezione e sua madre le adorava. Si alzò e la ripose accanto alle altre tre, poi corse in stanza e si mise davanti alla finestra. Lei voleva la neve, voleva il Natale, voleva quel pupazzo di neve davanti casa sua. Voleva essere una bambina di soli sei anni.

 

É così snervante il Natale. Si ritrovò a pensare Amber, calpestando la neve su cui camminava, con i suoi stivaletti firmati, nuovi di zecca.

 Era il  23  Dicembre e a Fort Wayne, Indiana, la gente camminava per strada sorridendo e salutando chiunque, anche coloro che non conoscevano. Reputava quel comportamento così ipocrita e patetico che avrebbe fatto a meno di uscire quel giorno alla ricerca di un regalo. Solitamente regalava a tutti una penna a sfera o un’agenda; roba sterile come sterile era la gente che la circondava.

Lei era egoista e viziata, sapeva si esserlo e non se ne vergognava affatto. Lo sapevano anche i suoi amici, che quando la vedevano non facevano altro che decantare qualità che non possedeva affatto, ma che per ingraziarsela, avrebbero detto persino che tramutasse l’acqua in vino. Idioti.

Ma ad Amber andava bene così, insomma, era la sua vita, aveva avuto tutto: soldi, lussi, i migliori studi, le migliori conoscenze, perché lamentarsi? Odiava la gente che si lamentava. Non ho questo, non ho quello, non appena sentiva quel genere di esternazioni, si alzava e voltava le spalle andandosene.

Non provava affetto per nessuno dei suoi amici, i regali che faceva, erano soltanto di facciata; dei contentini per sdebitarsi degli stupidi doni ricevuti.

Però c’era una persona per cui provava una sorta di affetto, lei era diversa dagli altri. Quel 23 Dicembre, era proprio per lei, che era uscita in mezzo a quella gente così borghese e così rumorosa, per trovarle un regalo grazioso, un regalo per lei, Violet, era il suo nome.

Era una sorta di migliore amica, o almeno, Violet insisteva nel dire che lo fossero, ed Amber provava un forte rispetto per quella ragazza. Si erano conosciute all’università, entrambe studiavano medicina, Violet si laureò con lode in fisioterapia sportiva, mentre lei… Lei si ritirò ed entrò nell’azienda di famiglia, una casa editrice molto rinomata, la Devereux Editors.

Violet era così diversa dagli altri, non aveva peli sulla lingua, né si preoccupava di cosa la gente potesse pensare di lei. La prima volta che si scontrarono, Amber era scivolata sul pavimento dell’ateneo, facendosi seguire dai libri. Nessuno si era mosso per aiutarla, almeno finché non spuntò Violet con i suoi occhiali e la sua enorme sciarpa multicolore a coprirle quasi tutto il viso. Sorrise, ricordando il modo in cui le si era rivolta.

« Ehi principessina, puoi anche non guardarmi con quel cipiglio schifato, sono un essere umano, almeno in parte. Penso… E comunque, ti conviene spostarti da lì o rischi di essere calpestata. » nonostante parlasse come una macchinetta e avesse capito poco di quello che aveva detto, si ritrovò in piedi con la ragazza sciarpa a porgerle i tomi.

« Mi chiamo Sarah Violet Armstrong, però adoro mi si chiami Violet, quindi sei tenuta a chiamarmi Violet, niente diminutivi, rovinano l’essenza, tu come ti chiami? » chiese, senza prendere nemmeno il respiro.

« Amber. » disse irritata, quella ragazza era da internare.

« Solo Amber? Insomma, avrai un secondo nome, no? » chiese seguendola.

« Amber e basta. » disse con un tono che non ammetteva repliche.

« Ti capisco, anche io quando devo dire il mio nome per intero è una rottura. Comunque carine: Amber e Violet! Beh adesso devo andare, ci si vede Amber! » disse allontanandosi correndo verso la sua lezione.

Quel giorno, Amber si appoggiò al muro, trattenendo i libri nel petto. Ma che razza di gente frequentava l’università. Si era ritrovata a pensare.

 

Erano passati quattro anni da allora, ed erano diventate amiche, Violet le diceva sempre quello che pensava e il più delle volte, le diceva che era una bisbetica brontolona, ma che nonostante tutto, avesse un grande cuore.

Lo vedeva solo lei, però.

Ad Amber piaceva la sua compagnia, le piaceva ascoltarla, sentirla parlare dei suoi pazienti, la faceva sentire un po’ più umana e meno regina dei ghiacci.

Mentre camminava, cercando di non scivolare o farsi spintonare da tutte quelle persone, vide un negozio di sciarpe e cappelli.

Sorrise, ripensando al loro primo incontro e decise di entrare. Avrebbe trovato il regalo perfetto.

 

Benedict, continuava ad osservare la sorella spalare la neve, borbottando su quanto lui e i suoi due fratelli minori fossero dei fannulloni.

« Eddai Bridget! Vorrei aiutarti ma come tu ben sai… » disse Benedict indicandosi.

« Oh, Benedict Francis Mccallister, non provarci nemmeno! Tu e quegli altri due pelandroni siete degli scansafatiche! »

Benedict sorrise, adorava sua sorella, era più grande di lui di soli due anni, eppure sembrava la teenager che quando tornava da scuola gli correva incontro abbracciandolo. Amava la sua famiglia, era ciò che di più bello potesse avere. Gli erano stati accanto in quegli anni, e soprattutto quando successe quel che successe. Aveva pensato che la sua vita fosse finita, ma la sua famiglia lo aveva aiutato a farlo reagire, Bridget più di tutti. Sua sorella era forte, lo era sempre stata, anche quando quel bastardo del suo ex marito l’aveva lasciata per la segretaria. Bridget aveva preso i suoi due piccoli ed era tornata a casa, ricominciando da zero.

« Oh non farla così tragica, prenditela con i gemelli. Aaron, Dennis? Bridget dice che siete due fannulloni. » urlò Benedict per farsi sentire. Aaron e Dennis spuntarono dalla porta con uno sguardo annoiato e circospetto.

« Oh andiamo. Nessuno glielo ha chiesto!  Dick ci procuri dei biglietti per la partita di Natale? » chiesero i gemelli euforici.

Avevano vent’anni, erano davvero i più piccoli di casa, quando nacquero, Benedict e Bridget si erano divisi i compiti per aiutare i loro genitori e ovviamente, quelli più puzzolenti erano toccati alla sorella. Nonostante i ventinove anni di Benedict e i trentuno di Bridget, tra loro quattro non esisteva differenza, si volevano davvero bene al di là di tutto.

« Che razza di furfanti! Dick, procuraglieli e ti rigo la macchina, ti avverto. » disse Bridget minacciosa.

« Ah beh, in questo caso… Ragazzi non posso, la sorellona ha sentenziato. »

Un coro di no si elevò lungo il vialetto.

« A meno che, non mi aiutate a spalare, in quel caso il nostro stupendo fratellone vi procurerà quei biglietti. » disse Bridget sorridendo furba. I gemelli si lanciarono lungo il vialetto prendendole la pala dalle mani, spingendola via per cominciare a spalare.

« Tu lo sai che questo è ricatto, no? » chiese Benedict con un sopracciglio inarcato.

« Affari, fratellone, solo affari. Oddio ora che mi ricordo! Dovevo ritirare lo scialle alla mamma! Ma ho messo il pranzo sui fornelli e se lo lascio nelle mani dei gemelli mandano a fuoco la casa! » Dick sorrise.

« Ci vado io, dammi l’indirizzo. » la sorella si lanciò ad abbracciarlo.

« Oh grazie fratellone! Sei il migliore! »

Benedict la strinse a sé, dandole un bacio tra i capelli.

« Ovviamente. »

Una volta spiegatogli dove fosse il negozio, Benedict si mise il giubbotto in piuma e una sciarpa e iniziò a fare pressione sulle braccia, sì braccia e non gambe. Quelle ormai non funzionavano da anni. Doveva stare attento, i gemelli stavano spalando senza remore, ma non avevano passato il sale, e nonostante fosse un bravo sportivo, con quella viottola ghiacciata, avrebbe rischiato di fare un bel capitombolo dalla sua sedia, facendo ridere a crepapelle i suoi fratelli. Raggiunse in poco tempo la sua macchina, ovviamente nessuno lo aiutava, lui era autonomo da anni, e amava esserlo. Amava la naturalezza con cui i suoi fratelli lo trattavano; non poteva camminare, ma era lui, era Benedict e questo non sarebbe cambiato per nulla al mondo. Una volta sistematosi, mise in moto e si diresse al negozio indicatogli dalla sorella.

Mentre guidava lungo le stradine innevate di Fort Wayne, Benedict si ritrovò a sorridere nell’osservare i bambini che si rincorrevano sui marciapiedi, lanciandosi palle di neve a tutto spiano. Aveva sempre adorato il Natale, ma soprattutto, aveva sempre amato la neve. Da piccoli, il padre, il mattino dopo la grande nevicata, li faceva uscire in giardino, pronti per una grande battaglia di neve. Lui e Bridget erano davvero competitivi, mentre la madre teneva a stento sotto controllo le due pesti dei gemelli che a soli due anni erano dei veri Diavoli della Tasmania.

Avrebbe dovuto sentirsi triste per la sua condizione; sedeva da circa nove anni su una sedia a rotelle, ma nonostante ciò avesse cambiato la sua vita radicalmente, lui aveva avuto la fortuna di avere accanto persone che credevano in lui, nel suo potenziale. Non voleva mentire a se stesso, illudendosi di essere felice al cento per cento, perché non era così, c’erano cose che avrebbe voluto fare, cose che sognava di fare, ma la sua condizione di paraplegico, aveva diminuito le probabilità che si realizzassero. Diminuito non proibito. Nonostante fosse costretto su una sedia a rotelle, Benedict era diventato il coach allenatore di basket di una squadra di ragazzi nella sua stessa condizione. Era stata la speranza ad alimentare questa sua passione, il basket. Prima che accadesse la tragedia, lui era stato il migliore cestista di tutta l’Indiana, e sebbene i primi tempi aveva pensato di mollare tutto, la sua famiglia e i suoi amici, gli avevano ridato la speranza di ricominciare, anche senza due gambe su cui contare. E lui, avrebbe fatto lo stesso con quei ragazzi.

Arrivò all’indirizzo che la sorella gli aveva dato, ma non c’era modo di trovare parcheggio. Lo capiva ovviamente, erano giorni festivi e le persone si affrettavano a comprare gli ultimi regali. Nonostante raramente usufruisse dei posteggi per diversamente abili, pregò perché ne trovasse almeno uno libero. Purtroppo per lui non ne trovò nemmeno uno, ma la cosa che lo lasciò perplesso, fu passare accanto a una Porsche grigio scuro, parcheggiata proprio su uno di quei posteggi senza avere nemmeno il permesso dovuto.

« Dannazione! Gli idioti abbondano a Natale! » si ritrovò ad imprecare.

Dovette fare retromarcia e andare davanti al negozio indicatogli dalla sorella. Un poliziotto batté sul suo finestrino.

« Signore, non può sost… Dick, ma sei tu! »

Jackson Spencer, un suo vecchio compagno di scuola. Aveva fatto domanda nella polizia subito dopo il liceo, era cambiato molto da allora, il suo fisico dinoccolato e magro adesso era come fiorito, più robusto, più uomo. Si ritrovò a sorridergli, Jack era stato uno dei suoi amici più stretti, uno di quelli con abbastanza palle da scuoterlo e dirgli di darsi una mossa.

« Ehi Jack! Sì, sono io, so che non dovrei sostare, ma non trovo il parcheggio e mi ha mandato Bridget solo per ritirare il regalo alla mamma e sai le mie condizioni… » e va bene, era un gran bastardo. Non si giocava mai quella scusa del paraplegico, ma a mali estremi, estremi rimedi no?

Jackson alzò gli occhi al cielo, avendo capito al volo la sua messinscena.

« Sarebbe bastato  menzionare tua sorella, Dick. Ti do qualche minuto, vai. »

Benedict alzò il pollice per poi dare una pacca sulla spalla dell’amico.

« Stasera ci sei a poker? » chiese Benedict, mentre con le braccia metteva giù la sua sedia.

« Vuoi proprio essere stracciato eh? » chiese Jack rimirandosi le unghie, apprezzava il fatto che non cercasse di aiutarlo.

« Io vinco sempre, sbirro. »

 

Amber continuava ad osservare tutte quelle matasse di lana, la signora davanti a lei continuava a consigliarle ogni sorta di prodotto, dai guanti in lana merino a veri e propri set personalizzati. Le era venuta una terribile emicrania a sentir ciarlare quell’odiosa.

Nonostante si aggirasse da almeno mezz’ora in quel negozietto, nulla le era parso così speciale da regalarlo a Violet. E le idee della signora, erano alquanto insipide, quanto la merce che vendeva. Stava per dirle che non le interessava niente, quando su uno scaffale, vicino alla vetrina, vide una sciarpa viola, tutta lavorata a mano con delle violette color glicine, cucine a mano. Violet, quella sciarpa, gliela ricordò all’istante. Stava per chiamare quella cornacchia, ma quando si voltò per indicarle l’oggetto trovato, non era è più dietro di lei. Molto più in là, guardandosi attorno, la vide parlare con un uomo su una sedia a rotelle, appena entrato.

«Scusi? Signora? Vorrei ricordarle che stava servendo me! » disse sbracciandosi.

Benedict alzò lo sguardo a quella voce stridula, da lontano una tipa con un cappellino nero e i capelli corti, continuava a sbracciarsi per richiamare l’attenzione della povera Colette.

« Perdinci, chi è quell’indiavolata? » chiese Benedict divertito del viso sgomento della signora Colette. La povera signora alzò gli occhi al cielo.

« Una di quelle coi soldi, è da quasi mezz’ora che non faccio che elencarle ogni sorta di prodotto e non ha fatto che storcere il naso. Mi chiedo come possano esistere individui simili. »

Benedict sorrise comprensivo.

« Mia cara Colette, è Natale, anche loro hanno diritto a uscire. » disse portandosi un dito sulla testa ruotandolo come a spiegare cosa volesse dire.

La signora Colette scoppiò a ridere, adorava quel ragazzo, lo conosceva fin da quando era un bambino. Lei e sua madre erano amiche del liceo.

« Sto ancora aspettando! » urlò la ragazza col cappellino nero. Benedict le diede un’altra occhiata, storcendo il naso. Aveva sempre odiato quelle tipe legnose con la puzza sotto al naso.

« Colette vai, o la signora potrebbe arrabbiarsi. » disse divertito.

« Oh mi spiace, Dick. Ti mando una delle ragazze a darti il regalo per tua madre, ok? »

Benedict alzò il pollice, a mo’ di assenso.

Amber continuava a battere il piede sul pavimento in linoleum color muschio.

Dio, che maleducazione. Si ritrovò a pensare. Era da almeno cinque minuti che chiamava quella cornacchia, e lei invece che raggiungerla, aveva continuato a parlare con quel tipo sulla sedia a rotelle. E quando notò che il ragazzo si era sporto per guardarla, si era infuriata ancora di più, capendo che stavano parlando di lei.

E dopo averla incitata ancora una volta a raggiungerla, finalmente si era decisa.

« Mi scusi signorina, ma era il figlio di una mia amica e… » cercò di scusarsi Colette, ma Amber la interruppe.

« Non mi interessa la storia della sua vita, vorrei prendere quella sciarpa e possibilmente non perdere altro tempo. » tagliò corto Amber. Non le importava di ferire i sentimenti altrui, lei pagava e quindi pretendeva di essere servita a dovere.

La signora Colette annuì e andò a prendere quella sciarpa.

Benedict alzò lo sguardo sul pacco che la ragazza bionda gli stava porgendo.

« Oh, grazie… Claudia. » disse leggendo la targhetta sul maglione, facendo un sorriso sbieco.

La ragazza arrossì, ma lui fece finta di niente. Non era raro che accadesse, nonostante le sue condizioni, non aveva mai avuto problemi di quel tipo, con le donne.

« Signor Mccallister… » lui la interruppe.

« Chiamami Benedict e dammi del tu! Non sono così vecchio. » disse facendole l’occhiolino.

« Be… Benedict, questo è il pacco che sua… Tua sorella aveva ordinato, è già tutto pagato, devi solo ritirarlo. »

Benedict lo afferrò, sorridendole. La ragazza lo salutò sempre rossa in viso e si allontanò.

Stava per uscire quando un’indiavolata con un cappellino nero gli tagliò la strada facendolo inchiodare con la sedia.

« Ma prego, passi pure! » disse Benedict sarcastico.

« La ringrazio, ma non dovrebbe intralciare così il passaggio. »  gli disse miss puzza sotto al naso.

Stava per risponderle, ma non gli diede il tempo che la ragazza scappò via.

« Sarà pure Natale, ma certi soggetti dovrebbero rimanere rinchiusi. » si ritrovò a borbottare Benedict irritato.

Una volta salito in auto, mise in moto e si avviò verso casa. Stava per prendere la strada principale, quando una Porsche grigio scuro, gli tagliò la strada, non rispettando lo Stop. Si ritrovò a inchiodare per la seconda volta in quella giornata.

Amber era furiosa, aveva perso metà della sua mattinata, e lei odiava perdere tempo. E poi quell’arrogante sulla sedia a rotelle, aveva osato fare del sarcasmo con lei. Tsk, idiota. Arrivò di corsa al parcheggio e bloccato dai tergicristalli, poté notare un foglietto, lo aprì e lesse.

Spero che un giorno tu possa meritare davvero questo parcheggio, ma fino ad allora permetti agli altri di usufruirne :)

Amber lo accartocciò e lo lanciò a terra. I soliti perbenisti, tutto perché aveva parcheggiato in uno di quei parcheggi per diversamente abili. Sciocchezze, a lei serviva un posto e quello era disponibile, punto. Non si sarebbe sentita in colpa per questo. Mise con cura il regalo di Violet sul sedile del passeggero. Missione compiuta, si ritrovò a pensare, le aveva trovato il regalo perfetto. Mise in moto, e partì sgommando, aveva perso abbastanza tempo quel giorno e doveva tornare al suo appartamento per sbrigare alcune cose. Non si fermò nemmeno allo Stop, qualcuno le suonò, ma lei lo ignorò. Odiava il Natale e odiava soprattutto la neve.

Una volta arrivata a casa, trovò la sua amica Violet seduta sul divano. Solo lei possedeva le chiavi del suo bilocale.

« Violet, almeno avvisa quando irrompi nel mio appartamento. » la ragazza sul divano alzò lo sguardo inarcando il sopracciglio.

« E che gusto ci sarebbe? Non potrei vedere quel cipiglio irritato che adoro tanto. » disse radiosa.

Amber appoggiò la borsa sulla sedia e si tolse il cappellino col cappotto.

« Hai tagliato di nuovo i capelli? Ti erano arrivati sulle spalle, erano così belli! Sei un’assassina! » disse Violet, portandosi una mano in bocca con fare drammatico.

« Sono solo capelli, inoltre sono pratici. » disse Amber alzando le spalle.

Prese il pacchetto che aveva posato sul pavimento e lo porse a Violet.

«Questo è per te! Ci ho perso dietro molto tempo, quindi fingi che ti piaccia. » disse burbera. Violet glielo staccò dalle mani.

« Noi non crediamo alle tradizioni vero? » chiese Violet euforica.

Amber alzò le spalle.

« A me non importa tanto, a te il Natale piace, quindi non saprei. » disse con indifferenza. Violet alzò gli occhi al cielo.

« Oh non filosofeggiare! Va bene, io e te siamo speciali, quindi i nostri regali li apriamo adesso. Sì giusto. Questo è mio! Ti piacerà ne sono sicura. » finì porgendole una scatolina rossa.

Amber sorrise, ma non lo fece notare. Violet ci mise poco a scartare il suo regalo e il suo sguardo era valso tutto il tempo perso.

« Amber è stupenda! Sapevo che tenevi a me! » disse melodrammatica. Amber la guardò divertita, per poi assumere una posa altezzosa.

« Era l’ultima rimasta ed era anche scontata. » disse senza guardarla.

« Oh ma piantala di fare la bisbetica borbottona! No, seriamente è stupenda! » urlò  attorcigliandosela attorno al collo.

Fu il suo turno, aprì la scatolina rossa che Violet le aveva passato, al suo interno una collanina con un piccolo ciondolo a forma di goccia color ambra.

È stupendo, si ritrovò a pensare. Lo rimirò ben bene, la sua amica le aveva fatto il più bel regalo che potesse farle. Ma di cosa si stupiva? Al di là di quello che le avrebbe mai potuto regalare, era il gesto in sé che ad Amber spezzava il cuore, mai nessuno si era preoccupato di cosa potesse piacere a lei, Violet era diversa.

«È per caso un sorriso quello? » disse Violet, distogliendola dai suoi pensieri.

« Eh? Ma va, un riflesso involontario. » disse Amber. Violet socchiuse gli occhi per poi sorridere apertamente.

« Lo sapevo ti sarebbe piaciuto! » finì gongolante.

Amber alzò gli occhi al cielo.

« Appena passabile. »

« Ma piantala, che lo adori come io adoro la sciarpa, su! »

Amber non poté far altro che sorridere. Odiava il Natale e la neve, però aveva imparato a voler bene a quella stramba ragazza seduta davanti a lei. Guardò ancora quel ciondolo tra le mani. Ambra, in quel momento un pensiero strano si insinuò nella sua mente. Non era il suo nome a ricordarle il colore di quel ciondolo. Ma erano un paio di occhi, che non sapeva a chi collocarli. Scosse la testa e guardò fuori dalla finestra aveva ripreso a nevicare. Lei odiava la neve.

Benedict arrivò a casa di sua madre, appena in tempo per trovare tutta la famiglia riunita in cucina.

Bridget lo raggiunse in sala.

«Allora? Lo hai preso? » chiese euforica.

« Sì sorellona, ma è l’ultima volta! Sono incappato in più pazzi io che Freud in tutta la sua vita. »

Bridget inarcò un sopracciglio.

«Ma come? »

Benedict si accinse a spiegarle.

« Tutto è iniziato dal parcheggio, non c’era nemmeno un posto libero, ricorro a quello per diversamente abili e chi c’è? Uno dei soliti coglioni senza permesso. Ah ma tranquilla! Gli ho lasciato un bel bigliettino! »

« Ma Dick! » lo riprese la sorella esasperata, ma anche un po’ divertita.

« Dick un corno, poi come se non bastasse, incappo in una pazza che urla come un’indiavolata al negozio, con la povera Colette, senza contare che mentre stavo per uscire la medesima indiavolata mi passa davanti facendomi inchiodare con la sedia e sai cosa ha il coraggio di dire? »

« No, cosa? » chiese Bridget mettendosi una mano davanti alla bocca per non ridere.

« Che intralcio il passaggio!! »

A quel punto Bridget non ce la fece più e scoppiò a ridere.

« Ridi? Alla fine stavo per prendere la strada principale e una Porsche grigio scuro, la stessa del parcheggio, mi ha tagliato la strada! » finì Benedict con le braccia incrociate.

« Oh povero il mio fratellone, prometto che non ti manderò più a ritirare regali, ok? » disse Bridget dandogli un bacio sulla guancia.

« Puoi ben dirlo, sorella! » disse allungando un braccio per dare un buffetto sulla guancia della sorella.

« Andiamo a mangiare? I gemelli hanno già preso d’assalto l’arrosto e Christine e Harry li hanno seguiti a ruota. » disse Bridget sconsolata.

« Tu lo sai, che non dovresti far frequentare ai tuoi figli i gemelli, vero? » chiese Benedict divertito.

« Troppo tardi, hanno la stessa sfacciataggine di zio Dick! » disse lei facendogli la linguaccia e andando in cucina.

Benedict sorrise, e cominciò a seguirla, ma si bloccò guardando fuori dalla finestra la neve che aveva iniziato a scendere piano. Sorrise, adorava la neve, adorava il Natale, ma soprattutto, adorava la sua famiglia. Improvvisamente guardando fuori, gli venne in mente un cappellino nero e una voce stridula.

« Pazza indiavolata. » si ritrovò a borbottare. Raggiunse la sua famiglia  e si disse che quella era l’immagine perfetta del Natale. Perfetta per lui, ovviamente. In quel momento, mentre la neve attecchiva al suolo, Amber e Benedict ignoravano il fatto che il Natale era davvero un qualcosa di magico e che il destino si era già messo in moto.

 

ANGOLO AUTRICE



Buona Natale a tutti quanti! In via del tutto eccezionale, ho creato questa one shot, ispirandomi al Natale per fare un bel regalo a chi mi segue e a chi ama leggere le mie storie :). Vorrei però precisare, che questa Os, altri non è che un prequel, per una storia che ho in progetto e che vedrà la luce più in là. Da quello che avrete potuto leggere, non sarà una storia come un’altra, anzi. I personaggi all’interno saranno un po’ complessi, soprattutto Amber e Benedict, il mio nuovo eroe romantico diverso dagli altri e non per la sua condizione ma per il suo carattere, che spero apprezzerete quando la storia sarà postata! Beh che altro dire? Spero che questo piccolo pensiero sia gradito. Colgo l'occasione per ringraziare chi mi segue anche nelle mie altre storie e in particolare voglio ringraziare la mia bellissima migliore amica, la mia Violet, un pezzo di me del quale senza non saprei che fare. Mi sopporta e mi supporta sempre e non è poco. Grazie mille di cuore, non è molto lo so, ma è un qualcosa! Ti voglio bene Mia :P e questo mi sa che sarà per sempre, come nelle fiabe ;) 

Rinnovo di nuovo i miei auguri: Buon Natale e felice feste! Un bacione, Lily.

Per chi segue la mia storia "Un amore formato cupcakes", io con l'aiuto della mia best Mia Swatt, abbiamo creato un blog dedicato interamente alla mia storia e a i suoi personaggi, per chi volesse aggiungersi e dare un'occhiata può cliccare qui sotto:

Un amore formato cupcakes 

Io e la mia amica Mia abbiamo messo su un gruppo su fb,in cui si parla di libri,spoiler delle nostre storie,giochi,quiz,film,o semplicemente ci si conosce,ci si scherza e si fa amicizie! Siete le benvenute vi aspettiamo ;)

Mianne's Stories

Per chi invece volesse aggiungermi su fb io sono

Lily Masen


   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Lilyanne Gautier