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Autore: Nitrogen    25/12/2013    2 recensioni
Ma io, per quanto mi ostini a negarlo, sono un essere umano come tanti, e sotto Natale anche io sento l’esigenza di avere una famiglia. Forse mi basterebbe un abbraccio, forse le parole giuste in uno stupido messaggio, forse un sorriso sincero, non saprei dire esattamente. Forse vorrei solo avere una famiglia “normale”.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per una persona,
che saprà fare buon uso di questo ventiquattresimo fotogramma.


 






Letter to nobody
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24 Dicembre 2013, da qualche parte.
 
 
Questa dovrebbe essere una lettera, ma dubito ne avrà le sembianze: non sarà indirizzata a nessuno in particolare, non avrà nemmeno un buon motivo d’esistere ed essere completata, ma le due cose dette in precedenza potrebbero benissimo cambiare nel corso delle righe; non sono molto brava a rispettare i paletti che mi pongo.
Sono qui, seduta a tavola con un paio di zii e cugini, ascoltando distrattamente le loro chiacchiere. Mi limito a dare rapidi sguardi alla tv e poi a perderli nel vuoto, in quelle poche luci che si intravedono dalla finestra opaca: sono tutti sereni  -e non dico “felici” perché penso sia azzardato- eccetto me, mia madre e mia sorella, che siamo la personificazione della malinconia.
Quest’anno è andata peggio del solito, eppure non saprei spiegarmi perché. Ho chiesto a mia madre di non trascorrere il Natale da soli e lei mi ha accontentato, ho ricevuto regali che mi piacciono e anche qualche spicciolo che non guasta mai, eppure non riesco ad essere felice o quantomeno spensierata come questa mattina e questo pomeriggio.
Presa da amicizie che finiranno e concentrata a leggere libri che un giorno o l’altro dimenticherò, mi sentivo bene, in pace con me stessa, addirittura pensavo “Ecco, trascorrere il Natale scrivendo o leggendo mi renderebbe felice, sarebbe perfetto”.
Ma io, per quanto mi ostini a negarlo, sono un essere umano come tanti, e sotto Natale anche io sento l’esigenza di avere una famiglia. Forse mi basterebbe un abbraccio, forse le parole giuste in uno stupido messaggio, forse un sorriso sincero, non saprei dire esattamente. Forse vorrei solo avere una famiglia “normale”.
Dopotutto il Natale è una di quelle feste che si trascorre con i propri cari, e io che detesto i cliché vorrei che per una volta la mia vita ne avesse uno: io della mia famiglia ho perso quasi tutto da quando i miei hanno divorziato quattro anni fa, e segretamente ne piango fiotti di lacrime ogni volta che penso a mio padre, che tutti gli anni manda un messaggio alle sue figliolette che non saranno con lui in quella festa.
Il mio non è un padre eccezionale: da quando hanno divorziato, avrà dato alla sottoscritta una somma complessiva di cento euro scarsi, e mi avrà portato in posti diversi dalla casa di una zia paterna solo cinque o sei volte. Lo vedo una volta a settimana -o due se tutto va bene- anche se dovrebbe portarci con lui a giorni alterni; e trascorriamo quel poco tempo “insieme” sempre nello stesso posto, sempre alla stessa ora, sempre a fare le stesse cose: un bel niente.
Ciononostante, io a quel fallito sono legata da un vincolo -purtroppo- non solo di sangue, e l’esigenza di vederlo la sento spesso. Comunque è normale, è un sentimento che mi porto fin da bambina: ho imparato a suonare il pianoforte per lui, ho imparato i componenti di una macchina per lui, ho cercato di eccellere nei voti a scuola per lui, lo osservavo per ore mentre componeva musica pur di averlo al mio fianco per un po’. E allora lui era un buon padre, uno dei migliori sotto i miei occhi da bambina. Ma la verità è che lui non ha la più pallida idea di come comportarsi con una figlia, e il risultato è che sono stata ferita così tante volte dai suoi regali non fatti e dalle sue scarse attenzioni, tanto che per un periodo ho iniziato ad auto-convincermi fossi orfana di padre e a vederlo come se non fosse altro che uno sconosciuto qualunque.
Un esempio che ancora ricordo come fosse ieri, si è svolto in quella “famosa” casa di zii paterni. Mio cugino al secondo anno dell’informatico -adesso al quarto come me- si faceva buffone di come fosse stato in grado di creare un piccolo programmino di calcolo. Mio padre lo lodava, gli faceva i complimenti, gli ha dato una pacca sulla spalla, le stesse che di solito riservava a me. No, la parte peggiore per me non è stata quella, perché su certe cose sono in grado di sorvolare. La pugnalata è arrivata quando io, gelosa, ho detto a mio padre che ero riuscita a creare un layout per una pagina di Tumblr, tutta da sola. Dopo un semplice “brava”, l’attenzione è tornata su mio cugino.
E io, avevo creato quel tema solo per farlo vedere a mio padre, fissato con i computer e tutto ciò che ne riguardi.
Mi reputo senza speranze, poiché probabilmente continuerò a fare cose solo per fargli uscire un misero complimento da bocca. Mi basterebbe qualche parola rivolta a un amico che riguardi me, anche se questo significasse usarmi solo per pavoneggiarsi della figlia che, in fin dei conti, non ha cresciuto lui quando proprio ne avevo bisogno.
La mia pre-adolescenza l’ho vissuta allo sbando non sapendo con quale genitore stare e nella più totale indifferenza verso i due individui che mi hanno cresciuta; la mia adolescenza -che ormai è giunta al termine- cercando di recuperare tutti i frammenti di famiglia che la relazione extraconiugale di mia madre aveva creato.
Il risultato di questo mio morboso atto di ricreare una parvenza di famiglia è incredibilmente stupido: mi sono imposta regole e obblighi nei confronti dei miei familiari anche se in realtà non ce ne sono. Io, mia madre e mia sorella siamo, oramai, come tre coinquiline che si ritrovano a vivere sotto lo stesso tetto per pura casualità; avrei regole che se non rispettassi non porterebbero a punizioni e obblighi che potrei violare in qualunque momento anche se non lo faccio.
“Mia madre mi ha detto di tornare per le undici”, eppure se ritardassi di mezz’ora o più, lei non mi sgriderebbe. “Non posso uscire, mia madre ha detto di no”, eppure lei torna da lavoro alle quattro e mezza -e se esce con il compagno anche alle sette-: il tempo per stare fuori casa ce l’avrei eccome, e potrei uscire senza che lei lo sappia. “Mia madre mi ha detto che avrei potuto fare di più, i miei voti non le sono piaciuti”, e invece si è limitata a dire solo che vanno bene.
Non odio mia madre per aver lasciato mio padre o per l’essere così poco presente, non odio nemmeno l’uomo con cui sta adesso e nemmeno mio padre per non poter esser definito tale. Ma odio quell’angoscia che mi affligge tutti gli anni da qualche tempo, quella tristezza che non riesco in alcun modo a mandar via, qualunque cosa io faccia. E non odio il Natale, se è questo che si può pensare leggendo queste poche righe: a me piace, piace moltissimo, ma mi fa pensare troppo a quei piccoli particolari che normalmente sono abituata a lasciar perdere, proprio come la mancanza di una famiglia solida e bella.
Sono solo un’anima come tante, che la notte di Natale si perde in riflessioni inutili e prive di motivazione; e queste sono le mie lacrime velate da parole che non vedranno mai aria.


 


──Note dell'autore──
Avevo promesso di pubblicare il quinto capitolo di Mental Disorder, ma ho dato precedenza alla mia voglia di sfogarmi e battere su un foglio di Word tutto quel che mi passava per la testa.
Chiedo scusa perché so che non dovrei parlare di me, ma se può consolarvi, questo è il mio regalo di Natale per una persona a cui tengo molto.
Se ve lo state chiedendo, no, adesso sorrido come un'idiota al monitor del pc. Non riesco a star male per troppo tempo, e sono più forte di quanto sembri da queste parole.


「Nitrogen」

 
   
 
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