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Autore: Bocca Dorata    26/12/2013    5 recensioni
Ok fandom sconosciuti venite a me (?)
Vabbè quando ho scoperto che c'era la sezione di Momo ho subito deciso che dovevo scrivere questa pazza idea che mi girava in testa da un po'. E quindi eccomi qui. A pubblicare questa storia. Spero possa essere di gradimento a qualche folle che passerà di qui! :D

Io sono quello che si potrebbe definire un Signore Grigio.
Non che “Signore” né tanto meno “Uomo” possano essere in qualche modo le parole esatte per definirmi, anzi, non ce ne potrebbero essere di più sbagliate.
In realtà io, l’agente esecutivo BLW/553/c, così come tutti quelli come me, sono quello che di più lontano da un signore si possa immaginare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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BLW/553/c
 



 
Io sono quello che si potrebbe definire un Signore Grigio.
Non che “Signore” né tanto meno “Uomo” possano essere in qualche modo le parole esatte per definirmi, anzi, non ce ne potrebbero essere di più sbagliate.
In realtà io, l’agente esecutivo BLW/553/c, così come tutti quelli come me, sono quello che di più lontano da un signore si possa immaginare.
Non ho proprio nulla da spartire con quelle sciocche, soggiogabili e ingenue creature che si fanno chiamare esseri umani.
Era con questi pensieri che mi stavo incamminando tra le infinite file di macchine tutte perfettamente identiche, mentre inspiravo un profondo tiro dopo l’altro del fumo scuro del mio ennesimo sigaro.
La mia fonte di vita.
Il tempo che ho rubato a quegli stupidi degli esseri umani. La razza dominante del pianeta terra. E dire che sono così facili da ingannare.
Loro nemmeno si ricordano del nostro passaggio, in strada neanche ci notano. Per loro siamo semplici ombre, innocue, piccole, scure ombre di passaggio. Non appariamo certo come i predatori subdoli e silenziosi che siamo, così infinitamente superiori a quei sempliciotti degli umani.
Ne avevo ingannati ormai a decine, centinaia, talmente tanti che ne avevo perso il conto.
La tiritera era sempre la stessa, dovevo presentarmi di fronte ad un umano solo (soli gli umani sono molto più deboli e soggiogabili), sorridere mellifluo e affabile e convincerli di star perdendo tempo, di star arrivando alla morte senza via di scampo, di essere ormai pronti ad essere dimenticati.
Perché l’uomo, chiunque esso sia,  ha sempre questo insito, stupido desiderio di volere che qualcosa di lui rimanga ai posteri, che possa essere ricordato da qualcuno. Per qualcosa che ha fatto. O detto. O creato.
Era proprio questo insignificante desiderio infantile che io, così come tutti gli altri agenti (quelli bravi, ovviamente), sfruttavo abilmente a mio favore.
Gli descrivevo la Cassa di Risparmio del tempo, li frastornavo con impressionanti calcoli su calcoli (esatti ovviamente, ma non per questo veritieri) e, infine, dovevo solo sorridere e aspettare che lo stupido umano di turno, terrorizzato da quello zero che troneggiava inevitabile sulla sua vita, accettasse un contratto con me.
Una bazzecola.
Una stupida inerzia.
Mai nessun umano mi aveva resistito, tutti, uno dopo l’altro, erano caduti nelle mie grinfie, trasformandosi in sigari; molto più utili delle loro ore sprecate semplicemente, giusto perché sanno di averne fin troppe.
Beh, questo dal mio punto di vista ovviamente. Non di certo da quello di un insulso essere umano.
Sogghignai orgogliosamente tra me e me mentre mettevo in moto la mia macchina (la quinta della terza fila del reparto C ) stringendo trai denti il corto sigaro che, secondo i calcoli, mi sarebbe dovuto bastare per il tragitto.
Ero pronto per quella nuova missione.
Come sempre.
Lanciai un veloce sguardo alla mia valigetta grigio piombo mentre facevo una frettolosa manovra per uscire dal parcheggio, mi ero portato dietro all’incirca cinque o sei sigari.
Un sigaro ogni ora. Quindi cinque o sei ore. Non un minuto di più.
Non che ne avessi bisogno, quelle ore erano più che sufficienti (quasi abbondanti osai dire) per convincere anche il più restio degli umani.
Quando mi ritrovavo a pensare a quanto fosse semplice ingannare un essere umano e rendere il suo tempo una nostra proprietà non potevo che essere fiero, orgoglioso, di essere qualcosa di così diverso da un uomo.
Questa volta la mia missione, l’umano che dovevo ingannare, era una bambina. Momo, o qualcosa di simile, i nomi degli esseri umani non mi interessavano affatto.
Sapevo che solitamente non ci occupiamo di marmocchi e che loro andavano sempre lasciati per ultimi. È una nostra legge. Una legge rigorosissima.
Ma lei non era una bambina come tutti gli altri. Lei era una Rallentatrice.
Quindi lei doveva essere un’eccezione. Lei dovevo renderla nostra fin da subito.
Perché quella mocciosa rendeva… felici le persone (piegai le labbra in uno smorfia al solo pensare quella parola) e così ostacolava il nostro lavoro, lo rallentava e, a volte, lo rendeva anche vano.
Che razza di superbia; voler rendere vano il mio lavoro! Ma come osava quella stupida bambinetta presuntuosa?
Oh, ma se ne sarebbe pentita presto. Se ne sarebbe pentita amaramente. Le avrei rubato tutte le sue ore. Una dopo l’altra. Senza alcuna pietà.
Già pregustavo il sapore di quelle ore d’infanzia rubata. Dovevano avere un gusto delizioso.
 

 
*
 

Non mi sarei mai aspettato, mai, che quella che consideravo poco più di una banalissima missione di routine sarebbe diventata anche l’ultima.
Non sapevo spiegarmi che cosa mi fosse successo, lì, in quel vecchio e fatiscente anfiteatro, mentre stavo seduto scomodamente a terra vicino a quella sporca bambinetta spettinata.
Non lo sapevo.
Avevo avuto… paura, mi ero visto pallidamente riflesso nei suoi grandi occhi scuri e mi ero… sentito vuoto. Buio.
Come se fossi tornato al niente dove ero sempre stato prima di iniziare a trafugare il tempo. Un secondo dopo l’altro. Uno stupido essere umano dopo l’altro.
L’avevo osservata, quella bambina, Momo o come si chiamava, e non mi era affatto sembrata poi tanto diversa dagli altri esseri umani; lo stesso stucchevole colorito roseo, la stessa irritante ingenuità.
Allora forse era stata solo una mia impressione. Forse ero stanco.
Mi ero detto queste cose accendendomi un altro sigaro, il secondo.
Ma poi era successo. Quella bambina aveva aperto la sua piccola bocca, buona a dire solo sciocchezze infantili, e in un soffio aveva sussurrato un: “E a te, ti vuole bene nessuno?”
Era stato come vedersi crollare di fronte un muro, come non essere più in grado di fare niente; vedevo quel muro schiantarsi su sé stesso, ne sentivo il rumore franoso, ma non potevo fermare in alcun modo quella rovinosa caduta.
Ero terrorizzato, spaventato da una piccola, sporca mocciosa che, se avessi voluto, avrei potuto stendere solo con una leggera spintarella.
E invece ero io ad avere paura. Non lei, la bambina. Io, l’uomo, il Signore Grigio.
Stavo di fronte a lei, con il sigaro stretto trai denti, la valigetta grigio-piombo in mano e tutte quelle orride bambole che mi circondavano, e avevo paura.
Era come…come se qualcosa premesse per uscire, come se non potessi più riuscire a trattenere proprio niente. Niente.
E avevo parlato, con una voce che non sentivo più mia, con frasi che non avrei mai dovuto dire. Mai.
Le avevo raccontato ogni cosa, tutto; usando quelle stesse parole che non avrei mai dovuto pronunciare davanti a nessun essere umano che fosse. In un rantolo ingestibile le avevo spifferato tutto.
E non avevo mentito, no, davanti allo sguardo scioccato di quella piccola mocciosa dai capelli crespi, non avevo potuto far altro che raccontare tutta la verità. Su di me. Su di noi. Sul tempo trafugato. Su ogni cosa.
Come avevo potuto farlo…?
E Momo non si era dimenticata di me. Non si era scordata di nulla di quello che le aveva detto e questo mi spaventava. Tutti si dimenticavano di noi. Nessuno ci poteva ricordare.
Ma lei no. Lei se ne era ricordata. E lo aveva detto a tutti.
“L’agente BLW/553/c si presenti davanti alla corte suprema”
Quella voce echeggiò dentro di me raggelandomi allo stesso modo in cui, forse, noi gelavamo gli esseri umani.
Ero lì, davanti ai più alti livelli della Cassa di Risparmio del Tempo, pronto per essere accusato dai tre giudici.
Mi sentivo stranamente pallido e stanco, mentre salivo lentamente in cima all’immondezzaio dove tutti noi ci nascondevamo.
“E' Lei l’agente BLW/553/c?”
“…Sì, signore.”
Quella era la fine. E lo sapevo. Ma non volevo. Non potevo morire.
Mi morsi un labbro, stringendo ancora di più fra i denti quelli che sarebbero potuti essere i miei ultimi minuti, comprendendo improvvisamente lo stupido desiderio umano di voler rimanere aggrappati alla vita.
“Il verdetto è unanime. L’accusato, agente BLW/553/c, è riconosciuto colpevole di alto tradimento. Egli stesso ha ammesso la propria colpa e la nostra legge prescrive che gli sia sottratto tutto il tempo”.
In realtà me lo aspettavo; me lo ero aspettato fin da quando avevo messo piede nell’immondezzaio e avevo visto i tre giudici svettarne in cima, forse me lo aspettavo addirittura da quando avevo scoperto dell’ infantile protesta di quei bambini contro di noi.
Ma sentirselo dire era tutta un’altra faccenda.
“Pietà! Pietà! Vi prego…!”
Sapevo che era inutile chiedere un tale sentimento a quelli come me; ma non riuscivo a smettere di gridare, in preda al terrore più lancinante che avessi mai provato.
Mi sentivo stupido quanto un essere umano.
E stavo anche per morire. Merda. Non poteva finire non così! Non poteva...!
 
 

Nello stesso istante in cui l’accusato rimase privato del sigaro, cominciò con rapidità a diventare più trasparente; anche le sue grida diventarono più tenue e sommesse. Stava là, coprendosi il viso con le mani, mentre si dissolveva letteralmente nel nulla. Alla fine fu come se il vento facesse mulinare minuscoli bioccoli cinerini, finché anche questi non scomparvero.
E così che muore un Signore Grigio. Scompare; semplicemente, così come il tempo stesso passa e non torna più.
E BLW/553/c era passato.

 
 
 
 
 

(l’ultima parte in corsivo, per chi se lo chiedesse, l’ho presa quasi integralmente dal libro originale di Michael Ende, dalla traduzione italiana di Daria Angeleri, edizioni Longanesi & C. del 2000)
Spero che questo mio esperimento vi sia piaciuto. Non sono molto portata per la prima persona, tendo a perdermic quindi scusate se è un po’ strano. Sarà stata la digestione difficile del pranzo di Natale XD
 
  
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