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Autore: HamletRedDiablo    26/12/2013    1 recensioni
Un capitano e un pescatore vivevano felici su una locanda vicino al mare.
Finché l'ombra dell'Inquisizione non si stese su di loro. E il mondo si riempì di cenere.
[Seguito di "Rosa de los Vientos"]
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Rosa de los Vientos'
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Le dita tamburellarono annoiate, e i riflessi diabolici del rogo si spansero sul grosso anello d’oro che gravava sul dito medio.

Una corda di panico strozzava le gole di tutti i presenti, intrappolando nel cuore parole, pensieri e paure. Tutte quelle facce sbiancate di paura e tinte dei riflessi delle fiamme li facevano assomigliare ad un gruppo di spettri che assiste ad un Sabba infernale.

Nicolas de Torquemada fece vagare i suoi occhi raggelanti sui volti congestionati dei presenti, sulle fiamme crepitanti e, infine, sugli eretici intrappolati nel rogo. La sua spaventosa indifferenza non venne scalfita dalla visione delle due vittime in pasto alle fiamme. Dopo due settimane di torture pressoché ininterrotte, i due uomini si erano dichiarati pentiti, ma questo non era bastato a salvar loro la vita: il Tribunale aveva deciso che il pentimento non cancellava la colpa, ma avrebbe alleggerito la pena. Le guardie li avevano strangolati, prima di legarli al palo della piazza principale ed accendere il rogo.

Nicolas fece ruotare l’anello attorno al dito, insoddisfatto: quei due avanzi di galera erano degli eretici della peggior specie. Non meritavano tanta clemenza da parte del Tribunale.

Tornò a tamburellare le dita, impensierito dalla buona riuscita della sua missione.

Come poteva ripulire il mondo se perfino i suoi colleghi erano così ciechi?

Non avevano di certo aiutato le anime di quei due disgraziati, che ora sarebbero bruciate per l’eternità nelle fiamme ardenti della Gehena. Avrebbero potuto espirare tutto con un tempo assai minore nelle fiamme mortali.

Rimise l’anello a posto, in modo che lo stemma di famiglia svettasse al suo dito.

Sventagliò un foglio di pergamena nell’aria satura di morte e cenere, e lesse il luogo della sua successiva chiamata.

Gli occhi apatici ebbero un guizzo di incredulità nel riconoscere la cittadina in questione. Una brama famelica incupì le iridi predatrici, mentre le pupille smembravano il nome della località come un lupo fa con una carcassa.

Nicolas ripiegò il foglio e lo sistemò nel farsetto, esattamente sopra il cuore.

Le due sagome carbonizzate nel rogo ancora ruggente gli parvero improvvisamente più interessanti, e la riduzione della pena molto più giusta.

Si domandava che faccia avrebbe fatto Antonio nel rivederlo.

La perfidia del demonio gli spiegò un orribile ghigno sul viso.

Chissà…

 

 

 

Anima di Cristo

 

 

Lovino schioccò mollemente la lingua un paio di volte, irritato.

Detestava dormire con la bocca aperta: un sapore simile a quello della sabbia sporca gli impantanava il palato, e la lingua si seccava come se il cuoco l’avesse messa sotto sale assieme al pescato della giornata.

Fece compiere a guance e lingua strani movimenti per riacquistare una salivazione accettabile. Poi si presentò il secondo problema di quella e di mille altre mattine: uscire dal letto.

Apparentemente si trattava di un’operazione semplice – bastava far sgusciare i piedi fuori dalle coperte, appoggiarli sul pavimento e alzarsi - ma le circostanze non erano favorevoli quando a bloccarlo contro il materasso era un metro e ottanta di spagnolo addormentato.

Lovino cercò con gli occhi i suoi vestiti, rintracciandoli in un mucchio disordinato poco distante dal letto.

Si rigirò per osservare l’uomo che dormiva al suo fianco: Antonio dormiva tranquillo, inconsapevole del problema che stava creando al giovane.

Lovino cercò di sgusciare fuori dal suo abbraccio, che si rivelò però troppo stretto. Tentò allora di sciogliere la presa dell’uomo, ma era più ostinata dell’acciaio.

Sbuffò infastidito, e ricorse alla sua ultima strategia: senza troppi cerimoniali, appoggiò il pollice sulla palpebra superiore dell’uomo e tirò verso l’alto, aprendogli di malagrazia l’occhio.

«Devo andare a pescare» notificò, lasciando la presa.

Antonio non inveì per la barbara sveglia: batté ripetutamente gli occhi per scacciare la sensazione irritante dell’aria sotto la palpebra, stiracchiò le braccia allungandole sulla schiena del giovane e lo strinse di nuovo a sé mentre mormorava: «Buongiorno.»

«Devo andare adesso» sillabò Lovino, compiendo un ennesimo tentativo. Le braccia di Antonio erano più cocciute da sveglie che da addormentate: appena percepirono lo spostamento del ragazzo, premettero sulla sua schiena, immobilizzandolo.

«I pesci non scappano» soppesò Antonio, poggiando la guancia su quella del compagno.

«Il tempo sì» replicò Lovino, scrollandosi nella stretta dell’uomo come un uccellino in gabbia. «Ci vuole un po’ per pescare qualcosa di buono, dovresti saperlo.»

«Il mare non diventerà sterile in cinque minuti» protestò in uno sbadiglio Antonio. Gli carezzò le spalle con una mano e propose: «Puoi restare ancora un po’ senza che succeda nulla di irreparabile.»

La finestra confermò la tesi dell’ex-capitano, lasciando intravedere un’alba ancora acerba, rischiarata a malapena dai primissimi raggi di sole.

Un brontolio si sbriciolò contro il suo petto, e Antonio capì di aver vinto.

Lovino era diventato più accomodante da quando si era gettato dalla Queen of Pirates per tornare da lui. Scalciava con un asino e sbuffava come un toro, ma le sue arrendevolezze scontrose si erano fatte più frequenti.

Poggiò una mano al centro della schiena nuda del ragazzo, mentre con l’altra gli accarezzava i capelli ramati: una parte di mare era rimasta intrappolata in quella chioma, e Antonio aveva l’impressione di sentire l’odore della salsedine ogni volta che le sue dita districavano le ciocche annodate.

Lovino si acquietò sotto le sue carezze, ma l’espressione imbronciata non svanì del tutto. Lo spagnolo la lavò via sollevandogli il viso per baciarlo. Perfino il modo in cui Lovino lo seguiva gli ricordava l’oceano: le onde possedevano la stessa languida docilità quando permettevano alle maree di incresparle e condurle a riva.

Antonio fece scivolare le dita sul profilo della vita magra e del fianco e ancora più giù, fino a raggiungere lo spigolo delle ginocchia, in attesa del consenso del giovane. Le callosità dovute alla lotta con la canna da pesca e con i pesci troppo testardi sfregarono contro la cicatrice sulla coscia dell’uomo: era il modo silenzioso con cui Lovino dava l’assenso.

Lo spagnolo si portò su di lui, dischiudendogli le gambe un poco alla volta per assaporare fino in fondo la sua vicinanza con il giovane amante.

Lovino scattò come un animale selvatico quando bussarono alla porta.

«E’ permesso?» vociò accorata Consuelo al di là del legno.

Il disappunto fiaccò le braccia ad Antonio, che ricadde sul materasso ormai vuoto, mentre Lovino schizzava a recuperare i suoi vestiti.

«Aspetta un secondo, Consuelo, devo vestirmi» la avvisò, mettendosi a sedere e cercando a sua volta i propri abiti.

«E come le spiegherai la mia presenza?» soffiò Lovino come un gatto cui è stata pestata la coda. Si sedette sul letto per allacciarsi le scarpe, una colorita processione di insulti che si srotolava dalle sue labbra. «Lo sapevo, dovevo alzarmi prima!» esclamò a mezza voce quando ebbe finito.

Ma non riuscì a sollevarsi dal giaciglio: il petto dell’amante premuto contro la sua camicia e le braccia che gli avvolgevano il ventre glielo impedirono.

«Fai una buona pesca, Lovino» augurò, posandogli un bacio sulla spalla coperta dalla stoffa grezza.

«Lo farò se mi lasci andare!» strepitò con un filo di voce l’altro, rialzandosi bruscamente dal letto.

Uscì in fretta dalla porta, scoccando un frettoloso: «Ciao Consuelo» in direzione di una confusa cameriera in vestaglia.

«Ieri ha diluviato, ed ero preoccupata per la tua gamba…» spiegò discreta, dirottando lo sguardo verso il soffitto per evitare di scorgere nudità che non era tenuta a vedere. «Ho interrotto qualcosa?»

«La mia gamba sta bene, Consuelo, non dovevi preoccuparti» la tranquillizzò Antonio, infilandosi i pantaloni per evitare che la cameriera si slogasse il collo per guardare altrove.

La donna arricciò i capelli con le dita e notò:

«Stai molto bene da quando Lovino ti viene a trovare la sera.» Era un’affermazione spudorata, ma senza malizia: Consuelo non stava criticando né calunniando. Si limitava a giocare con l’imbarazzo nascosto del suo padrone. «Sono… mesi ormai che viene a farti visita quasi ogni notte.»

«Non viene così spesso» limitò Antonio.

«E la tua gamba sta meglio» Consuelo annuì convinta, gli occhi che scintillavano di allegria dispettosa. «Non pensavo fosse così bravo in medicina. Forse potrebbe curare anche il mio problema alla caviglia.»

Sorrise quando Antonio la guardò con finta minaccia, avendo intuito che la donna stava solo scherzando.

«Consuelo, se ci provi ti licenzio in tronco» la avvertì, picchiando un colpo a terra con il bastone per sembrare più intimidatorio.

La donna gorgheggiò una risata e poggiò una guancia abbronzata sulla mano.

«Peccato che non vi possiate sposare. Mi sarebbe piaciuto vestirmi elegante per festeggiarvi» trillò.

«Se anche fosse possibile, Lovino dovrebbe essere incatenato e drogato per essere portato all’altare» considerò Antonio.

La donna si inginocchiò di fianco al letto e congiunse le mani come per pregare.

«Forse non dovrei dirtelo, ma quando la sera rivolgo qualche parole alla Dea del Mare, la ringrazio di averti costretto a rimanere sulla terra, per quanto doloroso sia stato.»

Antonio la fissò senza capire e Consuelo proseguì:

«Non credo che il mare ti avrebbe mai reso felice come Lovino. Le donne sanno queste cose: un amore per cui vivere è molto meglio di un sogno per cui esistere. Sono convinta che sia per questo che Lei ti ha obbligato a rimanere sulla spiaggia.»

«Spiegazione poetica» concesse Antonio.

«Io ci credo davvero» finse di offendersi Consuelo. «Visto che stai bene, posso tornare a sdraiarmi prima di cominciare il turno» decise, avviandosi verso la porta. «E prometto che la prossima volta non entrerò prima di aver sentito Lovino uscire dalla porta principale.»

«Te ne sarò infinitamente grato» concordò Antonio.

«Se vuoi darmi un aumento per questa mia cortesia…» mercanteggiò la donna.

«Questo è un ricatto» la ammonì Antonio.

«Solo un’amichevole estorsione» sdrammatizzò lei, prima di sparire.

Lo spagnolo si distese sui cuscini, e appoggiò il bastone al muro.

Dunque la Dea del Mare lo aveva fatto per il suo bene?

Era una visione certamente più romantica del ricordo della pallottola che gli sfregiava la pelle.

Antonio chiuse gli occhi, riconoscendo una nota del profumo del suo amante rimasta impigliata nelle lenzuola.

La gratitudine gli addolcì le labbra in un sorriso.

Non sapeva se nei piani divini era prevista la sua vita sentimentale, ma di una cosa era assolutamente sicuro. Il mare sarebbe stato per sempre la sua più grandiosa vittoria: il suo nome veniva sussurrato con rispetto tra i mozzi e con ammirazione dai capitani. Riusciva ancora a consigliare i marinai sui periodi e i luoghi migliori in cui imbarcarsi, poiché conosceva gli umori mutevoli dell’oceano meglio di chiunque altro. I suoi sogni erano ancora popolati di onde spumeggianti e navi possenti, e bastava il sentore della salsedine ad innescare il carosello dei ricordi.

Ma Lovino era unico.

Non aveva l’abilità poetica per descrivere la sua complessa arroganza, e non riusciva a fare paragoni che non gli sembrassero troppo esagerati o troppo minimalisti.  

Lovino era diventato una costante della sua vita, come il respiro o il palpitare del cuore.

Poggiò una mano sullo sterno, quieto e soddisfatto.

E seppe che, da qualche parte tra quei battiti, si annidava un’immagine del giovane pescatore.

Si illanguidì in quel pensiero ancora per qualche istante, prima di alzarsi definitivamente dal letto.

Anche quella giornata si presentava piena di prenotazioni da annotare, vecchi lupi di mare da salutare e cameriere impiccione da gestire.

Si vestì solerte, riassumendo la compostezza del padrone della locanda.

Aveva giocato alla damigella innamorata anche troppo a lungo.

Era ora di tornare agli affari.

Il sorriso, però, non svanì quando chiuse la porta della stanza dietro di sé.

 

***

 

Non odiava Consuelo.

Era una donna molto premurosa, estremamente affettuosa, e le forme che le gonfiavano la camicetta e la gonna facevano girare stuoli di uomini nella sua direzione.

Ma avrebbe preferito che ogni tanto mettesse un lucchetto alla sua euforia.

A sua discolpa, bisognava prendere atto che non lo faceva con cattiveria: semplicemente, la gioia le gonfiava i polmoni, e il modo migliore per sfiatare quella festosa pressione era dare aria alla bocca.

Immaginava perfettamente lo svolgimento dei fatti: Consuelo aveva svolazzato per tutta la cucina, cinguettando la sua felicità e i fatti privati della camera da letto del padrone.

Se avesse anche solo immaginato i danni che quella donna poteva fare, sarebbe rimasto in mare tutta la giornata. Anzi, sarebbe rimasto in mare fino a diventare un vecchietto canuto: sarebbe morto come un eremita, ma la sua dignità sarebbe rimasta intatta.

Diego fu il più sfacciato di tutti, e lo accolse con un altisonante fischio non appena il pescatore mise piede nella cucina, con la cesta piena di pesci sottobraccio.

Il sorriso del cuoco svettò sopra l’enorme tegame ribollente, e la sua voce grassa intonò una battutaccia oscena sui pesci che Lovino riusciva a pescare. Consuelo, paonazza in volto, li rimproverò per mettere freno alle loro bocche, ma non poté fare lo stesso con gli occhi: sguardi maliziosi seguirono Lovino per tutto il tragitto dalla porta al tavolo su cui posò il canestro.

«Arrivederci» li salutò spicciolo, dirigendosi verso l’uscita con la testa chinata come un ariete.

«Lo sapevamo già da mesi» Diego lo colpì a tradimento alle spalle.

Lovino si voltò, il viso scurito in un misto di risentimento e feroce imbarazzo.

«Cosa?»

«Che tu e il capitano…» Consuelo corse ad abbassare le braccia del cuoco prima che potesse mimare cose indecenti con le mani.

«Io e il capitano cosa?» Lovino quasi ringhiò.

Diego scoppiò in una risata gioviale, e prese a sistemarsi i polsini per renderli simmetrici.

«Non c’è niente di male. Anzi, congratulazioni» si complimentò, uscendo per continuare il servizio.

Consuelo lo seguì, e strizzò l’occhio a Lovino prima di uscire.

Il pescatore ispirò a fondo, cercando di riassemblare i pochi frammenti di reputazione rimasti.

«Non è stato difficile associare le tue fughe notturne al buonumore del capitano.»

Il ruggito del cuoco distrusse i suoi tentativi.

Lovino si scaraventò su una sedia, sfregandosi con foga i capelli.

«Quanto a lungo ne parlerete?» volle sapere, esasperato.

«Oh, non molto» rombò il cuoco, assestando un’energica mescolata alla zuppa di pesce: un piccolo maremoto si agitò nel pentolone, e per poco un’onda anomala non debordò. «Ne abbiamo già parlato molto negli scorsi mesi. E abbiamo fatto molte scommesse su quando lo avreste ammesso… forse questo non dovevo dirlo» commentò, notando l’espressione di Lovino in cui si mescolavano orrore e tradimento.

«No, non avresti dovuto» confermò ruvido, stringendosi una tempia con due dita. Era stato oggetto dei pettegolezzi e delle puntate dei dipendenti. Era quasi contento di non essere sulla sua barca: in quello stato d’animo, probabilmente si sarebbe legato un’ancora al collo e avrebbe lasciato che i flutti facessero il resto.

Il cuoco si grattò la barba, corta e ispida come le setole di un cinghiale, e rimbrottò:

«Senti… io qui cucino e basta, quindi forse dovrebbe essere qualcun altro a dirti queste cose… qualcuno che si esprima un po’ meglio di me.»

Lovino appoggiò la testa sul tavolo e la infagottò con le braccia: quando il cuoco prendeva le distanze da un discorso, un colpo micidiale era in agguato. E lui non era sicuro di essere pronto.

«Vabbé, ci provo» decise, scrollando le montagne che aveva come spalle. «Prima Antonio sorrideva tanto, però sorrideva solo con le labbra. Aveva gli occhi vuoti. E per noi era un po’ uno strazio. Insomma, un brav’uomo ti offre un lavoro, ti tratta come un suo pari e tu non sei capace nemmeno di farlo stare sereno… non è stato un bel periodo, no» scosse la testa e riprese: «Poi sei arrivato tu. Quando sei arrivato ti avevo scambiato per un ragno, eri più testa che altro… forse anche questo non avrei dovuto dirtelo.»

Un mugolio incomprensibile si levò dall’intrico di braccia. Il cuoco vi passò sopra e continuò la sua stramba arringa:

«Beh, adesso sei più in carne. Meno male, altrimenti Antonio non avrebbe avuto niente da toccare…»

«Arriva al punto!» sbottò Lovino, sempre annidato nel suo fortino.

Il cuoco girò più volte la zuppa mentre concludeva:

«Insomma, ora Antonio sorride anche con gli occhi. No, di più. Sorride con… l’anima, sì. Tu gli fai sorridere l’anima.»

Lovino rovinò completamente la lirica di quelle parole immaginandosi mentre faceva il solletico ad un fantasma con le fattezze di Antonio, e il suddetto spettro che si ammazzava di risate. Scosse la testa per scacciare quell’assurda immagine dalla sua testa.

«Sei la cosa migliore che gli potesse capitare» decretò convinto il cuoco. «E poi, scommetto che non c’è un pescatore bravo quanto te in tutta la Spagna!»

La faccia di Lovino rimase ancora per qualche istante alloggiata dietro la protezione delle braccia. Poi si rialzò, togliendosi il cappello per dare una scrollata ai capelli.

«Vado di là» comunicò.

Il cuoco lo lasciò andare, bonario. Antonio non era l’unico ad avere imparato qualcosa del comportamento del giovane: anche il resto del personale aveva capito che Lovino comunicava molto di più con il silenzio e il linguaggio del corpo che con le parole.

E il cuoco si compiacque del suo operato, perché la posizione delle spalle del giovane gli aveva rivelato che Lovino era felice delle sue parole, ma era troppo orgoglioso e imbarazzato per dirglielo.

Tornò a occuparsi della zuppa, stando attento a non scatenare un maremoto con il mestolo.

 

***

 

La sera si era adagiata sui tetti delle case, ricoprendo le finestre con un velo zaffiro scuro. Entro pochi minuti la tinta si sarebbe rappresa in un color lapislazzulo per poi cedere al nero totale: quella sera era prevista la luna nuova, e le stelle non sarebbero state sufficienti a rischiarare le strade.

Lovino rientrò prima del solito proprio per quel motivo. La Spagna non pullulava di criminali desiderosi di aggredire un pescatore per rubargli il paniere, ma l’italiano preferì accelerare il passo: non gli era mai piaciuto il buio. Lo detestava come odiava tutte le cose che potevano offuscargli i sensi: sentiva l’ansia crescere quando non riusciva a mantenere il controllo su ogni elemento presente.

Rientrò veloce nella locanda e, per un attimo, desiderò essersi attardato qualche minuto di più all’esterno: Antonio era dietro al bancone, ad annotare le ultime prenotazioni prima di chiudere, e due donne civettavano con lui.

Lovino storse il naso a quella vista: le due tizie erano strette in quei corsetti che spaccavano le costole, funzionali solo ad evidenziare la generosa scollatura. I capelli erano stati spazzolati con cura e fermati da pettini e forcine, i volti sapientemente truccati. Era troppo lontano per stabilirlo con certezza, ma era sicuro che fossero avvolte da una nube di profumo, probabilmente pregiato e costoso.

Corse in cucina a buttare il pescato su un tavolo prima di precipitarsi su per le scale: non voleva che gli starnazzi di quelle oche gli offendessero le orecchie. La gola gli si ostruiva per la nausea nell’udire le moine affettate di quelle due: probabilmente il cervello pesava meno degli accessori conficcati nei capelli.

Ogni volta che un simile spettacolo aveva luogo, si sentiva male come se avessero usato il suo stomaco per pulire il ponte di prua. Perché persone del genere si offrivano così ignobilmente al padrone della locanda?

La stoffa dei suoi vestiti non si sarebbe di certo trovata in una sartoria di lusso, e l’odore di pesce e mare che lo permeava non sarebbe mai stato imbottigliato da un maestro dei profumi, ma almeno era in grado di sostenere una conversazione senza rifugiarsi dietro a risolini superficiali o svenevolezze gratuite. E, sicuramente, non si sarebbe mai ridotto a fare le fusa solo per ottenere un’occhiata da Antonio. Aveva ancora un orgoglio da difendere.

«Lovino?»

Il ragazzo non fu del tutto sorpreso nell’udire il richiamo dell’ex-capitano: il tonfo ritmico del bastone lo aveva preceduto sulle scale.

«Non ti ho visto tornare» disse, aprendo la porta della stanza.

«Lo so. C’erano due donne con tutta la loro mercanzia ad ostruirti la visuale» criticò sarcastico Lovino.

Antonio interruppe a metà l’apertura della porta.

«Sono stato vittima di un corteggiamento piuttosto serrato» ammise lo spagnolo, decidendosi ad entrare nella stanza. Il giovane attese un istante prima di seguirlo. «Ma ho respinto ogni loro offerta.»

«Offerta?» reagì il pescatore.

Le dita di Antonio si mossero sull’impugnatura del bastone, tormentate.

«Non credo tu voglia sapere. Alcune persone sono molto dirette» mediò, purificando quanto era stato detto in quella serata.

Lovino incrociò le braccia e mosse il mento con aria di sfida.

«Sembravano delle belle donne» lo provocò.

«Lovino, non mi sono sentito lusingato» chiarì l’altro.

Il ragazzo bloccò la sua offensiva quando Antonio si sedette sul letto e storse la bocca per una fitta improvvisa alla gamba: Consuelo non aveva sbagliato a preoccuparsi delle sue condizioni.

«Ti fa ancora male?» s’informò Lovino, inginocchiandosi di fronte al giaciglio. Tentò di mantenere un tono bisbetico, ma la preoccupazione impregnò con prepotenza le sue corde vocali, facendole tremolare anziché vibrare.

Antono sorrise, poggiando il bastone contro il muro.

«Ogni volta che succede, diventi geloso» allungò una mano per sfiorargli il viso, e la ritirò per timore che il pescatore gliela mordesse quando questo imprecò:

«Non sono geloso. Mi fa schifo vedere degli esseri umani comportarsi come animali in…»

«Lovino» lo frenò Antonio.

Il giovane masticò qualcosa a denti stretti, frustando il pavimento con gli occhi.

Sapeva di essere geloso, ma non voleva che Antonio se ne accorgesse. Le donne di quella sera, e delle sere precedenti, non erano di certo in grado di interessare l’ex-capitano: il padrone della locanda aveva conosciuto troppe persone e visitato troppi luoghi per farsi incantare da una civetteria querula o da un lembo di pelle scoperto. Ma forse un giorno sarebbe arrivata una donna di bell’aspetto e con un cervello sopraffino in grado di fargli perdere il senno.

Non gli piacevano quei pensieri, lo facevano sentire scoperto e vulnerabile per una cosa incerta come il futuro: come poteva temere qualcosa più inconsistente dell’aria? Eppure la paura era lì, e lo afferrava quando simili scene si presentavano.

Era abbastanza savio da riconoscere che una donna aveva certamente più prospettive da offrire, rispetto a lui: poteva garantire una discendenza, un buon matrimonio e un appagante status sociale. Lui… pescava.

I pensieri volarono via come i gabbiani al giungere di una nave quando Antonio gli passò le dita tra i capelli.

«Ho saputo che i camerieri sono in fermento» sorrise, poggiando le labbra sulla fronte del compagno. «Consuelo ha cantato come un usignolo, vero?»

«Ha sparlato come una comare» precisò Lovino.

«Se le voci ti danno fastidio, dovresti tornare in camera tua» prescrisse Antonio, allontanandosi.

«No» si risentì il ragazzo, afferrandolo per i gomiti perché non scappasse.

Un sopracciglio scuro si sollevò per la sorpresa.

«Domani mattina raddoppieranno la dose, se resti» lo avvisò l’uomo.

Lovino si rialzò da terra e si sedette senza troppa grazia sulle gambe dell’amante.

«Non mi interessa» borbottò, incastrando le braccia tra di loro.

Antonio gli fece scorrere un dito sulla schiena, per vedere i suoi occhi fremere dietro la maschera di offesa.

Non insistette oltre con le parole, consapevole che ogni sillaba era un azzardo: fare il primo passo e dover attendere la reazione dell’altro faceva sentire Lovino scoperto, il che aumentava esponenzialmente il suo pessimo temperamento. Bastava un accento fuori posto perché il giovane si sentisse denigrato o insultato.

Preferì parlare in un linguaggio che non avrebbe frainteso: lo guidò a poggiare la guancia sulla sua spalla, e lo avvolse con le proprie braccia, carezzandolo piano. Le mani del ragazzo si convinsero ad abbandonare la loro posizione conserta per cingere il busto dell’uomo.

Lovino chiuse gli occhi, distanziandosi dal resto del mondo per concentrarsi solo sul tepore del suo amante. Gli unici momenti in cui accettava di restare al buio, erano quando la presenza di Antonio lo circondava.

«Devi farti la barba» lo avvisò, quando l’uomo interruppe il bacio per sbottonargli la camicia.

«Provvederò» garantì, poco prima di lambirgli il petto con le labbra.

Lovino sospirò sulla sua zazzera scura, la bocca del compagno che risaliva lungo il collo.

Solo qualche mese prima si sarebbe agitato come un pesce catturato a mani nude, e avrebbe cercato in tutti i modi di rendere difficili le cose al suo datore di lavoro.

Da quando il brontolio aveva ceduto il passo all’accondiscendenza?

Il pensiero si smembrò quando le molle del letto cigolarono sotto il peso dei loro corpi avvinghiati.

 

***

 

Un bubbolio lontano si insinuò nelle sue orecchie, ma a svegliarlo fu la luce della lampada e lo schianto della porta quando Consuelo si precipitò nella camera.

La nebbia del sonno indugiò sui suoi sensi, e Lovino districò a fatica tra le sue percezioni fangose strilli sussurrati della donna.

«Antonio, Lovino, presto! Dovete vestirvi!»

Qualcosa si mosse sopra di lui, e il pescatore rabbrividì per l’improvvisa perdita di calore quando Antonio si alzò su un fianco.

«La locanda va a fuoco?» sbadigliò l’ex-capitano.

«Ah, magari!» esacerbò la cameriera. Si fece il segno della croce e mimò l’atto di sputare per terra. «Peggio, molto peggio! Lovino, svelto, alzati! E’ meglio se scendete a distanza uno dall’altro. Oh Signore!» Consuelo cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro di fronte alla porta, la luce della lampada che reggeva tra le mani sussultava sui muri.

La donna continuò a intervallare preghiere e maledizioni mentre loro si cambiavano, le dita che scattavano dalle labbra ai capelli, dalle ciocche corvine alla lampada.

«Cosa succede?» domandò Antonio, allacciandosi la fibbia dei pantaloni. «E’ entrato Satana, per caso?»

Lovino trasalì per la risata isterica di Consuelo: sembrava che una strega le stesse straziando la trachea con gli artigli.

«Hai quasi indovinato» ansò la donna, quando le risa insane si furono placate. Fece il segno della croce altre tre volte, e poi rintoccò funebre: «Nicolas»

Il bottone rimase a penzolare senza raggiungere l’asola: le mani di Antonio si congelarono alla notizia.

«Quel Nicolas?» soffiò, trasecolato.

Gli occhi castani del pescatore saettarono dall’uno all’altra, indecisi su cosa fare: una parte di lui voleva lanciare qualche battuta acida a Consuelo, che aveva distrutto la privacy altrui per la seconda volta in una sola giornata; l’altra era paralizzata dal pallore mortale della donna e dall’espressione di granito dell’uomo.

Antonio aveva visto il volto della Dea del Mare, e ne parlava con tranquillità. Aveva affrontato la morte migliaia di volte, e raccontava tutte quelle vicende da narratore appassionato. Dubitava che esistesse qualcosa al mondo in grado di spaventarlo davvero.

Lo aveva creduto fino a quel momento. Seppellito sotto una fitta coltre di autocontrollo, Lovino riusciva ad individuarlo: il panico si attorcigliava negli occhi dell’uomo come un nido di vipere.

«Vai di sotto più in fretta che puoi e chiuditi nella tua stanza» ordinò brusco Antonio, armeggiando con i polsini.

Normalmente Lovino avrebbe protestato per un ordine così perentorio e così immotivato. Ma lo scintillio di timore ancora palpitante nelle iridi del compagno lo persuase ad obbedire senza fiatare.

Consuelo si fece da parte per permettergli di passare, e richiuse la porta dietro di lui.

Il pescatore sistemò velocemente i capelli e riassestò il colletto storto della camicia. Poi scese le scale e, seguendo le indicazioni dell’ex-capitano, fece per dirigersi verso la sua camera.

«Oh. Dunque è questo il vostro nuovo aiutante?»

«Nuovo non direi, signore: Lovino lavora con noi da quasi due anni, ormai.»

La voce sconosciuta lo raggiunse contemporaneamente alle gambe, fiaccandogli le ginocchia, al collo, strozzandogli il respiro, e al cuore, bloccandone i battiti. Se le cavernose tonalità del cuoco non fossero intervenute subito dopo a tranquillizzarlo, sarebbe caduto a terra, tremante e paralizzato.

I vecchi bucanieri adoravano terrorizzare i bambini con i racconti delle sirene, le arpie del mare che seducevano le navi con le loro voci per attirarle sugli scogli e sbranare l’equipaggio, o che lanciavano le loro grida altisonanti per far impazzire i mozzi. Quella voce gli trasmise la stessa gelida sensazione: non poteva appartenere ad un essere umano.

Si voltò cauto, ed un volto brunito forgiato da furbizia e sottile sadismo ricambiò il suo sguardo. Mantenne la testa alta e la schiena dritta: chiunque fosse la creatura che attendeva di fianco al cuoco, non si sarebbe lasciato intimorire. Era troppo orgoglioso per permettere alle gambe di tremare.

Contenne un brivido quando gli occhi dell’uomo lo scrutarono alla ricerca di una breccia nella sua difesa. Aveva le iridi ferme e immote di un morto, la pupilla stretta di un rettile e lo sguardo penetrante di un assassino.

Lovino strinse le labbra quando capì perché l’uomo lo agitasse tanto. Sulla stoffa scura del farsetto, spiccava rosso sangue il simbolo del cacciatore di eretici.

Un Inquisitore.

«Non ho mai avuto il piacere di parlare con il vostro garzone» flautò l’uomo, facendo girare attorno al dito l’anello d’oro massiccio.

«E’ un pescatore» grugnì il cuoco.

«Vi chiedo scusa» sancì lo sconosciuto, chiaramente indifferente al perdono dell’altro. «Vi dispiace tenermi compagnia, mentre il vostro padrone termina i suoi preparativi?»

Vi fu un istantaneo scambio di sguardi tra Lovino e il cuoco: l’orso di mare gli fece cenno di accettare, e il ragazzo assecondò la sinistra proposta.

L’Inquisitore si accomodò su una poltrona, indirizzandogli un ghigno sbilenco mentre attendeva. Lovino si sedette con la rigidità del legno sul sedile limitrofo.

«Temo di non essermi ancora presentato» si schermì falsamente l’uomo. Gli tese una mano con altezzosa galanteria e proclamò: «Nicolas de Torquemada.»

«Lovino» replicò il giovane, stringendo a malapena la mano dell’altro: era sicuro che si sarebbe trasformata in un cobra e lo avrebbe morso a morte, se l’avesse indispettita.

Nicolas agitò distrattamente le dita come per rimuovere della polvere e proseguì:

«Nome davvero singolare. Non lo avevo mai sentito prima. Non è spagnolo.»

Lovino non era sicuro che quella dell’Inquisitore fosse una domanda, ma annuì ugualmente.

«Venite dall’Italia, giusto?»

Lovino assentì di nuovo, fissando un punto indefinito nello spazio circostante. Non ricordava se l’etichetta permettesse a lavoratori umili come lui di alzare gli occhi verso un Inquisitore. Preferiva comunque evitare quello sguardo: era viscido come una murena, e freddo come le correnti invernali. Ed era innaturale, come sentire la voce di un defunto rimbombare in una cripta. Rabbrividì a quell’idea.

«Non mi pare esista un nome simile, su quella penisola» meditò sicuro Nicolas.

«Con tutto il dovuto rispetto, signore, ma credo che il nostro Lovino ne sappia più di voi sulle consuetudini italiane.»

Nicolas rivolse al cuoco uno sguardo in cui si mescolavano disprezzo e superbia, fuse su una base di malignità.

«Probabilmente avete ragione. Ma spero che voi, Lovino, comprenderete…» continuò, voltandosi verso il ragazzo. «Che qui siamo nel mio paese, non nel vostro. E non solo conosco le consuetudini spagnole, ma posso crearle

La minaccia insita in quelle parole gli pizzicò il fegato, irrorando il coraggio necessario affinché Lovino recuperasse la sua sfrontatezza e controbattesse:

«Non capisco perché sono qui. Mi state accusando di qualcosa?»

«Niente affatto. Stiamo solo chiacchierando. Vi sentite a disagio, per caso?» sciorinò mellifluo l’uomo.

«Avete un modo piuttosto intimidatorio di chiacchierare, signore» il pescatore restituì il colpo, serrando spasmodicamente le dita tra loro.

«L’ansia risiede nei colpevoli» deliberò Nicolas. «E’ così che vi sentite? Colpevole?»

«Certo, sono colpevole» espresse una voce familiare alla loro destra. «Ben cinque minuti di ritardo. Imperdonabile.»

Nicolas si esibì in un sorriso da aspide nell’alzarsi per salutare il gestore della locanda.

«Antonio Fernandez Carriedo» il nome dell’ex-capitano si allungò untuoso sulle sue labbra sottili. L’Inquisitore si alzò per depositare un bacio fraterno sulla guancia ancora non rasata di Antonio.

Lovino provò l’impulso di rifugiarsi dietro lo schienale della sedia: fu come vedere Giuda dare il bacio del tradimento. Avrebbe preteso che Antonio si lavasse a fondo quella guancia, prima di accomiatarsi di nuovo con lui.

«Lovino ti ha tenuto buona compagnia?» si informò Antonio, stringendo la presa sul bastone: quel bacio gli aveva disarmonizzato i sensi, e faceva quasi fatica a reggere l’impugnatura tra le mani. «Ti ringrazio per avermi sostituito, Lovino. Ora puoi andare.»

Il giovane sarebbe stato ben felice di seguire il suo comando, ma Nicolas gliene impose un altro:

«No, fallo restare. Ha un’ottima retorica. Mi piacerebbe molto scambiare due parole con entrambi

Antonio arginò con enorme maestria il malessere per quella proposta, e si sistemò con apparente noncuranza tra Lovino e l’Inquisitore.

«Da quanti anni non ci vedevamo, capitano?» rimembrò con finta nostalgia Nicolas, tornando a tormentare l’anello.

Antonio fece scorrere le dita sull’elsa dorata del bastone, ripercorrendo il tracciato dei flutti scolpiti. Lovino ebbe l’impressione che il padrone della locanda si fosse posizionato al centro di proposito per proteggerlo dallo sterminatore di blasfemi. E la risposta dell’ex-capitano lo confermò.

«Da quando hai acceso i roghi nella mia città natale, Nicolas.»





E tornano i pirati anche qui<3
Come già detto in Rosa de los Vientos... anche questa fic era destinata a diventare un'originale. Ma il concorso ha deciso diversamente ergo... eccola di nuovo qui<3
E devo dire di essere molto contenta di vederla online una seconda volta<3 Mi è costato tanto toglierla, e sono felice di rivedere Lovino, Antonio, Arthur, Diego, Consuelo... sì, forse sono felice di rivedere perfino Nicolas XD
Spero che li apprezzerete di nuovo come la prima volta<3
E ancora grazie per avermi sostenuta durante la prima pubblicazione di questa storia<3 I vostri commenti sono salvati con cura nel mio computer<3
Grazie<3
Red
   
 
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