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Autore: King_Peter    27/12/2013    3 recensioni
[Attualmente inattiva per mancanza d'ispirazione]
Quattro ragazzi, diversi si ritrovano a dover salvare il mondo di Linphea da un'organizzazione che spadroneggia sulle sue terre e che si fa chiamare "Congrega della Morte".
Presto sangue e dolore bagneranno la terra. Loro sono gli unici a poter impedire lo scoppio di una violenta guerra.
La Congrega sta cercando i Quattro Elementi, grazie ai quali essi potranno attingere alla fonte diretta della vita e controllare la volontą e il sangue di ogni essere vivente di Linphea e degli altri sette mondi ad esso attigui.
L'uomo perderą il proprio libero arbitrio, verrą schiavizzato senza nemmeno accorgersene, compiendo gli ordini dei suoi oscuri padroni.
Scegliere di combattere o consegnarsi ai propri carnefici?
*Il sangue?
L'unico amico di cui ti puoi veramente fidare.
*
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Il sangue?
L'unico amico di cui ti puoi veramente fidare ...



 
15. Bellezza e Forza
 
*Bianca*
 
 
Mi sembra incredibile.
Ric che mi esce pazzo due volte in un giorno, la Congrega che sta arrivando a Salismatra, a noi, Caleb che mi bacia.
Quando l'ho visto per la prima volta, non avevo pensato a lui come un mio possibile amore, ma poi mi sono accorta di quanto sapesse prendermi, cosa che nessuno aveva mai fatto.
Non credevo fosse innamorato di me, e neanch'io lo ero all'inzio, come ho detto. Lui che può avere il fior del fiore dell'aristocrazia linpheiana, perché ha scelto proprio me?
È proprio vero, l'amore non si sceglie.
 
Lasciai la sottile penna d'oca, bianca, striata da diverse sfumature di carbone, rileggendo ciò che avevo scritto. Volevo scrivere qualcosa di più, ma sapevo che là fuori si stava combattendo una guerra e che noi due dovevamo scappare.
Ero in ritardo, si, ma non avevo resistito alla tentazione di confessare, ciò che provavo in quel momento, ad un pezzo di carta, ad uno stupido, insensibile pezzo di carta. Mi alzai, bruscamente, dalla poltrona davanti allo scrittoio, piegando il foglio di pergamena per metà, raccattando alla rinfusa le mie cose in una sacca, buttandoci dentro altra carta, la penna d'oca e la boccetta d'inchiostro, sperando che non si rompesse e inzuppasse tutto.
 
 
La sala della Rosa Nera è identica a come l'avevamo lasciata il giorno precedente, non credevo di rimetterci piede in così poco tempo. La stanza era dominata da una luce fioca, quasi innaturale, illuminando solo la parte centrale della stanza, il resto era solo ombra, rischiarata principalmente dai boccioli di rosa che abbracciavano i pilastri portanti, polvere e magia.
Ric ansimò, quando entrammo nel portale la strega aveva aperto per noi.
"Stai bene?" gli chiesi, con fare da sorella maggiore, anche se in realtà eravamo gemelli. Lui si voltò, guardando il muro che avevamo appena oltrepassato, cercando qualcosa su cui puntare gli occhi. Mi voltai a guardare lo stesso punto che stava fissando, poi lui spostò lo sguardo sulla sua gamba destra.
"Che ti prende?" gli chiesi, di nuovo, notando che si stava comportando in modo strano. Nei suoi occhi si leggeva ancora la paura, una scintilla bianca nei suoi occhi caldi.
"È solo che..."
Mi guardò e io risposi con uno di quei sorrisetti odiosi, che so che lui odiasse, giusto per spezzare la tensione. Lui cercò di rispondere al mio sorriso, ma per qualche motivo, quel morbido curvamento delle labbra esitava a venire.
"Niente." disse infine, dirigendosi verso l'altare con un'andatura ancora leggermente ondeggiante, nascondendomi il suo volto.
Sapevo che c'era qualcosa che non andava, ma non c'era tempo per indagare, in quel momento. Centinaia, forse migliaia di persone stavano dando la loro vita per salvare la nostra. Mi sentii vagamente in colpa, ma mi diressi anch'io verso l'altare dove qualche girono prima c'era appoggiato Caleb.
Toccai la pietra fredda, un brivido mi percorse la schiena, ritrassi istintivamente la mano. Non so il perchè, ma sentii una brutta sensazione attraversarmi le ossa: c'era, forse, qualcosa di malvagio lì dentro?
La pietra era squadrata e mi arrivava ai fianchi. Era più grezza sui contorni, ma perfettamente liscia nella parte interna, un rettangolo abbastanza grande da contenere un corpo umano. Incisi lungo i bordi c'erano simboli arcani, antecedenti persino alla parola.
Ne dedussi che fossero incantesimi.
Invece, esattamente nel centro del rettangolo liscio, vi era incisa una rosa, stilizzata, ma che esprimeva la sua bellezza nascosta. I miei occhi luccicarono.
"Come la prendiamo?" domandai, percorrendo con le dita i contorni della rosa impressa sulla pietra, cercando di capire come potessimo arrivare all'amuleto di cui ci aveva parlato Caleb. Effettivamente, però, il re non ci aveva detto come prenderla, ma aveva confessato solo che si sarebbe rivelata al momento giusto.
Ric e io ci guardammo.
Si sentì un fruscio, proprio lì, nell'ombra. Girai la testa, di scatto, da dove era provenuto il rumore. Ric mi imitò. Restammo per un pò a contemplare il buio, spesso, contorto, per poi voltarci nuovamente verso la pietra. Ric spalancò gli occhi.
Davanti a noi c'era una donna, giovane, di qualche anno più grande di noi, forse sui venti. I suoi capelli castani, non sottoposti alla gravità, volteggiavano liberi, come i capelli di Medusa, incorniciando il suo viso delicato, dove i suoi occhi gelidi ti squadravano, mettendoti soggezione. Un angolino della sua bocca si increspò in un sorrisetto sadico.
Alta, magra, maledettamente bella, vestita di pelle nera, sprizzava malvagità da tutti i pori. Era appoggiata con i gomiti sulla pietra, esattamente dove si trovava la Rosa.
"Cu cù!" esclamò, con una voce suadente, ma allo stesso tempo folle, intrisa di nero piacere. I suoi occhi incontrarono quelli di Ric, ancora scioccato, per un motivo che ancora non capivo.
"Noi due già ci conosciamo." disse, sbuffando su un ciuffo di capelli che le era caduto sugli occhi. Mossi la mano così velocemente che lei avrebbe dovuto già essere cenere, ma non successe nulla.
Rise. Ric mi afferrò un braccio, scuotendo la testa. Che cavolo voleva dire?
"Non ricordi, Guardiana?" mi chiese, in tono sarcastico, muovendosi verso di me con passo elegante. In quella tutina di pelle sembrava una divinità della morte e del desiderio, venuta in terra a far rispettare la sua legge divina.
"Che vuoi dire?" le domandai, anzi, più che domandare, le urlai contro. Lei rise, dolcemente.
"La sala è schermata sia dall'interno che dall'esterno da incanti e maledizioni, ciò vuol dire che nemmeno il tuo potere può funzionare." spiegò lei, con un'aria da despota lussuriosa, "Finché sei qui dentro." aggiunse, sadicamente.
Mi guardai l'avambraccio: il simbolo era appannato, come se fosse avvolto nella nebbia e sembrava spento. Le scoccai un'occhiata di puro odio. Lei scrollò le spalle. Ric continuava a sembrare preoccupato.
"Chi sei? Che vuoi da noi?"
Sorrise, fredda questa volta.
"Tuo fratello lo sa." affermò, indicando Ric. Scossi la testa.
"Lascia stare mio fratello, strega." la minacciai io, "Altrimenti io..." Nella sala non si poteva usare il potere, maledizione!
"Altrimenti cosa?" chiese lei, facendo finta di essere spaventata, "Non sei nulla senza il tuo potere, Guardiana." rispose lei, decisa.
Ok, stavo cominciando ad arrabbiarmi, sul serio.
"Ric, che vuole da noi?" chiesi a mio fratello, senza staccare gli occhi di dosso dalla donna, perfettamente paziente, come il gatto che gioca con il topo prima di mangiarlo.
Ric sospirò.
"È venuta a prenderci." rispose lui, sfiduciato, guardando quegli occhi di ghiaccio, "È venuta a prenderci!" ripetè e dalla sua voce capii che si erano veramente già incontrati e che era pericolosa. Dovevo fare attenzione e soprattutto, dovevo fare qualcosa.
"Non so chi sia, ma è malvagia. Ha ucciso Ilidien a sangue freddo." mi confessò, "La Luna di Sangue." aggiunse.
Ilidien era veramente morta? Non sapevo se rallegrarmi o dispiacermi.
Luna del Sangue? Maledizione, Caleb ce ne aveva parlato! A volte preferivo non sapere.
"Intendi..."
Quelle parole mi morirono in bocca.
"Il nostro sacrificio?" domandai, con un groppo alla gola. Lui annuì, abbassando gli occhi, mentre lei si avvicinava a noi, sorridendo.
"La Congrega ha vinto, ormai." affermò lei, "Salismatra è caduta, la Resistenza è caduta, il re..."
Le diedi un pugno nello stomaco: non avevo il mio potere, ma restava pur sempre la mia forza fisica.
Avevo paura di quello che avrebbe potuto dire. Indietreggiò di qualche passo, ridendo.
"Ah, l'amore." sospirò lei, "Ti fa fare cose che non avresti pensato mai di fare." aggiunse, continuando con la sua risata folle, da pazza.
Ric ansimò.
"Va via." ordinò.
Aveva la fronte corrugata, i pugni stretti, la classica posizione di battaglia: non lo avevo mai visto così deciso, così determinato. Se avremmo dovuto affrontare la megera che ci si parava davanti, l'avremmo fatto insieme.
Sorrise e giurai che le avrei rotto la bocca se non la smettteva di sorridere in quel modo del cazzo.
"Ti avevo detto che la prossima volta che ci saremmo rincontrati saremmo stati nemici, e io mantengo sempre le mie promesse." disse, rivolta a Ric, perfettamente non curante del pugno che le avevo inferto, chiedendomi se mi considerasse o meno una minaccia o fosse solo un modo per farmi arrabbiare ancora di più.
"Non mi interessa." rispose mio fratello con una voce che non avevo mai sentito prima, "Se non te ne vai..."
Lasciò la frase in sospeso, come a far intendere che le aspettava qualcosa di brutto. Ma le minacce non la toccavano nemmeno, si sentiva al sicuro in quella stanza dove non vi era potere.
"Adoro le scazzottate." sibilò lei, continuando a sorridere in quel modo odioso. Le avrei rotto la bocca, di questo ne ero sicura.
"E guerra sia!"
Ric urlò, scagliandosi contro di lei. Lei rispose con una risata, sguiata. Successe tutto in un attimo che io non ebbi il tempo nemmeno di buttarmi insieme a lui nella mischia.
La donna maledettamente attraente, di cui non sapevamo ancora il nome, schivò la spallata di mio fratello, sfilando all'ultimo momento un paio di stiletti dagli stivali ai piedi, cercando di colpirlo, ma lui, mantenendo l'equilibrio, rispose con un calcio, portato all'indietro, diretto al suo stomaco.
Non so dove trovasse la forza per battersi, ma ora pareva che fosse nel pieno delle sue forze.
Se non potevamo batterla con la magia, l'avremmo messa KO con la forza. Urlai anch'io qualcosa, come grido di battaglia, qualcosa senza senso in verità, correndo verso di lei.
"Maledette gonne!" soggiunsi tetra nella mia testa, mentre mi strappavo il vestito poco più sopra del ginocchio, buttando via anche i sandali elaborati, rimanendo scalza.
Mi sorrise.
Ora, o era completamente cretina, facendomi arrabbiare in quel modo, o era molto sicura di sè.
Optai per la seconda.
Era molto abile con i pugnaletti: dovetti schivare più volte i suoi affondi e fendenti, come stava facendo Ric, se non volevo morire. Puntava sempre alle parti vitali, il petto, soprattutto. Cercavamo di colpire e schivare assieme, come un corpo solo, puntando ai punti più incrini all'equilibrio, cioè le gambe, ma, come in una danza ben studiata ed eseguita, la donna ci fermava e contrattaccava con le sue armi.
Ma più la facevamo arrabbiare, più lei si dimenava come un leone che, colpito, invece di morire, triplica le sue forze. Ric cercò di bloccarle le mani, avvicinandosi a lei di soppiatto. Attirai la sua attenzione pestandole un piede, abbassandomi prima che mi pugnalasse.
Indietreggiai.
Si accorse di Ric: lo fermò menandogli un colpo proprio lì, in mezzo alle gambe.
Cadde a terra.
"Brutta stronza!" urlai, anzi, squittii tanto che era la mia voce acuta, menandole uno schiaffo con tutta la forza che avevo in corpo, mentre contemplava l'opera compiuta.
Fu più forte di me, dovevo farlo: avevo o no giurato che le avrei rotto la mandibola? Ma fui stupida: la testa si girò di scatto, così come i suoi capelli, ma troppo tardi compresi il mio errore: mi ero avvicinata troppo a lei, così come aveva fatto Ric, che stava combattendo con certi dolorini, ehm, diciamo interni.
Aveva ancora sia le mani che le gambe libere: mi pugnalò al piede, cosa non difficile dato che ero scalza.
Istintivamente, indietreggiai, saltellando su un piede solo come un pollo pazzo. Assomigliava davvero ad una divinità scesa in terra per fare piazza pulita dell'umanità: con lo sguardo minaccioso, i capelli che volteggiavano leggeri nell'aria, in una danza folle, gli stiletti stretti nei pugni chiusi.
"Sei perduta, Guardiana." mi sussurrò, ignorando Ric, "Credi davvero di poter battere una Venere Cacciatrice?" domandò, sarcastica.
Veneri Cacciatrici?
Riporse gli stiletti a posto ed io non ebbi il tempo nemmeno di rispondere perché lei mi colpì, una volta, ancora, e ancora: era diventata una furia, non riuscivo a schivare più i suoi colpi perché era ovunque, come se si muovesse alla velocità della luce. Ric stava cercando di rialzarsi, ma cadeva sempre a terra.
Sentivo il sapore, l'odore arcano nella magia nell'aria, segno che le protezioni della sala della Rosa Nera stavano cedendo. Ma anche se cercavo di immaginare nella testa un qualsiasi attacco che mi liberasse da quella prigione di colpi, non ci riuscivo: il mio simbolo non si illuminava, rimaneva "disconnesso".
Alla fine ero piena di lividi e sangue. Mi lasciai cadere vicino all'altare di pietra. Un altro schiaffo.
Ric mi si avvicinò, gattonando. Eva non l'ostacolò.
"Oh, la famiglia." sussurrò, con aria da ipocrita, "Patetico."
Rise.
"Ehi, tutto bene?" mi chiese Ric, con una voce flebile. Io annuii, ignorando il dolore che cominciava a farsi sentire. Cercai di rialzarmi, poggiando le dita insanguinate per le varie ferite, sull'altare: la sala fu inondata da una luce sinistra, alla quale seguì il buio. Ogni luce era scomparsa, adesso, tranne il bagliore dei boccioli di rose attaccati ai pilastri che davano alla sala un'atmosfera lugubre.
Proprio sopra l'altare, al di sopra del simbolo della rosa, scintillava un globo circondato da anelli iridescenti.
Gli occhi di Eva luccicarono nell'oscurità come quelli di un gatto.
"Si! Si!" urlava, avvicinandosi.
Ma io ero più vicina: ignorai il dolore e immersi la mano nel globo, afferrando qualcosa di solido.
Lo tirai fuori: avevo in mano un ciondolo grande quanto il guscio di una chiocciola, nero, lucido. Era una rosa stilizzata, con i petali contraddistinti da linee morbide d'oro.
"La Rosa Nera." sussurrai, con fare reverenziale. Sentii il fiato di Ric, che si era tirato su, sul mio collo.
Al centro, vi erano quattro lancette d'argento, una per ogni elemento.
La lancetta del Fuoco e della Terra puntavano verso di noi, colorandosi di un colore appena più scuro dell'argento vero e proprio, mentre l'Aria puntava ad est.
Spalancai la bocca.

*Angolino autore*
Inanzitutto, auguri per le feste passate e anche agli Stefani e Stefanie che mi seguono xD (se ci sono, ovvio!)
Eccomi qui con il capitolo "Bellezza e Forza" che spero vi abbia appassionato, no? :P
Non potevo non scrivere qualcosa dei pensieri di Bianca riguardo a ciò che è successo nel capitolo precedente (ricordate? ù_ù)
Ed ecco che arriva Eva :) La donna misteriosa sventrapolli/uomini/boh xD Uhm, secondo voi chi è veramente? xD
Aspetto recensioni, ok?
Ringrazio tutti quelli che hanno messo tra seguite, preferite o ricordate o semplicemente chi mi segue silenziosamente ^^
Alla prossima, ragazzi :D

King_Peter

 

  
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