Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Jo_The Ripper    27/12/2013    2 recensioni
“All’accademia non ti insegnano cosa dire a qualcuno che sta morendo. Non ti insegnano a leggere la mente del nemico. Non ti insegnano a dire ad un padre che suo figlio non tornerà più. Non ti insegnano il peggio che si debba sapere. Essere un soldato è come entrare in un labirinto senza conoscere dove si trovi l’uscita. È tutta una questione di scelte: uccidere o essere uccisi, combattere o soccombere e, nell’incertezza, improvvisare, procedere a tentoni. Quando si trova una via bloccata bisogna tornare indietro e prenderne un’altra. E a volte, la via che sembra più facile non è la più giusta.”
One shot ambientata dopo la disfatta della cinquatasettesima spedizione fuori dalle mura [lievissima Rivetra].
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Irvin, Smith, Petra, Ral
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Questi personaggi non mi appartengono, sono di proprietà di Hajime Isayama. Questa storia è scritta senza scopo di lucro.


Marchin on

There’s so many wars we fought
There’s so many things we’re not
But with what we have
I promise you that
We’re marchin on

[Ci sono così tante guerre che abbiamo combattuto/ Ci sono così tante cose che noi non siamo/ Ma con quello che abbiamo/ Ti prometto che/ Continueremo a marciare]

Cinquantasettesima spedizione fuori dalle mura.
Il caporale Rivaille guardò con aria critica il fascicolo che conteneva il rapporto dettagliato dell’ultima missione.
Era troppo voluminoso, quel plico.
Non ne aveva mai visto uno con così tante pagine.
Sembrava un fottuto manuale dell’accademia, di quelli inutili e pieni di paroloni altisonanti.
Lo strinse tra le mani e lo soppesò; sentì le braccia stanche, come se quell’incartamento pesasse quanto un macigno.
Sospirò sommessamente e spostò lo sguardo sulla tazza dai bordi scheggiati, da sempre la sua preferita.
Dal suo interno salivano, in leggere volute verso l’alto, i fumi del caffè caldo, proiettando sottili ombre alla luce della tremolante fiamma di una candela.
Il tempo al di fuori era coperto, ventoso, incerto e mutevole. Rispecchiava alla perfezione lo stato instabile del suo animo.
Sbuffò. Lui non era un meteoropatico e non credeva a tutta quella marea di stronzate.
Rifocalizzò la sua attenzione sulla tazza.
Non aveva voglia di bere quel caffè, gli sembrava scialbo, privo di aroma.
Nonostante queste considerazioni, però, afferrò ugualmente il bordo della tazza e schiuse le labbra.
Come aveva ipotizzato, quella roba era totalmente insapore. L’unico effetto che ne ricavò fu un calore invadente e sgradevole, che si irradiava dalla lingua fino  a raggiungere lo stomaco.
Bruciava, quel caffè.
Bruciava di sconfitta e di delusione, di frustrazione e rimorso.
Il caporale Levi abbandonò la tazza nervoso, si infilò la mantella con le ali della libertà, prese sottobraccio il rapporto e si diresse verso l’ufficio del suo superiore.
Per i corridoi del quartiere generale non si udiva alcun rumore. Tutti erano nelle camerate o in infermeria, ognuno chiuso in se stesso, perso a fare i conti con la propria coscienza e a combattere i propri demoni.
Anche Levi sapeva dello scotto da dover pagare per le proprie colpe.
Il dossier era un fardello insostenibile tra le sue mani.
Pesava così tanto perché conteneva troppi errori: i suoi.
Era un fascicolo fatto di risate che non avrebbe più udito, vaneggiamenti senza senso che non avrebbe più ascoltato, profumo di caffè appena versato che non avrebbe più annusato.

Rinchiuse quei pensieri in un angolo della mente e bussò con forza contro la porta di legno pesante.
“Avanti.” Annunciò la voce all’interno.
Rivaille entrò nell’ufficio del comandante Smith.
L’ambiente era essenziale e spartano, senza suppellettili o altri oggetti frivoli, ad eccezione per l’unica cornice con la nomina a Capitano, ed una vecchia fotografia ormai sbiadita.
Chi erano quelle persone, Levi non l’aveva mai chiesto.
Forse i genitori, forse vecchi amici.
Con un buon margine di scarto riteneva che, molto probabilmente, erano andati a mettere le spalle al fresco.
Per un istante si vergognò di quel pensiero così cinico, scosse il capo per scacciarlo e si ricompose.
“Rivaille, cosa ti porta qui?” chiese il capitano fissandolo con i grandi occhi chiari.
“Ho il rapporto sulla missione.” Annoiato gettò il volume che cadde sul tavolo con un tonfo sordo.
Smith fece saettare lo sguardo verso il caporale, e si stese contro la sedia dall’alto schienale.
“Siediti, Rivaille.” Con un cenno della mano gli indicò il posto di fronte a lui.
“In realtà ho ancora alcune cose da sbrigare, preferirei rimandare questo incontro.” Mentì cercando di essere convincente. In realtà voleva solo stare un po’ per conto suo.
“Non era un invito, il mio.” Affermò categorico il capitano.
A malincuore si sedette.

Si fissarono per un attimo in un silenzio pesante.
“Allora, cosa vuoi Erwin? Se mi hai ordinato di rimanere ci sarà una ragione.” Fece Rivaille, ed al capitano non sfuggì il tono sarcastico con il quale aveva calcato il verbo ordinare.
“Vorrei solo sapere come stai.”
Levi fu sorpreso da quella richiesta. Batté un paio di volte le palpebre, ma appena ebbe razionalizzato sentì il fastidio invaderlo. Provò a dissimulare il tutto con la nota impassibilità che lo contraddistingueva.
“Come vuoi che stia? Sto benissimo.” Replicò asciutto.
Erwin sospirò.
“Pensavo che potessi risparmiarmi questa penosa recita. Lo so che sei arrabbiato, dovremmo parlarne ed affrontare la cosa.”
Levi si infastidì ancora di più.
“Ascolta, ringrazia di essere un mio superiore, altrimenti ti avrei già tirato un pugno su quel grugno che ti ritrovi. Non abbiamo nulla di cui discutere, perché non la pianti di darmi il tormento e ti trovi qualcos’altro da fare?” disse tutto d’un fiato, cosa strana per lui, che non era solito essere così comunicativo.
“La missione, Levi. Come stai affrontando la perdita della tua squadra. Questo mi preme sapere.” Spiegò Smith con pazienza.
Rivaille lo scrutò in volto e non poté fare a meno di far salire la sua rabbia a livelli critici. Il capitano era così pacato, così tranquillo e lo trattava con una tale condiscendenza che...
No.
Non era condiscendenza, quella.
Era qualcosa di molto peggio: era pietà.
Pietà per un soldato che, dopo aver perso la schiera di uomini più fidati, era rimasto solo.
“Sono morti, Erwin. Ma non c’è bisogno che te lo dica io, lo sapevi già, no? È anche messo nero su bianco in quello stramaledetto rapporto che mi hai fatto stilare.”
“Non mi interessa quello che c’è scritto sul rapporto, voglio sentire le parole uscire dalla tua bocca.”
Levi incrociò le braccia e lo guardò con aria di sfida.
“Comincio ad essere molto seccato.”
“Credi che questo cambi qualcosa?” rispose di rimando l’altro.
“In effetti no. Non cambia il fatto che siano tutti morti e che nessuno di loro tornerà indietro.” Replicò secco il caporale.
Nella stanza si materializzò una barriera fatta di silenzio e tensione.
“Io lo so.” Esordì Smith. “Io so cosa provi.”
Rivaille inarcò un sopracciglio, scettico.
“Non credo che tu capisca neanche lontanamente.”
“Come pensavo.” Erwin prese un respiro e poi continuò. “Tu dai la colpa a me.”
Levi lo guardò attonito, per la seconda volta nel giro di poco. Ma presto quello sbigottimento venne sostituito da rabbia e risentimento.
Era davvero convinto di sapere cosa provasse? Gliel’avrebbe detto chiaro e tondo, avrebbe messo il punto a quella scomoda conversazione.
“Io non do la colpa a te, Erwin. Non uscirai come un povero martire da questa storia.” Il tono di voce freddo e astioso del caporale non piacque per niente al capitano.
“Cos…”
“Non do la responsabilità a te, ma a me stesso.” Lo interruppe brusco. “Ti ho concesso fiducia e guarda il risultato: i miei uomini sono morti e non ho nemmeno potuto riportare i loro corpi a casa. Se c'è qualcuno da colpevolizzare qui, sono io.”
Smith non riuscì a sostenere lo sguardo penetrante di Rivaille. C’era un motivo se lo definivano: “Il più forte dell’umanità”. Levi non avrebbe impedito alle circostanze di paralizzarlo, avrebbe sempre continuato a combattere.
“Ho convinto quel marmocchio a non trasformarsi per pararci il culo, a contare su di noi. Sarei dovuto essere lì con la mia squadra ed aiutarli, non andare a fare rifornimento. Non sarei dovuto arrivare dopo ed assistere allo spettacolo dei loro corpi devastati che giacevano scomposti sull'erba della foresta. Avrei dovuto dare retta al mio istinto e far fuori quella maledetta figlia di puttana quando ne avevo l'occasione, senza permettere a te e ad Hanji di giocare agli scienziati pazzi in questa guerra. L’unico titano buono, è un titano morto.” Scandì le parole con un’inclinazione carica di acredine, accompagnata da un’occhiata truce.
“Sai bene cosa vuol dire essere in una squadra ed obbedire agli ordini. I miei ordini. L’abbiamo fatto per far vincere l'umanità! Per portarci un passo avanti nella lotta ai giganti! I sacrifici, Rivaille, sono necessari. Lo sapevi in passato, lo sai adesso e lo saprai sempre. Prima lo accetti, prima riuscirai a perdonare te stesso…” prese un respiro e continuò,  stavolta a fil di voce “…e a perdonare me.”
Levi strinse i pugni, voltò la testa e decise che sarebbe andato via da quella stanza soffocante.
“Sei davvero un patetico pallone gonfiato...ne ho abbastanza, vado via.”
Gli diede le spalle e risoluto aprì la porta, richiudendosela dietro con violenza.

Dopo l’uscita di scena di Rivaille, Erwin si alzò e andò verso la finestra. Posò i palmi sul vetro e abbassò il capo, afflitto.
Poco dopo udì un sommesso bussare alla porta, seguito da una figura che si rivelò essere Hanji. La donna vide il capitano in piedi, che le dava le spalle rivolto con lo sguardo fuori dalla finestra.
“Come è andata?” chiese titubante.
“Non bene.” Fu la risposta lapidaria dell’uomo. L’amaro nella sua voce colpì Hanji, che gli si avvicinò e gli pose delicata una mano sulla spalla.
“Vedrai che gli passerà. È normale che adesso provi rabbia, dolore, ma sai che non lo perderai. Lui è dalla nostra parte, vuole sconfiggere i giganti tanto quanto lo desideriamo noi, e adesso è ancora più motivato.”
“Io non temo di perdere il soldato, Hanji. Io ho paura di perdere l’uomo e l’amico.”
La caposquadra comprese a fondo i sentimenti del capitano e provò un forte senso di impotenza.
“Il tempo riuscirà a guarire le sue ferite, anche quelle profonde come la perdita dei suoi amici.”
Erwin la guardò e stirò le labbra in un debole sorriso senza allegria.
“Il tempo, Hanji, è l'unica cosa che noi non abbiamo.”

*

Quando Levi rientrò nella sua stanza, era arrabbiato.
Misurava la camera a grandi passi, alla stregua di una tigre in gabbia, e non sapeva come mettere a tacere l’insistente voce che gridava nella sua testa e che lo spronava a fare qualcosa.
Qualsiasi cosa.
Improvvisamente, quasi a volerlo aiutare, il cervello gli fece balenare dinanzi agli occhi la conversazione avuta con Eren nella foresta, mentre correvano a cavallo.
“La differenza di giudizio tra te e noi è dovuta alle diverse regole che vengono dalle esperienze passate, ma non devi fare affidamento su una cosa del genere. Fai la tua scelta: crederai in te stesso o ti fiderai di me, di loro e della Legione Esplorativa al completo? Non so che opzione dovresti scegliere. Non potrei mai aiutarti a farlo. Non importa quale criterio di scelta ti porterà a decidere, nessuno potrà dirti se è giusto o sbagliato finché non arrivi ad una qualche conclusione, che sarà il risultato della tua decisione. L’unica cosa che ci è permessa, è di credere che non rimpiangeremo la nostra scelta.”(*)
Seppe quindi cosa fare.

*

Le strade erano buie e deserte. Arrivare al muro non risultò un’impresa difficile, non per uno come lui. Nella sua vita passata si era adattato in fretta alle circostanze, era diventato scattante, rapido, acuto. Grazie all’equipaggiamento per la manovra tridimensionale riuscì a trovare appigli nel muro e ad arrampicarsi fino in cima. Aggirò le sentinelle di guardia con facilità e, con la stessa agilità mostrata in precedenza, si calò fuori dalle mura.
Di notte dei giganti non c’era nemmeno l’ombra, quelle immonde bestie si nutrivano solo di luce solare.
Prese a correre per allontanarsi velocemente dal muro.
Aveva tempo fino all’alba per svolgere la sua missione e non aveva dubbi che ci sarebbe riuscito.
Corse fino a perdere il fiato dai polmoni, sentire i muscoli delle gambe bruciare e il fianco sinistro dolere.
Ricordava la strada con una precisione sconcertante, il posto in cui giacevano i corpi della sua squadra.
Con la sola luce bianca della luna, Levi arrivò nel luogo in cui si trovavano.
Ancora ansimante per la corsa, si fermò ad osservare quello che restava dei suoi uomini: Gunther era ancora legato al filo della manovra tridimensionale che lo rendeva simile ad una macabra marionetta i cui fili erano stati recisi.
Recisi come la sua gola.
Di Erd non restava altro che un mezzobusto dilaniato. Auruo giaceva con il viso sull’erba, ma anche nella morte serbava la grandezza di un guerriero indomito. Sembrava stesse semplicemente riposando dopo una battaglia.
E Petra.
Vederla in quello stato gli fece stringere ogni fibra del suo essere.
Era stata messa in ginocchio, contro una corteggia dura e gigantesca, con le labbra dischiuse, il viso coperto da sangue incrostato e le braccia che pendevano inermi.
Si avvicinò per primo a lei, la gentile, dolce Petra Ral.
Con la complicità della notte il sangue rappreso appariva nero come la pece, rendendogli quel compito meno gravoso.
Si abbassò al suo livello e, per la prima volta, la strinse tra le braccia.
Era fredda, Petra. Gelida come la neve d’inverno.
I suoi capelli si erano spenti, la vivacità e la cortesia avevano abbandonato i suoi occhi luminosi. Il suo volto era pallido e non sarebbe più arrossito di rabbia o di imbarazzo.
Era così fragile, Petra. Ridotta ad un piccolo ammasso di ossa frantumate e lividi, una bambola di pezza inerte ed indifesa.
Levi si sentì sollevato del fatto che suo padre non l’avesse vista in quello stato.
Che nessuno delle famiglie dei suoi uomini li avesse visti come erano adesso.
Dovevano conservarne un bel ricordo.
Il caporale sollevò la ragazza tra le braccia e la depose al centro della radura e recuperò poi tutti gli altri componenti del team.
Con un coltellino tagliò loro una ciocca di capelli, che avvolse con cura in un fazzoletto, e le ali della libertà dalle divise.
“Queste ali finte non vi servono più. Ne avete di vere adesso.” Disse con amarezza.
Prese poi una bottiglia che portava con sé e ne versò il contenuto sui corpi, dopodiché estrasse dalla tasca una scatola di fiammiferi e ne accese uno.
“Grazie per essere stati la mia squadra e per aver avuto fiducia in me.”
Gettò il fiammifero ed il liquido infiammabile si incendiò velocemente.
Levi rimase a guardare il diffondersi del fumo ed il fuoco che inghiottiva i suoi uomini.
Il rimorso lo cullò come un padre sadico e crudele.
Dopo un lasso di tempo che parve essere infinito, si voltò e riprese a correre verso la città.
 
*

Quando rimise piede sull’acciottolato della strada, mancava ormai poco all’alba. Si incamminò piano verso il quartier generale, pensando al fatto che, una volta giorno, sarebbe andato dalle famiglie dei suoi uomini a consegnare lo stendardo che aveva riportato dalla foresta.
Fu però una figura ad attirare la sua attenzione: un uomo anziano che camminava mesto per la strada. Lo riconobbe subito.
“Signor Ral, cosa fa in giro a quest’ora?”
L’uomo si voltò con espressione quasi spaesata.
“Ah, caporale Rivaille, è lei. Nulla, passeggiavo perché non riuscivo a dormire. Quando chiudo gli occhi rivedo solo il viso di mia figlia.” Affermò addolorato.
Levi rimase in silenzio, non trovando un modo per replicare.
“Vuole venire un attimo a casa? Le offro qualcosa. Possiamo anche parlare un po’, se le va.” Propose il padre di Petra sorridendogli debolmente.
“Certo. Devo anche consegnarle qualcosa che le appartiene.” Rispose l’altro.

Camminarono fino all’abitazione dei Ral, una casa modesta poco lontana da lì. Il padre di Petra gli preparò una tazza di caffè. Quando Levi lo assaggiò, constatò che era proprio identico a quello che preparava la figlia.
“Petra era davvero onorata di far parte della sua squadra, lo sa?” disse l’anziano prendendo posto accanto al caporale.
“Sì, ne ero a conoscenza. A questo proposito…” si interruppe ed estrasse dal fazzoletto la ciocca di capelli e il simbolo della Legione. “…questi appartenevano a sua figlia.”
L’uomo li afferrò con mano tremante, e gli occhi gli si riempirono di lacrime.
“Q-questi sono, erano…” si corresse prontamente. “…di Petra. Pensavo non potessi avere niente di suo…Caporale, lei è andato a…prenderli?”
“Sì.” Alitò lui. “Se non l’ha notato sono sporco di terra e puzzo di fumo.” Brontolò e la cosa fece sorridere il padre della ragazza.
“Non ci avevo fatto caso, ma adesso che me lo fa notare sì, è così.”
Nella pausa che ne seguì, entrambi bevvero un sorso delle loro bevande.
“Sa, il mio cruccio era davvero quello di non poterla onorare senza qualcosa di speciale che le era appartenuto da seppellire. Ma ancora una volta si è preso cura di lei. La ringrazio infinitamente, caporale. So che Petra era la roccia della vostra squadra, un collante. Faceva in modo da mostrarsi forte e compassionevole allo stesso tempo. Voleva rendersi utile e non essere un peso per lei.”
“Le assicuro che non lo era. Era una delle persone migliori che abbia mai conosciuto.” Disse sincero.
L’uomo ne convenne.
“Lo era davvero. Per questo non mi sarei opposto se aveste deciso di sposarvi.”
Quella confessione inaspettata quasi fece andare di traverso il caffè al caporale.
“Io…” esordì senza sapere esattamente cosa dire. Non aveva mai pensato a Petra in quel senso.
Con lei era stato giusto, non carino.
Era stato corretto, non galante.
Era stato rispettoso, non dolce.
Era il suo superiore, e lei una subordinata verso la quale nutriva stima e fiducia.
Rifletté che forse, in altre circostanze, le cose avrebbero potuto prendere una piega diversa. Ma non avrebbe mai avuto modo di saperlo.
“Ho una richiesta da farle, caporale Rivaille.”
Levi gli fece cenno di proseguire, e questi continuò.
“Faccia in modo da mantenere vivi i sogni di mia figlia, quei sogni fatti di memorie, immagini, speranze. Faccia sì che non sia morta invano.” La voce era rotta di pianto, e le lacrime gli rigavano le guance emaciate.
Di fronte alla commozione di quel padre, il caporale fece appello ad ogni briciolo della sua forza ed annuì con vigore.
“Farò tutto ciò che posso, è una promessa.”
“Grazie, davvero.”
“Ora dovrei andare, ho delle altre cose da sbrigare.” Rivaille si congedò, imboccando la porta.
“Certo, ha ragione, sono stato un maleducato.”
Levi gli agitò una mano davanti agli occhi, come a dire che la cosa non aveva importanza.
Quando uscì fuori, il cielo si stava lentamente rischiarando.
“Torni a trovarmi quando vuole.”
“Grazie per il caffè.” Replicò Levi con un leggero movimento del capo.
“Ah, e caporale, un’ultima cosa.”
Si fermò e attese le parole dell’anziano.
“Noi non seppelliamo mai i morti, non proprio. Li portiamo con noi. È il prezzo della vita.” (**) L’uomo strinse al cuore le ali della libertà con i capelli di Petra.
“L’unico modo per andare avanti è andare avanti. Dire lo posso fare anche quando sai che non puoi. (***) Vada avanti, tutti dobbiamo farlo.”
Si voltò e andò via.

*

Era quasi arrivato al quartier generale quando si fermò ad ammirare l’alba nascente.
Era da tempo che non lo faceva.
La notte era stata lunga ed il giorno si prospettava essere altrettanto lungo. Si sedette sull’erba, -“Tanto ormai sono già sporco.” Pensò tra sé e sé -, e restò a guardare.
Nel cielo c’era uno spicchio di sole color bronzo luminoso, circondato da nuvole picchiettate di tonalità calde di arancio, giallo, rosso e rosa. Notò che quel sole risplendeva della stessa sfumatura dei capelli di Petra quando erano toccati dal riverbero della luce.
I suoi occhi penetranti, cerchiati da quelle occhiaie sempre più profonde, continuarono a fissare quello spettacolo, e la sua mente non smise un attimo di rimuginare sugli ultimi avvenimenti. Pensò che avrebbe dovuto fare un discorso diverso alle reclute. Non uno dei discorsi di Smith sulla grandiosità della loro legione o sui loro compiti.
Avrebbe dovuto istruirli sul lato più oscuro dell’essere un soldato:
“All’accademia non ti insegnano cosa dire a qualcuno che sta morendo. Non ti insegnano a leggere la mente del nemico. Non ti insegnano a dire ad un padre che suo figlio non tornerà più. Non ti insegnano il peggio che si debba sapere. Essere un soldato è come entrare in un labirinto senza conoscere dove si trovi l’uscita. È tutta una questione di scelte: uccidere o essere uccisi, combattere o soccombere e, nell’incertezza, improvvisare, procedere a tentoni. Quando si trova una via bloccata bisogna tornare indietro e prenderne un’altra. E a volte, la via che sembra più facile non è la più giusta.”
Un raggio di sole gli colpì occhi e lo distolse dai suoi pensieri. Si alzò e, ignorando le condizioni disastrate dei suoi abiti, si avviò verso l’entrata della base.
Nulla sarebbe stato come prima, lo sapeva bene.
Ma lui non si sarebbe arreso.
Avrebbe combattuto per i sogni futuri, i compagni, le promesse alle quali era legato.
E la luce dell’alba non lo avrebbe mai abbandonato.

We’ll have the days we break
And we’ll have the scars to prove it
We’ll have the bomb that we saved
And we’ll have the heart
Not to lose it
One Republic – Marchin on

[Avremo dei giorni in cui ci (sentiremo) spezzati/ E avremo le cicatrici per provarlo/ Avremo la bomba che abbiamo salvato/ E avremo il cuore/ Da non perdere]

Note

(*) Questa parte è presa direttamente dal manga.

(**) Citazione dalla serie Sleepy Hollow.
(***) Citazione di Stephen King.

***
Eccomi di ritorno con la seconda one shot in questo fandom. Che dire, mi frullava già da un po’ l’idea di scrivere qualcosa su Rivaille, spero di essere riuscita a renderlo bene e a non farlo andare eccessivamente OOC. In tal caso segnalatemelo, mi servirà per l’avviso nella presentazione della storia, e per correggere il tiro semmai decidessi di scrivere di nuovo su di lui.
Sono stata ispirata da due canzoni in particolare, ve le lascio qualora abbiate voglia di ascoltarle: One Republic - Marchin on e One Republic - Mercy
Bene, a meno che non venga presa da un “attacco di scrittura”, chiudo il 2013 con questa storiella su un personaggio che mi ha molto colpita e spero che presto la sua storia venga approfondita :D
Se la shot vi è piaciuta, fatemi il regalino post natalizio di un vostro parere, vi auguro in ogni caso un buon proseguimento di feste ed un felice anno nuovo! Qualora voleste restare ancora in mia compagnia, fatevi un giretto sulla mia pagina autore, non si sa mai che troviate qualche altra storia interessante.
A presto e grazie!

  
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