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Autore: Columbrina    28/12/2013    2 recensioni
Post Final Fantasy XIII-2
Stanotte Yeul era mia. Solo mia. Né Caius né nessun altro avrebbe cambiato le carte in tavola.
“Serah…”.
Già, nessuno di loro le avrebbe cambiate perché ci avrei pensato io.
“Che hai detto, Noel?”.
Che bugiardo che ero.
Certo che avevo stretto tra le mie braccia qualcosa di più prezioso e fragile.
Sia tu maledetto, Snow Villiers; sia tu maledetta, Lightning. Siate maledetti tutti. Sia maledetto io per aver cercato di trovare sollievo in un qualcosa di altrettanto puro.
L’avete uccisa. E io sono stato complice dell’assassinio.
Noel\Serah; accenni Noel\Yeul e Caius\Yeul; Snow\Light
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sera


#
 

Giammai tra le mie braccia avevo stretto qualcosa di più prezioso e fragile.
Ho vissuto per così tanto tempo, eppure non riesco a ricordare momento in cui il mio cuore ha palpitato così per quel profumo inebriante che avevo imparato a conoscere e a cui le mie narici si erano abituate, ma che stanotte mi sembra più afrodisiaco del solito; mai avrei pensato che i nostri petti sarebbero stati così vicini al punto da giacere l’uno sull’altro o che le mie dita scivolassero tra i suoi seni piccoli, ma prosperi della vita che si risvegliava in me; era una donna, ormai, intrappolata nel corpo di una ragazzina acerba e maliziosa; e i capelli, puro fulgore, dalla beltà simile a quella di un campo di violette, rigogliosi e fluenti tra gli incavi delle mani, di strumenti di una passione che si faceva sempre più impellente.
Era difficile per me essere cauto, specie considerando il fatto che la bramavo da troppo tempo, ma pensavo che se avessi seguito i ritmi dettati dal mio istinto, avrei finito per consumarla o peggio ancora… Spaventarla.
Era piccola, preziosa e fragile.
Piccola, sì; un piccolo spiraglio di vita incatenato a una maledizione che le aveva portato via la capacità di scegliere da sé come cambiare il proprio futuro; era piccola anche su di me. Non riesco a ricordare giorno in cui non abbia avuto paura di profanare quel corpo puro, piccolo, fatto di carne, ossa e spirito. Uno spirito che sibilava attraverso i mugolii sommessi, che cercavo di fomentare solo per sentire la sua voce, che era stato per me una speranza quando credevo che non ci sarebbe stato più futuro. Anche i suoi piccoli occhi erano chiusi; si fidava ciecamente di me.
Era preziosa, la mia Yeul. Ho passato la mia vita nel cercare di proteggerla, perché era l’incarnazione di qualcosa che mancava nel mio mondo: la speranza, la luce, tutto ciò da cui non potevamo trarre sostentamento per l’anima. L’uomo è fatto di carne e ossa, ma è l’anima che tiene su il tutto; altrimenti, sei alla stregua di un fantoccio. E quando me l’avevano portata via… Il tempo aveva portato via me.
E piangeva. Anzi, prima aveva pianto. Nella sua fragilità, si era sentita strappata al suo di sostentamento. E mi sono sentito davvero in colpa: ero stato egoista, a mio modo. Volevo salvarla per rendere il mondo un posto migliore e avevo biasimato Caius, credendolo migliore di me, quando in realtà lui voleva distruggere tutto per costruire un posto migliore per lei. Il fine giustifica i mezzi, no?
Io avevo seguito la strada al contrario, finendo per incrociarla, senza mai sfiorarla, senza mai che le nostre anime si sfiorassero; quando credevo che i nostri cuori potessero ricongiungersi di nuovo, l’ho lasciata a dormire eternamente, nella sua ultima rinascita prima che si trovasse accanto a me, stanotte. Ma non fu colpa mia, dico davvero. Yeul sapeva che non fu colpa mia.
Forse fu colpa sua…
Anche se non avrebbe mai fatto nulla per farmi del male. No, la conosco abbastanza per poterlo dire. Ma di qualcuno doveva essere la colpa… Qualcuno o qualcosa, non mi importa granché. Ma devo capire cosa mi ha spinto ad andare via da Yeul quando l’avevo tra le mie braccia; quale obiettivo era più grande di lei.
Quel prezioso germoglio stava per fiorire stanotte; non riesco a capacitarmi di quanto sia bella, anche con i capelli un po’ scarmigliati dalla mia passione, anche senza la sua dolce voce a fare da sottofondo alle melodie della mia giornata. Si fa più audace; posso vedere le sue labbra avanzare voracemente verso le mie e baciarle con lo stesso trasporto dei battiti reciproci dei nostri cuori. I nostri petti sono talmente vicini che riesco a sentire il suo che cerca di fuggire per congiungersi con il mio.
Stanotte era mia. Solo mia. Né Caius né nessun altro avrebbe cambiato le carte in tavola.
“Serah…”.
Già, nessuno di loro le avrebbe cambiate perché ci avrei pensato io.
“Che hai detto, Noel?”.
Che bugiardo che ero.
Certo che avevo stretto tra le mie braccia qualcosa di più prezioso e fragile.
Sia tu maledetto, Snow Villiers; sia tu maledetta, Lightning. Siate maledetti tutti. Sia maledetto io per aver cercato di trovare sollievo in un qualcosa di altrettanto puro.
L’avete uccisa. E io sono stato complice dell’assassinio.

 

***


Avevamo salvato il mondo. Lo ricordo molto bene.
Eravamo atterrati sull’areonave guidata da Sazh che, con tempismo, aveva impedito che diventassimo delle frittate. Le ho teso la mano e lei l’ha presa, cadendo con graziosa goffaggine e aveva strofinato il naso sulla gota paffuta di Mog, che le faceva mille moine per farsi coccolare e anche per ristorarsi dopo la faticosa vittoria appena conseguita.
La città si stagliava in un trionfo di colori simili a quelli di un’alba grandiosa, un amplesso tra il rosato e l’azzurro del cielo estivo; un futuro che andava oltre i rispettivi orizzonti e che si stava aprendo davanti a noi con la stessa naturalezza con la quale ci abbracciammo, prima dell’improvviso arrivo di Hope. 
“Grazie” aveva detto, in un soffio. Non la biasimai; era stanca morta; eppure le nostre anime riuscivano a reggere i pesi delle rispettive parole, dei gesti repressi e dei sorrisi dei nostri occhi e delle nostre labbra.
“Abbiamo salvato il mondo; ce l’abbiamo fatta”.
Ero così felici che non pensai a Caius, a Yeul. Ora che avevamo una casa, forse, sarebbero rinati entrambi, con obiettivi e propositi diversi; magari Yeul si sarebbe innamorata sinceramente di me.
Quando arrivò Hope, lei si staccò dolcemente da me, gli sorrise e corse ad abbracciarlo.
Non ricordo perché, ma non riuscii a fare nulla se non contemplare la felicità che traspariva dal suo esile corpo, dai gesti un po’ indeboliti dalla fatica, ma carichi della stessa intensità della purezza del suo cuore. Mog mi diede un colpo sulla spalla con la bacchetta e Hope mi sorrise come se avesse capito qualcosa che non era chiara neanche a me, sebbene fosse così palese.
Trascorremmo insieme le successive settimane, prima che si ricongiungesse definitivamente con sua sorella e Snow. Sazh continuava i rodaggi dell’areonave con il piccolo e poi cercava di convincere Hope a costruire un allevamento di Chocobo ad Academya per poterci portare Dahj, che adorava così tanto quei pennuti gialli; mentre Hope continuava le ricerche, occupandosi anche delle questioni burocratiche di Academya e ascoltava le assurde e utopiche richieste di Sazh, annuendo con condiscendenza; Mog aveva trovato nel piccolo Chocobo annidato nella cespugliosa capigliatura di Sazh un buon compagno di giochi.
Era inevitabile che io e Serah trascorressimo tanto tempo insieme, costretti all’emarginazione su un’areonave. A discapito dei primi giorni a New Bodhum, vedevo Serah singolarmente felice, poco presa dal pensiero di Snow e dalla nostalgia della sorella, conscia anche del fatto che, a breve, li avrebbe riabbracciati. Lei, però, diceva che era felice; felice del fatto che non aveva dato ascolto a Lightning.
Io non capivo. Non capivo ancora che anche lei aveva rinunciato a ciò che aveva sempre cercato fino a quel momento, solo per starmi accanto e aiutarmi a creare un futuro migliore. Ancora una volta, i miei propositi egoistici avevano coinvolto altre persone. Ma lei non sembrò rinfacciarmelo; lei non sembrò versare lacrime durante la notte; sprizzava vitalità e anche una  certa impazienza; dava una mano in cucina e a volte l’aiutavo a lavare i piatti, prendendo le abitudini del loro tempo, ma puntualmente finivamo per bruciarci reciprocamente gli occhi con il sapone, sotto gli occhi divertiti di Dahj e Mog che tentava di frapporsi tra noi due,  in difesa della sua piccola protetta.
A sera, andavamo a dormire tardi. A volte, restavamo a parlare fino all’alba.
“Mi togli una curiosità, Serah?” gli chiesi una sera. Era passata mezzanotte, poco ma sicuro; aveva i capelli più scarmigliati del solito e, a detta di Hope, somigliava molto a sua sorella; l’armatura da combattimento aveva lasciato il posto a una mise più pratica: una semplice maglietta che le stringeva un po’ all’altezza del seno e dei semplici pantaloni scuri, ai piedi delle belle scarpe basse che le lasciavano scoperto un lembo di pelle. Alle orecchie, aveva gli orecchini a forma di gatto che le vidi anche la mattina dopo esserci incontrati, così, di sfuggita. Tutto qui.
Ci misi un po’ per capire che aveva annuito in modo da lasciarmi parlare.
“Abbiamo vinto, abbiamo salvato il mondo e il futuro; il che vuol dire che i paradossi non dovrebbero esserci più, giusto?”.
Annuì.
“Ebbene, io non sono di questa epoca. Eppure… Perché sono ancora qui?”.
Sul viso di Serah si stampò un’espressione interrogativa, neanche stessi dicendo un mucchio di sciocchezze; a pensarci meglio, forse, era l’espressione di chi si trovava di fronte a un qualcosa di abbastanza ovvio.
“Se non sei ancora scomparso, vorrà dire che, forse, non sei nel posto sbagliato”.
“Non capisco. Il mio posto è nel futuro… Sono tornato indietro per cambiarlo e rinascere di nuovo, per fare in modo che anche Yeul e Caius fossero al sicuro e, magari, le cose sarebbero potute andare diversamente”.
Mi strinsi un lembo dei pantaloni.
“Forse, eri nato in un’epoca ingiusta per te. O cambiare il passato, ha cambiato anche i tuoi tempi. Anche i miei sono cambiati, se ci pensi. Ora Hope ha fondato questa nuova città, Lightning e Snow stanno per tornare a casa; tutto diverso dai tre anni che sono passati. Pensa se tutto questo non fosse accaduto o a dove saremmo ora. A volte mi chiedo come sarebbe stata la vita senza l’incontro con quella persona; nel mio caso, con te Noel. La vita è una scelta infinita di possibilità, alla fine, come nei giochi a quiz; con la differenza che non esistono risposte giuste o sbagliate, ma sta a te affrontare le insidie e assaporare le cose belle che vengono e soprattutto apprezzarle”.
Le parole di Serah, per quanto veritiere e profonde, però, non riuscirono ancora a dissipare i miei dubbi, più fitti della nebbia mattutina. Se ne accorse, perché non disse nulla e mi lasciò pensare a un modo per fenderla questa coltre di confusione e interrogativi.
“Io non ho scelto di vivere qui. A quanto pare, mi è stato imposto. Ma io conosco già il futuro, so già cosa succederà se l’equilibrio vacillerà un’altra volta, come se fossi una bomba a orologeria. Ma non sono ancora scomparso. Quindi, te lo richiedo Serah, perché sono ancora qui?”.
La Serah inesperta e un po’ impaurita che avevo imparato a conoscere, non avrebbe saputo cosa rispondermi o quantomeno avrebbe esitato. Come la prima sera che la incontrai; non scorderò mai quello sguardo. Era dolce, impaurito, ma diceva al tempo stesso “mi fido di te”.
Fu una sorpresa per me, vedere un sorriso quasi sornione prendere forma sulle sue labbra sottili e sul suo volto solitamente così dolce.
“Forse qualcuno ti ha voluto qui a tutti i costi”.

 

***

Ci rimuginai i restanti giorni su quella frase, riuscendo a trovare risposta solo nel fatto che fosse stato un intervento della dea Etro, credendo che fossi nato nell’epoca sbagliata e che avesse accolto la mia preghiera solo per fare in modo che i tasselli rispettassero il disegno divino che si era prefissata.
Io e Serah continuammo a parlare molto, comunque, senza che quegli interrogativi potessero in qualche modo turbarci. Delle nostre passioni, dei passatempi, in cosa eravamo bravi e in cosa no (constatai personalmente che Serah era un’ottima cuoca, ma non avevo conosciuto persona più disordinata), della nostra infanzia, dei nostri ricordi, delle storie su Cocoon, degli strambi personaggi che avevamo incontrato nel nostro viaggio, come quella commerciante che girava mezza nuda nonostante le intemperie. Mi parlò anche di Snow, di come l’aveva conosciuto e delle incomprensioni che vi erano state tra lui e Lightning…
“Forse Snow, a primo impatto, può suscitare antipatia, ma è il ragazzo più buono del mondo. Lightning è dovuta diventare un’ l’Cie per capirlo”.
“Mi stai dicendo che hanno viaggiato insieme?”.
“Non solo. Hanno anche imparato a sostenersi a vicenda, a misurarsi con le rispettive paure e i reciproci malintesi, a compensarsi… Come il giorno e la notte; l’acqua e il tuono; il fuoco e il ghiaccio. Tanto che Snow è stato l’unico a credere che fosse ancora viva”
“Come mai?” gli chiesi, singolarmente stuzzicato da una crescente curiosità.
“Un giorno, lui mi disse… Lightning? Ha la testa troppo dura per morire!” mi disse, imitando bonariamente il tono baritonale di Snow e ridendo sommessamente.
“Anche lui sembra avere la testa dura, però”
“Parli proprio come Lightning. Se rimarrai qui, potresti provare a conoscerla meglio…”.
Le lanciai un cuscino, solo per non farle vedere il leggero imbarazzo che si era colorato sulle mie guance. Rise più forte.
“Ehi! Guarda che mia sorella è una bella ragazza!”.
“Non dico questo, ma ti sembra il caso di viaggiare così tanto con la fantasia?”.
Roteò gli occhi e si abbandonò sul bracciolo del divanetto e affondandovi la testa, fingendosi imbronciata. Le carezzai i capelli e le diedi un leggero buffetto sulla guancia, tenendo fede a quella confidenza, a quei piccoli gesti intimi che si erano creati tra noi con la stessa naturalezza con cui lei si fidò di me.
Neanche ventiquattro ore dopo che Serah era riunita con la sua famiglia, quella che si sarebbe creata a breve, con Snow e sua sorella Lightning. Fui felice di vederla così radiosa, mentre Snow la baciava e Lightning sorrideva, compassata e stoica, riservata, che si vedeva attorniata dalla chiassosa felicità dei due promessi sposi. A un certo punto, Serah mi guardo e mi fece cenno di venire da lei con la testa, ma Snow la precedette, venendomi ad abbracciare con tutta la sua gratitudine: sembrò che un’enorme montagna mi stesse cingendo con le sue possenti pendici e le sue bionde cime innevate stessero pizzicando la mia fronte; e le sue gote erano attraversate da rivoli caldi e la sua voce era meno scomposta del solito.
“Grazie. Grazie per averla protetta; te ne sono grato”.
Da dietro il suo giubbotto pesante, intravidi Serah sorridere radiosa e Lightning che socchiudeva lo sguardo, mostrando un sorriso più discreto. Rimasi a guardare la luce che irradiavano gli occhi di Serah, che mi impedirono di allontanare bruscamente Snow, di guardarlo con lo sguardo dell’esperienza e dirgli “Dovevi essere al mio posto. Che razza di fidanzato ed eroe sei? Tu dovresti essere accanto a lei; tu dovresti proteggerla; tu dovresti creare il nuovo futuro con lei”.
Sciogliemmo l’abbraccio, ma non dissi molto altro; lui, di contro, mi diede una pacca sulla spalla e mi sorrise, anche se la sua radiosità non era nemmeno lontanamente paragonabile a quella di Serah. Si stiracchiò, sciogliendo tutta la tensione accumulata in questi mesi di ricerche e perdizione. Magari i miei nervi potessero sciogliersi con altrettanta facilità.
“Bene, ragazzi… L’eroe ha proprio bisogno di un riposino, è stato un lungo viaggio e gli effetti del jet lag temporale di fanno sentire”.
Scoccò un bacio sulle sottili labbra di Serah; poi guardò Lightning, fulmineo, cambiando completamente intensità nello sguardo. Intercorreva una certa tensione – non so dire se ostile o meno – nello spazio che li separava, sull’uscio della porta.
“Conviene anche a te riposarti, sorellina. Non dormire per così tanto tempo non giova alla pelle, sai?”.
“Parlare a vanvera come fai non giova neanche a te, sai?”.
Serah rise, come si fa davanti a una scena che si è rivista continuamente, solo ogni volta con parole diverse. E la curiosità che era nata dai racconti di Serah iniziò a essere sempre più chiara.
Fu solo quando Snow iniziò a diventare meno loquace nei giorni successivi, a torturarsi le mani e sudare freddo che la curiosità iniziò a tramutarsi in sospetto.
Il sospetto divenne realtà solo quando Snow ammise, a testa bassa, che aveva scelto la Farron sbagliata.
Sentii un’improvvisa sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco, come durante una caduta libera, in quella frazione di tempo che separa il volo dallo schianto. Gli dissi di lasciar perdere immediatamente Serah, di lasciarla e di andare il più possibile lontano da lei; non meritava altre sofferenze dopo quello che aveva appena lasciato alle spalle.
“Tra me e Lightning non è mai successo niente…” mi giurò, con le lacrime agli occhi e la testa tra le mani, come se il senso di colpa si fosse esteso per tutto il corpo, non solo al cuore.
Non dissi niente; non avevo il coraggio di guardarlo in faccia. Iniziai a camminare per la stanza, sospirando e stringendomi un lembo di fronte tra pollice e indice.
“Né un bacio, né una carezza, niente di tutto questo. Neanche sesso. Mi sono semplicemente reso conto che non sono andato a cercarla per Serah, per avere da lei la benedizione per sposarci; l’ho fatto perché dovevo trovarla, dovevo dirle come stavano le cose nella mia testa, nel mio cuore. Quando gliel’ho detto, credevo mi avrebbe dato un pugno… O urlato contro. Invece è scoppiata a piangere…”.
Ecco lo schianto. Ed è vero ciò che si dice: le ossa si sgretolano come grano in mano al vento; il cuore è un acino da schiacciare. Snow singhiozzava, in un angolo remoto della mia coscienza. Dai racconti di Serah, Lightning non era mai stata incline al pianto; nella sua vita, aveva pianto due volte. E per tutte e due le volte, Snow era presente. Non perché, almeno la prima volta, fosse causa del suo pianto, ma perché riusciva a tirare fuori le sue vulnerabilità come una penna dall’astuccio.
“A piangere, capisci? Solo lì l’ho abbracciata. Abbiamo promesso che non avremmo mai detto nulla a nessuno. Il giorno dopo, abbiamo deciso di dimenticare, comportarci come se nulla fosse successo per non turbare Serah e la famiglia felice che avremmo formato, una volta ritornati a casa”.
Lì, non ci vidi più. Gli occhi mi si chiusero; la lucidità anche.
“E credete che le cose si risolveranno così? Credi che riuscirete a passare sopra tutto questo fin quando il cuore non uscirà veramente dal petto? O credete che Serah sia una stupida? Almeno so cosa siete voi due… Due egoisti che non hanno nemmeno minimamente a cuore il suo bene. Come puoi vivere accanto a lei, se di notte sogni sua sorella? E come fa Lightning anche solo a guardarsi allo specchio. Come fate entrambi?”.
Diedi un calcio al muro, abbastanza violento da creare una sorta di livido cianotico al biancore della vernice, spoglia e immacolata e, ora, anch’essa deturpata. Ero come guidato da una furia cieca; se non ci fosse stata quella morsa di prudenza a trattenere ogni mio istinto, probabilmente quella sarebbe stata l’ultima volta che avrei visto l’espressione colpevole di Snow, ora più rilassato, come se avesse capito qualcosa che era conosciuto a tutti tranne che a me.
Si sedette sul divano, la testa ancora bassa e i lunghi ciuffi biondi che gli ricadevano fin sopra le palpebre, coprendogli praticamente tutto il viso fino alla fronte, come sfibrati, come stanchi, privati della loro linfa; avrei scommesso che anche gli occhi non erano per niente vivi, se non lucidi per le lacrime.
“Proprio tu vieni a dirlo a me, Noel?”.
In quel momento, avrei voluto che quella morsa smettesse di premere sulla mia carne e sulla mia volontà, anche solo per togliermi la soddisfazione di dare un pugno a Snow Villiers. Poi, avrei capito che gli sarei stato grato: paradossalmente, sarebbe stato proprio lui a diradare la nebbia di dubbi e interrogativi che mi avevano assillato in queste settimane e darmi il coraggio di confrontarmi con me stesso, la stessa notte, quando andai a dormire.
“Che vuoi dire?” dissi, bruscamente.
Snow mi sorrise e, con una calma che non avevo mai sentito nella sua voce, mi aprì gli occhi.

 

 

***


A qualche mese dal suo matrimonio, ci rivedemmo. Non fu un qualcosa di programmato, almeno da parte sua. Venni a New Bodhum con il solo intento di salutarla e darle i miei migliori auguri e, soprattutto, sperare che stesse bene, che fosse felice, che la bolla della menzogna non fosse ancora scoppiata.
Appena entrai, mi sentii assalito dal brusio della gente indaffarata misto ai sospiri delle onde, che ben si confacevano alla sua immagine di ridente cittadina marittima e al suo orizzonte che sembrava infinito, con i colori di una mattina che non conosceva la tristezza.
Riconobbi alcuni volti familiari: Maqui, attorniato dagli occhi curiosi dei bambini che lo vedevano cimentarsi nei suoi miracolosi assemblaggi; Yuj, con accanto Snow, che osservava divertito Lebreau che dava il benservito a Gadot; al molo, intravidi Lightning che trafficava con il coltellino e sembrava estraniata dalla commistione di suoni che ravvivava la mattina di New Bodhum, sembrava fosse stata estrapolata da un altro contesto, come se il suo triste cuore fosse altrove. E Snow la osservava. Se mi fossi avvicinato e avessi visto l’intensa lucentezza del suo azzurro, probabilmente, la rabbia che mi prese in quel momento, sarebbe svanita all’istante.
Non doveva farsi scoprire; non doveva saperlo nessuno.
“Snow, micetta, torna qui!”.
La sua voce si librò subitamente in aria, squarciando la commistione di suoni e la tensione che mi soffocava nel petto. La gatta mi colse impreparato e non potei impedirle di farmi sussultare.
“Noel…”.
Alzai lo sguardo dalla gatta, che si era trovata uno spazio in cui fare le fusa, e incrociai gli occhi di Serah, più vividi che mai; dallo sguardo sembrava cresciuta, eppure nel modo di vestirsi o chiamare la sua gatta, non aveva perso la verve giovanile e acerba con cui l’avevo conosciuta. Al dito portava una fedina simbolica, nulla di appariscente; almeno rispetto alle due collane che portano marito e moglie.
Intanto, le rivolsi un sorriso pacato.
“Ciao, Serah” dissi. Poi presi in braccio la gatta, la lasciai miagolare un po’ e gliela porsi.
“Sei proprio una monellaccia, Snow” la canzonò con fare lezioso; poi si rivolse a me: “Le sei sempre piaciuto. Non l’avevo mai vista fare le fusa a qualcuno che non fossi io, o Yuj. Allontana perfino Snow, che porta il suo nome” e rise spontaneamente. Venne da ridere anche a me.
“Beh, anche lei mi è sempre piaciuta”.
E presi a carezzare le piccole e pelose orecchie della gattina, facendola miagolare di gioia; non faceva altro che chiedermi di continuare a giocare con lei, mentre Serah sorrideva divertita. Snow e gli altri sembravano non averci notati affatto.
Fu solo quando Serah intimò alla gatta di tornare subito in casa, che riuscii a bearmi delle sensazioni che mi suscitava, anche solo guardandola, con solo gli sguardi che si sfioravano e cercavano il fatidico punto d’incontro. Mi dimenticai perfino per cosa ero venuto a New Bodhum.
“Qual buon vento ti porta qui, Noel?” mi chiese a bruciapelo.
Ecco, la domanda che non doveva pormi. Improvvisai; non avevo tempo per rimuginarci.
“Sono di passaggio. Poi volevo salutarvi; me ne vado stasera stessa”.
“Oh, capisco”.
Un lampo di delusione balenò nel suo sguardo, come se sperasse realmente di avermi nel suo futuro, come mi aveva confidato una volta. Era grazie a lei se sono riuscito a diventare un tassello che si incastrava perfettamente in questo tempo.
“Puoi fermarti quanto vuoi, però. Il covo del Nora, beh, lo conosci, ma sono sicuro che un altro posto lo troviamo di sicuro. Stiamo costruendo casa appena fuori città, quindi fino a quando i lavori non verranno ultimati, vivremo insieme a tutti gli altri. Lightning non ne è entusiasta, ma le ho promesso che non appena la casa sarà pronta, verrà a vivere con noi”.
Un nodo si strinse intorno alla lingua su cui era poggiato il segreto, che bruciava più del fuoco dell’inferno e non volevo fare altro che metterlo fuori, finendo per distruggere tutto intorno a lei: la casa, le placide mattine a New Bodhum, la gatta, la fedina… Tutto sarebbe andato distrutto per poche parole.
Snow ama Lightning. Lightning ama Snow.
Non potevo sacrificare tutto per mero egoismo. Quindi sorridevo e ascoltavo, mentre la neve discendeva sul mio cuore e colpiva come un fulmine, ogni volta che si adagiava sul vuoto tessuto.
“Vieni a trovarci quando la casa sarà pronta; potresti restare per una notte e confermarci che le camere degli ospiti siano comode” e rise di nuovo.
Rideva molto e questo era un buon segno. Non sapeva niente.
Però non stava andando bene: più si sarebbe adattata a quella beatitudine coniugale e più avrebbe tenuto gli occhi chiusi, più difficile sarebbe stato il risveglio. Il risveglio di quando ti ritrovi sudato e ansimante dopo un incubo, come il mio quando mi resi conto del destino infausto mio, di Yeul e Caius o di quando mi ritrovai nel Valhalla, credendo che fossi morto.
Speravo con tutto il mio cuore che Snow l’avrebbe delusa negli anni a venire. Non per egoismo, ma perché così il risveglio sarebbe stato meno brusco, quando sarebbe arrivato il momento.
Lui e Lightning erano forti, sì, ma dove si è disposti ad arrivare con l’amore per mezzo? Per quanto potranno difendersi ancora? Per quanto potrò difendermi io?
“Devo andare ora, Serah”.
“Ma stasera fanno una festa in spiaggia! Ci sono tutti!”.
“Non posso, davvero, però verrò a trovarti presto”.
“Promesso?”.
“Promesso, eccome”.

A te Snow, non prometterò che rimarrò in silenzio per sempre. Non posso sopportare il fatto che la lascerai vivere in una menzogna. So che ti chiedo qualcosa che ha dell’assurdo, ma falla soffrire. Così renderai meno doloroso il suo risveglio.
Lightning, continua a essere forte. Sei una guerriera e lo sei sempre stata; continua a proteggerla, laddove ho fallito io. E anche a te, non posso promettere che rimarrò in silenzio per sempre.
Alla piccola Snow, chiedo di restare accanto a Serah. E graffiare quell’energumeno una volta ogni tanto.

E Serah, a te voglio affidare il mio più grande segreto, che spero tu riesca a custodire nel migliore dei modi.
Mi sono innamorato di te. E non so fino a quando riuscirò a rimanere in silenzio; prima o poi riprenderò questo segreto.

   
 
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