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Autore: CinziaBella1987    28/12/2013    2 recensioni
Questo è il ritratto di una famiglia come tante; di quelle numerose, in cui tutti sanno tutto di tutti ma poi alla fine nessuno sa niente e i segreti vengono fuori nei momenti meno opportuni. Questo è uno spaccato di tante famiglie in cui regna tanto amore e in cui, proprio per questo si tende a tacere anziché parlare. C'è Caterina che è innamorata; Tommaso che non si assume responsabilità; Margherità che aspetta e Giorgio che invece deve ricominciare; c'è Andrea che non sa più come fare a non parlare e Ottavia e Sergio che, ignari di tutto, preparano la cena della Viglia di Natale, senza sapere che sarà una festa...col botto!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La cena di Natale

 

 

Caterina era in ritardo, come al solito; l’aereo da Londra era arrivato puntuale ma poi lei si era persa il bagaglio perchè lo aspettava sul nastro sbagliato e da lì era cominciato tutto.

Un taglio di capelli a caschetto biondi e mossi, una sciarpa di lana d’angora a maglie grosse intorno al collo e un trolley verde bottiglia che conteneva mezzo mondo, ecco come si presentava la più piccola di casa Benedetti il 23 di Dicembre, di ritorno a Roma per festeggiare il Natale in famiglia.

Non aveva molta voglia di passare le feste seduta alle numerose tavolate apparecchiate diversamente, a seconda dell’invito ma quei dieci giorni all’anno erano gli unici in cui riusciva a vedere tutti i suoi cari insieme, senza essere costretta a stabilire dei turni, dando precedenze alla nonna piuttosto che alla zia e via dicendo.

Amava la sua famiglia numerosa; amava il caos delle serate importanti, quelle in cui sua madre si metteva il mascara per ‘darsi un’aggiustata’ ma al tempo stesso sentiva una sorta di immaginario cappio al collo che si stringeva ogni volta che iniziavano le domande di rito: “quando torni in Italia?”, “Ma il fidanzato ce l’hai?” “Perchè ancora non ti sposi?”.

Era fuggita via anche per quello, per scappare dall’oppressione di una grande famiglia, in cui tutti sapevano sempre tutto di tutti ed era più facile prendere un terno secco a lotto piuttosto che mantenere un segreto. Lei non era predisposta, come tutti gli altri, verso la condivisione di fatti privati; preferiva di gran lunga tenersi per sé le novità che riguardavano la sua vita: non comunicare il nome del ragazzo di turno con cui si frequentava e tacere sull’ammontare delle cifre del suo stipendio, non far sapere in giro che aveva intenzione di comprare una casa a Roma non appena avesse avuto risparmi sufficienti per dare un lauto anticipo alla banca e soprattutto, tenersi per sé la cotta storica che aveva da sempre per Stefano, il migliore amico di suo fratello che, come ogni anno, era invitato alla cena di Natale che si organizzava a casa sua. Erano anni che taceva i suoi sentimenti per lui, prima perché troppo piccola, poi perché troppo impegnata con qualcun altro, ancora perché ad essere impegnato poi era stato lui. Insomma Stefano Valenti era da sempre l’uomo dei suoi sogni ma non aveva mai trovato i tempi giusti per riuscire a capire se anche lui potesse provare almeno un quarto di ciò che sentiva lei ogni volta che si trovavano insieme nella stessa stanza. Era sicura di non essergli indifferente, lo aveva capito nove anni prima quando, da sedicenne innamorata, aveva ballato un lento con lui alla festa dei diciotto anni di suo fratello; da allora le cose fra loro erano cambiate, scherzavano in maniera diversa, si stuzzicavano e quando si ritrovavano da soli, il feeling che li univa si poteva quasi toccare. Caterina ne era certa, Stefano avrebbe sicuramente lasciato uno spiraglio aperto per darle un’occasione, solo che lei dopo l’università era volata a Londra e lui non era mai andato a trovarla.

Appena fuori dall’aeroporto, la giovane figlia di casa Benedetti trovò Tommaso ad aspettarla, appoggiato alla sua Mercedes a braccia conserte e col broncio; suo fratello era una delle persone più pazienti che lei avesse mai conosciuto ma era intollerante ai suoi ritardi cronici; il penuiltimo di casa Benedetti era un tipo allegro e intelligente, con poca passione per i libri ma tantissima voglia di fare: a diciannove anni, dopo aver provato qualche esame all’università, aveva deciso che la carriera accademica non era nelle sue corde e aveva preferito di gran lunga rimboccarsi le maniche e andare a lavorare: così ora era socio e comproprietario di una piccola azienda informatica, in cui svolgeva l’attività di tecnico insieme a un paio di suoi vecchi amici, tra cui Stefano che però da contabile laureato con lode quale era, occupava una posizione più privilegiata e un ufficio grande il doppio del suo.

Nonostante fossero cinque figli, Tommaso aveva una predilezione per Caterina: forse perché erano i più vicini come età, forse perché i suoi caratteri si trovavano alla perfezione, forse perché da sempre si erano confidati e raccontati tutto ma sentiva un particolare affetto per quella sorella tutto pepe che aveva deciso di allontanarsi da casa, lasciando in lui un vuoto incredibile.

“Non puoi capire che mi è successo, fratello!” Caterina usava sempre la stessa frase d’esordio per giustificarsi per i suoi epici ritardi.

“Oh ce l’hai fatta! Credevo Londra fosse a tre ore di volo, non pensavo facessi un intercontinentale.”

“No, tu non hai idea brother!”

“La smetti di parlare così?”

“Va bene, vuoi sapere che mi è successo o no?”

“Dimmelo, se pensi che possa servire a giustificare l’ora e mezza di ritardo che hai.”

“La valigia! Tu sai che in Italia devi fare tutti gli scongiuri in lingue aborigene affinché arrivi il bagaglio giusto, no? Ebbene, io stavo per cadere vittima del sistema!”

Tommaso ridacchiò: sua sorella era uno spasso, ci sapeva fare con le parole e riusciva sempre a farsi perdonare, perchè lui non sapeva tenergli il muso.

“Ti hanno perso il bagaglio?”

“Peggio! Io stavo ad aspettare che uscisse su un nastro e lui scorreva felice su un altro! Capisci la gravità della cosa? Potevamo restare entrami lì per sempre!”

In quel momento Tommaso rise di gusto; sapeva come erano andate veramente le cose, senza che Caterina avesse bisogno di dire la verità: la sua valigia scorreva sul nastro giusto, era sua sorella ad avere sempre la testa altrove e ad essersi messa ad aspettare davanti a quello sbagliato.

“Porca vacca! Hai rischiato davvero grosso, eh?!”

Caterina gli lanciò un occhiataccia; Tommaso non se l’era bevuta, nonostante lei avesse sfoderato tutta la sua capacità recitativa di cui era in possesso. D’altronde, non c’era nessun altro al mondo che la conoscesse come il suo fratellone ed era proprio per quello che con lui si sentiva libera di poter scherzare come meglio credeva: sapeva che Tommaso non le avrebbe portato il muso troppo a lungo e anche se lei era davvero mortificata per essere sempre in ritardo, sapeva anche che con suo fratello non sarebbe stato un dramma.

“Adesso dimmi di noi Benedetti!” Ordinò la ragazza mentre salivano in macchina e si allacciavano le cinture.

“E cosa vuoi sapere?”

“Tutto quello che mi aspetta domani sera!”

“Bene, sei proprio sicura che non vuoi mangiare qualcosa prima?”

“Dici che è meglio avere lo stomaco pieno?”

Tommaso ci pensò su, sfregandosi il mento: “Uhm... Ti dico solo che la nonna ha un piede rotto, la mamma sta cucinando il capitone da due giorni e papà è latitante da quando la cucina è diventata un porto di mare.”

“Sì, decisamente ho bisogno di mangiare prima di sentire altro!”

Tommaso sorrise e in cuor suo benedisse il ritorno di sua sorella; per lui non era un buon Natale e avere qualcuno con cui ridere e scacciare per un pò i brutti pensieri era tutto ciò di cui aveva bisogno.

 

 

Giorgio guardava i bambini giocare nel grande giardino della villa sull’Appia Antica che avevano comprato lui e Letizia qualche anno prima. Erano così piccoli e così felici per quell’imminente festività che quasi si chiedeva come fosse possibile che non si erano accorti di nulla. Come era possibile che Domitilla, così allegra e vispa, non si fosse accorta degli occhi rossi della mamma? Come era possibile che Davide, così inteligente e sveglio da aver capito per primo, in classe, le divisioni a due cifre, non si fosse reso conto delle notti che lui passava sul divano?

Erano così piccoli e così felici che quasi invidiava i suoi figli. E si vergognava per quel pensiero, perché un padre non dovrebbe provare certi sentimenti verso il sangue del proprio sangue ma lui in quel momento era disperato e non si ricordava nemmeno più quando era stata l’ultima volta in cui si era sentito leggero e spensierato.

Forse quando anche lui non era altro che un bambino e giocava coi suoi fratelli, da bravo figlio maggiore, sotto l'albero di Natale, aspettando che suo padre, mascherato da Babbo Natale, portasse loro i tanto attesi regali.

“Hai intenzione di andare dai tuoi, domani sera?”

Letizia apparve sulla porta del suo studio, bellissima come sempre, in un tubino cremisi che le fasciava il corpo esile e i capelli raccolti in un’acconciatura semplice. Sua moglie era splendida, se ne rendeva ancora conto, ciò che non riusciva più a provare era quel sentimento che lo aveva spinto a portarla via da un piccolo paesino della Sicilia e sposarla, per farla sua e solo sua una volta per sempre.

Per sempre’ non era durato che un decennio e ora erano ai ferri corti, pronti a firmare le carte della separazione e a far conoscere a tutti la realtà dei fatti: lui e Letizia si lasciavano, quell’amore che aveva fatto sognare tutta la famiglia si era dissolto come lo zucchero nell’acqua e ora non era rimasta che un pò d’acqua sporca in un bicchiere, nemmeno troppo grande per contenerla al meglio.

“Certo. La cena di Natale a casa di mia madre è la tradizione e loro si aspettano che noi ci andremo.”

“Noi?” Chiese Letizia, staccandosi dallo stipite con cautela, come se temesse si potesse staccare: “Non c’è più alcun noi, Giorgio. E non vedo perchè dovrei prestarmi a questa farsa anche quest’anno.”

“Perchè è Natale, Letizia. Perchè i bambini hanno bisogno di passare questa festa con la propria famiglia, almeno finché ne avranno legalmente una.”
“Sono d’accordo. Ma non vedo perchè dovrei prendervi parte anche io!”

"Perchè sei parte della famiglia e loro si aspettano che tu ci sia. Fine della discussione."

"Fine della discussione? E chi è a dirlo? Il capofamiglia? Il padre coscenzioso o il marito premuroso? Perdonami ma sono confusa, dal momento che se siamo arrivati a questo punto è perchè hai deciso di andare a letto con la figlia del tuo commercialista!"

"Smettila. Non ho voglia di litigare."

Letizia prese un gran sospiro, scuotendo leggermente la testa, rassegnata:

"Hai ragione. A che serve? Litiga chi ha ancora qualcosa da difendere, non chi ha già distrutto tutto."

La porta si chiuse tristemente poco dopo, lasciando quelle parole ancora sospese nell'aria, pesanti come macigni.

Letizia aveva ragione, come al solito e la ferita dentro al suo petto si squarciò nuovamente, proprio come quando sua moglie aveva scoperto i messaggi poco casti che la figlia del suo commercialista gli inviava.

 

Margherita girava per la stanza da mezz'ora; non sapeva cosa fare e si sentiva uno schifo, non solo fisicamente. Non aveva idea di come era potuto succedere, di come aveva potuto sbagliare, eppure adesso si ritrovava in un mare di guai.

Il lavoro, la palestra, il corso di scalata su parete rocciosa, come poteva fare tutto, adesso?

Era afflitta, scoraggiata e soprattutto impaurita.

Era sola e quello che le stava accadendo era inspiegabile; era sempre stata attenta, sempre vigile anche in situazioni in cui di razionalità ne restava sempre poca. Non c'era spiegazione a quel disastro, eppure non c'erano dubbi: Margherita, la secondogenita di casa Benedetti e la meno incline all'idea di farsi una famiglia e di trovare l'uomo della sua vita, si ritrovava il 23 di dicembre con un test di gravidanza in mano, i capelli appuntati alla meglio sulla nuca e una moltiplicazione di cellule nella sua pancia che a breve avrebbero preso forma di un bambino. Di chi fosse però, non sapeva dirlo.

Poteva essere di Tommaso, il suo istruttore di scalata, o forse di Giovanni, quel collega del reparto consulenze che trasudava testosterone.

Ishmael.

Improvvisamente, Marghertia non aveva più dubbi: il bambino che stava crescendo nel suo utero era di Ishmael, il ragazzo magrebino che le abitava di fronte e che due mesi fa aveva passato ben tre notti di passione insieme a lei. Non ne aveva la certezza assoluta ma se è vero che le donne certe cose le sentono, lei sapeva dire perfettamente con chi aveva concepito quel figlio, anche perchè a ben pensarci era l'unico con cui aveva avuto qualche problemino tecnico di precauzioni.

Ishmael, l'unico senza una stabilità economica, pizzaiolo nella trattoria all'angolo, né un titolo di studio che potesse permettergli una scalata societaria importante. Poteva già immaginare la faccia di sua madre quando avrebbe scoperto che suo nipote avrebbe parlato francese magrebino come seconda lingua e non avrebbe mai avuto i capelli biondi di sua nonna.

Ishmael, l'unico che le aveva portato delle rose rosse dopo la prima notte.

Ishmael, l'unico che forse meritava davvero di essere padre anche se in cuor suo Margherita non era veramente sicura di volerglielo dire.

Ishmael, l'ultimo che forse avrebbe pensato di diventare genitore.

 

 

Andrea giocherellava con un segnaposto che Ottavia aveva preparato per la grande cena di Natale che avrebbe riunito tutta la sua famiglia e gli amici di sempre attorno al grande tavolo della sala da pranzo. Sarebbe persino tornata Caterina per l'occasione e di solito lei non lasciava mai Londra. Il Natale a casa Benedetti era sacrosanto, non c'era modo di scappare e anche se non volevi mangiare, se eri celiaco o avevi intolleranze strane, alla fine ti ritroavi sempre seduto con tutti gli altri a mangiare panettone o qualche altro dolce strano preparato apposta da Ottavia per chi non poteva consumare cibi commerciali.

Alla soglia dei trentadue anni, Andrea era stanco di quella solita routine e pagava il prezzo di una vita passata a raccontare bugie, a nascondersi e reprimersi, senza poter vivere la vita pienamente e in libertà come invece avevano fatto i suoi fratelli. Lui non aveva le responsabilità che spettavano a Giorgio in quanto primogenito, né l'intraprendenza di Caterina o la personalità zen di Margherita, né tanto meno l'intelligenza di Tommaso; a loro, grazie ai loro pregi, tutto era concesso, anche gli eccessi. Per lui non era così, non lo era mai stato: a tredici anni, mentre i suoi amici facevano a gara per conquistare un posto di titolari nella squadra di calcetto, lui dipingeva e tutto ciò che avrebbe voluto fare era l'accademia d'arte ma suo padre aveva riso, gli aveva dato una pacca sulla spalla e gli aveva detto che quello era un hobby, che avrebbe potuto fare un corso di disegno ma che la vita vera era altro, così lo aveva esortato a iscriversi a ragioneria alle superiori e poi - ovviamente - a economia e commercio.

Ad Andrea facevano schifo i numeri e più i giorni passavano, più lui diventava triste e reprimeva il suo essere.

Non era portato per prendere misure e imparare a memoria formule e leggi; a lui piacevano i colori, le sfumature e persino la musica classica, le opere liriche interpretate da Maria Callas e i trucchi. Amava passare le ore davanti allo specchio, a trasformarsi in qualcun altro che non avesse i suoi obblighi; in qualcuno di più leggero e frivolo, che non vivesse in bianco e nero e non sacrificasse la propria attitudine per compiacere il proprio padre.

Sergio Benedetti non era cattivo, né un padre padrone, tutt'altro: si era sempre preoccupato per il bene dei suoi figli, aveva sempre fatto in modo che avessero un futuro dignitoso e che fossero rispettati da tutti e se con gli altri quattro aveva potuto prendersi le sue soddisfazioni, lo stesso non poteva dire di Andrea, che alla fine non aveva finito l'università e si era iscritto all'accademia, finendo per innamorarsi del suo compagno di studi più giovane.

Era quella la sua natura, quella la sua vera essenza ma aveva comunque continuato a reprimerla, dicendo che se non si era ancora sposato era perché non aveva trovato la persona giusta, se non aveva lasciato la casa dei suoi era perché non c'era un appartamento che fosse degno del suo estro e che se non era entrato nell'azienda di famiglia, era perché sicuramente avrebbe rovinato un business che andava avanti meravigliosamente anche senza di lui. Quella forse era l'unica verità, perché per il resto era solo finzione: non si era sposato perchè non gli piacevano le donne e non gli era concesso sposare un uomo, anche se lo avrebbe fatto volentieri, visto che amava da due anni Antonio un ballerino di flamenco che aveva conosciuto durante un corso di ballo che aveva iniziato per gioco; non aveva lasciato casa dei suoi per paura che la verità venisse a galla e così aveva continuato a reprimersi, sperando, Natale dopo Natale, che le cose sarebbero cambiate, restando però sempre uguali.

"Andrea, tesoro, che cos'hai?" Ottavia si avvicinò a quel figlio che più di tutti la impensieriva; non era riuscita, in tutti quegli anni da quando suo figlio era diventato un uomo, a cogliere quale fosse il suo dolore. Da brava mamma attenta ai cambiamenti dei figli, sapeva che c'era qualcosa che non andava in lui eppure Andrea non era mai stato pronto a confessare a lei il segreto che si portava dentro.

"Niente mamma. Cercavo di vedere se avessi incollato bene il pupazzetto sul cartoncino del nome. Vedi che qui si stacca? Dovevi mettere più colla al caldo!"

"Andrea... Sicuro che non vuoi dirmi cosa ti affligge?"

Il ragazzo dai ricci neri guardò negli occhi sua madre, l'unica donna al mondo per cui avesse mai provato qualcosa, e una fitta gli attraversò il petto: forse questo Natale sarebbe stato diverso, forse le cose anche per lui potevano essere diverse e forse, anche per lui sarebbe arrivato il momento di essere felice.

"Mamma io..."

"Ottavia, dove hai parcheggiato la macchina?" La voce di Sergio interruppe il momento; fece ingresso nel salotto con la sua barba grigia e il cappotto a tre quarti che lasciava intravedere un pò di pancia. "Ho bisogno di prenderla per andare al supermercato, manca il vino per domani sera."

"E' qua fuori, Sergio. Ma non puoi mandarci Ingrid?" Ottavia si alzò dalla sedia accanto a quella di Andrea dove aveva appena preso posto, per seguire suo marito che intanto si era buttato alla ricerca delle chiavi della Panda di Ottavia.

Andrea sorrise amaramente: non sarebbe mai cambiato niente per lui.

 

 

La vigilia di Natale aveva colto la famiglia Benedetti intenta nei preparativi: Ottavia dava disposizioni alla domestica su come apparecchiare la tavola; Sergio parlava con Tommaso di come si sarebbe vestito per essere un Babbo Natale credibile per i bambini e questi ultimi, lasciati a casa dei nonni la mattina presto da Giorgio, prima di andare dall'avvocato divorzista, correvano qua e là per la casa, rubando le decorazioni dell'albero e gridandosi addosso a vicenda.

Erano solo le sei del pomeriggio e Caterina già non ne poteva più: aveva passato la mattinata a cercare di recuperare il jet-lag e anche se viveva a Londra e quindi non aveva affatto problemi di fuso orario, aveva adottato quella scusa per riuscire ad ottenere un pò di tregua dalle domande inquisitorie di sua madre e dormire fino a tardi; ora però era tempo di darsi una mossa, a breve sarebbero arrivati gli ospiti e lei non poteva farsi trovare in tuta, soprattutto da Stefano. Quindi si era fatta una doccia calda, lo shampoo e aveva definito meglio i suoi ricci, poi aveva infilato un tubino rosso e i suoi stivali, finendo per passare mascara sugli occhi e lucido per le labbra sulla bocca.

Si sentiva tesa ed emozionata come la peggiore delle adolescenti.

Rivedere Stefano le provocava ogni anno una vertigine e anche se a Londra era uscita con qualcuno, di tanto in tanto, non aveva mai smesso di provare qualcosa per quell'amico di suo fratello, tanto bello quanto sfuggente.

Era in salotto, cercando un modo per placcare i suoi indemoniati nipoti, quando una voce la fece sussultare:

"Guarda, guarda chi si vede!"

Caterina, mentre acciuffava al volo Davide, il più piccolo dei figli di Giorgio, si voltò di scatto e si ritrovò davanti proprio quell'unico ragazzo per cui avrebbe venduto l'anima al diavolo.

"Stefano, che piacere vederti!" Sorrise velocemente, buttò giù il bambino che bofonchiò un "ahia!" e si raddrizzò il vestito, cercando di non fare la figura della cretina completa.

"Ti assicuro che il piacere è tutto mio. Come stai piccoletta?"

Fantastico, nonostante avesse ormai venticinque anni, per Stefano lei era ancora la sorella minore del suo migliore amico.

"Tutto bene, grazie. Sono anche maggiorenne da quasi otto anni, sai?"

Quel commento le era uscito involontariamente e se ne pentì quasi subito ma consentì a Stefano di aprirsi in una risata e a lei di rilassarsi appena:

"Davvero pensi che non lo sappia? Sei la sorella preferita di Tommaso, so tutto di te."

Sposami, fu quello che pensò Caterina: "Stalker!" Fu quello che disse.

Il ragazzo rise ancora e lei non poté fare a meno di pensare a come si fosse fatto bello: le spalle, innanzitutto, erano più larghe, frutto probabilmente di qualche seduta intensiva in palestra; gli occhi chiari erano sempre gli stessi ma dentro ci si poteva leggere una maggiore consapevolezza; il sorriso affascinante invece toglieva il respiro. Quando aveva imparato a sorridere in quel modo? Quando si era trasformato in seduttore, se solo dodici mesi prima era sempre il solito amico di Tommaso?

"Vacci piano, piccoletta! Dimmi di te piuttosto, come ti trovi a Londra?"

"Bene, ci vivo da tre anni ormai! E sai che andrei anche nel Machu Pichu pur di non stare in questa casa."

Stefano ridacchiò e poi le concesse quella verità: Caterina non aveva mai sopportato l'invadenza della famiglia Benedetti e nonostante ne fosse parte integrante, aveva cercato in tutti i modi di restarne fuori. Era proprio quello che le piaceva di lei, la sua indipendenza e quella volontà di essere Caterina, prima ancora che un membro della famiglia.

"Lo so bene. E per stare lontana da loro, hai lasciato tutti noi."

Caterina ebbe come l'impressione che il suo cuore avesse fatto un capitombolo fino in fondo ai piedi, per poi risalire fino al petto aggrappandosi ad ogni singolo organo.

"Senti la mia mancanza, Valenti?" Chiese, dopo essersi ripresa e cercando di essere spigliata.

Stefano poggiò la sciarpa sul divano, poi si avvicinò a Caterina e le prese le mani; per la prima volta, la ragazza lesse nei suoi occhi qualcosa di diverso dalla solita simpatia che Stefano aveva provato per lei.

"Mi manchi da morire, ogni singolo giorno."

Caterina smise subito di sorridere; Stefano sembrava così sincero e serio che le fece quasi paura e lei non riusciva a fidarsi delle emozioni che si attorcigliavano in quel momento: poteva essere solo uno scherzo, in fondo Stefano era un burlone e lei era sempre stata l'oggetto preferito dei suoi scherzi, quindi era meglio non dare troppa importanza alle sue parole e riderci su, come aveva sempre fatto.

"Mi trovi su Skype, basta accendere la webcam e sarà come se fossi seduta accanto a te!"

"Non hai capito..." Stefano di fece più vicino e la attirò leggermente a sé.

"Eccoti qua, finalmente sei arrivato!" Tommaso e il suo tempismo fecero irruzione nel salotto, rompendo la bolla dentro cui Cateirna si era sentita con Stefano fino a quel momento; amava suo fratello ma certe volte era così inopportuno che lo avrebbe volentieri strozzato.

"Ehi, coglionazzo! Eccomi qui, non sai proprio stare senza di me, eh?"

I due si salutarono in maniera molto cameratesca, facendo così abbandonare a Caterina ogni possibilità di riprendere quella conversazione in breve tempo:

"Vieni va', che ti voglio far vedere che mi hanno regalato i ragazzi del calcetto per Natale!" Tommaso si trascinò l'amico fuori dalla stanza e lui fece in tempo a dirle:

"Ci vediamo dopo, devo dirti una cosa!"

 

 

Giorgio e Letizia erano in macchina, fermi davanti a casa Benedetti da dieci minuti; lei si era decisa a fare l'ultimo grande favore a quel marito che aveva sposato per amore e che adesso le faceva quasi repulsione soltanto perché sarebbe stata l'ultima volta e solo perchè Giorgio le aveva promesso di dire a tutti che si stavano separando quella sera stessa.

Per lei non era stato facile adattarsi a quella grande famiglia sin dall'inizio: Ottavia non era mai stata gentile con lei e aveva sempre detto, senza farne troppo mistero, che non era la donna adatta per suo figlio: troppo determinato e serio lui, troppo debole e distratta lei per andare d'accordo e costruire un matrimonio duraturo.

Infatti, dopo quasi dieci anni, il sogno d'amore le si era sgretolato nelle mani, suo marito l'aveva tradita e sua suocera avrebbe trionfato. Non le bruciava la fine di un rapporto che non aveva più ragione d'essere: ciò che davvero la infastidiva era il dover dare ragione ad una donna che, evidentemente, ne sapeva più di lei di relazioni e di come far durare un rapporto.

"Dobbiamo scendere, i bambini ci stanno aspettando." Giorgio era serio e parlava con decisione.

"Ti ricordi cosa abbiamo stabilito, vero?"

"Sì, Letizia. So bene che non vedi l'ora di dire a tutti che hai deciso di finirla qui. Che non vedi l'ora di gettare addosso a me tutta la colpa per il naufragio del nostro matrimonio!"
"Ah perchè di chi sarebbe la colpa? Non sono certo io quella che si è scopata altre persone!"

"No, hai ragione, l'ho fatto io. Ma tu dov'eri, eh? Dove sei stata negli ultimi quattro anni, Letizia? Da quando è nata Domitilla hai inventato solo scuse: un giorno eri stanca, quello dopo nervosa, poi avevi il mal di testa e poi eri troppo occupata. Da quando è nato nostra figlia non abbiamo più fatto l'amore, Letizia. Come pensi che mi sia sentito io, eh?"

Letizia ingoiò un enorme nodo che le strinse la gola, facendole un pò male. Aveva ragione Ottavia, lei non era stata una buona moglie per Giorgio e adesso lui stava girando le carte in tavola e le mostrava che non era più disposto ad addossarsi tutta la colpa del loro fallimento.

Il silenzio fu tutto ciò che seguì dopo la fine del monologo di Giorgio; nessuno dei due aveva la forza per parlare oltre, perchè in quelle frasi c'erano anni di risentimento e fatica, di delusione e rancore ed erano state sufficienti a chiudere per sempre un rapporto che era andato logorando giorno dopo giorno, per incapacità di gestione da parte di entrambi.

"Sarà meglio entrare." Suggerì infine Giorgio, facendo aprire la portiera, quando l'orologio segnava ormai le ventuno.

Sarebbe stata una lunga notte, Letizia ne era certa.

 

 

Tutti seduti a tavola, col solito rumore di argenteria, di bicchieri tintinnanti e brusii di sottofondo, i Benedetti sembravano quasi una famiglia perfetta: tutti in ottima armonia l'uno con l'altro, apparentemente felici, si scambiavano i vassoio con l'antipasto come se avessero davvero il piacere di condivedere la cena di Natale, senza segreti nascosti, amori repressi e storie in sospeso.

Tommaso guardava i componenti della sua famiglia sciogliersi sotto ai suoi occhi e per ciascuno, si chiese quale motivo avessero per ritrovarsi tutti insieme in quel modo. Per lui quella era la Viglia più triste, perchè sebbene si sforzasse di far sembrare tutto normale, di essere il solito allegrone di sempre, in realtà dentro stava morendo: da due settimane Sveva aveva deciso di lasciarlo e lui non riusciva a farsene una ragione. La amava più di ogni altra cosa al mondo, era la donna della sua vita e l'aveva persa per sempre, perché era un coglione.

Lui e Sveva stavano insieme da quasi otto anni, si erano conosciuti durante il primo semestre di università e si erano innamorati praticamente subito, vivendo dei momenti meravigliosi e provando sentimenti mai sentiti prima. Sveva era stata il suo primo, vero amore, colei che l'aveva fatto ricredere e che aveva compiuto il miracolo: aveva stravolto il suo mondo e gli aveva fatto comprendere che l'amore con una persona sola era meglio di quello occasionale; Tommaso aveva imparato a guardare ai sentimenti attraverso gli occhi di Sveva e si era lasciato andare, finendo per innamorarsi in modo quasi spudorato. Ed era ancora così, solo che - giustamente - dopo otto anni, lei gli aveva chiesto di smettere di fare i fidanzatini, voleva qualcosa di più da quel rapporto stabile; Sveva aveva deciso che era il momento della svolta per il loro fidanzamento. Insieme erano cresciuti e maturati, avevano imparato l'uno dall'altra quindi adesso avevano davanti solo due opportunità, lasciarsi o restare insieme per sempre come moglie e marito. Aveva aspettato ogni occasione possibile per cui l'arrivo di un anello fosse gradito: compleanno, anniversario, San Valentino ma niente, Tommaso non si era deciso, glissando ogni volta che si presentava l'argomento con un vago "poi vedremo, dai" che la faceva andare su tutte le furie. Che c'era da vedere? Che cosa doveva ponderare? Era sicuro di amarla, quindi perchè continuava a rimandare?
Sveva però si era stancata, aveva deciso che preferiva fare un Natale da sola, anziché in attesa ancora una volta di una proposta che tanto non sarebbe arrivata. Lo aveva lasciato in macchina, di ritorno dall'acquisto dei regali di Natale.

Era anche salita in casa, aveva salutato Ottavia e Sergio e aveva spiegato loro le sue ragioni. Era impossibile non darle ragione, i coniugi Benedetti, a malincuore, dovettero ammettere che sì, quel ragazzo era un pò scapestrato e che forse era arrivato il momento che la smettesse di fare il bambinone e si assumesse il peso di qualche responsabilità.

A pensarci ora, mentre tutta la sua famiglia era riunita per la cena di Natale, era stato un vero coglione. Sarebbe bastato così poco, sarebbe servito solo un briciolo in più di coraggio e tutto sarebbe stato perfetto, anche quella cena, dove inspiegabilmente mancava la persona che per lui era più importante di tutti.

Mentre suo padre parlava di politica, stupendosi di come la generazione di Tommaso e Caterina non fosse stata in grado di creare ideologie e movimenti, lui ebbe improvvisamente tutta la faccenda chiara sotto ai suoi occhi: doveva andare via, lasciare quella cena e recuperare il tempo perso, se fosse stato ancora possibile.

Si alzò di scatto, facendo voltare tutti verso di lui e attirando subito tutta l'attenzione su di sé; Tommaso si aprì in un sorriso compiaciuto che Caterina, ovviamente, intercettò subito.

"Tommy ma che ti prende?" Ottavia si preoccupò subito per il figlio, da brava mamma chioccia.

"Ti senti male scheggia?" Incalzò Stefano.

"So quello che devo fare." Mormorò Tommaso, più a se stesso che in vera risposta agli altri due.

"Sveva?" Chiese complice Caterina.

Tommaso abbassò gli occhi su sua sorella, seduta accanto a lui sul lato sinistro del tavolo; l'unica che aveva già capito tutto.

"Devo andare da lei, chiederle di diventare mia moglie e baciarla fino a domattina!"

Caterina si sciolse in un sorriso; non aveva mai capito perchè lui e Sveva non lo avessero ancora fatto, era convinta che si sarebbero sposati e a lei piaceva quella ragazza dai lunghi capelli color castagna, al punto da insultare suo fratello in webcam  e in due lingue, italiano e inglese, quando lui le aveva detto cosa era successo e come era finita. Caterina era stata anche l'unica a sapere quanto era stato male Tommaso nei giorni a seguire e quanto fosse ferito ancora, nonostante facesse di tutto per mostrare agli altri di stare bene.

"Vai! Vai Tommy e non ti fermare davanti a niente!" Lo incoraggiò la piccola di casa Benedetti:

"E se non vorrà ascoltarti perché è arrabbiata, tu parla lo stesso perché in realtà, dietro alle sue parole ti sta gridando di dirle tutto quello che lei ha aspettato di sentirsi dire da una vita." Continuò Stefano, lasciando Caterina senza parole.

Rinfrancato dagli incoraggiamenti di sorella e migliore amico, Tommaso ci mise due secondi a lasciare la tavola e infilarsi il giubbotto, sotto gli occhi increduli di tutti, tranne che dei due commensali che lo avevano esortato a fare una follia per riconquistare quell'amore per cui avrebbe fatto qualsiasi cosa.

"Ma che sta succedendo?" Chiese Ottavia.

"E' innamorato, mamma." Rispose Giorgio "Va a riprendersi ciò che suo finché può."

"Ma che vuoi dire? Che significa questo, Giorgio?" Ottavia proprio non riusciva a non fare domande;

"Significa che io e suo figlio ci separiamo, signora Benedetti."

Caterina sgranò gli occhi; Margherita per poco soffocò con l'acqua che stava cercando di bere da quando aveva deciso che sarebbe diventata madre e non avrebbe quindi più potuto toccare alcol. I bambini si guardarono e poi, contemporaneamente, guardarono Letizia che sorrise loro dolcemente e poi continuò: "Sì bambini, io e papà non vivremo più nella stessa casa tra qualche mese."

"Ma... Ma... Lo sapevo io che non era un matrimonio giusto!"
"Sta' zitta Ottavia!" Sbottò Sergio "Fateci capire qualche cosa anche a noi, per l'amor del Cielo!" Continuò a gridare il capofamiglia.

"Avete capito benissimo, papà. Questo è l'ultimo Natale che faremo tutti insieme, dal prossimo probabilmente ci sarò solo io o i bambini a seconda degli accordi col tribunale dei minori. Letizia ed io ci separiamo."

Un brusio confuso seguì quelle parole; Ottavia si mise le mani sulle guance, cercando di sbollire la rabbia per aver azzeccato la previsione e insieme di superare lo shock per la notizia. Caterina accarezzò i bambini che diventarono tristi all'improvviso e avrebbero odiato il Natale per il resto dei loro giorni, possibile che quei due incoscienti dei genitori non avevano pensato a loro?

Stefano si schiarì la voce, poco convinto del suo ruolo e sicuramente in imbarazzo; Andrea rimase impassibile: un divorzio era meno pesante della sua verità.

"Beh allora visto che siamo in vena, anche io avrei qualcosa da dirvi." Margherita poggiò il tovagliolo di lino bianco sulla tavola e prese aria.

"Cos'altro c'è adesso?" Sergio era visibilmente provato da quella cena, di certo non c'era niente di natalizio, fino a quel momento, con un figlio desaparecido e un altro sull'orlo della separazione.

"Aspetto un figlio da Ishmael, il pizzaiolo davanti casa mia."

"Oh Signore benedetto!" Ottavia dovette bere tutto d'un fiato il vino rosso che aveva nel bicchiere per reggere anche quel colpo; sua figlia Margherita, la più silenziosa e assennata, che seguiva la filosofia zen e faceva yoga, era incinta e di un pizzaiolo squattrinato! Il mondo aveva deciso di fermarsi e crollare all'improvviso, non c'era altra spiegazione altrimenti lei avrebbe saputo tutto prima di quella cena, non era possibile che nessuno dei suoi figli le avesse raccontato cosa stesse accadendo nelle loro vite, che lei non si fosse accorta di qualcosa di diverso nei loro comportamenti.

"Voglio tenere il bambino, mamma."

"E' una notizia bellissima!" Sorrise Caterina, l'unico collante in quella cena in cui ogni commensale sembrava cadere a pezzi dal posto che gli era stato assegnato.

L'albero di Natale luccicava, le lucine si accendevano e si spegnevano a intermittenza, a sottolineare un'armonia che non c'era, una felicità che ormai era lontana. Letizia aveva gli occhi arrossati, le veniva da piangere guardando i suoi figli così tristi; Ottavia era ammutolita: inorridiva dietro alla sua facciata di pregiudizi per quei due figli disgraziati mentre Sergio non riusciva più a respirare in maniera regolare.

"E allora adesso tocca a me." Si alzò in piedi Andrea: "Visto che la maschera dei figli perfetti è caduta ai miei due fratelli più grandi, posso finalmente liberarmi di un peso che mi opprime da trentadue anni."

"Andrea ma che cosa stai dicendo? Anche tu?"

"Sono gay, papà." Andrea non fece finire la frase a Sergio, gli sparò in faccia la verità e lui la incassò come fossero proiettili sparati a ripetizione da un fucile da caccia.

Sergio Benedetti non si era mai sentito così male in vita sua; per anni era stato convinto di aver costruito una famiglia sana e limpida, dove tutti parlavano e si dicevano ogni cosa e invece in quel momento scopriva che era fondata sui segreti, sulle menzogne e sulle bugie e la colpa era soltanto la sua e di sua moglie che aveva protetto troppo quei figli.

"Insomma adesso basta!" Urlò il capofamiglia, sbattendo le mani sul tavolo e alzandosi in piedi di scatto: "Cosa vi è preso a tutti quanti, eh? Siete forse impazziti? Caterina vuoi dire qualcosa anche tu? Vuoi dirci che resterai per sempre in Inghilterra, che ci odi e vuoi cambiare cognome?"

Caterina abbassò gli occhi sul tavolo; non aveva neanche mai pensato quelle cose.

"Veramente," azzardò Stefano "una cosa da dire ce l'avrei io."

Caterina alzò di nuovo lo sguardo su di lui, che adesso abbandonava la sedia e si avvicinava a lei, ancora ancorata al suo posto: "So che non è il momento più opportuno, che avrete un sacco di cose di cui parlare e che magari posso sembrare sfacciato ma a quanto pare stasera è passata la Verità a farci visita ed è giusto che anche io dica la mia. Ormai con voi mi sento in famiglia e la cena di Natale è tradizione. Quest'anno avevo deciso di renderla speciale per tutti voi ma credo ci siate già riusciti da soli, allora io spero di essere soltanto un'altra voce in mezzo al coro dei Benedetti."

Stefano prese la mano di Caterina, che a quel punto non capì più nulla; sentiva il cuore esploderle nel petto, il sangue pulsare nelle orecchie e non era più tanto convinta di riuscire a vedere bene, visto che il contorno di Stefano appariva un pò sfocato.

"Caterina, io credo di amarti." Disse infine il ragazzo. "E credo anche di saperlo da sempre, solo che sono un coglione e non ho mai trovato il coraggio di dirtelo. Ogni volta che torni a Londra mi si spezza il cuore e non so come ho fatto tutti questi anni senza di te. Ti amo, signorina Benedetti e se per te va bene, se non hai programmi, io verrei a fare capodanno a Londra, ti bacerei sotto la ruota e fare l'amore con te tutta la notte, per iniziare il nuovo anno cercando di recuperare tutti quelli che abbiamo perso."

Margherita sorrise rumorosamente; Andrea si lasciò persino sfuggire un mezzo applauso, fregandosene della bomba che aveva appena sganciato. Ottavia sgranò ancora di più gli occhi: possibile che nessuno le aveva detto che il migliore amico di suo figlio avesse una cotta per Caterina?

Sergio abbandonò ogni tentativo di fare ordine, tornando seduto e cercando di far abbassare la pressione sanguigna, per evitare l'infarto, mentre Letizia baciava i bambini e lasciava la casa, chiamando un taxi per fuggire di lì il più lontano possibile, sotto lo sguardo spento del suo ormai ex marito. Sarebbero tornati ad avere rapporti civili, prima o poi?

Caterina invece, lei rimase immobile. Stefano era tutto quello che aveva sempre desiderato, il ragazzo per cui avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche tornare a casa e vivere per sempre con sua madre e le sue domande. Non riusciva a credere che adesso era lui a dirle che la amava da sempre e che aveva addirittura progettato di confessare il suo amore la sera della Vigilia durante la cena di Natale.

"Ti prego Benedetti, dì qualcosa o faccio la figura dello scemo!" Ridacchiò Stefano e a quel punto la piccola di casa non ebbe più dubbi: saltò in braccio all'amico storico, gli diede un rapido bacio sulle labbra e accettò la proposta di passare insieme Capodanno.

 

Quella sera, a casa Benedetti la cena di Natale assunse sapori diversi: per qualcuno l'amaro gusto della delusione; qualcun'altro assaporava la dolcezza dell'amore sottoforma di coppia o di maternità; altri ancora la sensazione di libertà data dalla confessione e due, in particolare, assaporarono il retrogusto dolceamaro della fuga dal nido.

Per tutti però, fu una cena di Natale dal sapore casalingo: ancora una volta infatti, tutti augurarono l'uno all'altro di stare meglio e, sebbene c'era ancora molto di cui discutere, trovarono tutti la forza di versare lo spumante nei calici e, fra le lacrime, di augurarsi un felice Natale, magari il prossimo.

  
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