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Autore: FloxWeasley    29/12/2013    15 recensioni
Quella piccola chiacchierona è troppo per il suo vecchio cuore; troppo sincera per un bugiardo patentato, troppo insistente per un uomo irritabile come lui. Troppo simile al sogno di avere una famiglia, morto un poco nell'arena e il resto negli anni a venire.
Haymitch in un testa a testa con la piccola Posy Hawthorne, perché avevo bisogno che il mio personaggio preferito venisse strapazzato da qualcuno.
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Haymitch Abernathy, Posy Hawthorne
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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«Haymitch. Haymitch. Hay-mitch. Hay-mit-ch. Mit...ch-Hay. Haymitch»
La vocina sottile di Posy che ripete più e più volte il nome dell'uomo lo fa voltare verso di lei, un po' infastidito e un po' circospetto perché non sa come ci si comporta con i bambini e quella mocciosa lo sta sicuramente chiamando.
Quando, però, lo sguardo stanco dell'uomo si posa sulla piccola figura della bambina che gioca sul tappeto del suo salotto con una vecchia bambola, non incontra i suoi vispi occhi grigi; si scontra con il caschetto disordinato di capelli scuri, e Haymitch si rende conto che la bambina sta solo giocando a strapazzare il suo povero nome.
Scuote la testa e decide sul momento che se quella santa donna di Hazelle per una volta gli ha chiesto un favore, è ora di onorarlo.
Non gli ha chiesto espressamente di giocare con la bambina, mentre lei riporta l'equilibrio in quella casa disastrata e gli altri figli sono troppo impegnati con il lavoro o la scuola per badare alla piccola, ma nei suoi occhi c'era quella muta richiesta, e quella mattina Haymitch era abbastanza sobrio per coglierla. E ora abbastanza pazzo per assecondarla.

«È il mio nome, pulce» constata con quella sua voce roca.
Posy si volta e un guizzo passa nei suoi occhi. Vick le ha rivelato che a lui quell'uomo sempre ubriaco e forse un po' folle spaventa a morte, ma a lei non fa lo stesso effetto.
Le piace, in effetti.
La incuriosisce e quindi non lo teme, con quella sfrontatezza tipica dei bambini.

«Lo so. E il mio è Posy, non pulce» risponde, stringendosi la bambola al petto e fissando i propri occhi in quelli azzurri dell'uomo.
«Lo so. Dì un po', pulce, ti piace così tanto il mio nome?»
Haymitch non lo vuole ammettere, ma ora c'è un sorriso che preme per allargarsi sulle sue labbra, perché Posy ha storto il muso con aria offesa quando si è sentita di nuovo chiamare con quell'appellativo. Lo ricaccia indietro, quel piccolo sorriso; guarda la bambina con serietà e la invita a rispondere con un cenno del capo, al che la piccola dimentica il broncio e studia per un attimo l'uomo per decidere se può raccontargli i suoi segreti, assottigliando gli occhi come un gatto.
Infine, evidentemente trova nello sguardo troppo vecchio di Haymitch qualcosa di cui fidarsi e si decide a rispondere:

«Nella mia famiglia abbiamo tutti nomi corti. Posy, Rory, Vick, Gale... solo la mamma ha un nome lungo: Hazelle. Ma il suo nome lo conosco bene. Il tuo è nuovo, quindi ci gioco» spiega, con l'ingenuità e la semplicità dei suoi cinque anni.
«È una bella risposta» fa Haymitch di rimando, lasciandosi finalmente andare ad un piccolo sorriso sincero. Quella bimba è tosta, gli piace.
Posy si stringe nelle spalle e gli risponde con un sorriso sdentato.

«Anche papà aveva un nome corto, si chiamava Nate. Mamma dice che era sempre lui a proporre i nostri nomi, ma io non l'ho conosciuto. Non c'è più» conclude con semplicità, mentre il suo sorriso viene per un attimo appannato dalla tristezza.
Ma è appunto solo un attimo, perché lei un papà non l'ha mai avuto e non sa bene cosa dovrebbe mancarle. Haymitch non risponde: la morte è ormai per lui come una costante, alla fine ci si è abituato. E sentirla nominare da una bambina di cinque anni non è nemmeno lontanamente toccante come vederla negli occhi di due ragazzini all'anno, per venticinque anni. Non si sente nemmeno in colpa, Haymitch, nel restare in silenzio e non proferire alcuna parola di conforto, e Posy sembra non darci peso. Per qualche minuto ritorna a giocare con la vecchia bambola di pezza, in silenzio, sotto lo sguardo assente dell'uomo.

«Perché tu non sei un papà, Haymitch?» domanda all'improvviso, senza alzare gli occhi dal proprio gioco solitario. L'uomo aggrotta le sopracciglia e, colto di sorpresa, domanda: «Come, scusa?»
«Sei un adulto e quasi tutti gli adulti sono mamme e papà. Perché tu non lo sei?» spiega pazientemente Posy, alzando finalmente uno sguardo curioso sul viso dell'uomo.
Haymitch apre la bocca per ribattere con un secco “Taci, pulce. Non sono affari tuoi”, ma si costringe subito a richiuderla.
Perché lui non è un papà?
Perché pochi vincitori – sopravvissuti – degli Hunger Games hanno la forza di ricostruirsi una vita vera. Lui non è stato abbastanza coraggioso, abbastanza forte. Ha sempre avuto a malapena la forza per alzare la bottiglia e portarsela alle labbra.
Rivolge alla piccola uno sguardo duro, come per accusarla di avergli rinfacciato la sua debolezza, ma lei continua a fissarlo con sincera curiosità e lui cede:

«Perché non ne sono capace».
Posy storce il naso, come se non comprendesse quelle parole, e all'improvviso si illumina.

«Giochi a fare il mio papà?» chiede, speranzosa, abbandonando la bambola a terra e alzandosi in piedi, per poi avvicinarsi a lui con l'aria di chi vuole sentirsi rispondere solo di sì.
«No, pulce, ti ho detto che non ne sono capace» risponde lui, più brusco di quanto volesse. Distoglie lo sguardo dalla bambina e si allunga sul tavolo per acchiappare la bottiglia che quella mattina è rimasta lontana anche troppo a lungo.

Dannata bambina e dannata Hazelle che gliel'ha lasciata. Non poteva portarsela dietro mentre puliva quella fottuta casa?
Quella piccola chiacchierona è troppo per il suo vecchio cuore; troppo sincera per un bugiardo patentato, troppo insistente per un uomo irritabile come lui. Troppo simile al sogno di avere una famiglia, morto un poco nell'arena e il resto negli anni a venire.
Non fa in tempo a stappare la bottiglia, però, che la mocciosa si arrampica sulle sue gambe come un gatto e gli fa posare il liquore sul tavolo con aria irritata.
La guarda con astio, lì a pochi centimetri dal suo viso: ha negli occhi la tenacia che vede in quelli di sua madre quando lo sopporta solo per portare a casa qualche soldo in più, e le sue labbra sono curvate in quel sorriso colmo d'affetto che solo i bambini sanno fare.

«Non puoi non essere capace, Haymitch. Gale dice che papà lo faceva senza neanche uno sforzo. Mi prendi sulle ginocchia...» comincia con quella sua vocina buffa.
Haymitch non si muove di un millimetro, ma sa che il suo cuore si sta sciogliendo.
«... poi mi abbracci, come faccio io...» continua, stringendo le sue piccole braccia intorno alla vita dell'uomo. Haymitch chiude gli occhi e stringe i pugni; non lo farà, non lo farà, non lo farà...
«... e alla fine-».
Posy si interrompe di colpo.
Haymitch ha ceduto: la sta stringendo a sé, proprio come gli ha appena detto. Sente un bacio posarsi sui propri capelli e sorride, felice, strofinando la propria guancia contro la camicia morbida dell'uomo.

«Alla fine mi dai un bacio. Hai visto? Non era difficile» mormora contro il suo petto.
Haymitch non risponde e ringrazia il cielo che nessuno lo stia guardando, nemmeno quella piccola peste che gli ha fatto sciogliere il cuore, perché non vorrebbe mai che qualcuno vedesse le lacrime annidate agli angoli dei suoi occhi.
Deglutisce, cercando di annullare il groppo alla gola.
«Avevi ragione, pulce. Non era difficile».

  
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