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Autore: RosenrotSide    21/05/2008    2 recensioni
Bill Kaulitz non è uno stinco di santo, suo fratello Tom non scopa come un riccio, il timido Gustav non è poi così timido e quando vuole parla a raffica e Georg Listing, l'hobbit che tutti prendono di mira, è quello più furbo e che conquista più ragazze. Se erano questi i ragazzi che conoscevate, dimenticateveli. Io che lavo la loro biancheria tutti i giorni posso giurarvelo davanti ad ogni Dio esistente.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Questa è una storia di pura fantasia che non intende dare alcuna rappresentazione reale dei caratteri o delle azioni dei personaggi rappresentati, che non conosco e non mi appartengono; la storia è stata scritta senza scopo di lucro alcuno.
Anzi, aggiungo che, come si è visto dall'introduzione, mi sono divertita a cambiare, anche se non radicalmente, il carattere dei protagonisti, ovvero i Tokio Hotel.

Getting Started

Bill Kaulitz non è uno stinco di santo, suo fratello Tom non scopa come un riccio, il timido Gustav non è poi così timido e quando vuole parla a raffica e Georg Listing, l'hobbit che tutti prendono di mira, è quello più furbo e che conquista più ragazze.
Se erano questi i ragazzi che conoscevate, dimenticateveli. Io che lavo la loro biancheria tutti i giorni posso giurarvelo davanti ad ogni Dio esistente.

*



-Anya, dov'è la mia maglietta a righe?-
-Anya, i miei boxer!-
-Anya?-
-Anya! Dove sei?-
-Anya!- urlano quattro voci da quattro camere diverse dello stesso piano d'hotel. Per fortuna è riservato solo a loro, altrimenti ogni mattina ci sarebbe qualcuno a protestare con quel sant'uomo del direttore.
La ragazza non potè fare a meno di sentirsi come una fotocopia della povera Cenerentola presa di mira dalle sue sorellastre; solo che il controllo, nel suo caso, era rinforzato: non erano Genoveffa e Anastasia a romperle le scatole ogni benedetto giorno del calendario, ma quattro vandali teppisti con delle facce da schiaffi che cantavano canzonette.
Questa, per lo meno, era la sua personalissima opinione, non di certo condivisa dalle migliaia di fan della band tedesca.
-Vi ho sentiti!- urlò in risposta con quanto fiato aveva in gola. Si stropicciò ancora una volta gli occhi e, mezza nuda e con i capelli arruffati, iniziò la sua ronda quotidiana.
-Eccotela qua la tua adorata maglia!- lanciò l'indumento ad un Bill in jeans, petto nudo e capelli da pazzo. Il ragazzo le mandò un bacio con la mano affusolata e andò in cerca delle sue scorte di deodorante.
Sbadigliando senza ritegno, Anya entrò in camera del secondo Kaulitz della situazione, sciabattando per farsi sentire e lasciandogli una pila di boxer accuratamente piegati sul letto sfatto.
-Vuoi farti la doccia con me, tata?- chiese il rasta, facendo capolino dalla porta del bagno, ma Anya non lo degnò neanche di uno sguardo, dirigendosi poi in camera di Gustav, che gli grugnì qualcosa di incomprensibile e poi da Georg, l'unico vero amico che aveva in quella gabbia di matti. Bè, se l'era cercata.

1.

America's Power



Internet è una rete infinita, è una grande trappola. Internet è una grande casa.
E’ un fantomatico popolo e il popolo americano scelse i Tokio Hotel; si risvegliò da un tepore ovattato durato anni e ascoltò alcune loro canzoni. Si sentì bruciare e vivere come mai prima. Così fece passaparola.
Al principio della grande avventura nel Nuovo Mondo, impresa che i quattro ragazzi consideravano addirittura più importante della scoperta del continente stesso, i Tokio Hotel, nonostante la rete, erano dei perfetti sconosciuti, un’utopia, solo quella, nella mente di qualche ragazza super informata.
David Jost, che coltivava il sogno di conquistare l’America con la giovane band, da mesi cercava, insieme al resto del management, di trovare una strategia vincente per schiacciare sotto ai loro piedi quel mondo che ancora sfuggiva al potere tedesco della band.
I ragazzi, seppur eccitati, non si lasciavano coinvolgere troppo da questi piani: sapevano che rimanendo se stessi, avrebbero fatto già di per sé più scalpore che non presentarsi ai nuovi potenziali fan come dei freddi calcolatori costruiti, anche se, come ricordava loro David, lasciare tutto al caso sarebbe stato come gettarsi da un dirupo senza paracadute. Se poi non li avessero amati, la vecchia Europa era già un buon regno su cui dominare.
Quel mattino, Bill, lo sparviero indomito, con gli occhi piccoli di sonno, struccati e i capelli in disordine, respirava a pieni polmoni l’aria fredda di New York, scacciando di tanto in tanto con un gesto spazientito della mano l’odore di gas del traffico congestionato delle vie perennemente affollate.
Era la prima volta che andava in America, anche questo faceva parte del piano di David: sondare il futuro terreno di gioco.
Bill se ne girava con le mani in tasca, il naso perso per aria, beandosi di passeggiare fra la gente, sbuffando di tanto in tanto per il piacere di vedere l’aria del suo respiro condensarsi davanti a lui in nuvolette bianche.
Si guardava intorno e camminava.
Le strade di quella città cosmopolita erano diverse da tutte le altre che aveva visto in quegli anni. I grandissimi pannelli al neon delle pubblicità o le insegne dormivano, spente, in attesa della notte per rischiarare il via vai incessante di auto, tante auto e taxi gialli, di quelli che si vedevano sempre nei film. La gente camminava a testa bassa, avvolta in cappotti e sciarpe di lana, i semafori scattavano ogni secondo, ammiccando come tante paia di occhi seducenti. Era decisamente facile perdersi in quella confusione di negozi appena aperti, saracinesche che alzavano il loro sguardo sul cielo plumbeo e gente munita di ventiquattrore che si dirigeva verso grandi scalinate per raggiungere la metropolitana.
La mattina americana aveva un sapore diverso da quella europea.
Bill si sentiva libero, assonnato, ma libero ed era una sensazione talmente grande da invaderlo completamente, togliendo il posto a tutti gli altri sentimenti.
Così grande da far sparire il freddo dalle sue spalle protette da un giacchino di pelle imbottito, ovviamente griffato.
Non capiva una parola di quello che i passanti dicevano, ma provava ad immaginarlo dai visi e dai gesti, in quel gioco solo suo a cui cambiava continuamente le regole. Lo seguivano il fratello, infagottato nei soliti abiti giganteschi per la sua figura magra, Georg con i capelli sotto un berretto di lana, Gustav, Saki in borghese che comunque spiccava per la sua stazza e poi Anya a chiudere la fila. La ragazza doveva correre continuamente per non rimanere indietro e rischiare di perdersi. Avvolta in uno spolverino di lana grigia spessa, continuava a sistemarsi sulla spalla la tracolla di una grande borsa, che persisteva a scivolarle giù mentre affrettava il passo, guardandosi intorno.
-Ehi- strattonò la giacca del bodyguard che la precedeva –possiamo fermarci un attimo?-
L’uomo annuì, trattenendo Tom per il cappuccio della felpa e fischiando agli altri perché si fermassero.
Bill sbuffò.
-Che c’è ancora?-
-Ho trovato la lavanderia, io mi fermo qui- annunciò Anya, guardandolo storto.
-Dove?- Georg si alzò in punta di piedi cercando il negozio.
-Dall’altro lato della strada- gli indicò Anya.
-Non puoi mica andarci da sola!- ribattè il ragazzo, sistemandosi meglio il berretto sui capelli accuratamente piastrati.
-Che palle!- sbuffò ancora Bill.
-Non c’è problema, basta che quando vi chiamo, mi torniate a prendere. Altrimenti posso anche andare direttamente in hotel con un taxi-
-Vengo io con te-
Tutti si voltarono verso Tom, che si era offerto volontario.
-Sono stufo di camminare- si giustificò il rasta –E poi, adoro le lavanderie!-
Anya alzò gli occhi al cielo. Idiota!
-Eh va bene, mi sopporterò lo zozzo, sbrighiamoci però!- disse, prendendolo per un braccio.
-Allora mi chiami quando avete finito?- le domandò Saki, guardando l’orologio che teneva al polso.
-Sì, stai tranquillo-
Anya afferrò la mano di Tom, poi, stando bene attenti a non farsi investire, attraversarono in fretta la strada, trovandosi sul lato opposto.
Che condanna!, pensò Anya, per la centesima volta o giù di lì.
-Dite che c’è da fidarsi?- li guardò interrogativo Gustav, mentre i due approdavano sul marciapiede opposto incolumi.
-Gus, Anya ha più cervello di voi quattro messi insieme e Tom può benissimo essere scambiato per uno di quei pazzi rapper americani, quindi io non vedo alcun problema- scherzò Saki.
Bill incrociò le braccia al petto e fissò il suo sguardo sulla figura della ragazza che, trascinando suo fratello, si stava dirigendo verso la lavanderia.
Si chiese come una persona così minuta potesse trasformarsi al momento opportuno in una tigre. Se lo chiedeva da tempo, ormai.
Ne osservò i capelli castani sciolti sulle spalle, la borsa a tracolla, la camminata agile, nonostante le piccole gambe e i tacchi alti. Era cresciuta con loro, in fondo; era la persona che li conosceva meglio di chiunque altro.
Bill distolse lo sguardo e lo concentrò su Saki, aspettando che il bodyguard desse segno di riprendere la passeggiata. Senza sapere perché, maledisse Tom per essere andato con lei.
  
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