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Autore: Moonlight_1    29/12/2013    3 recensioni
Sotto le fronde di un albero sedeva una fanciulla.
Un tempo doveva essere stata tra le più belle del regno, ma ora il suo volto era ricoperto di tagli e lividi; piangeva. [...] Un uomo si presentò mentre essa cantava e raccoglieva fiori, nella delicata luce del meriggio. [...]
C'è una nota a fine storia, occhio a non saltarla.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sotto le fronde di un albero sedeva una fanciulla.
Un tempo doveva essere stata tra le più belle del regno, ma ora il suo volto era ricoperto di tagli e lividi; piangeva. La veste era strappata in più punti, prima era candida come la neve con finiture d’oro, adesso era sporca di sangue e terra. I capelli al vento, ricordavano sottili fili d’oro e sul capo portava un diadema di gemme preziose.
Era forse una principessa? Non aveva l’aspetto regale ma neanche misero. Sedeva su una verde collinetta ombrosa cui il cielo faceva da sfondo, ai piedi della collina si estendeva a perdita d’occhio una foresta.
Ella piangeva, tremante, gemeva in silenzio. Chi mai poteva averla ridotta in quello stato?
Un uomo.
Un uomo si presentò mentre essa cantava e raccoglieva fiori, nella delicata luce del meriggio.
Era vestito come un principe, aveva un sorriso caldo e rassicurante, tese la mano e la invitò a salire sul suo bianco destriero.
Com’è gentile pensò.
Cavalcarono insieme e raggiunsero la collinetta.
All’inizio il principe si mostrò cordiale e cercò di rubarle un bacio, con garbo. Subito dopo cercò di farle del male, le tirò i bei capelli dorati e le sussurrò malignamente all’orecchio:
– Tu sarai mia, mi obbedirai e farai ciò che ti dirò. –
La ragazza cercò di ribellarsi ma lui, essendo più forte, riuscì a sopraffarla.

Passarono le ore.
La fanciulla rimase profondamente ferita nell’animo e non solo; i tagli bruciavano, i lividi dolevano.
Il sole stava ormai per tramontare.
D’un tratto sentì uno scalpitare di zoccoli. Trasalì. Il “principe” stava ritornando da lei? Perché mai?
Tremò di paura, pianse.
Vide di nuovo un bianco cavallo ma questa volta, sul destriero, c’era un guerriero: aveva un’armatura che riluceva prepotentemente sotto i raggi del sole, una spada la cui elsa era un corpo di drago dorato. Dall’elmo, che copriva interamente il volto, spuntavano piume color cremisi e il resto dell’armatura sembrava lavorata nell’oro bianco.
Non aveva mai visto armatura più bella.
La figura dell’uomo misterioso si stagliava prepotentemente nell’ora crepuscolare.
Oramai era quasi notte.
La dolce fanciulla continuava a tremare, le lacrime le rigavano il volto.
Il guerriero smontò da cavallo e le si avvicinò inginocchiandosi alla sua altezza.
- Va tutto bene, ci sono qui io, ora. – disse prendendole la mano e stringendola con delicatezza. Aveva un tocco estremamente garbato e forte.
- Chi siete, voi? – riuscì ad articolare col poco fiato rimastole.
- Oh … mi conoscete. Mi conoscete meglio di quanto immaginiate. -
Le parve di udir rimbombare nell’elmo una voce troppo altisonante per essere d’uomo.
- Vi prego, ditemi chi siete. -
Il guerriero non le rispose e solo in quel momento, ella notò che aveva una sacca dalla quale tirò fuori tutto l’occorrente per medicarla.
Il tocco del guerriero era gentile mentre la medicava, le stringeva la mano ad ogni suo sussulto o tremito.
La giovane tremava e piangeva lentamente, come un cucciolo ferito e spaurito.
Quell’uomo misterioso (ma era davvero un uomo?) le curava le ferite con eccessiva grazia e amore, le sussurrava parole di conforto e non accennava a scoprire il volto.
La ragazza non aveva nemmeno la forza di fiatare ma era rapita da tale maestria e accortezza.
Il drago d’oro sull’elsa assorbiva gli ultimi raggi solari e rimandava piccoli riflessi colmi di speranza.

Quando il guerriero ebbe finito si tolse i guanti dell’armatura e si alzò in piedi. Ormai il sole gettava le ultime luci aranciate sull’erba.
Quale sorpresa fu per la fanciulla vedere che quelle mani appartenevano a una donna.
- Non mi hai ancora riconosciuta, Enexa? -
- Come potrei … conoscete il mio nome? Chi siete? –
Enexa si sentiva già meglio. Le ferite sotto le fasciature parevano quasi risanate, sentiva una dolce sensazione lungo tutto il corpo; una strana calma e sicurezza si erano impossessate di lei.
La donna tolse l’elmo ed Enexa, vide, nella pallida luce del sole morente, capelli d’oro come i suoi, occhi grandi e azzurri come il cielo di primavera appena lavato dalla pioggia. Stessi zigomi, naso e mento.
- Ma … voi, io … voi siete … Me! -
- Esatto, Enexa, io sono te. -
L’altra copia di Enexa le sorrideva calorosamente e con decisione.
- Ma io … cosa … - non riusciva a parlare dallo stupore.
- Io sono l’ombra di ciò che tu sarai. Guardati Enexa, con l’armatura di un valoroso guerriero e la spada che ti sei forgiata con le tue sole forze. – decantò.
Estrasse la spada dal fodero e la fece brillare alla debole luce ormai lunare.
La luna piena era sorta e illuminava a giorno il paesaggio, mentre una piccola striatura di cielo arancio e azzurro moriva dietro le colline.
- Proprio così, Enexa, diventerai una donna forte che non temerà né uomo, né bestia feroce. Il tuo nome sarà ricordato e le tue gesta decantate dai più deboli. Il tuo destino sarà luminoso e glorioso. Combatterai con spada forgiata dal fuoco della sofferenza. Le tue ossa risaneranno, le ferite si chiuderanno e resterà una sola cicatrice, proprio qui, al centro del cuore. – disse, indicandole il petto sul quale era rimasta una larga macchia di sangue ormai asciutto.
Enexa si alzò in piedi e guardò la sua veste, le fasciature sporche di sangue. Poi guardò l’altra sé e ne rimase colpita: aveva uno sguardo fiero e indomito, occhi impavidi.
La sua persona emanava tenacia e forza senza eguali, nulla scuoteva il suo animo assetato di giustizia.
Poiché non accennava a parlare, l’altra proseguì.
- Diventerai una donna impavida. Conserverai la tua bontà ma nulla potrà più scuotere il tuo animo. Abbi cura di te, fiducia e combatti l’oppressore. -
La giovane capì tutto, fu come un fulmine a ciel sereno.
L’altra le sorrise, rimise apposto la spada e corse via, in direzione del suo destriero.
- Aspetta! – urlò Enexa, ma l’ombra non rispose, anzi spronò il cavallo al trotto sparendo nella notte.
Enexa aveva capito.
Non c’era un’altra sé, non era stata un’allucinazione. Nessuno era venuta a salvarla, a curarle le ferite.
Si era salvata da sola. Con tanta pazienza e tenacia aveva curato le piaghe che le dolevano sempre meno. Aveva asciugato da sola le lacrime che erano cadute sul suo cuore, nella sua anima.

La sua attenzione fu attratta da un debole riflesso sul prato, qualcosa luccicava nell’erba. Cos’era? Si avvicinò meglio e vide una lunga spada, la stessa che fino poco prima aveva impugnato la sua “copia”. La prese in mano e la guardò. Pesava sì, ma non per lei.
In quel momento non c’era spazio per la sofferenza, il dolore, la stanchezza.
Fissò la lunga lama lucente specchiandosi: negli occhi vide la stessa tenacia dell’altra sé.
Enexa non aveva più paura, non tremava più.
Con coraggio, alzò gli occhi alla luna. Col bel viso martoriato e il fisico che non le reggeva più, scese la collina silenziosamente, con fare cerimonioso.
La spada pendeva dalla sua mano destra e riluceva.
Enexa avrebbe avuto la sua rivincita; sarebbe diventata, come asseriva la sua ombra, un valoroso guerriero.


 

Questa storia va interpretata come la forza interiore che nasce dentro animi puri e sinceri dopo che questi sono stati calpestati. Chi è stato illuso con vane promesse, chi è stato tradito, ferito (fisicamente e non), umiliato, diventerà più forte, sarà una persona migliore. Ho scelto una donna come protagonista, non per sessismo, ma perché viene vista come "sesso debole" e darà maggior impatto alla storia. Questa storia va a tutte quelle persone cui sono state tarpate/spezzate le ali e rotte le ossa.
Sarete come Enexa, un giorno.
 
  
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