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Autore: Piumadoro    29/12/2013    1 recensioni
"Pensa, manca solo un altro lunedì."
"E' più corta vista così!" Sorrisi ma il mio groppo in gola crebbe.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: alcuni di voi forse riconosceranno in questa storia qualcosa di realmente accaduto. E' vero e falso insieme. I luoghi, non li conosco personalmente e i dettagli sono inventati. I personaggi prendono ispirazione da persone esistenti ma il loro carattere, le loro paure e le loro azioni derivano quasi esclusivamente dalla mia fantasia per quanto riguarda i fatti accaduti o i pensieri della protagonista sulle persone attorno a lei non c'è nulla di realmente vero, solo cose che potrebbero accadere come no. In questo racconto sono viste con gli occhi di una sedicenne e.... no, non è successo a me.

******************************

Sorrisi quando i miei figli mi chiesero e c’era mai stato un momento nella mia vita in cui mi ero sentita fuori posto ed incapace
Cominciai a raccontare loro, senza esitazione…
A quei tempi frequentavo il terzo anno all’istituto Alberghiero ad Alassio.
Era l’anno del mio secondo Stage, questa volta avevo detto ai miei professori che mi sarebbe piaciuto andare lontano. Ci avevo molto pensato ma ero giunta alla conclusione che fare uno stage vicino casa non mi avrebbe aiutato a crescere in responsabilità e forza, essenziali in questo lavoro.
Ebbene quando quel sabato mi dettero la notizia che sarei scesa a Roma in un noto ristorante stellato dalla guida Michelin mi sentivo veramente felice e non sapevo perché dato che ci sarei andata da sola con una ragazza che non conoscevo. Chiamai mia madre tornando a casa in corriera e le feci venire un colpo, lei certo non si aspettava che io andassi a finire così distante da casa. Naturalmente io la rassicurai ero troppo entusiasta per farmi scoraggiare.
Non mi abbattei nemmeno pensando che sarei andata in un ristorante di alto livello, cosa che odiavo, nulla poteva toccarmi, sarebbe stata un’esperienza fantastica.
Mia madre sapeva che mi sbagliavo.
I giorni si bruciarono e a scuola tutti i miei compagni si indaffaravano pensando alla lista delle cose da mettere in valigia. Questo problema non mi toccava anche se era la prima volta che viaggiavo in aereo sapevo di avere al mio fianco mia madre, la maga dei bagagli, non c’erano rischi.
Durante l’ultima lezione pratica prima della partenza il professore Riccardi, il quale era il professore di sostegno di un mio caro compagno autistico che avevo seguito negli anni precedenti, mi chiese se sapevo quale era il mio profilo. Io non ne avevo idea e lui mi rivelò essere molto alto, circa livello A. Il massimo possibile.
La cosa mi preoccupò molto; infatti odiavo sapere che il gestore del ristorante, uno chef affermato, immaginasse che io fossi uno splendore di ragazza a causa dei miei voti mentre io non sapevo fare nulla di più che qualche dolcetto e forse un piatto di pasta.
Iniziavo ad essere nervosa.
Conobbi quella settimana Helen, lei era la ragazza con cui avrei condiviso le mie avventure e le mie sventure oltre che alla stanza e al letto matrimoniale in essa.
Mi stupii subito di quanto fosse facile parlare con lei, più che altro la ascoltavo e mi piaceva, aveva una deliziosa pronuncia della s appena sibilante ed era una cosa che io trovavo alquanto graziosa.
Sapendo che Helen era una ragazza simpatica e abbastanza semplice pensare alla partenza imminente mi venne più facile.
Non mi sentivo agitata però, solo un po’ triste, cercavo di sbrigarmi a comprare i regali di Natale per i miei amici sapendo che non avevo altre possibilità e rincuorando con il fatto che appena fossi tornata, il ventitrè dicembre, ci sarebbe stata la nostra festicciola ad aspettarmi.
Ovviamente la sfortuna e lo stress mi rovinarono l’ultimo sabato che passai a casa prima di partire. Caso volle che per un motivo stupido finii per litigare con Ivy, la mia cara dolce gemella. Per colpa di un incomprensione le attaccai il telefono in faccia e smisi di parlarle fino alla domenica. In quel periodo di tempo mi resi conto che avevo paura, una paura pazzesca di partire!
Non per ciò che mi sarebbe successo laggiù ma per via di quello che avrei lasciato dietro me: tre lunghe settimane di divisione dai miei amici, da loro che erano la mia ragione di vita e il mio sostegno.
Domenica pomeriggio, mezza giornata alla partenza, andai da Ivy…
Discutemmo, parlammo, chiarimmo.
“Non capisci che ho paura? Anche se non lo dimostrerò mai e non lo dirò mai ai miei genitori ho una paura matta di partire perché non voglio lasciarvi.” Le dissi con il groppo in gola ma non piangevo, dovevo essere forte.
Mi sorrise e sentii il silenzio tra noi diventare leggero. Passammo il resto del pomeriggio e la sera insieme mangiammo pasta sfoglia ripiena di qualunque cosa guardando un film.
Il mattino dopo mi svegliai presto e controllai le valige. Presi una scatola di plastica e ci misi dentro i dolcetti di pasta sfoglia e frutta sciroppata avanzati dalla sere prima e li detti ad Ivy affinché li portasse a scuola.
Mi abbracciò forte e non ricordo cosa mi disse ma dentro me avrei voluto maledirla perché volevo che mi mettesse insieme ai dolci nella scatola della merenda e mi portasse con lei.
 
 
Arrivai in aeroporto puntuale con mia madre e mio nonno, mentre loro facevano colazione al bar io aspettavo davanti all’ingresso e poi vidi Helen e sua madre arrivare e il cuore cominciò a battermi forte.
Stavo partendo.
Dopo gli ultimi saluti e il check-in ci trovammo sole. Non fu un problema parlare e passare il tempo finché non oltrepassammo il gate e poi le porte scorrevoli.
Eccolo li il nostro aereo, pronto al decollo.
Ci sedemmo a sinistra del corridoio e con grande gentilezza Helen mi lasciò il posto accanto al finestrino.
Decollammo e io rimasi estasiata da quella nuova sensazione passai la maggior parte del nostro breve viaggio attaccata al finestrino a guardare le nuvole in basso e il blu in alto.
Per il resto del tempo scrissi ai miei amici, ero dove volevo essere ma loro mi mancavano già. Avevo sempre desiderato di volare ma mi immaginavo una destinazione diversa.
 
 
Atterrammo senza problemi e un bus ci portò all’entrata dell’aeroporto conoscemmo una signora simpatica e capii che ora eravamo sole.
Tirammo fuori i cartelli con i nostri nomi sbirciando la folla alla ricerca dello chef Enrico Menestrelli.
Non lo avevamo mai visto e quindi lo chiamai per cerare di incontrarci. Mi disse di uscire che ci avrebbe raggiunto all’entrata.
“Come te lo immagini?” Mi chiese Helen. “Io me lo vedo come un tipo vecchio e robusto con i capelli bianchi.”
Risi. “Me lo immagino giovane e dai capelli neri.”
Un auto grigio scuro parcheggiò a poca distanza da noi e lo chef Menestrelli scese sorridente.
Ci presentammo e poi lui caricò le nostre valige in auto.
“Avevamo ragione entrambe.” Sussurrai ad Helen indicando con il mento l’uomo giovane ma un pochetto troppo robusto che con facilità sollevava i nostri bagagli.
“Chi sale davanti?” Ci chiese.
Ebbi una strana sensazione di vuoto, per quanto ricominciassi ad entusiasmarmi di tutto ciò non potevo negare che quello chef mi rendesse nervosa. Dopo una breve discussione Helen prese posto affianco al guidatore e io dietro con l’unica valigia che non aveva trovato posto nel bagagliaio.
Enrico fu gentile e simpatico iniziò a raccontarci dei progetti del ristorante a cui avremmo partecipato e ci parlò di Roma.
“Sta sera siamo in trasferta in un paese vicino per una serata di beneficenza volete venire?” Domandò.
Io mi innervosii subito. Lavorare da subito? Il lunedì era giorno libero! Cioè mi sarebbe andato bene ma temevo di stare male, ero stanchissima anche se il viaggio era stato breve e poi ero scombussolata da questa strana sensazione di vuoto che avevo accusato già da quando ero scesa dall’aereo.  Era come se il mio corpo volesse dirmi: “da qui non si torna indietro!”
Anche Helen, fortunatamente, non sembrò molto entusiasta della cosa.
Menestrelli parcheggiò davanti ad un negozio e scese a fare le ultime compere per la serata.
“Ci vuoi andare?” Chiesi in ansia a Helen.
“Non lo so, vorrei sistemare le valige e riposare. Sono molto stanca.” Mi rispose tranquilla. Quanto la invidiavo!
“Anche io.” Mormorai.
“Gli diciamo di no, allora.” Decise.
Era risoluta e affaticata ma credetti fosse la mia eroina.
Declinammo il più gentilmente possibile l’offerta di Enrico appena quello rimise piede in auto. Mi parve deluso ma non potevo farci niente. Avrei rimontato nei giorni successivi.
Secondo sbaglio.
Menestrelli ci lasciò davanti ad un condominio nelle mani di un cuoco indiano molto simpatico di nome Sutosh.
Fu gentile e ci aiutò a trascinare le valige fino al primo piano indicandoci la nostra stanza e poi lasciandoci sole dicendo che doveva prepararsi per andare a lavoro. Quella sera anche lui avrebbe partecipato all’evento di Menestrelli.
Io e Helen svuotammo le valige in fretta e ci infilammo a letto addormentandoci subito.
Ci svegliammo intorno alle sei percorrendo in pigiama la strada trafficata fino al negozio dove comprammo le scorte per la colazione e per la cena.
Prima sera libera = sugo con pasta e programmi televisivi scadenti. Le luci si spengono alle dieci e mezzo.
 
Fine primo giorno

 
  
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