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Autore: Maiwe    30/12/2013    5 recensioni
[Frozen- Il Regno di Ghiaccio]
Ogni giorno Anna va a bussare alla porta della sorella. Vorrebbe farla uscire, vorrebbe giocare con lei come hanno sempre fatto, ma Elsa si è chiusa in un silenzio glaciale, si è chiusa al resto del mondo, si nasconde e non parla.
Anna non capisce: cosa le ha fatto di sbagliato?
Flashfiction partecipante al I Contest delle Muse.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! 

Una piccola flash scritta di getto, sull'onda del sentimento - ho visto 'Frozen', oggi, e mi è rimasto dentro con forza, con prepotenza, prima di tutto per la bellezza dei colori e delle canzoni, ma anche perché raramente si trovano delle protagoniste così sole. Voglio dire: persino Rapunzel, che non era neanche mai uscita dalla sua torre, non era così tanto segregata. Elsa, che pure ha visto qualcosina del mondo esterno, è ancora più rinchiusa, perché la vera prigionia l'ha dentro, la vive; Rapunzel si proietta fuori, sogna il mondo esterno, Elsa chiude volontariamente le porte e si nasconde al mondo, nel buio. Rapunzel è più come Anna, che non molla, e ha una spinta vitale.

Comunque, ciancio alle bande, a cosa serve questa piccola flash? A niente, non serve a niente, però partecipa alla I edizione del Muse Contest indetto, giustappunto, dalle Muse, e niente, ecco quel che ho provato a buttar giù. Spero vi piccia.

Un bacione ghiacciato,

Maiwe

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A Elsa non piaceva guardare la pioggia cadere fuori dalla finestra. Non le piaceva stare a guardare i vetri rigarsi di gocce d'acqua, perché, seduta sul pavimento, la schiena contro la porta della stanza, le ricordava che fuori c'era un mondo e, nonostante tutto, il tempo continuava a scorrere.

A Elsa non piaceva la pioggia perché cadeva troppo rumorosamente; la neve, invece, la neve era morbida, non faceva clamore quando cadeva, era proprio come lei: invisibile, non emetteva alcun suono, e rendeva tutto il resto del mondo ovattato, come chiuso in un velo di silenzio. Proprio come lei, che sentiva il mondo scorrere al di là della porta chiusa.

Un mondo che produceva suoni ovattati, lontani, distanti. Freddi, di stanze vuote.

Elsa, quando era in camera sua, e ci stava gran parte della giornata, quantomeno non era obbligata a portare i guanti. Ecco perché dal soffitto pendevano gocce di cristallo, e le pareti erano ricamate di fiocchi di neve, in un mosaico di frammenti di ghiaccio sottile come lame, un esile strato che la faceva vagamente sentire al sicuro, protetta.

“Elsa? Mi senti?” 
Anna era tornata a bussare alla porta, e le vibrazioni di quel piccolo battere erano tornate a loro volta a scuotere le spalle della sorella maggiore, rannicchiata per terra, senza parlare.

“Elsa, ti va di giocare?”
Ma Elsa non rispondeva. E se, aprendo bocca, le fossero uscite parole di ghiaccio? Elsa preferiva il silenzio. Se chiudeva gli occhi, se li strizzava forte come aveva imparato a fare, e attendeva, Anna si sarebbe stancata di chiamarla e se ne sarebbe andata.

Elsa voleva bene ad Anna.

Ma Anna non poteva capire; aveva perso la memoria.

Era per il suo bene, se non le parlava nemmeno.

Ecco perché Elsa, la figlia maggiore del re e della regina di Arandelle, la principessa primogenita, Elsa la bella, Elsa la brava e silenziosa bambina che doveva vivere dietro le porte chiuse, era stata allontanata dalla sorella, segregata per proteggersi persino da se stessa.

Anna non capiva. Anna non poteva capire.

Anna avrebbe imparato a convivere col silenzio, ce l'avrebbe fatta.

“Elsa, dài, ti va di giocare a scivolare per il corridoio?”

Non che fosse impossibile, a palazzo ci avevano già fatto l'abitudine da un pezzo, al silenzio.

I cancelli erano stati chiusi, non si vedeva un ospite da giorni, mesi – o forse anni. I domestici? Si affacciavano alla porta delle loro stanze e poi sparivano. E le porte venivano di nuovo chiuse.

Elsa si sentiva in esilio.

Ma non provava rancore.

Solo rammarico. Il suo maledetto potere era imprevedibile e incontrollabile, enorme e potente. Avrebbe anche potuto creare una scala e fuggire dalla finestra, uno scivolo fatto di ghiaccio, e volare via, dove non si sarebbe sentita giudicata e additata, nascondersi dove non avrebbe più dovuto nascondersi a nessuno.

Ma non lo faceva, non lo avrebbe fatto neanche quella volta.

Perché?

Perché fuori pioveva, quel giorno, ecco perché, e lei avrebbe involontariamente trasformato le gocce di pioggia in cristalli, avrebbero potuto ferire qualcuno; sapeva che non era vero, ma non volle provare lo stesso.

Avrebbe potuto crearsi delle ali di cristallo, e volare davvero, via, lontano.

Ma si sapeva, i mostri non avevano mai le ali belle, e non le usavano per scappare.

Elsa si sentiva un vero mostro, che faceva male alle persone, e per evitare che l'additassero come tale, ecco che se lo diceva da sola.

“Elsa, perché non mi parli?”

In realtà, Elsa sapeva benissimo di avere solo paura.

“Elsa...”

Si alzò e andò al davanzale della finestra, ghiacciandone il bordo. Il ghiaccio si arrampicava lungo gli angoli, in un sottile strato di fredde fiamme azzurre, bianche e blu, e non c'era niente che la principessa amasse di più di quella sensazione.

Sua sorella stava di nuovo infilando i piedi sotto la porta, nel tentativo di aprirla.

Ecco che adesso, invece, si chinava per guardare, prima da sotto e poi dal buco della serratura.

Anna forzò la maniglia della porta, ma nessun suono provenne dall'interno neanche quella volta. Demoralizzata, mollò la presa, e la maniglia, con un lento e silenzioso scatto, tornò al suo posto, imperterrita.

Anna prese a correre lungo il corridoio, domandandosi cosa avesse fatto di sbagliato. Elsa era perfetta, lo sapeva, lei doveva sposare un principe o un re e diventare regina.

Ma le persone perfette non giocavano mai? Perché le persone perfette dovevano stare sempre da sole, in silenzio, e smettere all'improvviso di fare pupazzi di neve con le sorelle piccole?

Anna non era perfetta. Anna inciampava e cadeva e a tavola non sapeva stare composta, metteva i piedi sulla sedia, lei, e parlava tanto, parlava tantissimo, così tanto che le stanze si riempivano di suoni. Anna si domandò se non stessero cercando di far diventare perfetta anche lei, chiudendo non solo una porta, ma addirittura tutto il regno, e non facendola più uscire a giocare con Elsa.

Anna passava le giornate a guardare i grandi quadri delle grandi stanze vuote del suo grande castello, parlava con loro, si inventava conversazioni e storie, ma neanche i quadri le rispondevano.

I quadri stavano in silenzio e guardavano la pioggia scorrere fuori dalla finestra bagnando i vetri e scivolando via, libera e rumorosa come solo la pioggia sapeva essere.


  
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