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Autore: KiraGiuls    30/12/2013    3 recensioni
"Era stato usato e poi abbandonato dall’unica persona di cui aveva deciso di fidarsi, l’unica persona che avrebbe seguito in capo al mondo, l’unica che aveva amato con tutta l’anima e che continuava ad amare nonostante quello che era successo."
Nonostante il tour vada benissimo e i concerti siano sempre uno più grandioso dell'altro, Kellin non sta bene. Conosce il motivo del suo dolore, eppure nessuno può aiutarlo se non la causa stessa di quella tristezza infinita, Vic.
Kellic molto angst scritta in un momento di grande malinconia.
Genere: Dark, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Kells, noi andiamo a farci un giro, vieni con noi?”
“No Jesse, grazie, penso che me ne starò qui a… a riposarmi. Divertitevi anche per me!” rispose il cantante mentre si avviava verso il tour bus cercando di non far notare al chitarrista il tremito che gli aveva incrinato la voce, tradendolo.
 
Jesse fece spallucce e raggiunse di corsa gli altri, facendogli credere di essere salvo anche quella sera. Non che avesse grandi piani poi, eccezion fatta per il chiudersi nella cuccetta e piangere tutto il tempo chiedendosi cosa doveva aver sbagliato per far sì che tutto finisse così.
 
Aprì la porta del bus e stava per salire sulle scalette quando qualcuno lo afferrò per il braccio, facendolo fermare. Kellin si girò, spazientito.
“Jesse, davvero, ti ho detto che sono stanco, ho bisogno di dor–” davanti a lui, però, non c’era Jesse.
“Matty? Che ci fai qui?”
“Ciao anche a te Kells, devo forse ricordarti che sono in tour con voi da un paio di mesi?” sorrise l’amico, prendendolo in giro.
“Sì… no, cioè. Intendevo… cosa fai qui, non eri con i ragazzi?”
Un’ombra oscurò improvvisamente il volto di Matty Mullins, che si avvicinò di più a Kellin, piantandogli le pupille nelle sue. “Kellin, non sono il tuo migliore amico per niente.  Ti conosco. So cosa nascondi dietro quei “sono stanco”, “magari un’altra volta”, “ho mal di testa” ogni volta che ti si chiede di uscire, e non mi piace. Non puoi mentire per sempre, Kells, non a me.”
Nonostante i lacrimoni pronti ad inondargli la faccia premessero con troppa forza nei suoi occhi, Kellin deglutì e alzò lo sguardo al cielo, pregando di poter resistere ancora un po’ al pianto.
“Matty, guarda che io sto bene” tentò, fissando le stelle che iniziavano ad apparire sopra di lui. “Davvero, è solo che in questo periodo mi stanco facilmente, nient’altro.” Abbozzò un sorriso, mentre l’altro scuoteva la testa, per niente convinto.
“Prima o poi scoprirò cosa ti passa  per  la testa, Kells.” Mormorò infine, mentre si allontanava da lui calciando sassolini invisibili.”
 
Kellin sospirò e si accasciò contro il copertone del bus, stremato dalla conversazione. Senza più Matty nei paraggi, le lacrime sgorgarono da sole, e nel giro di qualche minuto il cantante si ritrovò con la testa stretta fra le mani e la maglietta zuppa. Ancora una volta alzò lo sguardo chiedendosi perché, com’era potuto succedere.
 
Era stato abbandonato. Era stato usato e poi abbandonato. Usato e abbandonato come un cane troppo vecchio dall’unica persona di cui aveva deciso di fidarsi, l’unica persona che avrebbe seguito in capo al mondo, l’unica che aveva amato con tutta l’anima e che continuava ad amare nonostante quello che era successo.
 
Era passato quasi mezzo anno, eppure Victor Fuentes continuava ad occupare tutti i suoi pensieri.
 
Dopo la fine del Warped, quell’anno, si erano visti solo una volta, per caso, e poi più nulla. Lui era tornato nel Michigan per qualche settimana di pausa prima dell’inizio del nuovo tour, e Vic era scomparso dalla sua vita. Per un certo periodo si era quasi convinto che non aveva bisogno di lui, di averlo sorpassato, ma poi la routine del tour era ricominciata, e con essa erano tornati anche i ricordi, e con essi la tristezza infinita.
 
Non riusciva più a salire sul palco senza pensare agli abbracci di Vic mentre cantavano insieme King For A Day, ogni volta che si chiudeva nel bunk per dormire si sorprendeva a cercare il suo odore fra le lenzuola, quel profumo tutto suo, di whisky, ciliegie e… Vic.
A volte, quando la malinconia diventava troppa e non riusciva più a reggerne il peso si nascondeva sotto le coperte con il telefono e cercava di guardare i video delle sessioni acustiche più belle di quell’estate, nonostante la vista gli si appannasse puntualmente ogni volta che il cantante dei Pierce The Veil sorrideva o guardava in camera. E questa cosa gli faceva male, gli faceva male più di qualsiasi altra, ma come altri trovavano conforto nelle più svariate forme di autolesionismo, lui lo trovava in quei video.
 
Una lieve brezza gli scompigliò i capelli e gelò le lacrime appiccicose sul suo collo, strappandolo momentaneamente dai pensieri. Rabbrividendo, Kellin si alzò e tornò alla porta del bus, questa volta per entrarci e buttarsi fra i cuscini del divano, accendere la televisione e prendere l’Iphone dalla tasca dei jeans. Sbloccò lo schermo e controllò le notifiche, poi lesse i due messaggi ricevuti. Uno era di Gabe, che gli diceva di essersi sbagliato a non uscire con loro perché si stavano divertendo tantissimo, l’altro di Matty. Rispose a quest’ultimo velocemente, come per scacciare un brutto pensiero; poi diede un’occhiata all’orologio davanti a lui. Erano le due meno dieci, forse avrebbe fatto bene a dormire un po’ per davvero. Senza la forza di alzarsi e arrampicarsi nel bunk, chiuse gli occhi sul divano, cercando di addormentarsi senza pensare a lui.
 
Quando si svegliò, non era passata neanche un’ora, e il tour bus era ancora vuoto.
Si diresse verso il bagno con l’intenzione di farsi una doccia per scacciare l’immagine di Vic, che era arrivata a tormentargli perfino i sogni, ma mentre lasciava scorrere l’acqua in attesa che si riscaldasse, fece l’errore di aprire la galleria fotografica e iniziare a sfogliare tutte le immagini presenti sovrappensiero, fino a che non arrivò  ad una foto in bianco e nero scattata qualche mese prima. Era la foto della sera in cui tutto era cominciato. C’erano lui, e  Vic, ovviamente. Ricordava perfettamente ogni secondo passato con lui, eppure quelli erano i più vividi.
 
Tutti facevano casino nel backstage. Il concerto era andato benissimo, la folla era impazzita, e i ragazzi messicani erano decisamente su di giri. Kellin rideva, guardando Jaime, Tony e Mike fare i coglioni e saltare sui divanetti mezzi sfondati. Vic era comparso improvvisamente dietro di lui e gli aveva posato una corona sui capelli, abbracciandolo. In realtà non era una corona qualsiasi, era la corona, quella di King For A Day, della loro canzone, del loro inizio.
 
Kellin si era promesso che non l’avrebbe mai dimenticato, e così era stato. Dentro di se portava sempre l’immagine di quel momento, quel momento in cui si era reso conto di amare Victor, di esserne terribilmente innamorato come non era mai successo prima. Se ci ripensava, poteva ancora sentire il suo respiro sul collo, il corpo caldo premuto contro il suo, i muscoli che si tendevano quando facevano l’amore, perché non era solo scopare, Kellin lo sapeva che c’era stato qualcos’altro, solo, si chiedeva dove fosse finito.
 
Senza nemmeno entrare nella doccia spense l’acqua, prese la prima felpa che gli capitò sottomano e si precipitò fuori dal bus. Salì sul primo taxi che vide e scese davanti al ristorante che gli sembrava più famigliare. Era stato a San Diego solo una volta prima, e aveva troppa fretta per fermarsi a chiedere indicazioni. Iniziò a correre sul marciapiede, incurante dei pochi ubriachi ancora in giro, per poi lanciarsi in mezzo alla strada, fregandosene del fatto che sarebbe potuto essere investito in qualsiasi momento. Non c’era tempo per ragionare, non c’era tempo per rallentare, aveva bisogno di risposte, di UNA risposta, subito.
 
Continuò a correre, e a correre, con la vista annebbiata, senza sapere dove andare, finché non andò a sbattere contro un ragazzo.
“Ehy ehy ehy! Fai attenzione o…”
“Ugh, mi spiace, scus—” le parole  gli morirono in gola.
Era finito tra le sue braccia.
“VICTOR?” si morse un labbro, per essere sicuro di non star sognando.
Kells” rispose lui, con quel tono di voce che l’aveva sempre fatto impazzire.
Kellin cercò di allontanarsi, ma Vic lo strinse più forte, mentre un sorriso disperato gli affiorava sulle labbra.
“Sei qui. Kellin, non sai quante volte ho sognato questo momento. Appena ho saputo che eravate qui a San Diego sono uscito a cercarvi, volevo farti una sorpresa e così ho chiamato Gabe, ma mi ha detto che non eri con loro, non sapevo cosa fare e adesso sei qui, tu sei qui.” La voce si spezzò, e Kellin dimenticò tutto, gettandosi tra le sue braccia.
“Vic, mi sei mancato così tanto… non riuscivo quasi a respirare senza di te, perché sei scomparso così dopo il Warped?” mormorò, riempiendosi le narici di quell’odore così buono, che lo faceva stare dannatamente bene.
“Avevo paura che tu non ne volessi sapere più nulla una volta tornato in Michigan, sai, con Katelynne…” singhiozzò Victor, aggrappandosi all’altro come se non l’avesse mai più lasciato andare.
 
Kellin si scostò un poco e gli prese il mento tra le dita. I loro sguardi si incrociarono e Vic appoggiò la fronte a quella del cantante, poi fece un respiro profondo e lo baciò. Fu il bacio migliore di tutti, risanò tutte le ferite aperte dalla lontananza e rispose a tutte le domande scaturite dal tempo.
 
“Victor Vincent Fuentes” ansimò Kellin prendendo fiato. “Non osare più lasciarmi.”
 
 
 
 
 
Ave ai miei tre lettori, 
innanzitutto scusate se questa OS è praticamente un clichè totale faccio schifo a scrivere lo so yey
il titolo è preso da Crash degli You Me At Six, che ho fatto l'errore di ascoltare live dopo quasi tre mesi (dal 2 novembre, che c'era il concerto) che non riuscivo ad ascoltarla e quindi tutti i miei angst feels sono saliti a galla e ne è nata la cosa che avete appena finito di leggere non ve ne frega un cazzo, sò anche questo oKAY
 recensite giusto perchè è appena passato natale, pls :c
-Giuls

 

ps: la foto di cui si parla è QUESTA QUI, e ci tenevo che la vedeste perchè sono così cuccioli e è la mia foto preferita 5evah and stuff
   
 
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