Disclaimers
: Il marchio Jag
e
tutti i suoi personaggi appartengono alla Bellisarius Production. In questo
racconto sono stati usati senza
alcuno scopo di lucro.
Nota dell’autore:
Come questa,
anche la vicenda narrata nel libro sembrava assurda e irreale. Anzi, a
dire il
vero, lo era. Lo sono entrambe.
Ma
al di là
della storia raccontata, in quel libro c’erano diversi messaggi
interessanti e
altrettanto interessanti spunti di riflessione, che hanno smosso la mia
fantasia, ma non solo… ho cominciato a pensare che anche a me sarebbe
piaciuto
dire la mia e stimolare
alcune
riflessioni su certi argomenti: sul concetto di empatia, sull’amore in
genere e
sul rapporto di coppia in particolare; sui sentimenti e sulla
razionalità,
sull’uomo e la donna come esseri unici e distinti, ma al tempo stesso
simili e
complementari… e forse qualcos’altro ancora.
La
tentazione
di sfidare me stessa e farlo in maniera più o meno simile è stata tanta.
E così ho
provato. Ho provato a costruire una storia altrettanto “assurda”,
tentando di
renderla altrettanto plausibile. Ma, soprattutto, ho cercato di fare il
possibile per riuscire a trasmettere le mie riflessioni, così come
l’autore del
libro, a mio avviso, è riuscito a fare con le proprie tramite il suo
romanzo.
Sono
consapevole che la pretesa è tanta, ma se non ci si pone davanti ad
obiettivi
elevati, difficilmente si arriva a conquistare anche i minimi.
Che poi io ci
sia riuscita… questo starà a voi giudicarlo.
Mi
auguro
almeno che il racconto, nonostante “l’irrealtà” della vicenda, vi possa
comunque piacere.
Buona
lettura!
Ringrazio
Frédéric Lasaygues per l’ispirazione e Audrey
Hepburn, nel ruolo di Jo Stockton in “Funny Face“ (Cenerentola a
Parigi), per
avermi fatto scoprire, quando ancora ero ragazzina, il concetto di
empatia e di
averlo spiegato così bene, meglio di come avrebbe fatto la mia prof di
filosofia diversi anni dopo.
Ringrazio
anche il mio carissimo amico Nick per avermi
spesso fatto riflettere sull’imperscrutabile universo maschile, e gli
uomini
della mia vita - mio marito, mio figlio e mio padre -
che ogni giorno mi
fanno sperimentare quell’universo, permettendo alla mia empatia di
essere
sempre ben allenata.
Infine
un grazie ad Harm, forse il più degno
rappresentante di quel contraddittorio, a volte imperscrutabile, ma
anche affascinante
universo.
Alexandra (3 marzo-2 novembre 2006)
30
dicembre 2013 - Pubblicando finalmente questa mia ff scritta nel
lontano 2006, colgo l'occasione di augurare a tutti voi BUON
ANNO!
Alexandra
-1-
(presentare il
caso)
Lenzuola
lisce, quasi impalpabili.
Un vago sentore di fiori.
Silenzio.
Non sono nel mio letto e neanche
in camera mia. Ma nemmeno sulla Seahawk.
Non ci sarebbe silenzio. Né questo
profumo vagamente familiare. E neppure queste lenzuola morbide.
C’è una sola spiegazione: sono nel
letto di una donna.
Eppure non ricordo d’essere stato
con una donna, ieri sera.
Se per questo, non ricordo
d’essere stato con una donna da chissà quanto tempo: c’è solo lei, nei
miei
sogni, ultimamente. I suoi occhi, le sue labbra, il suo corpo… Sta
diventando
estenuante desiderarla tanto e dovermi continuamente trattenere dallo
sfiorarla.
Apro gli occhi e mi muovo
lentamente, cercando di far chiarezza nei pensieri. Mi accorgo subito
che c’è
qualcosa di strano.
Dove sono?
Mi guardo attorno, sconcertato.
Mac?
Cosa ci faccio nella camera… no,
mi correggo… nel letto di Mac?
Non posso credere che…
No.
Impossibile.
Me ne ricorderei.
Se avessi fatto l’amore con lei,
non potrei scordarlo la mattina dopo.
Eppure… Eppure questa è la sua
stanza, ne sono certo. L’ho vista una sola volta, ma non l’ho mai
dimenticata. E
io mi trovo nel suo letto.
Perché?
Provo a tornare con la mente agli
avvenimenti di ieri, per capire.
Cosa mi sfugge?
Calma… un momento: ricordo
perfettamente dov’ero e cosa ho fatto ieri sera.
Mi hanno sbarcato dall’elicottero
sulla Seahawk nel tardo pomeriggio; ho sbrigato le solite faccende di
routine
in previsione della missione di oggi e dopo una cena e quattro
chiacchiere con
gli altri piloti, sono uscito sul ponte.
Erano settimane che ai notiziari
preannunciavano l’eclissi di luna… quale miglior posto per godersela al
meglio che
non essere sul ponte di una portaerei in mare aperto?
E così ho assistito, dall’inizio
alla fine, allo spettacolo della luna che lentamente scompariva e
riappariva,
attorniato solamente dal mare e dal buio della notte, con un indicibile
senso
di vuoto, senza averla accanto. Avrei dato qualunque cosa perché fosse
lì con
me; per vedere quello spettacolo naturale abbracciato a lei, mentre
aspiravo la
sua fragranza e percepivo il calore del suo corpo premuto contro il mio…
Dopo l’eclissi me ne sono andato a
dormire.
Solo.
Che cosa ci faccio, ora, nella camera
di Mac? E, soprattutto, nel suo letto?
Che stia ancora sognando, da ieri
notte?
Quante volte l’ho fatto,
immaginando di risvegliarmi tra le sue braccia, mentre accarezzo le sue
curve
invitanti?
E lei dov’è?
Se deve tormentare così i miei
sogni, che almeno possa godere di quel contatto anche solo immaginato!
Sorrido dell’assurdità della cosa.
In fondo molto è dipeso da me: se fosse stato per lei, è dai tempi
dell’Australia che avrei potuto averla tra le braccia al mio risveglio.
Anche
se poi ha cambiato idea.
Mi muovo lento, per stirare i
muscoli rilassati dal sonno. Spostandomi su un fianco, all’altezza del
petto mi
sorprende una strana sensazione… un peso insolito, che non capisco.
Che sia il cuore?
All’improvviso sento un impellente
desiderio di una tazza di caffè.
Nero. Forte. Bollente.
Caffè?
Da quando mai?
C’è qualcosa che non va.
Devo essere ancora nel
dormiveglia, perché tutto questo sembra così strano. Percepisco un
cambiamento
in me che non riesco a focalizzare… Perché indosso una maglietta? Di
solito
dormo solo in boxer.
Che cosa mi sta succedendo?
Sposto le coperte per alzarmi e
butto giù dal letto una gamba…
WOW… che gamba!
Lunga, affusolata, la pelle liscia
e morbida al tatto… Per un attimo mi fermo ad osservarla, affascinato.
La
sfioro con la mano: le sue gambe mi sono sempre piaciute da morire. Poi
riporto
l’attenzione alla realtà dei fatti e fisso allibito la mano che ha
toccato la
gamba… il braccio, dal polso delicato… risalgo con lo sguardo al corpo
in cui
mi trovo… Ora sono perfettamente sveglio, lo capisco dal cuore che sta
per
esplodermi nel petto.
Prima ancora di guardarmi allo
specchio, so che si tratta di quel corpo che da tempo non faccio altro
che
sognare di avere tra le braccia…
Mi guardo di nuovo attorno,
sconcertato: i suoi abiti, appoggiati sulla sedia, i suoi accessori,
posati
sopra il piccolo tavolino accanto alla finestra…
Come diavolo sono finito nel corpo
di Mac?
***
Mi riporta
alla realtà il rumore
tipico che si sente su una portaerei. Nella blanda incoscienza che
precede il
risveglio, un pensiero rapido, fulmineo, transita per pochi millesimi
di
secondo nella mia mente: perché mi trovo su una portaerei?
Non ricordo di esserci arrivata.
Poi il torpore del sonno mi
cattura di nuovo.
E’ strano. Di solito sguscio fuori
dal letto non appena riprendo contatto con il mondo. E subito il mio
corpo
reclama immediatamente un caffè.
Nero. Forte. Bollente.
Invece ora mi giro su un fianco e
del caffè nessuna voglia.
C’è qualcosa di diverso.
Provo a stiracchiarmi e nel
contempo porto le mani al volto, in un gesto che, tuttavia, non mi è
abituale.
Il cuore inizia a galopparmi furioso nel petto: quelle che ho portato
al viso,
non sono le mie mani!
Mi sollevo di scatto e osservo il
corpo che ha preso il posto del mio…
Che cosa mi sta succedendo?
Sento il panico stringermi a poco
a poco la gola…
Che fine ha fatto il mio corpo?
O meglio: in quale altro corpo è
finito l’IO pensante di Sarah Mackenzie? Perché l’unica certezza che ho
è che
IO sono il tenente colonnello dei Marine Sarah Mackenzie, avvocato
della
procura militare.
Ma dove sono?
Mi guardo attorno e osservo che mi
circondano le pareti di una cabina; l’angusto spazio in cui mi trovo,
sebbene
sembri essere tutto per me, non fa che confermare quello che ho capito
non
appena mi sono svegliata… eppure io dovrei trovarmi a Washington…
proprio
stamani dovrei interrogare un teste…
Di nuovo mi guardo attorno,
spaventata.
Che ore sono?
Mi muovo ansiosa… com’è possibile
che mi domandi l’ora? Perché non so che ore sono?
Che cosa mi sta succedendo?
Scosto le coperte e faccio per
alzarmi… E finalmente osservo con attenzione le mani, le gambe, quello
che
indosso… Focalizzo il corpo in cui sembro essere rinchiusa: mani
grandi,
lunghe, dalle unghie squadrate, ma ben curate, come piacciono a me.
Mani maschili.
Sì, decisamente le mani di un
uomo.
Mani maschili che ho la vaga
impressione di conoscere.
Il corpo che è in questa cuccetta
indossa solo un paio di boxer… “Un vero peccato”, mi sorprendo a dirmi:
per
quello che vedo in questo momento e che sento tra le gambe, sembra
essere un
gran bel fisico e, oserei dire, anche ben dotato!
Oddio, ma che vado a pensare?
La situazione richiede un minimo
di lucidità.
Ricapitoliamo: dove sono finita?
Uno specchio. Mi serve uno
specchio. Almeno per capire meglio “chi” sono diventata…
Mi alzo, barcollando per un
attimo… che piedi grandi, accidenti!
E che fastidio! La parte anatomica
che prima ho apprezzato, adesso che sono in posizione verticale, si
muove in
maniera quasi ridicola tra le gambe. Come fanno gli uomini ad andarsene
a
spasso per tutto il giorno con… ehm… ‘sto coso che pare anche avere
vita
propria?
Raggiungo lo specchio con solo due
passi di queste lunghe gambe che mi ritrovo, fisso il volto che mi
osserva
riflesso e…
Scoppio a ridere.
Sono consapevole che dopo la
risata liberatoria, tornerà ad assalirmi l’ansia, ma in questo momento
l’assurdità della situazione rasenta la comicità.
Come accidenti sono finita nel
corpo di Harm?