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Autore: maccioccafrancesca    31/12/2013    5 recensioni
< Spero tu non decida di colpirmi anche con questa,> disse pacato.
Nella mia testa quella frase risuonò estremamente dolce, ma in realtà sapevo che stava solo cercando di salvaguardare la sua salute.
< Tranquillo,> risposi afferrando la busta, < questa non farebbe abbastanza male.>
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Josh Hutcherson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  Daydreamers' Carol  
  A Present For You 




 
19 Dicembre 2013


Mai far ubriacare Babbo Natale.
Era quella la lezione più importante che avevo imparato dopo aver vissuto vent'anni in quella città.
Anzi, quasi venti.
Mia madre ci teneva che fossi sempre accurata e precisa quando parlavo. E quando pensavo. E quando facevo qualunque altra cosa.
Era un po' fissata, effettivamente.
Comunque, fatto sta che far ubriacare Babbo Natale non era mai una buona idea.
Eppure, ogni anno da quando ne avevo memoria, il buon Anthony Johns indossava il suo bel costume un po' scolorito e si buttava nelle vie poco trafficate di Union con un'immancabile bottiglia alla mano.
E, sempre ogni anno, questo finiva con lo svenire in qualche angolo della piccola città residenziale.
Per quel motivo mi stupiva che la gente continuasse ancora a trovarlo interessante.
Intorno a lui si formava sempre una piccola folla di curiosi. 
Ovviamente nessuno che provasse a dargli una mano.
In genere, prima che qualcuno si decidesse a fare qualcosa, doveva prima passare una buona mezz'ora.
E quella sera non fu certo da meno.
Stavo pigramente camminando in quel di Union diretta verso casa e la piccola folla, quel freddo 19 dicembre, si era accalcata proprio di fronte alla mia abitazione.
Sembrava più esagitata del solito, quindi decisi che fermarmi un attimo a dare un'occhiata non sarebbe stato sbagliato.
Non avrei voluto che quella volta Anthony avesse esagerato sul serio. Ormai cominciava ad avere una certa età e il timore che l'ennessima bottiglia che trangugiava sarebbe potuta essere l'ultima, mi turbava.
Lo conoscevo, quell'uomo. Non era cattivo, era semplicemente solo.
Paradossalmente i momenti in cui interagiva di più con gli altri erano proprio quelli lì.
Mi alzai un poco sulle punte per permettermi di vedere al di là di tutte quelle teste agitate.
Nonostante il mio metro e settantacinque, e il piccolo tacco degli stivali, non riuscivo a vedere nulla.
Mi spostai un po' verso destra.
Mi tranquillizzò constatare che la maggiore agitazione di quella sera era destata unicamente dal fatto che, quella volta, Anthony aveva indossato un cappello da strega piuttosto che da Babbo Natale.
Stavo per girare i tacchi e andarmene a casa, quando una voce alla mia sinistra destò la mia attenzione.
< Ma si può sapere cosa diavolo succede?> Disse un ragazzo, cercando di infilare il naso tra due omoni che gli ostruivano la visuale.
Abbassai lo sguardo su di lui: era piuttosto bassino, per quello non ci stava capendo nulla.
< È solo il vecchio Anthony,> gli risposi, tornando a guardare di fronte a me.
< Anthony? Sta male? Cioè, più male del solito?>
< Se vuoi ti prendo in braccio, così puoi constatarlo tu stesso,> dissi ad un certo punto, realizzando solo poi delle effettive parole che erano uscite dalla mia bocca.
Già non ero brava a fare ironia, se poi la facevo con uno sconosciuto... Non l'avrei biasimato se mi avesse tirato un pugno.
Avrei voluto dire qualcosa per riparare al danno, ma, conoscendomi, non avrei fatto altro che peggiorare la situazione, quindi mi limitai a riportare lo sguardo di fronte a me senza proferire altra parola. Strinsi le mani nelle tasche del cappotto, imbarazzata.
Forse era arrivato il momento di tornarmene a casa.
< Sai,> cominciò lui. Sembrava cordiale, tranquillo, però non avevo ancora il coraggio di guardarlo negli occhi. < Sarò anche piccoletto, ma sono abbastanza pesante, non so se ce la faresti a tirarmi su.> Lo sentii ridere, così mi girai a guardarlo, respirando a fondo contro la lana pesante della mia sciarpa.
< Mai sottovalutare il proprio nemico,> azzardai.
Sì, perché visto com'era andata bene fino ad allora affidandomi all'ironia, era giusto andare avanti in quel modo.
Complimenti Chris, complimenti vivissimi.
Il ragazzo alzò il volto nella mia direzione, sgusciando fuori da un ingombrante sciarpone e scostando appena il cappuccio della giacca con la manca. E allora scoppiò a ridere. < Sei forte,> singhiozzò, tra una risata e l'altra.
Avrei voluto ridere anche io insieme a lui, sul serio, ma non ce la facevo.
Ci provai anche, a dire il vero - non avrei mai voluto apparire maleducata -, ma ero un tantino impegnata a tenere sotto controllo un principio di infarto potenzialmente mortale.
Già, perché non solo avevo appena velatamente insultato uno sconosciuto, ma si dava il caso che questo fosse anche uno degli attori più richiesti da Hollywood negli ultimi tempi.
Esatto, avevo appena detto a Josh Hutcherson che era basso.
Non che ci fosse nulla di male in quello, ma non era stato carino dirglielo in quel modo.
Va bene, dovevo riparare.
E dire qualcosa, dovevo assolutamente dire qualcosa: avevo appena passato i dieci secondi di silenzio, il che mi faceva rientrare nella categoria dei "maleducati", e se avessi aspettato ancora un po' sarei entrata in quella dei "malati mentali" salendo direttamente nella top10.
E dire che in genere ero un tipo abbastanza logorroico.
< Non volevo dire che sei basso,> dissi d'un fiato, non pensando (di nuovo) alle parole che erano uscite da quel buco nero che mi ritrovavo al posto della bocca.
< Va bene,> rispose pacato lui, senza togliersi il sorriso dalle labbra.
< Davvero, non so perchè me ne sia uscita in quel modo. Non è stato carino da parte mia. E poi nemmeno ci conosciamo, chissà che brutta impressione ti starò facendo,> dissi ancora, riscovando il lato più logorroico che era in me. E, in realtà, sparai ancora qualche altra cavolata, ma ormai non ci facevo più nemmeno caso.
Che poi ci ero abitutata a dire cose senza senso.
< Va bene,> ripetè, sempre più divertito. Si stava trattenendo dal ridere, lo si poteva capire dalle labbra forzatamente serrate e dagli occhi sorridenti.
Sicuramente mi stava prendendo per una pazza sclerotica.
Seguirono diversi secondi di silenzio, durante i quali provai a escogitare più volte un piano di fuga.
E fantasticai anche sul nostro imminente matrimonio, lo ammetto.
Tornai con i piedi per terra solo quando notai la piccola folla cominicare a diradarsi intorno a noi - un ragazzo aveva aiutato il vecchio Anthony ad alzarsi e, dunque, il divertimento poteva definirsi concluso -, quindi ne approfittai per scappare.
< Ora devo andare. Ciao. Mi dispiace. Okay, addio.>
Bene. E fu così che, dopo aver messo insieme qualche parola, senza ovviamente riuscire ad articolare una frase di senso compiuto, girai i tacchi e me ne andai.
Sentii Josh sorridere e sussurrare un < ciao> piuttosto allegro.
Reprimetti la voglia di girarmi a guardarlo un'ultima volta e, invece, corsi dentro casa con una velocità che avrebbe reso fiero di me Bolt.
Una volta dentro tirai un sospiro di sollievo.
O di disperazione, a seconda dei punti di vista.
I miei genitori erano entrambi in cucina, indaffarati con la cena, mentre la mia sorellina, Jess, era nella sua stanza.
Salutai i miei con un distratto cenno della mano e subito corsi in camera mia, chiudendomi la porta alle spalle con un tonfo sordo.
< Ho appena incontrato Josh Hutcherson,> sussurrai tra me e me.
Lo ripetei ancora una volta, quasi come se non riuscissi a crederci.
< Ho appena incontrato Josh Hutcherson,> dissi per l'ennesima volta, < e ho fatto un'enorme figura di cacca.>

 
22 Dicembre 2013
 

Scesi al piano inferiore trascinando i piedi sul pavimento.
Avevo un sonno incredibile.
Effettivamente trovavo un crimine doversi svegliare presto di domenica. Ma era per una buona causa: alcuni ragazzi avevano organizzato una raccolta di firme contro lo sfruttamento degli animali da parte delle case cosmetiche, quindi sarei andata volentieri a dare una mano.
Mia madre credeva che fossi pazza a voler supportare iniziative del genere. Io credevo che fosse pazzia ignorarle.
Misi a riscaldare del latte e a fare del caffè, preparai la mia tazza dell'Uomo Ragno e infine mi sedetti.
Erano ancora tutti a dormire, così, nel silenzio di quella fredda mattina, finii col girovagare chissà dove con la mente.
Una cosa che mi caratterizzava molto - oltre la pigrizia e la mia triste ironia -, era prorpio quella: avevo una capacità di distrarmi e mettermi a fantasticare incredibile.
Ero da record, sul serio.
Non contavo nemmeno più delle volte che mi ero messa a pensare ai fatti miei mentre ero nel bel mezzo delle conversazioni più disparate.
Con annesse figure da maleducata, che domande.
Quella mattina la mia mente tornò inevitabilmente al pensiero che mi tormentava da ormai tre giorni.
Sì, esatto, stavo parlando proprio di un qualcerto "sconosciuto".
Era più forte di me: più provavo a scacciare la sua immagine dalla testa, più quella si ripresentava, prepotente.
Pensavo alla figuraccia che avevo fatto, alle cose che avrei potuto dire, al mio aspetto terribile di quel giorno e che avrei potuto chiedergli un autografo o che so io, piuttosto che prenderlo in giro.
Ero proprio scema.
Ed ero ancora più scema se si considerava che, da quel giovedì sera, non uscivo se prima non avevo messo su un po' di fondotinta o se non avevo, perlomeno, pettinato i capelli.
Perché sia mai che lo rincontro. 
Ma era improbabile, visto che, da quando andavamo alle elementari, quella era stata la prima volta che lo avevo incontrato.
Il che era quasi comico visto che abitavamo in una cittadina di poco più di cinquemila abitanti. 
Feci colazione in religioso silenzio, continuando a tromentare la mia povera mente con altri mille pensieri inutili.
Poco dopo ero vestita e pronta per uscire.
Ovviamente avevo messo su anche un po' di trucco - la speranza è l'ultima a morire, si sa -, ma tanto quelle orribili occhiaie che circondavano i miei occhi castani in un abbraccio bluastro non si coprivano nemmeno con la vernice.
Per i capelli ci avevo proprio rinunciato e li avevo nascosti sotto un adorabile cappello di lana a forma di orsetto.
Ai piedi i miei immancabili stivali gialli.
Già, ero un tipo che vestiva in modo particolarmente appariscente.
Dovrò pur compensare la mia scarsa bellezza in qualche modo, no?!
Una volta uscita di casa, mi incamminai verso Arbor Springs Boulevard, dove trovai situati, all'angolo con Richmond Road, i ragazzi che avevano organizzato la petizione. Avevano improvvisato un banco utilizzando una scrivania coperta da un'ampia tovaglia bianca e un enorme ombrellone quadrato, il tutto contornato da striscioni e volantini.
La mattinata trascorse tranquilla, a tratti forse anche un po' noiosa: inizialmente in pochi si avvicinarono, ma più passavano le ore, più raccoglievamo firme e consensi.
Quando si fece ora di pranzo, mi proposi per passare a casa e preparare dei panini per tutti, così presi e tornai da dove ero venuta. 
< Ciao,> mi salutò mia sorella, una volta varcata la soglia della cucina. Facendomi prendere un colpo, peraltro.
< Ciao Jess,> la salutai di rimando, sorridente.
Presi i panini e il formaggio e cominciai a preparare le mie opere d'arte.
Jess si sedette al tavolo e poggiò il suo bel visetto sui palmi delle mani.
< Sai,> cominciò a dire pacata, < mentre tornavo da scuola ho incontrato Josh Hutcherson.>
Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva.
< Cosa?>
< Già. Era con suo fratello, che studia nel mio stesso liceo. Suppongo fosse venuto a prenderlo per pranzare insieme.>
Puntai gli occhi in quelli della mia sorellina, scrutandola attentamente.
< Abbiamo fatto una foto insieme,> continuò, < è molto disponibile.>
< Mmh.>
< O almeno lo è con chi non lo prende in giro per la sua altezza.> E poi scoppiò a ridere. 
Lo sapevo, sapevo che voleva arrivare a quello! Da quando le avevo parlato della mia figuraccia, non perdeva occasione per rinfacciarmela e prendermi in giro.
< Sei crudele,> sentenziai sbuffando.
< Ne sei proprio sicura?>
Cos'era quell'espressione furba che le si era dipinta in volto? Cosa mi stava nascondendo?
Che si fosse fatta fare un autografo anche per me?!
< Parla,> la esortai allora, decisa.
< Potrei avergli detto della raccolta di firme organizzata da quegli hippy. E... be', lo sai, lui ha molto a cuore gli animali...>
< ...>
< Tranquilla, per i ringraziamenti posso aspettare anche questa sera.>
< ...>
< Però ora muoviti a finire quei panini, altrimenti rischi di non riuscire ad incontrarlo. Anche perché aveva detto che avrebbe fatto un salto dopo pranzo, quindi...>
< Jess, non so se odiarti o amarti in questo momento.>
< Lo so, sono una sorella fantastica.>
Le riservai un sorrisone e subito tornai ai panini. Cercai di finirli il più in fretta possibile - e, tra l'altro, credo che nel farlo uccisi una povera fetta di pane lanciandola per aria.
Una volta fatto, imbustai il tutto e corsi fuori dalla piccola villa, giusto in tempo per sentire Jess urlarmi dietro che, per "quell'atto di estrema bontà," avrei dovuto pulirle la camera per un mese.
Aveva solo quindici anni, ma era fin troppo furba.
Camminai a passo svelto per tutto il tragitto.
Dovevo apparire molto stupida.
Io mi sarei data della stupida, perlomeno.
Insomma, Josh Hutcherson era solo un attore, mica un dio. Non aveva nulla di speciale. A parte molto talento, un viso adorabile e un cuore immenso.
Ma io ci tenevo a rivederlo solo per scusarmi, nielt'altro. Tutto lì.
Quando svoltai in Arbor Springs Boulevard riconobbi subito, in lontananza, il banco dei ragazzi.
Erano tutti lì, chi in piedi chi no, intenti a far firmare qualche signora e - oh cavolo: Josh Hutcherson aveva appena posato la penna e si stava accingendo a fare una foto con Karina, una delle animaliste.
Rallentai un po' il passo, ormai a meno di trenta metri dallo stand, e, senza un come nè un perché, mi ritrovai a nascondermi dietro un albero per non essere vista.
Improvvisamente cominciò ad invadermi una sensazione di imbarazzo e l'idea di andare a parlare a quel ragazzo mi apparve come la peggiore che mai avessi avuto.
Mi conoscevo, non avrei fatto altro che scavarmi ulteriormente la fossa.
Mi affacciai da dietro l'albero e scrutai attentamente la situazione, poi tornai subtito a nascondermi. Josh stava firmando autografi a tutti. Con lui c'era anche sua fratello minore, Connor.
Non trovavo stranno tutto quell'affetto nei suoi confronti: per via dei suoi impegni lavorativi non tornava quasi mai a Union se non per qualche festività. E anche quando tornava, rimaneva solo per pochi giorni e non si faceva vedere mai in giro.
Per quello tutti stavano approfittando di quell'incontro.
Mi affacciai nuovamente, ma, nonostante tutti i miei sforzi, non riuscivo più a vederlo.
Che si fosse nascosto sotto la scrivania?!
Stavo per sguasciare fuori dal mio nascondiglio, quando scorsi due figure camminare nella mia direzione.
Scusate il francesismo, ma... Oh merda!
Non potevo far finta di nulla, perché stavano camminando sullo stesso marciapiede dove mi trovavo io - e, si sa, una ragazza nascosta dietro un albero con un orso in testa e due stivali segnaletici ai piedi non passa inosservata troppo facilmente -, ma non potevo nemmeno scappare, perché erano abbastanza vicini da vedermi e prendermi per pazza.
Come se già non avevo fatto quell'impressione.
Che poi dove volevo scappare?!
Dietro un altro albero?!
Non brillavo certo per ingegno.
Forse potevo fingermi morta, così, magari, mi avrebbero sorpassata senza pensarci. Infondo con gli orsi funzionava.
La cosa tragica era che stavo pensado seriamente all'ipotesi di mettere in pratica quel piano.
Poveri noi.
Quando tornai alla realtà realizzai che ormai era troppo tardi anche per piangere.
Perché, ovviamente, per pensare a tutte le mie cavolate varie, avevo perso tutto il poco tempo a disposizione.
Feci per uscire dal mio nascondiglio - perché tanto, ormai, peggio di così non poteva andare -, quando sentii qualcosa tirarmi il braccio. Mi girai istintivamente, allarmata, ma a trattenermi non era altro che un ramo curioso impigliatosi alla manica del cappotto.
Provai a tirarlo via, ma mi accorsi ben presto che, così facendo, non avrei fatto altro che rompere irrimediabilmente il mio capo.
Posai a terra la busta con i panini, facendo attenzione a non sbilanciarmi troppo e uccidere il mio povero cappotto, e andai a dedicarmi alla manica impigliata con la mano libera.
Non c'era proprio modo di disincastrarla senza strapparla.
Cominciai a inveire contro quel maledettissimo albero.
E contro Josh, per il quale ero stata costretta a nascondermi dietro il suddetto maledettissimo albero.
Giusto, Josh! Mi ero totalmente dimenticata di lui.
Avrei voluto affacciarmi e controllare la situazione, ma una mano che mi picchiettò la spalla mi fece sobbalzare. 
Istintivamente la mia mente ricondusse quel tocco a un maniaco-assassino-ricercato-in-otto-stati, così mi venne totalmente naturale far scivolare la borsa dalla spalla alla mano libera e scaraventarla addosso allo sconosciuto.
Nel farlo sentii anche uno strack: addio cappotto.
< Ahia!> Si lamentò il ragazzo, massaggiandosi il costato, dove, supposi, l'avevo colpito.
I miei occhi guizzarono al suo volto e subito avvertii il mio viso sbiancare sensibilmente.
Il ragazzo al suo fianco si stava trattenendo a stanto dal ridere.
< Scusa,> azzardai, abbassando lo aguardo imbarazzata.
Ora, oltre che pazza, gli sembrerò anche violenta.
< E' un piacere anche per me rivederti,> sghignazzò, senza comunque nascondere una smorfia di dolore.
E allora entrai in modalità "logorroica": < Mi dispiace, è che ero girata e tu mi sei arrivato alle spalle e poi ero indaffarata con questa manica incastrata che adesso non è più incastrata e ho pensato che qualcuno volesse scipparmi o rapirmi o picchiarmi o violentarmi o uccidermi e allora ho agito senza pensare e ti ho dato una borsata, ma giuro che non volevo farti male e che->
< Okay,> mi interruppe Josh, divertito, < magari però respira un attimo e poi torna a parlare. Non voglio averti sulla coscienza.>
Alle sue parole cercai di calmarmi e presi un bel respiro.
< Mi dispiace,> ripetei allora, quella volta più seria. Mi trattenni dallo sfociare nuovamente nei miei sproloqui.
Josh sorrise, poi si chinò e raccolse la busta con i panini, porgendomela.
< Spero tu non decida di colpirmi anche con questa,> disse pacato.
Nella mia testa quella frase risuonò estremamente dolce, ma in realtà sapevo che stava solo cercando di salvaguardare la sua salute.
< Tranquillo,> risposi afferrando la busta, < questa non farebbe abbastanza male.>
< Mi sembra giusto. Comunque io sono Josh.> Mi porse la mano, che esitai un attimo a stringere.
< Lo so - cioè, io sono Chris.>
< Lui invece è Co->
< Mia madre mi ha chiamata così perché sono nata a Natale. Oh, scusa, ti ho interrotto.>
Dio, ero un caso perso.
Posai lo sguardo su Connor, sperando non si fosse offeso. Questo porse la mano e si presentò, divertito.
< Sei nata il giorno di Natale?> S'intromise Josh, curioso come un bambino.
< Già.>
< Quindi tra poco è il tuo compleanno,> continuò entusiasta.
< Non ti sfugge nulla,> continuai.
Cavolo, la dovevo smettere di rispondergli in quel modo!
< Posso farti un regalo?>
< Scusa?>
< Sì, un regalo. Per il tuo compleanno. O per Natale, come preferisci. Così mi faccio  anche perdonare per quello,> disse indicando lo strappo sulla mia manica.
< Oh, ma non è colpa tua.>
Invece sì che lo è.
< Non importa, voglio comunque farmi perdonare.> 
< E comunque,> cominciai dopo averci pensato su un attimo - che strano, eh? -, < sono io quella che ti sta importunando in continuazione.>
< Non mi sento affatto importunato.>
< Ah no?!>
< In ogni caso,> disse poi, dando uno sguardo fugace al suo orologio, < ora dobbiamo andare.>
< Certo, vi ho... vi ho trattenuti anche troppo.>
< Ci vediamo il ventiquattro.>
< Sì, il ventiq- che?>
< Ti devo dare il mio regalo, no?>
< Oh, quindi non mi stavi prendendo in giro...>
Josh non nascose un sorriso. < Ci vediamo in questo punto esatto alle otto di sera.>
Mi salutò con un cenno della mano e così fece anche Connor, che era rimasto tutto il tempo in religioso silenzio.
< Ci conto, eh!> Aggiunse poi, incamminandosi verso la direzione nella quale erano già diretti prima di fermarsi.
Io rimasi lì, immobile, per almeno altri cinque minuti. E con tanto di sorriso ebete stampato in faccia.
Credo anche di aver spaventato una povera vecchina che passava di lì.
Sarei uscita con Josh Hutcherson. 
In pratica potevo considerarlo un appuntamento.
Okay, no. Però l'avrei rivisto. Ed era stato lui che me l'aveva proposto, non ero stata io ad implorarlo in ginocchio su un letto di ceci e spilli.
Era decisamente... irreale.
 
24 Dicembre 2013


Avete presente l'atmosfera natalizia?
Quella meravigliosa aura di positività che, nel mese di dicembre, circonda ogni cosa?! 
Tutte le luci e gli addobbi che colorano la città?!
Quell'euforia tanto contagiosa che vi porta a canticchiare "Jingle Bells" anche mentre siete in fila alle poste e nessuna altro dice una parola?!
Ecco, dimenticatela.
Perché a Union nessuno aveva voglia di fare nulla per rendere vivibile il periodo natalizio.
L'unico Babbo Natale che si vedeva in giro era sempre e solo Anthony.
Sarà che quella era una cittadina senza nè arte nè parte, sarà che la gente non aveva più voglia di dimostrare nulla a nessuno.
Non lo so cos'era, ma era così.
Però, quella sera, io mi sentivo in una perfetta, cangiante atomosfera natalizia.
Stavo anche cantando Michael Bublé a squarciagola, per la gioia dei miei.
Erano le sette e trenta e a breve sarei uscita per incontrarmi con Josh - sì, ero una che faceva sempre tutto in anticipo.
Avevo indossato un non poco sgargiante abito rosso e, d'improvviso, la mia taglia 44 mi era sembrata trasformarsi in una 40. Così come il mio viso ovale sembrava esser diventato perfettamente simmetrico e i miei inesistenti zigomi esser lievitati magicamente.
Era quello che succedeva quando si era felici? Tutto sembrava più bello?!
Indossai il cappotto e il cappello-panda (che altrimenti quella sera sembravo troppo seria), salutai tutti, raggiante, e uscii di corsa.
Arrivai al luogo dell'incontro con un quarto d'ora d'anticipo, mentre Josh arrivò esattamente alle otto e un minuto.
< Buonasera,> mi salutò sorridente, una volta di fronte a me.
< Ciao,> risposi io timidamente.
Il ragazzo mi scrutò attentamente dalla testa ai piedi e io già stavo fantasticando sul romantico complimento che a breve mi avrebbe riservato.
Mi ero fatta carina quella sera, che credete?
< Sembri un po' meno alta del solito.>
Appunto.
< Visto, oltre che simpaticissima, sono anche regolabile,> osservai piccata, indicando le mie scarpe: quella sera, al posto degli stivali col tacco, ne avevo indossati un paio bassi.
< Una donna dalle mille risorse,> disse, prendendomi palesemente in giro.
< Tu invece non sembri esserti alzato di un centimetro,> sbuffai, dimenticando per un istante che in quel momento ero imbarazzata fino al midollo.
Me ne ricordai troppo tardi.
< Sì,> cominciò, < avevo pensato di indossare un bel tacco 15, ma non stava bene con questi virilissimi vestiti, dunque...>
< Concordo, avrebbero rovinato il tuo meraviglioso outfit.>
< Out-che?>
< Ah, ma che parlo a fare...!>
Liquidai la conversazione con una scrollata di mano, guardandomi intorno. < Dove andiamo?>
< Mmh. Non so, tu dove vuoi andare?>
< Il fatto che te lo abbia chiesto per prima dovrebbe farti intuire che non ho idee sul da farsi. Non brilli per arguzia, Hutcherson.>
Non sapevo se essere contenta o meno per il fatto che avevo apparentemente superato la fase di imbarazzo.
Anche perché con quelle uscite potevo sembrare vagamente scortese.
E non era bene fare quella figura di fronte al mio futuro marito.
< Se continui a maltrattarmi in questo modo non ti do il regalo,> disse, fingendosi offeso.
A quelle parole ebbi come un'illuminazione: mi ero totalmente dimenticata del regalo e, a dire il vero, nemmeno ci speravo che mi avesse effettivamente comprato qualcosa.
< Oh, il mio regalo! Dammelo! Dammelo! Dammelo! Ti prego!>
Sì, eccovi svelato un altro affascinante aspetto del mio carattere: quello infantile fino alla disperazione. Che poi, in realtà, era quello che più mi caratterizzava.
Non lo mostravo quasi mai agli sconosciuti.
Quasi, appunto.
< No,> contestò Josh, divertito, < te lo darò a mezzanotte.>
Mezzanotte? Quindi staremo insieme per almeno quattro ore?!
Oddio sì!
< Vediamo,> disse poi, < non sai dove andare, ma magari hai un'idea di ciò che vuoi fare?>
< Che voglio fare?>
< Esatto->
< Voglio... Voglio mangiare un gelato enorme, voglio assolutamente un gelato enorme!>
Una volta cominciato, era difficile tornare a comportarsi da persona seria e matura.
< Sei strana,> rise, facendomi cenno di seguirlo. Prendemmo a camminare verso la periferia della piccola città, ovvero verso gli unici locali presenti nel raggio di dieci chilometri.
Il brutto di abitare in una piccola città residenziale era che per comprare qualunque cosa dovevi prendere la macchina.
Ma, per fortuna, il locale che ci interessava in quel momento era il più vicino e ci avremmo messo una ventina di minuti a piedi.
< Non sono strana,> ribattei dopo qualche minuto che camminavamo.
Tempi di reazione epici, i miei.
< Solo un pochino,> mi concesse Josh.
< Su quali basi mi stai dicendo questo?> Chiesi allora, incrociando le braccia al petto e mimando un'espressione offesa.
< Prima di tutto vuoi mangiare il gelato.>
< Cosa c'è di male in questo?>
< Ci sono zero gradi!>
< Hai ragione...>
< Lo so.>
< ... Se vuoi tu puoi prendere un semifreddo.>
< Sei senza speranza,> concluse allora, portandosi una mano sulla fronte e lasciandosi andare a una risata cristallina.
Durante il restante tragitto, parlammo del più e del meno, ritornando diverse volte sul discorso riguardante la mia presunta stranezza - tzè, che assurdità - e raccontandoci qualcosa l'uno dell'altro.
Fu piacevole.
Il locale si trovava all'interno di un microscopico centro commerciale - no, sul serio, al massimo ci saranno stati quattro negozi - e io lo adoravo.
Era una piccola gelateria a conduzione familiare, le pareti erano tutte tinteggiate  di un adorabile verde pastello e all'interno si sentiva sempre odore di frutta fresca e... di vaniglia. C'era sempre odore di vaniglia.
Ma, soprattutto, era aperto qualsiasi giorno dell'anno a qualsiasi ora.
Non c'era molta gente quella sera, quindi potemmo sederci al mio tavolo preferito, ovvero quello posto accanto alla vetrata che affacciava sull'esterno.
Ovviamente io ordinai il mio gelato preferito: caffè, biscotto e tanta, tanta panna. E topping al cioccolato, of course.
Josh ordinò una coppa fragola e crema.
< Allora,> cominciai tra un boccone e l'altro, < com'è la vita da attore?>
< Pazzesca.>
< Mmh. Posso farti una domanda più personale?>
< Non pensi che sia troppo tardi per cominciare a farti problemi?>
< Hai ragione. Allora te lo chiedo e basta.>
< Ti ascolto.>
< Non ti manca mai Union? Voglio dire... è il posto più noioso del mondo, però io non potrei immaginarmi lontana da qui. In un certo senso è rassicurante vivere all'ombra di questa monotonia.>
Josh sembrò pensarci un attimo, poi incrociò le mani sul tavolo e portò il suo sguardo dritto su di me.
< Mi manca, sì. È dura stare lontano da casa per periodi così lunghi, ma... sai, in questo modo ho imparato ad apprezzare di più il tempo che passo con i miei affetti.>
< Io non ce la farei.>
< Non ci hai mai provato, come fai a dirlo?>
< Mi conosco abbastanza da sapere che, nel tuo mondo, non sopravviverei una settimana.>
< Con il caratteraccio che ti ritrovi, credo non avresti problemi,> rise Josh.
< Attento a come parli, potrei anche offendermi,> risposi allora, fingendo una smorfia di disappunto.
Passammo non so quanto tempo a parlare di qualunque cosa. Lui mi raccontò nel dettaglio della sua vita fuori dall'ordinario, mentre io tirai fuori argomenti esclusivamentre ordinari.
E, credo di poter parlare anche per lui, ci divertimmo parecchio.
Io riuscii addirittura a rimanere rilassata per tutto il tempo.
Come  se quello di fronte a me non fosse stato Josh Hutcherson.
E come se, fino al giorno prima, non avessi passato interi pomeriggi a scegliere i nomi più graziosi per i nostri futuri figli.
Insomma, filò tutto liscio.
Fino a che lui non disse questa cosa qui: < Senti... c'è una cosa che non ti ho detto e, a questo punto, voglio essere sincero.>
Ossignore. Cosa voleva dirmi?
Panico.
< Parla,> lo esortai con un fil di voce.
< Noi due non ci siamo incontrati per caso.>
Eh?
< Eh?>
Josh esitò a rispondere, forse indeciso sulle parole da usare.
Ma che voleva dire? 
Oh no, avevo capito.
Lo Stato aveva bisogno di me per un consulto e quella era una missione sotto copertura della CIA.
Ma certo, tutto quadrava.
Come avevo fatto a non pensarci prima?!
< Tua sorella mi ha detto dove trovarti.>
Oh, be', anche quello era plausibile.
< Credo di non capire. So che mia sorella - tra l'altro come fai a sapere che è mia sorella? - ti ha detto della raccolta di firme, ma nient'altro,> dissi risoluta, ma non nascondendo, comunque, un filo di imbarazzo.
< In realtà mi ha detto anche qualcos'altro...>
A quelle parole raggelai.
Potevo aspettarmi di tutto da quella piccola peste.
< Mi ha detto che sarei dovuto andare a quella protesta perché lì avrei trovato una pazza-invasata-e-anche-un-po'-stupida-ma-in-fondo-buona che moriva per me,> disse tutto d'un fiato, scoppiando a ridere come se non ci fosse stato un domani.
Io lo odiavo quel ragazzo, altroché.
E odiavo anche Jess.
Odiavo tutti, basta.
< Se non ti ha detto il mio nome, allora come facevi a sapere che quella pazza invasata ero proprio io?> Domandai poi, piccata, incrociando le braccia al petto.
< Oh, be',> cominciò Josh, provando a ricomporsi un tantino, < in genere le persone normali non si nascondono dietro gli alberi per non farsi vedere...!>
< Mi... mi avevi vista fin dall'inizio?!> Chiesi shockata, sentendomi avvampare dall'imbarazzo.
Dio, dovevo essergli sembrata una cretina.
< Chris,> sussurrò con una parvenza di ritrovata serietà, < per quanto tu possa non crederci, è difficile non notare una persona adulta nascosta dietro un albero del diametro di non più di trenta centimetri.>
Appunto.
Assottigliai gli occhi, riservandogli lo sguardo più cattivo di cui disponevo. < Ti odio.>
Lui, in tutta risposta, scoppiò a ridere.
< Sei adorabile quando metti il broncio,> bofonchiò tra una risata e l'altra. Si portò una mano alla pancia, incapace di smettere di prendermi in giro.
< Giuro che se non la smetti, prendo quelle gambine corte che ti ritrovi e te le spezzo in due,> asserii acida.
< Spilungona, si presume che per farlo, tu debba prima acchiapparmi.>
< Mi stai per caso sfidando, Hutcherson?>
< Si dà il caso di sì, Miller.>
< Bene.>
< Bene.>
Passò un breve secondo prima che Josh afferrasse il suo cappotto e scattasse fuori dal locale.
Io fui un po' meno reattiva di lui e lo imitai solo una volta che aveva varcato la soglia.
Non ringraziammo nè salutammo, che maleducati.
Mentre correvo per il picolo centro commerciale, infilai cappotto, cappello e sciarpa - il che mi fece rischiare un incidente potenzialmente mortale.
Schizzai all'aria aperta e subito scorsi Josh, che correva per il parato circostante ridendo come un matto.
Lui sarà anche partito avvantaggiato, ma quella che ha le gambe più lunghe, qui, è la sottoscritta.
In poco gli fui alle calcagna.
< Arrenditi, ti ho quasi preso,> urlai, ridendo.
< Mai,> ribattè lui.
Quando ero sul punto di afferrargli una manica, Josh inchiodò improvvisamente, tanto che, prima di frenare anche io, passarono un paio di secondi buoni.
Mannaggia!
Josh era allora alle mie spalle e io ero totalmente vulnerabile.
Prima che potessi fare qualunque cosa, sentii due braccia forti circondarmi la vita e, subito dopo, i miei piedi sollevarsi da terra.
Probabilmente     quello sarebbe stato il momento giusto per avvertire le farfalle nello stomaco, se solo il mio cervello non fosse stato in modalità "guerra."
< Lasciami,> mi lamentai, agitandomi.
< Ti arrendi?> Mi intimò Josh.
< ... Mai!>
< E allora non ti lascio!>
< Eddai!!! E poi sono pesante, ti verrà un'ernia,> tentai, mentre cercavo di slacciare il suo abbraccio.
< Gambe corte ma braccia forti, ricordi?!>
Se mi fossi potuta vedere  dall'esterno, probabilmente mi sarei data della scema in quindici lingue diverse: ero stretta tra le braccia di Josh Hutcherson e osavo lamentarmi?! Eresia!
Di fronte alla sua ostinazione non mi restava che sfoggiare la mia arma segreta: la mossa del bradipo iperattivo. 
No, in realtà il suo nome non aveva  nulla a che vedere con la mossa vera e propria, però era carino.
Dunque cominciai a scalciare con tutta la forza che avevo, mettendo a dura prova l'equilibrio di Josh, e nel contempo presi a graffiare le sue mani. Senza fargli troppo male, 
ovviamente.
Insomma, ero la femminilità fatta persona.
Riuscii nella mia impresa solo dopo un minuto abbondante: Josh perse l'equilibrio e cadde sull'erba congelata portandosi dietro la sottoscritta.
Probabilmente, cadendo, gli spezzai entrambe le gambe.
< E vince!> Esultai, cominciando a ridere istericamente nel tentativo di nascondere l'imbarazzo: nel giro di cinque minuti avevo fatto la figura della scema di fronte a Josh, l'avevo rincorso, atterrato e gli avevo fatto guadagnare una gita gratuita dall'ortopedico. 
Meglio di così non poteva andare.
< Non mi arrabbio per il tuo colpo basso solo perché tra esattamente tre minuti sarà Natale, nonché il tuo compleanno, quindi siamo tutti più buoni,> constatò dando uno sguardo veloce al suo orologio.
A quelle parole m'illuminai e, per fortuna o per sfortuna, scordai di nuovo di essere in imbarazzo.
Mi tirai lievemente su, così da riuscire a girarmi e ritrovarmi di fronte a Josh, e poi mi poggiai sulle ginocchia, incastrandomi fra le sue gambe divaricate.
< Voglio il mio regalo,> cominciai con fare lamentoso. Ripetei la stessa frase più o meno dieci volte. E a ogni ripetizione percepii la mia età mentale diminuire vertiginosamente.
< Non lo avrai fino alla mezzanotte,> sentenziò, incrociando le braccia al petto.
< Ma mancano solo due minuti!>
< Appunto: aspetta,> disse irremovibile.
Allora mi zittii e presi a osservare l'orologio che portavo al polso armandomi di un bel broncio.
Ogni tanto il mio sguardo cadde fugace su Josh per captarne le reazioni, ma ogni volta lo trovai a tentare una faccia seria e imperturbabile, seppur rotta da un sorriso divertito.
< E' mezzanotte,> lo informai poi, atteggiandomi a superiore. < Be', buon Natale, Josh.>
< Buon compleanno, Chris,> sussurrò porgendomi una mano gelida e aiutandomi ad alzarmi.
E finalmente mi diede il suo regalo.
 
31 Dicembre 2013


Non era stata una buona idea.
No, proprio non lo era stata.
Ma come facevo a rovinare sempre tutto?
E dire che non sarebbe stato tanto difficile.
Ma io ero io e con me anche fare 1+1 sarebbe diventata un'impresa non da poco.
Avevo qualcosa che non andava, ecco.
Soprattutto perché se Josh Hutcherson ti sussurra dolcemente gli auguri per il tuo compleanno, ti aiuta ad alzarti dopo che siete caduti per colpa tua e infine ti bacia sulle labbra, come minimo dovresti ringraziare il cielo inginocchiandoti su degli spilli acuminati e cantando l'alleluja in otto lingue diverse.
Dio, non ci potevo credere.
Ogni volta che chiudevo gli occhi, mi tornava in mente quella scena.
Ero stata pietosa.
Rivedevo ogni istante: il modo in cui mi aveva porso la mano; come l'avevo afferrata e lui mi aveva tirata su senza sforzo; come mi aveva guardata subito dopo; come si era proteso verso di me; come aveva fatto leva sulle punte dei piedi; come aveva afferrato con dolcezza il mio volto; come le sue labbra avevano sfiorato delicate le mie.
E poi ero scoppiata a ridere.
Sì, esatto.
Siete libere di lapidarmi.
Non so nemmeno il perché di tale reazione. Forse era stata la tensione. Forse perché non me lo aspettavo. O magari perché avevo trovato buffo il fatto che si fosse dovuto alzare sulle punte dei piedi.
Non lo sapevo il perché.
Però, cavolo, pure lui che prende e mi bacia da un momento all'altro!
Almeno avvisami, magari mi sparo una mentina o, che so, mi do una sistemata veloce al panda.

Dopo lo spiacevole evolversi delle cose, Josh non aveva saputo (giustamente) cosa dire. E tantomeno io.
A quel punto ci eravamo incamminati verso casa, prodigandoci in un invidiabile mutismo.
< Mi dispiace,> gli avevo detto all'improvviso, una volta che eravamo arrivati di fronte casa mia.
Lui aveva accennato un sorriso abbastanza forzato. < Non fa niente, tranquilla.>
< No, sul serio. Non avrei dovuto ridere in quel modo,> avevo insistito mortificata.
< Non sono offeso.>
< Ciò non toglie che sono stata fuori luogo, tanto per cambiare.>
Josh aveva dato impressione di voler protestare alla mia affermazione, ma alla fine aveva liquidato la faccenda con una scrollata di mano.
E lì era finita.
Nei giorni seguenti l'argomento non venne più fuori. Non che ci incontrammo, però scambiammo qualche messaggio.
Peraltro ci demmo appuntamento per vederci quella sera e festeggiare insieme il Capodanno.
O meglio: lui sarebbe uscito con degli amici e io lo stesso, però, avendo entrambi programmi a Louisville, avevamo deciso che, prima della mezzanotte, avremmo fatto in modo di incontrarci.
Per l'occasione indossai un maglione rosso con un'enorme renna disegnata su di esso, jeans scuri e stivali neri.
E il cappello-orso, che domande.
La serata passò in modo piacevole: con un paio di amiche, kath e Lily, ci rifuggiammo in uno dei tanti pub della città  e ci godemmo uno spettacolo dal vivo, crogiolandoci tra la cioccolata calda e tante risate.
Non ero un tipo molto festaiolo, quindi quel programma mi calzava a pennello.
Intorno alle undici e mezzo ricevetti un messaggio di Josh, il quale mi avvisava di essere nelle vicinanze.
Con Kath e Lily lo raggiungemmo all'angolo con un vecchio cinema. Loro, nemmeno a dirlo, erano entusiaste.
Dopo le dovute presentazioni - che ci portarono via diversi minuti, visto il plotone d'esecuzione che quel bassotto si era portato dietro -, Josh mi prese da parte, trascinandomi in un vicolo piuttosto buio.
Visto il mio sex appeal, sospettai subito volesse sedurmi.
Ma quando mai.
< Scusa,> disse, < volevo un attimo di tranquillità per parlarti.>
< Parla,> lo spronai ansiosa.
< Volevo scusarmi.>
< Scusarti per cosa?>
< Per averti baciata. Non ne avevo alcun diritto. E ti ho messa in una situazione spiacevole.>
< Oh...>
< Quindi, scusa.>
< Non devi,> sussurrai incerta. < Insomma, non è una cosa per cui devi scusarti.>
< Mmh,> fu la sua unica risposta. Sembrò pensarci un attimo, in cui sperai vivamente decidesse di baciarmi di nuovo, poi si decise a parlare. < Che ne dici se facessimo finta che non sia mai accaduto?>
No, ti prego.
< Sì, penso sia la cosa giusta.>
Sentii il mio stomaco rivoltarsi in segno di protesta.
Josh fece per tornare indietro, ma lo chiamai, così fu costretto a girarsi verso di me.
< Posso farti una domanda?> Chiesi.
Assottigliò un po' gli occhi, scrutandomi attentamente. < Devo avere paura?>
< No! Voglio dire... vorrei solo mi chiarissi una cosa.>
< Parla,> mi spronò allora, preparandosi ad ascoltarmi.
< Perché mi hai baciata?>
Josh rimase silente, evidentemente colto di sorpresa da quella domanda - che, in realtà, colse di sorpresa anche me. Però volevo saperlo: anche se avessimo dovuto far finta che non fosse successo nulla, volevo comunque sapere la natura di quel gesto.
< Era il tuo regalo di compleanno,> sentenziò poi.
Riconobbi in quella frase un escamotage per evitare la mia domanda, quindi scacciai violentemente quella piccola speranza che gli interessassi e cercai di rispondere a tono, anche se, in quel momento, trovavo particolarmente difficile comportarmi come la solita burlona.
< Ma, brutto tirchio che non sei altro,> cominciai, stampandomi un largo sorriso in volto, < guadagni i milioni e, pur di non spendere un dollaro per la sottoscritta, ricorri a questi trucchetti?!>
Josh si rilassò appena. < Già, sono proprio una persona pessima.>
< Puoi ben dirlo! Ora, come minimo, pretendo un doppio regalo per danno morale!>
< Ma così mi manderai in rovina!>
< Ognuno è artefice del proprio destino, Hutcherson, e tu stai solo raccogliendo ciò che hai seminato.>
< Ben due proverbi in una sola frase, sono stupito.>
< Sono una donna dalle mille risorse, ricordi?!>
< Lo ricordo, lo ricordo eccome.>
-----
Allo scoccare della mezzanotte ci fu un boato pazzesco; un miscuglio di voci, musica e fuochi d'artificio si fece strada prepotente nelle mie orecchie, rendendomi potenzialmente sorda.
Le mie amiche mi abbracciarono calorosamente, per poi buttarsi senza ritegno sugli amici di Josh.
Io ero piuttosto frastornata da tutta quella folla che urlava e sgomitava come se non ci fosse stato un domani.
Quasi non mi resi conto che anche Josh stava venendo ad abbracciarmi. Solo quando le sue braccia mi strinsero forti, ritrovai un minimo di lucidità.
Risposi a quell'abbraccio stringendolo a mia volta e assaporando il suo buon profumo.
Stavo provando sensazioni strane nei suoi confronti; contrastanti.
Da un lato ero quasi arrabbiata, perché aveva ritrattato quel bacio e aveva deciso di cancellarlo come se fosse stata una cosa fin troppo leggera.
Va bene che gli avevo riso in faccia, ma ciò non voleva dire che trovassi ridicola l'idea di baciarlo, no?!
Dall'altro lato ero, invece, sollevata per quella decisione, poiché, probabilmente, la maggior parte dell'attrazione che provavo nei suoi confronti era dovuta al suo nome. Soprattutto perchè ci conoscevamo da troppo poco tempo per provare anche qualche sintomo di reale sentimento nei suoi confronti.
E quell'abbraccio non fece che confondermi ancora di più.
Per fortuna quell'orda di gente ci costrinse, ben presto, a separarci, così detti un attimo di tregua alla mia povera mente.
Passammo il resto della serata a cercare di sopravvivere alle spallate sempre più corpose, fino a quando si decise, saggiamente a mia detta, che era ora di tornare a casa.
Per il viaggio di ritorno, Josh insistette per riaccompagnare noi tre ragazze in macchina, senza che fossimo costrette a prendere i mezzi a quell'ora tarda.
Accompagnò prima Kath e poi Lily e, quando rimanemmo da soli nel veicolo, cadde su di noi un silenzio tombale.
< Riparto domani,> disse poi, di punto in bianco, senza staccare gli occhi dalla strada.
< Cosa?>
< E' questo: non funzionerebbe.>
< Ma di che stai parlando?>
< Sto parlando di noi, Chris.>
< ...>
< Ti ho baciata per un motivo, lo capisci? Perché, nonostante tutto, tu mi piaci.>
< Nonostante tutto?> Ripetei, vagamente offesa.
Lui mi ignorò. < Ma il punto è che non funzionerebbe, perché non abbiamo tempo. Quindi, ti prego, smettila di guardarmi con quell'aria da cucciolo bastonato.>
< Io non ho un'aria da cucciolo bastonato!>
Mi ignorò nuovamente.
< Mi piacerebbe veramente conoscerti più a fondo e provarci sul serio, ma io ho il mio lavoro e tu hai la tua vita qui a Union. Non funzionerebbe.>
< Sì, questo lo hai già detto,> risposi allora, facendomi seria anche io.
Mi persi un attimo a pensare: mi aveva baciata per un motivo: gli piacevo. Non era una relazione fattibile, però aveva detto che gli piacevo.
Wow.
< Quindi... non ti sei pentito di avermi baciata?> Azzardai titubante.
Josh sorrise intenerito. < No.>
< Anche se poi sono scoppiata a ridere senza ritegno?>
< Be', quello è stato un po' meno gradevole,> rise.
Dunque, riepilogando: Josh Hutcherson provava qualcosa per me, ma non se la sentiva di intraprendere nulla di serio per via della distanza e degli impegni lavorativi.
Eppure perché a me sembrava che il problema maggiore, in tutto ciò, era che continuavo a pensare a lui come all'attore e non al ragazzo con cui avevo passato gli ultimi giorni? Non riuscivo a separarli, il che non era sano. Soprattutto perché, in quel modo, non riuscivo a capire se a piacermi era effettivamente Josh o semplicemente l'idea che avevo di lui.
< Ti devo chiedere una cosa,> gli dissi dopo qualche secondo.
< Ti ascolto.>
< Hai mai la sensazione che le persone cerchino la tua compagnia solo per il lavoro che fai?>
Josh mi lanciò una rapida occhiata, prima di tornare concentrato sulla guida. < Sì.>
< E' brutto, vero?>
< Non è il massimo, diciamo.>
< ...>
< Tu per quale motivo cerchi la mia compagnia?> Chiese infine, capendo dove volevo arrivare.
< Non lo so,> risposi sincera.
Con la coda dell'occhio lo intravidi annuire. 
< Ti infastidisce sapere questa cosa?> Domandai titubante, temendo che con le mie parole lo avessi indispettito. Non doveva essere piacevole.
< No. Apprezzo la tua sincerità. Del resto ci conosciamo solo da pochi giorni.>
< Giusto.>
Passammo il resto del viaggio in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri, fin quando Josh non parcheggiò la macchina di fronte casa mia e si girò a osservarmi.
Dal suo sguardo era piuttosto chiaro ciò che stava per dirmi.
< Questa sarà una specie di addio, vero?>
< Una specie,> disse dolcemente.
Non poteva funzionare, era palese anche a me.
Non se io non sapevo a chi tenevo di più, se al ragazzo o alla celebrità.
E poi non avevamo avuto abbastanza tempo: lui sarebbe partito, io sarei rimasta. Saremmo entrambi andati avanti con le nostre vite.
Gli riservai il migliore dei miei sorrisi, o almeno ci provai, poi feci per scendere dalla macchina. Sentii il suo sguardo addosso mentre oltrepassavo il veicolo per avvicinarmi al cancello di casa.
Fu quando Josh stava per ripartire che mi accorsi di una cosa. Allora mi girai di scatto e gli feci cenno di non partire ancora e di scendere un attimo dalla macchina.
Lui sembrò non capire (e come dargli torto), ma non se lo fece ripetere.
< Hai dimenticato di dirmi qualcosa?>
< Più o meno,> ammisi. Mi avvicinai al cancello di casa e lo invitai a fare lo stesso.
< Quello che si fa a Capodanno si fa tutto l'anno,> gli suggerii, vagamente in imbarazzo. < E non voglio cominciare l'anno nuovo con un addio.>
< Credo di non seguirti.> Sembrava quasi divertito dalla mia goffaggine. 
Mi girai un attimo a slacciare qualche foglia di vischio che era stata legata al cancello con un fiocco rosso: mia sorella lo lasciava lì ogni anno. Diceva che doveva averne sempre a portata di mano per un'ipotetico accompagnatore fortunato.
Mi voltai di nuovo verso Josh e gli mostrai il vischio. Nel frattempo potevo immaginare il mio viso passare tutte le sfumature del rosso.
Mi sentivo un po' stupida.
< Potremmo cominciare quest'anno con la speranza di incontrarci di nuovo, che ne dici? Niente promesse, solo un buon augurio.>
< Credo che si possa fare,> concordò Josh, facendosi un poco più vicino.
Alzai il vischio sopra le nostre teste, sentendomi ancora più idiota.
< E' stato bello conoscerti,> dissi in un sussurro; il suo viso ad un soffio dal mio.
< Anche per me,> rispose lui a tono, contro le mie labbra. < Anche se effettivamente sei una pazza sclerotica.>








Angolo Autrice:
Bene bene bene. Cosa dire? Non so, ho un po' l'ansia da prestazione, visto che è da una vita che non pubblico. Però spero vivamente che la storia vi piaccia. Sinceramente il finale non mi entusiasma, ma forse è perché l'ho scritto di getto e quindi non l'ho ponderato come ho invece fatto per le altre scene. All'inizio nemmeno lo avevo immaginato così. 
Cos'altro dire? Adoro Josh, è un attore fantastico! E, se posso dirlo, adoro anche Chris, perché il suo carattere è una specie di mix tra il mio e quello di mia sorella, quindi la sento vicina.
E niente, vi auguro un felice anno nuovo e spero che queste vacanze vi stiano portando qualcosa di buono! Serve un po' di magia, di questi tempi, e cosa c'è di meglio del perioodo natalizio?!


Ps. Girate per la sezione attori alla ricerca di ff con la sigla “Daydreamer’s Carol” nel titolo. Vi aspetteranno ff meravigliose su tanti talentuosi attori, quali:
Simon Baker
Sam Claflin
Robert Downey Jr
Jared Leto (Lui anche cantante talentuoso, come I due che lo circondano, anche se sono meno famosi per le loro doti canore.)
Neil Patrick Harris
Liam Hemsworth
Chris Hemsworth
Christian Bale
Chris Evans
Orlando Bloom
Matthew Fox

Leggete queste storie, perché sono scritte da ragazze bravissimissimissime!!!

Un bacio grande!
Fra.
  
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