Ta-daaaaaaaaaaaaaan!
Non
ve l’aspettavate, eh? Ebbene sì, sono io, ma
stavolta vi propongo qualcosa di molto diverso dalla mia long Look Around.
Per prima cosa vi rassicuro: Look Around è
ancora in corso e sto scrivendo in questi giorni il capitolo 14, quindi niente
panico, sono in ritardo ma non me lo sono certo scordata.
In secondo luogo, quella che ho appena
pubblicato è una pentalogia di one-shot,
ciò significa che ci saranno 5 capitoli, ognuno dedicato a un membro della
band, e il filo che li accomuna tutti quanto sono le immagini, e relativo
testo.
Siccome sono un’autrice che ama gli esperimenti,
ho preso alcune di queste scritte che mi sono parse significative e ho provato
a metterle in relazione coi BVB, con un membro sempre diverso, adattandomi alle
loro personalità e sfruttando gli eventi reali che accadono loro.
Che dire? Naturalmente sono storie inventate,
sono introspezioni in cui ho cercato di sondare il loro modo di essere e le
loro reazioni alla vita, e spero di essere riuscita a creare qualcosa di
credibile e godibile al tempo stesso.
Come al solito mi farebbe piacere sapere cosa ne
pensate, e... qualche parolina - che sia di apprezzamento, di dialogo o di
critica - non fa mai male. :]
Buona lettura, e già che ci sono, buon anno.
E se sarà il caso, lasciatemi pure una lacrima.
CC
ATTENTION: When
it comes to
me, don't have ANY expectations for ANYTHING.
There, now I
won't hurt anyone else's feelings.
Mi sento un idiota ad averlo scritto. Mi
sento uno di quegli sfigati che cercano di elemosinare attenzioni sbandierando
i propri sentimenti ai quattro venti, sperando che l’unica persona giusta li
legga e provi qualcosa.
Che cosa vorrei che provasse Lauren leggendo questa frase?
Rimpianto? Rimorso? Nostalgia?
Tristezza? Affetto?
Tutto.
Vorrei che provasse tutto questo. E che
tornasse.
Che tornasse da me, che mi ascoltasse,
che accettasse le mie scuse, che dimenticasse le mie stupide parole, che
cercasse di venirmi incontro e che mi illuminasse con quel sorriso che mi
rendeva me stesso.
Non mi sento più io da quando se n’è
andata.
E se n’è andata per colpa mia. Come ho
potuto permettere che accadesse?
E dire che non l’ho ingannata. Non l’ho
trattata male. Non l’ho dimenticata. Credo di... di averla data per scontata.
Ho dato per scontato tante cose da quando
sono diventato il CC che tutti conoscono. Ho dato per scontato tante persone.
Vorrei riuscire a inserire il pause
nella mia vita di merda per prendermi tempo, soltanto un po’ di tempo, per
capire cosa cazzo mi sta succedendo intorno e per riprendere le redini di una
nuova vita che ha cliccato il fast forward
all’improvviso.
Prima ero Christian, un cazzone
batterista che amava esibirsi nei locali glam assieme
a gente cazzona quanto me, che finiva la serata a
sbronzarsi in compagnia del proprietario e delle rispettive fidanzate storiche,
immortali, quelle che avevano avuto la pazienza di starci dietro per anni
sostituendosi a sorelle, a madri, ad amiche, che ci hanno sempre sostenuto
anche quando le cose andavano male, veramente male.
Adesso sono CC, il batterista ufficiale
dei Black Veil Brides. Vado in Australia, in Europa, in Giappone, per
tutti gli States, a suonare di fronte a un numero
sempre maggiore di persone. Persone non sono più lì per caso, per bersi
l’ultima birra della mezzanotte o per dimenticare un chissà quale problema
esistenziale, ma persone che sono lì per noi.
Alcune di queste persone sono lì anche
per me.
Per me.
Sono diventato il centro del mondo per
qualcuno, sono diventato un faro, una leva, l’ago di una bilancia che non ho
mai visto ma su cui vengono pesate giornate di individui che neanche conosco.
Io non ci volevo credere, all’inizio, pensavo che subentrare a Sandra sarebbe
stata una sorta di croce che avrei dovuto portare in eterno, bollato come
seconda scelta fino alla fine dei tempi. Invece no.
Invece per alcuni sono l’unico.
L’inimitabile. Quello strano. Quello fuori di testa. Quello che fa la faccia da
coglione in mezzo a quattro fighetti tutti seri e intimiditi dagli obiettivi -
anche se non lo ammetterebbero nemmeno con una pistola puntata sulle palle.
Sono cambiato quando ho varcato la
soglia che divideva Christian da CC?
No. Non credo. No.
Io sono io. Sono sempre stato io. Sono
sempre stato un idiota, uno che ama il casino ma che lo lascia fuori dalla
porta, uno che torna da mamma e papà quando ha una settimana di vacanza e che
si diverte da matti a giocare a Twister da brillo con
gli amici con cui veniva sospeso al liceo.
Perché allora per Lauren
non andava più bene? Perché non andavo più bene?
Non l’ho mai tradita, non sono mai
andato oltre il flirt da contratto con le groupies,
non ho mai fatto nulla per meritarmi il suo disprezzo o la sua riprovazione,
non le ho mai mancato di rispetto e di certo non sono diventato qualcuno che
lei non conoscesse.
Eppure l’ho ferita. E non come quando mi
sono completamente dimenticato il nostro anniversario e l’ho fatta aspettare
per due ore sotto la neve al parco, e neppure come quando ho svelato senza
volerlo un altarino della sua famiglia che mi aveva rivelato perché si fidava di
me.
L’ho ferita nel profondo. L’ho fatta
stare male non per una cosa specifica, ma per un agglomerato di minuscole
motivazioni che si sono legate e unite, che hanno formato pian piano la
sostanza dei miei giorni, influenzando anche i suoi. A quanto pare, non voleva
che accadesse.
Ma cosa potevo fare?
È vero, sono un ragazzo semplice, che si
accontenta di poco e che è felice di quello che ha e non di quello che potrebbe
avere. Ma ho anch’io delle ambizioni. Le ho sempre avute.
Entrare in una band e crescere con essa
mi ha mostrato cosa ci fosse oltre le porte che avevo sempre visto chiuse. Ho
imparato i meccanismi dello showbiz, le dinamiche
degli eventi, le regole implicite che qualunque star deve rispettare per
sopravvivere, e l’ho fatto senza pensarci, così, agendo con naturalezza,
sbagliando di tanto in tanto e correggendomi. D’accordo, non sono la più furba
delle rockstar né quella più famosa, ma lo preferisco.
Preferisco che il successo che si sta
accumulando nei pressi nel nostro nome - e del mio - ascenda poco a poco,
giorno dopo giorno, canzone dopo canzone, invece di un’unica cascata di
notorietà che probabilmente ci travolgerebbe come un’onda, me per primo.
Sto meramente dimostrando che la mia
capacità di resilienza è elevata, che sono un organismo adattabile, che se
cambiano i ritmi riesco a stare al passo e non ne vengo sconvolto.
È un errore, il mio?
Non è colpa mia se io e Lauren non siamo più riusciti a viaggiare su binari gemelli
da quando il mondo ha preso a ticchettare a velocità raddoppiata.
Non è neanche colpa sua.
Non è... colpa di nessuno.
Vorrei potermi arrabbiare per questo.
Vorrei incazzarmi, scaricare il peso di
ciò che è successo su qualcuno, su qualcosa, su una serie di eventi specifici
così che possa rimuoverli, metterli alla berlina, riviverli e cercare di
mettere una pezza nel punto in cui hanno cominciato a procedere storti, ma non
c’è nulla.
È successo.
È successo che io e Lauren,
da quando ci siamo incontrati anni e anni fa, camminavamo fianco a fianco sulla
stessa strada.
Poi sono arrivate le incombenze, le
responsabilità, i doveri, i diritti, le possibilità, le opportunità,
l’evoluzione. E ci siamo accorti che non eravamo più l’uno accanto all’altra.
Forse ce ne siamo accorti troppo tardi,
o forse no.
L’esito di noi sarebbe stato diverso se
avessimo fatto caso ai microscopici segnali del nostro allontanamento? Avremmo
fatto qualcosa per porvi rimedio e avrebbe funzionato? O sarebbe finita così in
ogni modo?
Non lo so. Vorrei non saperlo.
Vorrei tornare a pensare come quando ero
ragazzo, e cioè che esiste l’anima gemella, che esiste quella fantomatica altra
metà dell’anima, e che basta trovarla per essere felici fino alla fine dei
nostri giorni.
Io ci credevo, ci credevo sul serio.
E credevo che fosse Lauren
la mia anima gemella. Lo spicchio di mela che combacia col mio, il pezzo di
puzzle che si incastra col mio, la tessera che completa il mosaico della mia
esistenza dandole uno scopo degno di essere perseguito con tutte le forze.
Sono un cazzo di romanticissimo illuso.
Ha fatto male scoprirlo.
Ha fatto male scoprire che sono tutte
stronzate.
Ha fatto male scoprire di non essere
parte di un intero, ma individuale e indivisibile.
Ha fatto male scoprire che la mia anima
è già un intero, e che le sue onde possono sì andare di pari passo con quelle
di altri, ma che non lo faranno per sempre.
L’amore finisce. Adesso lo so.
Anche l’amore vero. Quello che fa stare
svegli la notte in attesa di una telefonata, quello che rimette in discussione
i piani per il futuro, quello che fa riconsiderare i film come Titanic, quello
che ti fa sentire una persona migliore perché per la prima volta in vita tua ti
senti all’altezza del resto dell’umanità. Finisce.
Finisce e in mano ti rimane un’amarezza
che non sai come spiegare.
Lauren se n’è andata perché non è come le
altre.
Per le altre viene prima il CC
batterista con la lacrima disegnata sul viso come un Pierrot grottesco,
tragicomico e adrenalinico.
Per lei veniva prima il Christian che si
veste di merda, che ogni tanto si dimentica il passaggio alla batteria e che ha
una fissa maniacale per la cura odontotecnica.
Voleva me, voleva il me che sono stato,
che sono ancora, ma non voleva il CC dei Black Veil Brides che ha aspettative
più articolate, più ampie, più lontane.
Non ho perso la mia semplicità, ma si è
spostata su un piano differente che non prende più in considerazione solamente
la grande ma non infinita Los Angeles, ma l’intero globo.
In fondo avrebbe dovuto saperlo, no?
Suono la batteria da quando avevo sette anni, da quando ero alto meno di una
grancassa. Possibile che non abbia mai preso in considerazione il fatto che
presto o tardi avrei voluto emulare Bonzo, o Chad
Smith, o Dave Grohl? Che
avrei voluto diventare un nome da ricordare, una visione da venerare, un
suonatore da inserire negli annali?
Eppure ne era cosciente.
Eppure non facevo altro che parlargliene.
Eppure lei mi aveva sempre dato la
spinta necessaria per continuare a provarci.
Perché adesso che ci sono riuscito, mi
ha voltato le spalle?
«Perché siamo diversi, Chris.» mi ha
detto.
Una delle poche che ancora mi chiama
Chris. Io ormai quando sento il nome Chris penso al padre di Andy, non a me.
Diversi? Le ho risposto che noi due non
siamo mai stati diversi. O non saremmo mai andati d’accordo.
«Siamo diventati diversi, Chris.»
In quel momento ho sentito l’incudine
del presente calarmi addosso fino a schiacciarmi.
Non sono mai stato un tipo che capisce
le cose al volo, io.
Lauren mi stava dicendo che eravamo cresciuti.
Che eravamo diventati adulti, e non adulti nel senso che d’ora in poi nessuno
ci avrebbe chiesto l’età prima di servirci un alcolico o che ci avrebbero
penalizzato la patente se avessimo fatto qualche puttanata al volante.
Siamo diventati adulti nel senso che ora
le nostre decisioni hanno un peso che condiziona non solo noi, ma anche chi ci
sta intorno.
E le mie decisioni stavano diventando
troppo pesanti per lei. Senza che io lo volessi. E lei lo sapeva.
Sapeva che non lo facevo apposta, sapeva
che ero in buona fede, sapeva che continuavo ad amarla. Ma io non sapevo che
lei non riusciva a starmi dietro.
Non sapevo che soffrisse così tanto
quando ero lontano.
Non sapevo che soffrisse così tanto
quando nei miei pensieri c’era una presentazione e non lei.
Non sapevo che soffrisse così tanto
quando improntavo i miei progetti per l’avvenire su lei e sulla mia
carriera.
Avrei dovuto farmi un esame di coscienza
e chiedermi: se fosse successo a lei, io come avrei reagito?
Come avrei reagito se avessi dovuto
condividere le attenzioni di Lauren con l’ingombranza
proliferante di un fama totalizzante? Mi sarei sentito ignorato, messo da
parte, accantonato? Dato per scontato?
Non riesco a biasimarla, per quanto
forse la cosa mi farebbe sentire un pochino meglio.
Da vera donna, ha preso lei una
decisione.
E perché l’ha fatto?
Perché sapeva che se avessi fatto io la
scelta, mi sarei tormentato ogni attimo, ogni istante, ogni momento, fino alla
morte.
Mi ha salvato dall’angoscia. Mi ha
salvato da me stesso.
Mi ha lasciato, permettendomi di
rimanere nei BVB, permettendomi di rimanere il CC che sono diventato.
Un frammento del Chris che sono stato se
n’è andato via con lei.
Quando abbiamo discusso ho detto cose
che non pensavo, ho concesso alla frustrazione di uscire sottoforma di parole e
l’ho accusata di azioni che probabilmente non aveva mai commesso in vita sua.
Tipo fregarsene di me e delle mie aspirazioni.
Quando so benissimo che è stata l’unica
che mi abbia mai davvero sostenuto con ogni sua risorsa.
Ma so anche se lei sapeva che stavo
delirando, e so che sapeva che lo sapevo.
Mi ha dato il tempo di sfogarmi, di
riprendere a respirare dopo lo shock, e se n’è andata. Silenziosa. A testa
china, senza una lacrima, con le mani in tasca e le labbra contratte perché
c’era ancora tanto che voleva essere pronunciato, ma non ha voluto che
succedesse.
Questo è il suo modo di fare. Immutato.
Niente ripensamenti, niente tira e
molla, niente illusioni: una troncatura netta e violenta, lo strappo secco del
nastro adesivo da sopra la bocca, voltare pagina e strappare tutte quelle che
l’avevano preceduta.
L’ha fatto per il suo bene. Si è curata
di farlo anche per il mio.
Dovrei essere libero, ora.
Libero da cosa? Da un amore che mi aveva
riempito le giornate? Da una donna con cui avrei voluto invecchiare? Da una
routine che mi ricordava il vecchio Christian e per un po’ mi consentiva di
tenere il nuovo CC sopito da qualche parte?
Sento di traboccare di così tante
emozioni da non riuscire a buttarle fuori. Non riesco a vomitarle addosso a
qualcuno, non riesco ad attribuirle a nessun specifico torto, non riesco ad
assimilarle.
È come una sbornia, una colossale
sbornia di fine anno.
Posso solo aspettare di piombare
addormentato su un divano e che l’alcol evapori da sé.
Solo che fa male.
Fa male perché mi manca.
La verità è che mi manca, tutto il
tempo, ogni secondo, ogni minuto, ogni ora, ogni giorno.
E questa mancanza non è un vuoto ma una
scheggia solida, è una mole che impedisce a qualunque altra cosa di prendere il
suo posto, non so come scacciarla e mandarla via, non so come liberarmene, non
so cosa farmene di questo dolore costante, stridente, sotterraneo e pulsante,
che emana fitte irradianti non appena scorgo una qualsiasi sciocchezza che mi
ricorda lei, che mi ricorda noi.
La amavo. La amo ancora. Non so quando
smetterò di farlo. Non so se succederà mai.
Mi sento insicuro, ora.
Sono cosciente di chi sono stato e di
chi sono, ma ho paura che sia la percezione che hanno di me gli altri a essere
cambiata.
Mi spaventa perché ho una natura
spontanea, chiassosa e leggera, mi spaventa perché ho l’impressione che il
fatto che il mio nome sia su locandine appese in mezzo globo mi renda
automaticamente un archetipo. Mi spaventa perché questo archetipo è
predefinito, ritagliato su misura, e non mi corrisponde.
Mi spaventa perché forse sto cercando di
separarmi da quell’archetipo ma in realtà sto maturando davvero, e le due cose
si mischiano, si scontrano, sputano scintille, e mi rendo conto che più saranno
le persone che incontrerò, e più ai loro occhi apparirò come un’ideale e non
come me.
Lauren era la ragazza capace di scostare le
coltri che mi potevano essere cucite addosso e guardare il mio vero io,
riconoscendolo tra le pose, tra le maschere, tra le bugie. Adesso se n’è andata.
Adesso mi rimane solo me stesso per
guardarmi allo specchio, e quello che vedo è l’immagine di un tizio troppo
magro che ha troppo inaspettato spazio accanto a sé.
Il cellulare vibra, vorrei fare finta di
non sentirlo. So che non è Lauren. So che non tornerà
più.
Allungo il braccio perché detesto sapere
le cose in ritardo.
Ti va serata devasto? ;)
Sorrido.
Quando sono entrato nella band pensavo
che Ashley sarebbe stato quello che mi sarebbe stato sul cazzo. Pensavo fosse
il presuntuoso puttaniere del gruppo, quello che parla sempre di figa, di
quanto è figo, di quante fighe gli vanno dietro perché è figo, e che snobba le
persone quando si tratta di parlare di argomenti che non siano la sua linea di
abbigliamento, il suo basso e le sue fighe.
Invece è quello con cui ho un rapporto
migliore.
Certo, con Andy, Jake
e Jinxx è tutto perfetto, e formiamo una squadra
fantastica, ma è Ash con cui riesco a rilassarmi
davvero. Forse perché è quello che mi capisce meglio, e senza dovermi
interrogare.
Osserva, ascolta, analizza, ma non ficca
il naso. Comprende.
Da quando io e Lauren
ci siamo lasciati, mi trascina di locale in locale per trincare qualcosa, non
da perdere i sensi ma giusto quel tanto che basta che stordirmi e farmi ridere
come un cretino per un nonnulla. Chiacchiera del tutto e del niente come se
quei discorsi inutili se li fosse ripassati migliaia di volte, ma mi distrae,
sa glissare sui punti che fanno più male e mi sa dare buoni consigli quelle
poche volte che ho il coraggio di chiederli.
Sospetto che se volessi davvero sfogarmi
riguardo a Lauren saprebbe dirmi verità che mi
farebbero soffrire come un cane, che mi farebbero riflettere fino a consumarmi
i neuroni, che potrebbero portarmi molto vicino al desiderare di tagliarmi le
vene, ma che sarebbero vere, dalla prima all’ultima. E che forse, dopo
un’iniziale depressione prevaricante, potrebbero aiutarmi a lasciarmi alle
spalle tutto questo.
Lo sospetto perché credo che anche lui
stia combattendo contro il dolore. E lo sta facendo da molto più tempo di me.
Ma non sono ancora abbastanza eroico da
chiedergli cosa io possa fare per farlo stare meglio.
Non sono ancora abbastanza eroico
neppure per sfogarmi sul serio.
Digito la risposta.
Dammi 10 minuti e scendo. Stasera ci
sfondiamo.
Lascio cadere il cellulare sul plaid e
sospiro, abbandonando la testa sulla spalliera.
Sono stanco di rimuginare. Stanco di
affliggermi. Stanco di rivivere il nostro litigio a ogni battito di ciglia.
Stanco di domandarmi se avesse ragione. Stanco di torturarmi su chi avrei
scelto tra Lauren e i Black
Veil Brides se fosse stata
così meschina - o così afflitta - da pormi di fronte al bivio. Stanco di
sentire la sua mancanza.
Stanco di avere il timore di non
riuscire mai più a essere felice come sono stato con lei.
Mi alzo dal divano e vado in camera da
letto per infilarmi qualcosa di umanamente guardabile. Infilo in tasca lo
stretto necessario per una notte brava e abbandono il telefonino nascosto tra i
cuscini. Anche solo sentirne i grammi sulla coscia mi riporta alla mente brutti
ricordi, e non li voglio.
Come sfondo ho ancora la nostra foto.
Prendo la porta ed esco, avviandomi
verso l’ascensore dell’albergo, immaginando che Ash
sia già nella hall, mentre gli altri sono persi nelle loro vite, nei loro
problemi, nelle loro gioie.
Vorrei ubriacarmi tanto da dimenticare
tutto.
Vorrei saper aiutare chi sta aiutando me.
Vorrei avere la certezza che un giorno
sarò guarito.
Vorrei che non facesse così male.
Vorrei non essere così deluso da me
stesso.
Vorrei che lei fosse qui.