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Autore: Aurore    01/01/2014    3 recensioni
Sequel di Midnight star.
Dopo gli eventi e le rivelazioni che hanno scosso il suo piccolo mondo, la vita di Renesmee è tornata alla normalità: è sempre più felice con Alex e insieme a Jacob ha ritrovato l'affetto e la complicità del loro legame. Ma all'orizzonte si addensano nuove nubi: quando spaventosi incubi iniziano a tormentare le sue notti, Renesmee si trova costretta a scegliere tra perdere ciò che ama di più e tentare di salvarlo, e ad affrontare eventi imprevedibili che potrebbero cambiare ogni cosa.
Tutto finisce, nulla resta uguale, e a volte il destino impone scelte e cambiamenti dai quali non si torna indietro.
Tratto dal capitolo 7:
Il suo sguardo era stata la prima cosa che mi aveva colpita, di lui, nel giorno lontano in cui ci eravamo conosciuti. [...] Lo stesso sguardo che mi aveva osservata con tanta attenzione per catturare quello che c'era in me di più profondo mentre mi disegnava. Nessuno mi aveva mai guardata così. In quel disegno c'era qualcosa di bellissimo, potente e tremendo al tempo stesso. Qualcosa di ineluttabile, che ormai non poteva essere fermato.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight star'
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Capitolo 1
Porcelain



In my dreams I'm dying all the time
as I wake its kaleidoscopic mind
I never meant to hurt you
I never meant to lie
so this is goodbye
this is goodbye.
Porcelain, Moby¹


Quando in sogni opprimenti e orribili l'angoscia tocca il grado estremo, è proprio essa che ci porta al risveglio,
con il
quale scompaiono tutti quei mostri notturni.
La stessa cosa accade nel sogno della vita, quando l'estremo grado di
 angoscia ci costringe a spezzarlo.
Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena





È tarda mattinata. Il sole picchia forte, ma si sta bene vicino all'acqua, talmente trasparente che riesco a vedere benissimo i minuscoli pesciolini che nuotano sul fondale di sabbia, intorno alle mie caviglie. Un'acqua così esiste solo su quest'isola. Il vento soffia leggero, scompigliandomi i capelli e increspando appena la superficie dell'oceano animata da piccole onde simili ad ali di gabbiano.

Dei passi si avvicinano. Sorrido. Posso sentirlo perfettamente, ma faccio finta di nulla. Vorrà senz'altro cogliermi di sorpresa. Un attimo di silenzio, poi le sue braccia mi circondano veloci. China la testa per baciarmi la spalla lasciata scoperta dal prendisole, mi sorride, mi stringe con forza e mi solleva, facendomi girare insieme a lui, una, due, tre, quattro volte... Strillo, sorpresa, divertita e un po' spaventata, un brivido di eccitazione che mi corre lungo la schiena. I miei piedi sfiorano il pelo dell'acqua, tracciando intorno a noi un cerchio di perfezione e di felicità. Scoppio a ridere e lui ride con me, mentre serro le sue braccia con le mie, quasi intrappolandolo a mia volta, e lascio andare la testa all'indietro, contro la sua spalla, godendomi la sensazione divina del vento tra i capelli.
Poi perde l'equilibrio e cadiamo entrambi sul bagnasciuga, rotoliamo sulla sabbia che si attacca alla pelle, ai vestiti, ai capelli, ridendo come pazzi. Quando ci fermiamo sono sopra di lui. Ha smesso di sorridere e mi fissa con aria seria: sembra in attesa di qualcosa di importante. Le sue labbra sensuali sono leggermente dischiuse ed io non resisto alla tentazione di toccarle con le mie. Mi cinge la vita con un braccio, spingendomi verso di lui, mentre con l'altra mano mi accarezza piano la coscia. Scossa dai brividi, premo con più forza la bocca contro la sua, come se volessi entrargli dentro. La lingua si fa strada verso la sua, audace come mai prima d'ora.
A malincuore sono costretta a staccarmi per prendere fiato e all'improvviso mi sento spossata: mi sembra che in quel romantico corpo a corpo abbia consumato tutte le mie energie. Mi lascio ricadere sulla sabbia, ansimante, e per un po' resto così, ferma, fissando il cielo azzurro chiaro e perfettamente terso. Amo questo posto. Io vengo da qui, lo sento. Il tempo scorre in modo strano, sembra dilatarsi all'infinito. Potrei essere sdraiata qui da un'eternità. Fa caldo, ma fa più caldo dentro di me. Giro la testa per guardare lui, disteso al mio fianco, e il sorriso si congela all'istante sulle mie labbra: il suo corpo è stranamente immobile e pallido, gli occhi spalancati sono fissi e vitrei, privi di espressione, come le finestre di una casa abbandonata.
No. Non è possibile.
Il mio respiro accelera, agitato e spezzato. Vorrei gridare, ma non ho il fiato necessario. Vorrei muovermi, toccarlo, ma sono paralizzata.
«Alex», sussurro.


Aprii gli occhi di scatto e mi ritrovai a fissare qualcosa di bianco. Un cuscino. Lentamente realizzai di essere a letto, un letto enorme e molto comodo che non era il mio, in una stanza che non era la mia. Tutt'intorno era in penombra e faceva un gran caldo, ma qualcosa di gelido scorreva piano su e giù lungo il mio braccio, per poi poggiarsi sulla mia fronte, togliendo qualche gocciolina di sudore.
«Va tutto bene. Sei sveglia, adesso», mormorò una voce delicata.
Papà. Mi girai lentamente sulla schiena e lo vidi seduto sul letto, accanto a me. Lo guardai in silenzio per qualche secondo.
«Era solo un sogno?», farfugliai, ancora disorientata. La mia voce era roca. Avevo bisogno di bere dell'acqua.
Mi sorrise e con un dito mi toccò di nuovo la fronte, spostando una ciocca di capelli in disordine. «Ma certo, piccola. Tu sei sull'Isola Esme, Alex è a Martha's Vineyard² con la sua famiglia e senz'altro sta bene. Non preoccuparti».
A mano a mano che riacquistavo la lucidità, mi rendevo conto che aveva ragione. Feci un bel respiro profondo e mi misi a sedere tra le lenzuola aggrovigliate, sistemandomi i capelli con le dita. L'incubo mi aveva lasciato una strana sensazione, un peso sullo stomaco. Lanciai un'occhiata intorno a me.
«Perchè sono in camera vostra?».
«Be', stanotte sono venuto a controllarti ed eri molto accaldata... come al solito», rispose lui, sorridendo. «Ti abbiamo messo in mezzo a noi per rinfrescarti un po'».
Annuii, imbarazzata. Ormai ero decisamente troppo grande per dormire nel letto dei miei, ma quando eravamo sull'Isola Esme si ripeteva ogni notte la stessa routine. Ero troppo abituata alle fredde notti di Forks per riuscire a dormire bene con quel clima così afoso e puntualmente mi svegliavo fradicia di sudore.
«Hai fame? La mamma ti sta preparando la colazione».
Papà si alzò e andò ad aprire le imposte della porta finestra che dava sulla spiaggia. Il sole inondò la camera, ma per la prima volta la vista di quel panorama mozzafiato, sfondo del mio orribile sogno, suscitava solo sensazioni sgradevoli.
«Che strano incubo, eh?», dissi.
Edward, che si stava dirigendo alla porta, si fermò e mi guardò con aria divertita. «Non direi, visto che ieri sera hai mangiato pesante: devi suggerire alla mamma di mettere meno peperoncino nella coxinha³ la prossima volta».
«Ehi, ho sentito!», gridò Bella dalla cucina. «Cos'ha la mia coxinha che non va?».
Papà si sforzò di trattenere le risate, un sorriso sghembo sul volto. «Niente, amore!», rispose uscendo dalla stanza.
Mi sfuggì un sorrisetto. Che matti, i miei genitori. Mi alzai e raggiunsi la finestra, stiracchiandomi. Il sole splendeva alto nel cielo, l'oceano luccicava come argento, le palme della spiaggia oscillavano pigramente. Quello strano senso di oppressione era svanito. All'improvviso mi parve di guardare tutto con occhi diversi. Non vedevo l'ora di fare un tuffo. Feci una doccia lampo, indossai bikini e copricostume e andai in cucina. Trovai papà intento a raccontare alla mamma del sogno, e per quanto fossi infastidita dal fatto di non riuscire a tenere mai niente per me, quando anche lei mi rassicurò, consigliandomi di non pensarci più, mi sentii molto più tranquilla.
«Stasera pensavo di cucinare le empanadas
», annunciò Bella mentre riempiva un bicchiere di succo di frutta e me lo porgeva.
«Ehm... non so se è una buona idea», sospirai, storcendo il naso.
Il suo entusiasmo si sgonfiò come un palloncino. «Perchè no?».
Papà aveva un sorriso che andava da orecchio a orecchio e taceva con aria furba.
«Mamma, tu non assaggi mai nulla mentre cucini e da quando siamo qui hai sviluppato un'insana passione per la cucina locale, che prevede un abbondante uso di spezie... Qual è il risultato, secondo te?».
«Non è possibile», sbottò. Sembrava scioccata.
«La coxinha di ieri sera conteneva più peperoncino che carne di pollo», aggiunsi, imperterrita. «La mia gola ha quasi preso fuoco».
Lei non sapeva come ribattere. Guardò papà, che tratteneva a stento una risata, poi di nuovo me, che avevo un'espressione eloquente, poi di nuovo lui. Infine si rassegnò con un sospiro. «E va bene. Basta spezie ed esperimenti culinari», grugnì. Prese una pila di piatti e stoviglie sporche e infilò tutto nella lavastoviglie con gesti bruschi.
Incrociai per un istante lo sguardo di papà e subito distolsi il mio; sapevo che se ci fossimo fissati per un secondo di troppo, sarei scoppiata a ridere.
«Allora, ehm... che facciamo di bello stasera?», chiesi, rompendo il silenzio.
«Io propongo una maratona di vecchi film per tutta la notte, fino all'alba», disse la mamma, tornando al tavolo.
«O meglio, fino a quando riuscirò a tenere gli occhi aperti», la corressi.
«Oppure potremmo fare un giro in città», propose Edward. Mi guardò. «Che ne dici, Raggio di sole? Non hai mai visto Rio di notte».
L'idea stuzzicò immediatamente la mia immaginazione. Durante il viaggio di andata eravamo atterrati in città di sera, ma io mi ero addormentata sul taxi che ci conduceva al porto e mi ero risvegliata a casa, nel mio letto: non avevo visto un bel niente. E sebbene fossimo in Brasile da più di una settimana, non avevamo ancora mai lasciato l'isola. Rio di notte... doveva essere fantastica. Sorrisi.
«Ci sto».



****



Quella sera, dopo cena, passai un bel po' di tempo nella mia stanza a prepararmi. Indossai un vestito corto di tulle color blu pervinca che mi aveva comprato Alice prima di partire e che io giudicavo fin troppo appariscente, ma quale occasione migliore per indossarlo di una sera a Rio de Janeiro? Lo abbinai a sandali argentati argentati e sistemai i capelli in una alta e vaporosa coda di cavallo. Poi mi toccò convincere la mamma a nom uscire di casa in jeans e t-shirt e a mettere un vestito e scarpe col tacco. Non fu semplice, ma a un certo punto, finalmente, fummo pronti ad andare.
Mentre viaggiavamo in barca verso la terraferma, l'eccitazione che mi aveva fatto compagnia fino ad allora crebbe fino a toccare il culmine. Troppo impaziente per chiacchierare con i miei, rimasi in silenzio per tutto il tempo, seduta sul bordo del motoscafo ad osservare l'oceano, un'immensa distesa liscia e scura come velluto nero, e la luna piena, una sfera perfetta color argento che si specchiava sulle onde. Era una vista talmente romantica da stringermi il cuore. Nel frattempo Edward e Bella chiacchieravano tranquillamente tra loro, le voci sovrastate dal rombo del motore e dallo scroscio delle onde contro i fianchi della barca.
Arrivammo a destinazione dopo poco più di mezz'ora e, lasciata la barca al molo del porto, ci immergemmo nelle strade affollate, caotiche e rumorose della città. Scattammo qualche foto vicino all'oceano dopo aver vinto le resistenze della mamma, patologicamente incapace di stare davanti all'obiettivo; Alice mi aveva ordinato chiaro e tondo di immortalare ogni momento della vacanza e non potevo tornare a Forks senza un centinaio di fotografie, non se ci tenevo a sopravvivere. Poi ci dirigemmo verso Lapa
, uno dei quartieri alla moda della città, pieno di locali, bar, negozi e bancarelle di souvenir e gruppi di musicisti di strada ad ogni angolo. Parecchie persone ballavano sui marciapiedi, così affollati che non era possibile fare tre passi senza rischiare di finire addosso a qualcuno.
Mentre camminavamo notai che parecchi ragazzi mi lanciavano occhiate interessate, ma poi incrociavano lo sguardo di papà e ci ripensavano.
«Quella gonna è troppo corta, Renesmee», disse a denti stretti, un'espressione profondamente infastidita sul viso, mentre passavamo accanto a un gruppetto di ragazzini chiassosi e ciarlieri. Chissà quali pensieri aveva ascoltato.
«Oh, andiamo!», esclamò la mamma, diveritita. «Lasciala stare, c'è già Emmett a darle il tormento con questa storia».
«Se è per questo, anche la tua gonna è troppo corta», aggiunse Edward con tono stizzito, lanciando un'occhiata verso destra.
Io e Bella seguimmo la direzione del suo sguardo e scorgemmo un ragazzo sui sedici anni che fissava la mamma con occhi e bocca spalancati, come se fosse stata una dea scesa direttamente dalle nuvole. Scoppiai a ridere di gusto mentre lei abbassava lo sguardo, lusingata e imbarazzata allo stesso tempo.
Dopo un po' ci fermammo in un piccolo locale e sedemmo ad uno dei tavolini all'aperto. Volevo bere qualcosa di fresco, ma non riuscivo a smettere di guardarmi intorno, stregata dal vortice di suoni, profumi e colori che danzava per le strade. I turisti e gli abitanti del luogo camminavano in gruppi o a coppie, sorseggiando cocktail dai colori brillanti, la musica che usciva dai locali si mescolava al suono dei tamburi dei musicisti di strada e a frammenti di chiacchiere e risate, e ovunque aleggiava un delizioso odore di spezie. In un angolo una banda di ragazze dalla pelle di varie tonalità di scuro e con abiti vivaci indosso ballavano tra loro, ridendo, sussurrandosi a vicenda chissà quali segreti e lanciando occhiate ai ragazzi di passaggio. Improvvisamente pensai a quanto sarebbe stato divertente essere lì con le mie amiche al gran completo. Immaginai Holly che ballava con tre ragazzi abbronzati contemporaneamente e Maggie che cercava di tirarla via, Jas che comprava souvenir ad ogni bancarella, Danielle che si fermavano ad ascoltare i musicisti agli angoli delle strade...
E se con me ci fosse stato Alex, invece? Istintivamente sorrisi, pensando alle cose fantastiche che avremmo fatto io e lui insieme, da soli, in un posto del genere: nuotate al chiaro di luna, lunghissime sedute di baci all'ombra delle palme sulla spiaggia, serate tra un locale e l'altro...
Alex.
Il ricordo dell'incubo mi invase all'improvviso, come una macchia di petrolio che si espande nella neve: la spiaggia, il sole, l'oceano, le sue braccia intorno a me, i suoi baci, e poi... Provai una sgradevole morsa alla stomaco. Temevo che quella notte l'incubo sarebbe tornato, come quando ero piccola e per settimane e settimane, dopo la venuta dei Volturi, avevo sognato una fila di mantelli neri che veniva verso di me in un paesaggio innevato. Provare di nuovo quella sensazione, la sensazione di qualcosa di orribile che ti aspetta nel buio quando chiudi gli occhi per addormentarti, mi faceva sentire di nuovo una bambina fragile e in pericolo. E non sopportavo di sentirmi così.

Papà mi disse qualcosa, interrompendo la sua discussione con la mamma, ma mi ci volle un po' per accorgermene.
«Uhm... ? Come?», borbottai, ancora distratta dalle mie cupe riflessioni.
Lui mi fissava con aria leggermente esasperata. «Non posso credere che tu ci stia ancora pensando».
Ovviamente parlava del sogno. Arrossii un poco. «Be', non è stata proprio una cosa da nulla», risposi con tono sostenuto.
«Ma era un sogno, Renesmee. Un sogno, tutto qui».
Sospirai. Ero decisa a lasciar cadere l'argomento e invece nemmeno due secondi dopo...
«Era molto... realistico. Mi sembrava di essere davvero lì. I sogni che faccio di solito non sono così e tu lo sai», proruppi.
«Questo non cambia il fatto che era un sogno. Tutta quest'attenzione è ingiustificata».
«Sai, vorrei che ogni tanto le mi riflessioni private rimanessero tali», risposi, infastidita dalle sue parole e dal suo atteggiamento. Si ostinava a minimizzare i miei timori. Perfetto.
Lui scossela testa. «No, tesoro, non è così...».
«Papà! Cosa ho appena detto?».
Si interruppe all'istante con aria colpevole. A volte rispondeva ai miei pensieri, anzichè alle mie parole, senza nemmeno accorgersene. «Mi spiace», si scusò a bassa voce.
Scese il silenzio mentre mi sentivo sempre più arrabbiata. Ero certa di sapere perchè la mia opinione fosse considerata così poco.
«Se vuoi posso...», cominciò la mamma.
«No, grazie, niente scudo», borbottai. «Non è necessario».
Tanto per fare qualcosa, afferrai il menù e scorsi velocemente la lista delle bevande. Tra i tanti nomi di cocktail stravaganti mi colpì uno in particolare; lo avevo già sentito da qualche parte, ma dove? Riflettei per un istante, e ricordai: me ne aveva parlato Jas quando le avevo raccontato delle vacanze in Brasile, poco prima che finisse la scuola. 
«Credo che assaggerò la Caipirinha6
», annunciai. Sapevo che Jas avrebbe voluto assaggiarlo, per curiosità, e immaginare la sua espressione quando le avrei raccontato del cocktail mi faceva sorridere.
«Tesoro, non mi sembra il caso», disse papà.
Il suo tono indulgente mi fece scattare subito sulla difensiva. «Perchè? Ne assaggio un sorso, non voglio berlo tutto».
Lui serrò appena le labbra. «Meglio di no. È un po' presto per gli alcolici, non trovi?».
«Lo sai che ho già bevuto alcolici», mi lasciai sfuggire, piccata, e un istante dopo avrei voluto rimangiarmi tutto.
La mamma sussultò. «Davvero? Quando?», esclamò.
Edward emise un leggero sospiro. Io esitavo, ma ormai il danno era fatto. «Ehm... Ecco... Alla festa di compleanno di Holly, la scorsa primavera... c'era del vino. Ma ne ho assaggiato solo un po' e non mi è piaciuto per niente», aggiunsi, sperando che non scoppiasse una bomba. «Tornando al nostro discorso, visto che ho già bevuto un sorso di vino posso avere anche un sorso di Caipirinha?».
«No», rispose la mamma con decisione. Alzai gli occhi al cielo, scocciata. Lei afferrò il menù e vi gettò un'occhiata. «Che ne diresti di un bel succo di frutta?».
«Tu sai che non ho davvero cinque anni, giusto?», ribattei, provocatoria.
Lei fece un sorriso furbo. «Certo che lo so. A settembre ne festeggi sedici, e a me non risulta che le sedicenni possano bere cocktail alcolici».
Rimasi zitta a fissarla con aria truce per un secondo, mentre la mamma reggeva il mio sguardo, e alla fine mi arresi. Dannati vampiri dispotici. «E va bene. Prenderò un tè ghiacciato». Incrociai le braccia, puntai gli occhi su un punto imprecisato della strada e non aggiunsi un'altra parola.
«Ottima scelta, tesoro», commentò Bella. Chiamò al volo un cameriere di passaggio e ordinò. Il ragazzo, sui venticinque anni e con un sacco di capelli ricci e scuri raccolti in una coda, le rivolse uno sguardo di deciso apprezzamento prima di allontanarsi. Edward si agitò sulla sedia, borbottando qualcosa sottovoce, ma lei fece finta di nulla. Era impegnata a studiare la mia espressione e mi parve di scorgere un po' di senso di colpa nel suo sguardo. «Non essere arrabbiata», aggiunse a bassa voce dopo qualche attimo di silenzio.
Sbuffai. «Non sono arrabbiata, io... non sopporto di essere trattata così».
«Così come?».
«Come una bambina!», sbottai, alzando la voce. «Non posso neanche scegliere che cosa bere!».
«Renesmee, non capisco», esclamò Bella, sconcertata. Mi fissava con gli occhi spalancati. «Tu non hai mai bevuto alcolici».
«Non è questo il punto! Io volevo assaggiarlo, ma voi non mi ritenete abbastanza grande da poterlo fare!».
«Ma è vero che non lo sei», intervenne papà, la voce dolce e pacata. Stava cercando di calmarmi, ma in quel momento la cosa mi irritava ancora di più. «Anche se avessi davvero sedici anni, comunque non lo saresti».
«Ecco. Vedete che ho ragione?», sibilai, incrociando le braccia con gesto stizzito.
«Si può sapere che ti prende?», esclamò la mamma, sempre più incredula.
«Niente! Se non sono d'accordo con voi devo avere per forza qualcosa che non va?».
Bella fece un sospiro pesante. «Renesmee, calmati, per favore», disse, e dal tono capii che si stava sforzando di essere paziente. «Capisco che il sogno di stanotte ti abbia sconvolta, ma...».
Sembrò pentirsi all'istante di ciò che aveva detto. Papà le lanciò un'occhiata di avvertimento, ma ormai era tardi.
«Certo», mormorai, piccata. «Sono una bambina che ha paura dei brutti sogni, giusto».
«Non ho detto questo!».
«Basta, vado a fare un giro per conto mio». Mi alzai di scatto, improvvisamente stufa ed esasperata. Il cambiamento di umore era stato così repentino da stupire anche me, ma non riuscivo più a starmene seduta lì. «E non mi seguite, per favore».
Edward e Bella mi fissavano con due identiche espressioni sgomente.
«E il tuo tè ghiacciato?», esclamò la mamma.
«Sicura che io sia abbastanza grande da poterlo bere?», chiesi per tutta risposta, sarcastica.
Mentre mi allontanavo dal tavolo la sentii rivolgersi a papà. «Tu hai capito cos'è successo?».



****



Per dieci minuti buoni camminai a passo di marcia, senza fermarmi un attimo e rimuginando sulla conversazione con i miei. Che nervi! Non li sopportavo quando facevano così. Ero talmente infuriata che non riuscivo più neanche a far caso all'atmosfera festosa e vivace che fino a poco prima mi aveva letteralmente catturata. Poi, lentamente, quella rabbia improvvisa e irragionevole iniziò a scemare, a dissolversi, rapida così com'era arrivata. E a mano a mano che tornavo lucida, ricominciavo a ragionare. Mi rendevo conto di non essermi comportata in modo molto maturo: avevo fatto una scenata senza nessun motivo reale. Mi dispiaceva di aver piantato i miei in quel modo, ma sembrava che si fossero messi d'impegno per irritarmi, prima ridendo del mio incubo, poi facendo tutte quelle storie per uno stupido cocktail che non avevo neanche voglia di assaggiare davvero...
Rallentai il passo per evitare di travolgere qualcuno tra la folla e mi lasciai sfuggire un sospiro. Camminavo quasi senza fare caso a ciò che mi circondava, persa nei miei pensieri, quando all'improvviso, in quel mare di persone in movimento, qualcosa catturò la mia attenzione. O meglio qualcuno: un ragazzo che camminava nella direzione opposta alla mia, insieme a due ragazze che lo tenevano abbracciato. Non poteva avere più di vent'anni, carnagione olivastra, lineamenti regolari, occhi color tek, labbra carnose, capelli scuri corti e un po' ricci. Lo conoscevo. Mi ci volle un secondo per recuperare quel volto dalla mia memoria e abbinarlo a un nome ben preciso, e di colpo mi bloccai in mezzo alla strada.
Anche lui mi aveva notata. I suoi occhi incrociarono i miei e, come me, subito si bloccò. Sembrava altrettanto stupito, e anche un po' incerto.
«Nahuel... ?», bisbigliai, incerta, temendo di sbagliarmi.
Sollevò le sopracciglia quando capì che lo avevo riconosciuto, sempre più sorpreso. «Renesmee Cullen?», chiese di rimando. E la sua voce calda, avvolgente, sembrò affiorare direttamente dai miei ricordi. Non mi ero sbagliata.








Note.
1. Link.
2. Isola degli Stati Uniti. Si trova nel Massachusetts ed è una famosa località di vacanza.
3. Piatto tipico della cucina brasiliana a base di pollo e spezie.
4. Altro piatto tipico del Brasile, è una sorta di fagottino ripieno di carne, spezie e altri ingredienti.
5. Quartiere di Rio, uno dei cuori della vita notturna della città. Forse qualcuna di voi ha riconosciuto il nome, perchè le scene della luna di miele di Edward e Bella 
prima di raggiungere l'Isola Esme, in Breaking dawn parte I, sono state girate proprio lì. Mi sembrava carina l'idea che Edward e Bella tornassero in quei luoghi insieme a Renesmee.
6. Bevanda alcolica tipica del Brasile.  







Spazio autrice.
Come avevo promesso, eccomi di ritorno con il tanto atteso (sì, come no...) sequel di Midnight star ^^. Siete strafelici, vero? Vero... ?
Prima di tutto, Buon Anno!
A chi avesse aperto questa storia per caso o per curiosità senza aver letto la prima parte, suggerirei di partire dal principio e leggere Midnight star. Non è strettamente indispensabile aver letto la prima parte per leggere questa, ma insomma... diciamo che sarebbe meglio averla letta, ecco, a scanso di equivoci
(sono ruffiana, eh? Va be', dai, solo un pochino xd).
Ringrazio in anticipo tutte le lettrici che hanno seguito MS con affetto e che mi accompagneranno anche in questa seconda parte ^^. Mi scuso per l'attesa che è stata un po' più lunga del previsto, colpa dell'università e di altri problemi. Meglio tardi che mai, comunque, e spero che varrà la pena di aver aspettato un pochino. Come sempre resto in attesa delle vostre opinioni, positive o negative che siano; in particolare, vi sarei grata per la segnalazione di eventuali errori e sviste, perchè purtroppo qualcosa mi sfugge sempre per quanto io controlli e ricontrolli :-).
Ultima nota (ultimissima, giuro xd). Aggiornerò sempre di mercoledì, come era per MS, ma una volta ogni due settimane, un mercoledì sì e uno no, per intenderci, salvo inconvenienti. Quindi l'appuntamento per il secondo capitolo è a mercoledì 15 gennaio. Grazie a tutte!

   
 
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