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Autore: Pseudopolis Yard    01/01/2014    1 recensioni
C'è sempre del lavoro per Morte.
[...]Doveva esserci una qualche forma di ironia cosmica nel fatto che i suoi incontri con lo smilzo piagnucolone si fossero fatti sempre più frequenti, da quella prima sfortunata volta, in maniera inversamente proporzionale al piacere ricavato dagli stessi. Diciassette anni prima era entrato in quella casa a Godric's Hollow (maledetta profezia e maledetta quella vecchia oca che l'aveva pronunciata) con il cuore pieno di speranza, di fiducia nel fatto che ci fosse giustizia a questo mondo, un ordine naturale delle cose: c'erano cose che dovevano succedere e cose che non dovevano succedere. Quel che doveva succedere era: Harry Potter morto, la profezia neutralizzata e Lord Voldemort, tiranno benevolo, che si ergeva sul popolo dei maghi guidandolo verso un'era di prosperità e di pace dove nessuno avrebbe mai fatto mancare una Cruciatus a un Babbano.
Liberamente ispirato alle pagine di J.K.Rowling e Terry Pratchett.
Genere: Comico, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Cedric Diggory, Sir Nicholas, Sirius Black, Un po' tutti
Note: Cross-over, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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“Son Io Lord Voldemort”



dieci minuti prima...

Bellatrix Lestrange era troppo presa dal proprio Sacro Furore per rendersi pienamente conto di come procedeva effettivamente il combattimento. Ebbe, per un attimo, la vaga impressione che ci fosse qualcosa di sbagliato. Ma una Mangiamorte fedele, leale, dedita, votata al servizio del suo Grande, e Magnifico, e Onnipotente, Più Bello Di Tutti, Oscuro Signore non poteva fermarsi a tener conto di minuzie quali il balenio di un lampo verde.
“Avada Kedavra! AVADA KEDAVRA! Muori! Perché non muori! Muori! MUORI! MUORIIIIIIIIIIIIIIIII!”
Mentre i penetranti acuti di Bellatrix Lestrange arrivavano a toccare frequenze tipiche solo di alcune specie di pipistrelli e delle psicopatie ossessivo-compulsive, Morte capì di trovarsi di fronte ad un cliente molto, molto difficile.


* * *



Di nuovo.
Era successo di nuovo.
Svenire ogni volta che colpiva Harry Potter con l'Avada Kedavra stava diventando un'abitudine estremamente seccante: soprattutto considerando che, tecnicamente, l'evento avrebbe dovuto avere luogo una e una sola volta.
E invece no.
Voldemort si rialzò faticosamente, pronto a strillare (di nuovo) “Sto bene, non mi serve aiuto!” prima che quella gli si appiccicasse (di nuovo) addosso. Lord Voldemort odiava il contatto fisico.
Con sé stesso poteva essere franco e ammettere di essere forse stato un po' ingenuo nel non tenere conto dei deplorevoli effetti che il tempo ha su tutte le cose - in particolar modo su quelle umane. Nel caso di Bellatrix Lestrange, era imbarazzante dover constatare che diciassette anni ad Azkaban avevano trasformato quella che era sembrata allora solo una curiosa vena di graziosa eccentricità ed una sana dedizione al proprio Signore&Padrone in una psicosi monomaniacale ossessiva le cui manifestazioni si facevano di giorno in giorno più moleste.
La prima cosa che Voldemort rilevò, emergendo dal flusso di nostalgiche memorie incentrate sull'aggraziata figura della poco più che ventenne Bellatrix che saltellava sui cadaveri sfigurati dei suoi nemici, lanciando leggiadramente Cruciatus a destra e a manca, ed evitando con piede agile e lieve le pozze scivolose di sangue, fu una sospetta carenza della Bellatrix attuale.
C'era comunque un'alta figura ammantata di nero di fianco a lui. Lord Voldemort era abituato a vedersi intorno gente intabarrata in mantelli neri (molto più che gente senza mantelli neri, in effetti), ma quello specifico mantello nero aveva qualcosa di strano. Innanzitutto, il proprietario del suddetto non si era precipitato ad offrirgli ansiosamente il suo aiuto. Lord Voldemort era anche abituato a vedere molta ansia in chi aveva intorno.
Fece per alzare la bacchetta, perché una Cruciatus non si negava mai a quel Mangiamorte impigrito che necessitasse di una vibrante sferzata di energia, ma, prima ancora che Voldemort potesse sollevare la mano, gli occhi gli caddero su Harry Potter.
Harry Potter.
Lui. Qui. Ancora.
La sua rachitica e scarmigliata figura osava ancora offendere le pupille di Lord Voldemort, il Signore Oscuro, Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, terrore di Babbani e Mezzosangue. Doveva esserci una qualche forma di ironia cosmica nel fatto che i suoi incontri con lo smilzo piagnucolone si fossero fatti sempre più frequenti, da quella prima sfortunata volta, in maniera inversamente proporzionale al piacere ricavato dagli stessi. Diciassette anni prima era entrato in quella casa a Godric's Hollow (maledetta profezia e maledetta quella vecchia oca che l'aveva pronunciata) con il cuore pieno di speranza, di fiducia nel fatto che ci fosse giustizia a questo mondo, un ordine naturale delle cose: c'erano cose che dovevano succedere e cose che non dovevano succedere. Quel che doveva succedere era: Harry Potter morto, la profezia neutralizzata e Lord Voldemort, tiranno benevolo, che si ergeva sul popolo dei maghi guidandolo verso un'era di prosperità e di pace dove nessuno avrebbe mai fatto mancare una Cruciatus a un Babbano.
Quel che non doveva succedere, invece...
Bé. Questo era storia nota.
Ne erano seguiti undici anni a mangiare topi nelle foreste dell'Albania, e poi una lunga serie di incontri sempre più ravvicinati e sempre più frustranti.
Non c'era ragione, non ne vedeva alcuna, per la quale una buona Avada Kedavra piazzata al momento giusto non dovesse funzionare. Tranne che non funzionava.
Ma non c'era ragione, non ne vedeva alcuna, per non tentare di nuovo. Non c'è due senza tre, e il quarto vien da sé. Ha ha ha.
Ecco, concentrarsi sul momento presente stava diventando sempre più difficile, tra una divagazione e l'altra.
Ma Harry Potter era lì, davanti a lui (lui, qui, ancora), e tutta la scena parve farsi improvvisamente più buia, più fredda, mentre l'attenzione di Lord Voldemort tornava a focalizzarsi sul Bambino Che Era Anche Troppo Sopravvissuto; i contorni del mondo attorno a lui sembrarono sparire nella foschia, con la figura di Potter che incombeva nel mezzo. Con movimenti lenti e solenni, levò la mano, puntò la bacchetta... e fu lì che si accorse che c'era veramente qualcosa che non andava.
La bacchetta.
La bacchetta!
Come poteva aver smarrito la propria bacchetta? Era come aver smarrito un... un dito! Un braccio! Da quando aveva compiuto undici anni, non c'era mai stato un momento della sua vita in cui fosse stato sprovvisto di bacchetta!
… almeno, non in quei momenti in cui era stato in possesso di un pollice opponibile in grado di stringerla.
E questa non era un pezzo di legno qualsiasi: era la Bacchetta di Sambuco.
Ma Harry Potter era sempre lì. Lui. Qui. ANCORA.
Anche la Bacchetta di Sambuco poteva aspettare.
Lord Voldemort si sentì ribollire il sangue. Bè, ribollire... diciamo che ebbe la sensazione di un tiepido brivido. Ma lui era Lord Voldemort: Lord Voldemort non rabbrividisce. Senza voltarsi, allungò un braccio verso la figura in nero.
“Dammi la tua bacchetta!”
NON MI PARE IL CASO, replicò questa.
Strana voce. Cupa ma riecheggiante. Mica male.
Ma, interesse professionale a parte, la risposta non era quella prevista.
“Come osi?” sibilò Lord Voldemort. La sua stessa voce gli parve meno tagliente del solito: colpa, forse, di una lunga nottata passata in piedi e all'aperto (dopotutto, gli anni non erano trascorsi solo per Bellatrix); ma magari anche colpa della nebbia, che sembrava aver perso la sua funzione di cornice alla figura di Harry Potter ed aveva cominciato a farsi densa, avvolgente, corposa. Era arrivata a lambirgli l'orlo del mantello.
Non era però questo il momento di mostrarsi esitanti.
“La tua bacchetta! Ora!”
La figura in nero non reagì.
Questo era spiazzante. Lord Voldemort, l'Oscuro Signore, si girò e indirizzò alla figura una delle sue famose Occhiatacce. Pochi ne avevano viste più di una. Chi ne aveva viste più di due non era più della partita.
La figura non fece una piega.
“Dammi. La tua. Bacchetta” scandì Lord Voldemort. Il tono minaccioso continuava a riuscirgli solo a metà, ma sembrò bastare:
SE PROPRIO CI TIENI, rispose la figura in nero.
Un braccio si alzò dal fianco ammantato e offrì una bacchetta dall'aspetto diafano.
Lord Voldemort afferrò sbrigativamente la bacchetta senza notare, almeno coscientemente, la mano scheletrica che la porgeva: perché, come esaurientemente spiegato dal Professor Mordicus Egg nel suo “Perché i Babbani Preferiscono Non Sapere”, gli uomini, semplicemente, rifiutano di vedere ciò che le loro menti non riescono ad ammettere.
E Lord Voldemort non aveva mai ammesso seriamente, neanche con sé stesso, la possibilità della propria morte.
Lord Voldemort, il Signore Oscuro, Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, terrore di Babbani e Mezzosangue, ma che prima di ogni altra cosa era stato Tom Orvoloson Riddle, guardò di nuovo verso Harry Potter. La nebbia aveva cominciato ad inghiottire anche lui. Per individuare meglio l'ossuto moccioso – ed essere certo di non mancare il colpo – Tom strizzò gli occhi e aguzzò lo sguardo; puntò la bacchetta ed esclamò:
Avada Kedavra!
Non successe nulla. Nessuna luce verde. Nessun cadavere. Potter non era morto. Certo, neanche Tom era svenuto: tutto sommato, era un passo avanti.
Ma non bastava.
Avada Kedavra!
Non successe nulla. Nessuna luce verde. Nessuno svenimento... e nessun cadavere: Tom avrebbe potuto sopravvivere senza nessuna luce verde, e avrebbe potuto anche passare sopra agli svenimenti, se a ciò fosse comunque seguito un qualche cadavere.
A quel punto, chiunque avrebbe cominciato a porsi delle domande e a chiedersi se non fosse il caso di riconsiderare l'intera situazione. Ma Tom non permise al tarlo del dubbio di incrinare la solida corazza di certezze che l'aveva sostenuto fino a quel momento: aveva una missione, aveva una bacchetta, e le abitudini di una vita sono dure a morire.
Avada Kedavra!
UNA VOLTA, FORSE, disse la figura in nero, mentre Potter, indisturbato, continuava a sbiadire.
Le spalle di Tom si abbassarono un po'. Più timidamente, tentò:
Crucio?
L'alta figura nera di Morte scosse il cappuccio.
NON PIÙ.



E, mentre gli ultimi barlumi di Harry Potter sparivano nel buio, il tarlo del dubbio – che a quel punto aveva assunto più le dimensioni di una trivella petrolifera e stava lavorando di lena – si fece risentire: Tom iniziò ad esaminare con attenzione e per la prima volta la figura in nero, e a chiedersi quale, fra i suoi Mangiamorte, avesse mai portato una falce.
“Lucius?”
NO.
Non sembrava una cosa alla Lucius, in effetti. Troppo grossa, troppo plateale, e niente serpenti sul manico.
“Avery?”
NO.
Uhm. Su Avery avrebbe puntato davvero, invece. Non era Lucius, non era Avery, non gli si era avvinghiata ad un ginocchio e quindi non era Bellatrix... Il tarlo-trivella stava facendo del suo meglio, ma quel che si trovava ad affrontare era qualcosa che, bisogna riconoscerlo, era stato in grado di tenere insieme uno spirito privo di corpo per più di dieci anni.
Non poté esimersi da un rapido riepilogo: NON PIÙ poteri magici; non più Harry Potter; il che avrebbe anche potuto essere un fatto positivo, se non fosse che, assieme a non più Harry Potter si era verificato anche un sospetto non più tutto il resto. Erano rimasti solo lui, la figura in nero, e il buio.
C'era poi la questione di quella mano, la cui immagine era finalmente filtrata attraverso le difese naturali descritte dal già citato prof. Egg e si era manifestata in tutta la sua scheletrica scheletricità dritta davanti alla parte cosciente del cervello di Tom.
E tuttavia, davanti all'ineluttabilità del dover, prima o dopo, fare due più due, la mente di Tom era in grado di opporre una feroce resistenza e di arroccarsi, inamovibile, su un solido tre virgola nove.
Considerò il freddo, considerò il buio, considerò lo scheletrico, unì tutti i puntini, e questa volta un innegabile brivido di quello che anche lui, nonostante il tre virgola nove, non poteva non riconoscere come timore, gli corse giù per la schiena. Il tono si fece molto più esitante quando Tom alzò una mano e, cautamente, si informò:
“...Severus?”





Note degli AutorI: Buon anno (che ci sta sempre bene)!

Siamo arrivati ad occuparci di Lui, Voi-Sapete-Chi, l'Oscuro Signore, Colui-che-non-deve-essere-nominato e soprattutto Colui alla cui iniziativa dobbiamo, in ultima analisi, l'intera storia della saga di Harry Potter, nonché una larghissima fetta della materia prima alla base di questa nostra piccola raccolta; ed è per questo che abbiamo voluto dedicare a lui questo nostro ultimo, sudatissimo capitolo.
Poiché questo è l'ultimo morto di cui si abbia notizia all'interno della saga, pensiamo di poterci fermare qui. Non è detto che su Pseudopolis Yard non appaiano in futuro altre storie ambientate nello stesso universo… per cui fatevi vivi ogni tanto. Ha ha ha.

Ringraziamo ancora le pagine di Terry Pratchett e J.K.Rowling, Morte, che si è prestato per la storia, e tutti voi che ci avete seguiti, preferiti, ricordati, e soprattutto letti, e che speriamo vorrete lasciarci un ultimo saluto.
No, non quel genere di ultimo saluto.



Ah, e Bellatrix? Niente, avevamo cercato di recluderla in un capitolo a parte, ma non ha voluto in alcun modo lasciarsi separare dal suo Oscuro Signore. Abbiamo provato a tirarla via a forza, ma strillava, strillava… In effetti è ancora in Sala Grande a Hogwarts che strilla.
  
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