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Autore: Smugmoss    01/01/2014    0 recensioni
Una favola simbolica sull'amore, la fiducia, il coraggio e la determinazione.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buio.

 
C’era una volta un uomo grigio.
Camminava come tutti sulla terra, alzando un piede dopo l’altro e riappoggiandolo nel fango, con lo sguardo fisso a terra. Con lui camminavano tanti altri uomini grigi, tutti con gli occhi sui loro piedi e senza alcuna meta. Solo, continuavano a camminare. Ma il nostro uomo grigio sentiva che c’era qualcosa che non andava. Certo, camminava anche lui come tutti gli altri, con la testa bassa. Come tutti lasciava che la pioggia, che cadeva incessante dal cielo, gli scorresse sul viso. Ma nonostante tutto, non si sentiva completo.
Quindi alzò lo sguardo.
Vide così ciò che sovrastava lui e tutti gli altri uomini grigi: il cielo. Un cielo, grigio come la terra, basso e incombente, che scaricava pioggia sulle teste di tutti, e che impregnava la terra d’acqua. L’uomo grigio cominciò così a cercare. Non sapeva che cosa stesse cercando. Ma sapeva che, prima o poi, l’avrebbe trovato.
 
Un giorno, l’uomo grigio notò, inginocchiato sotto un albero spoglio, una strana creatura. Sembrava un uomo grigio, ma era più aggraziata, più dolce. Aveva poi una lunga chioma che scendeva fluente lungo la schiena, ben diversa dai corti capelli color topo degli uomini grigi. Ma la cosa più incredibile era che dal centro della schiena si dipartivano due splendide ali piumate. L’uomo grigio si avvicinò. La creatura stava singhiozzando, tenendosi il viso fra le mani. Le lacrime si mischiavano con le gocce della pioggia, che le scendeva nei capelli zuppi d’acqua. Questi erano così lunghi che sfioravano il terreno, insozzandosi di fango. L’ala sinistra aveva un’angolazione differente rispetto alla destra.
“Chi sei?” chiese l’uomo grigio.
La creatura non rispose, ma si voltò verso di lui con uno scatto e si ritrasse, rannicchiandosi contro il tronco.
“Non devi avere paura. Non voglio farti del male.”
L’uomo grigio notò che la creatura si stringeva l’ala sinistra, guardandolo con sospetto.
“Ti fa male quella? Fammi vedere.”
Allungò una mano, ma quando stava per toccare quello strano essere, questi si alzò di scatto e, arrampicandosi sull’albero aiutandosi con l’ala sana, si andò ad appollaiare su un ramo della pianta, volgendo uno sguardo torvo all’uomo grigio. Lui rimase estasiato. Aveva volato. La creatura aveva volato! Ora finalmente sapeva cosa stava cercando.  Voleva volare in alto, sempre più su, oltre le nubi piovose, via da quella terra lorda e fangosa.
“Non devi avere paura” ripetè l’uomo grigio. “Ti voglio aiutare. Ti voglio guarire, così insieme voleremo via da qui.”
La creatura continuò a guardare torva l’uomo grigio, che ricambiava lo sguardo con un sorriso.
Il tempo passava, ma la situazione non cambiava. L’uomo grigio osservava, immobile, la silenziosa figura appolaiata in cima all’albero. Poi, l’uomo grigio si illuminò: aveva avuto un’idea. Si inginocchiò e affondò le dita nel fango. Avvicinò l’orecchio a terra e assunse un’espressione concentrata. Cominciò a muoversi carponi, poggiando l’orecchio di tanto in tanto a terra. La creatura lo osservava, intimorita ma curiosa.
Dopo aver girato più volte attorno all’albero, l’uomo grigio si fermò, ascoltò attentamente, battè qualche volta con la mano sul terreno flaccido, poi si alzò di scatto e lanciò un urlo di trionfo. La creatura sobbalzò, rannicchiandosi più in alto fra i rami nudi dell’albero. L’uomo grigio lanciò un’occhiata sorridente alla creatura, poi si rigettò nel fango, affondando le mani nella melma ed estraendole ricolme di quella terra immonda. Gettò a lato le prime manciate, e si rimise a scavare a mani nude nel fango. 
Dopo poco cominciò a formarsi una buca, dapprima profonda un palmo, poi sempre più grande. Lo sforzo dell’uomo grigio era evidente: più andava in profondità, più l’acqua e il fango tendevano a ricadere nella buca, riempiendola di nuovo. L’uomo grigio cominciò ad ansimare per la fatica, ma proseguiva imperterrito il suo lavoro.
L’uomo grigio scavava e scavava, sempre sotto gli occhi vigili della ceratura, e aveva dapprima le mani, poi gli avambracci e infine tutte le braccia fino alle spalle immerse nel fango. Ma più scavava, più sentiva una forza dentro di lui, una forza tale che sarebbe riuscito a spostare l’orizzonte, e continuava a scavare.
Quando entrava ormai con metà del busto nella buca, si fermò. Lentamente si alzò, lo sguardo fisso sulle mani strette in una coppa. Le braccia, completamente ricoperte di lordura, erano raccolte al petto. Lasciò che le mani tremanti si aprissero, come la corolla di un fiore.
La creatura, curiosa, si sporse si sporse dal suo nascondiglio, attratta dal piccolo globo melmoso che poggiava sulle mani dell’uomo grigio.
Sembrava solo un altro pezzo di melma, ma l’uomo grigio lo alzò al cielo, rivolgendolo verso la creatura.
La pioggia scorreva abbondante sulle mani dell’uomo grigio e sull’oggetto sostenuto da esse. Dopo poco il fango cominciò a scorrere via, rivelando ciò che nascondeva. Quando l’uomo grigio si fu assicurato che anche l’ultimo granello di sporcizia fosse stato lavato via dalla pioggia, allungò verso la creatura un piccolo oggetto sferico, di un bianco spento e uniforme.                                                      
  
La creatura si ritrasse di nuovo.
“Non avere paura. È buono, si mangia.”
L’uomo grigio poggiò l’oggetto su un ramo basso dell’albero, poi arretrò di qualche passo, sempre con un sorriso sul viso. La creatura rimase immobile, spostando lo sguardo dall’uomo grigio all’oggetto pallido. Poi, lentamente, si avvicinò al ramo basso, allungò una mano e afferrò l’oggetto. Lo osservò da vicino, l’annusò e lo tastò in punti diversi. Infine, diede un piccolo morso.
I denti affondarono nell’oggetto, che nascondeva una polpa scura. Un rivolo di succo nerastro colò lungo il braccio della creatura, mentre questa assaporava quello strano frutto. Lo sguardo, dapprima dubbioso, divenne curioso, poi si sciolse nell’estasi. Divorò il resto del frutto in pochi bocconi, si leccò le dita e il braccio, senza sprecare una sola goccia del prezioso succo. Quando ebbe finito di ripulirsi, mosse gli occhi verso quelli dell’uomo grigio, che la stava osservando contento.
“Ti fidi di me ora?” chiese allargando le braccia.
Rimasero per lungo tempo così, immobili, osservandosi. Poi, la creatura cominciò a scendere dall’albero. Ma la pioggia rendeva il tronco scivoloso, e la creatura perse l’equilibrio. L’uomo grigio si gettò con un balzo verso di lei e, scivolando, riuscì ad afferrarla. I due rovinarono a terra, ma l’uomo grigio riuscì a tenere la creatura sollevata dal fango. La creatura lo guardava intimorita. Lui riusciva a percepire il cuore dell’essere attraverso la veste bianca che batteva all’impazzata. L’uomo grigio la guardava negli occhi sorridendo, nonostante fosse sdraiato nella terra fredda e bagnata.
Non era mai stato più felice: dal basso, vedeva il cielo cupo che incorniciava il viso perfetto di quella creatura che sarebbe riuscito a portarlo lassù, oltre le nubi gonfie di pioggia, lontano da quella terra vuota e fredda.
Finalmente aveva trovato ciò che non sapeva di stare cercando.
 
Si sedettero sotto l’albero. L’uomo grigio non distoglieva lo sguardo dalla creatura neanche per un momento, mentre questa teneva discretamente gli occhi rivolti a terra.
“Adesso mi rivolgerai la parola?”
La creatura lo guardò negli occhi per un istante.
“D’accordo”.
La sua voce colpì l’uomo grigio nel profondo: era il più bel suono che avesse mai sentito. Era un suono puro, cristallino, chiaro ma caldo. Era come se sentisse una crema calda scendere nelle orecchie, raggiungere il cervello e da lì diffondere il proprio calore in tutto il corpo, trasferendo un’enegia straordinaria. Non avrebbe mai voluto smettere di percepire quel suono, quella sensazione. 
“Ti prego, dillo ancora”
La creatura lo guardò, stupita.
“D’accordo?”
Di nuovo quel brivido lungo la schiena, quella percezione di pace e calore che non aveva mai sentito prima.
“Il suono della tua voce... è stupendo”
“Grazie”
L’uomo grigio scrutò la creatura con il solito interesse.
“Cosa sei tu?”
“Io sono un angelo. Tempo fa io volavo alto nei cieli, oltre queste basse nubi piovose. Ma cercavo qualcuno con cui condividere il piacere del mio volo. In fondo, se non hai nessuno qualcuno con cui condividere i piaceri della vita, che senso ha l’esistenza?”
I due si guardarono intensamente.
L’angelo riprese:
“Infine trovai qualcuno. Ma quel qualcuno non fu delicato con me, e mi spezzò l’ala sinistra. Allora caddi qua, e da allora piango per ciò che ho perduto.”
“Ti aiuterò io” disse l’uomo grigio.
“Io ti guarirò, curerò le tue ferite e poi insieme voleremo in su, oltre le nubi, più alto di quanto tu abbia mai fatto!”
L’angelo abbassò lo sguardo.
“Non so se mi posso fidare di qualcun altro. Potresti guarirmi, per poi potermi ferire di nuovo.”
L’uomo grigio allungò una mano e la poggiò sul braccio candido dell’angelo.
Gli sguardi si incontrarono di nuovo.
L’uomo grigio prese le mani dell’angelo nelle sue.
“Possiamo provarci?” chiese lui.
L’angelo sorrise.
“Questo è ciò di cui avevo bisogno di sentire. Proviamoci.”
 
Cominciò così il periodo più faticoso in tutta l’esistenza dell’uomo grigio.
Dopo avere ricavato dei bastoncini dai rami dell’albero, steccò con cura l’ala ferita dell’angelo. Si strappò intere ciocche di capelli, tessendoli poi uno a uno per ottenere uno scialle grigio, che diede all’angelo per ripararsi dalla pioggia e per scaldarsi. Poi passò l’intero periodo della guarigione dell’ala a poggiare l’orecchio a terra, cercare, scavare ed estrarre quegli strani frutti succosi, che l’angelo divorava con avidità. In cambio, l’angelo narrava con la sua voce soave delle meraviglie che si aprivano oltre le nubi. Gli parlò di cose strane, i colori, che sembravano avere poteri magici, e l’angelo sosteneva che lassù non ci fosse la pioggia, ma una grande luce che ti scaldava. L’uomo grigio era estasiato: ogni fatica fisica era oscurata da quelle promesse, quelle descrizioni accurate di paesaggi inimmaginabili e paradisiaci. L’uomo grigio non ascoltava le proprie membra che urlavano di freddo, dolore e fatica per estrarre quei piccoli frutti bianchi e tondeggianti: sentiva solo la voce dell’angelo, che prometteva ed esaltava. E scavava, scavava e scavava; e più scavava, più l’angelo si riprendeva. Ogni tanto, mentre osservava l’uomo grigio faticare, la creatura alata sorrideva timidamente.
Il tempo passava, e il cielo basso versava lacrime di pioggia sulla strana coppia sotto l’albero spoglio.
 
Dopo che l’angelo ebbe divorato l’ultimo frutto bianco, si alzò in piedi e si liberò con un gesto della steccatura e dello scialle fattogli dall’uomo grigio.
“Sono guarito. Ora sono pronto a volare di nuovo.”
L’uomo grigio smise di scavare e alzò la testa, lorda di fango.
“Mi sono guadagnato la tua fiducia? Puoi portarmi con te?”
L’angelo lo guardò intensamente.
“Ho deciso di fidarmi di te. Hai sempre lavorato duro per me, senza chiedermi nulla in cambio, se non la mia fiducia. Per questo, ho deciso di accordartela.”
L’uomo grigio sentì una sensazione improvvisa, strana e nuova: la gioia.
“Sì, sì, sì! La tua fiducia è l’unica cosa che desideri.”
L’angelo sorrise e allargò le braccia.
“Bene. Ora vieni a me.”
L’uomo grigio si avvicinò a piccoli passi, coi piedi che sprofondavano nel fango. Si fermò a un palmo dall’angelo, bianco e statuario, che lo strinse in un abbraccio. L’uomo grigio si sentì mancare. Il calore, la passione di quel semplice gesto erano incredibili. L’uomo grigio cinse l’angelo a sua volta con le magre braccia tremanti. A un tratto, l’angelo spiccò un salto, e cominciò a sbattere le ali. Il terreno fetido si allontanava dai loro piedi, mentre la pioggia scorreva sui loro visi. L’uomo grigio sentì l’acqua che scivolava su di lui, lavandogli di dosso la lordura della terra.
Le due figure, abbracciate, ascendevano verso quel muro di nubi che pareva impenetrabile, solido.

 
Luce.
 

Quando l’uomo grigio si abituò a quell’accecante fulgore, riuscì a socchiudere gli occhi.
L’incredulità, lo stupore di un bambino di fronte alla potenza della natura si impadronì del suo viso. Sotto di loro, le nubi che tanto aveva agognato di fendere stavano richiudendo ilforo che aveva provocato l’ascesa dell’angelo. Si riusciva ancora a scorgere l’albero scheletrico, ma in poco tempo le nuvole si richiusero sotto di loro. I nembi sembravano tutt’altro rispetto a ciò che aveva visto da sempre l’uomo grigio: osservate da questa prospettiva le nubi erano bianche, candide, pacifiche; non basse, incombenti e minacciose. Erano alte, leggere, e con le loro volute sembravano creare montagne e valli, che cambiavano continuamente forma e dimensione. Sopra l’orizzonte, c’era uno spazio sconfinato, limpido e puro. Inoltre, questo trasmetteva all’uomo grigio una sensazione di pace, serenità, ma anche inquietudine.
“Cos’è? Come fa a farmi sentire così?”
L’angelo abbassò gli occhi.
“Quello è il cielo: è tutto lo spazio a nostra disposizione, che possiamo percorrere. Non ha confini né pericoli. Ciò che provi, invece, è dovuto al suo colore: il blu.”
“Colore? Me ne avevi già parlato. Cos’è di preciso?”
L’angelo scosse la testa, divertito dall’ingenuità dell’uomo grigio.
“I colori sono ciò che dà sostanza alla realtà e alla vita. Senza di essi il nostro mondo è solo una piatta accozzaglia di oggetti senz’anima.”
L’uomo grigio si girò verso l’angelo. Notò solo ora che i suoi occhi trasmettevano le stesse emozioni del cielo: ne avevano lo stesso colore. Anche i lunghi capelli avevano un’anima: quando li guardava, l’uomo grigio sentiva calore, dolcezza e un sottofondo di tenue acuto pericolo.
“I tuoi capelli...”
“Quello è biondo, o color oro. È una varietà del colore giallo.”
Blu, giallo... l’uomo grigio fece rotolare sulla lingua quelle strane, nuove parole; lasciando che la sua mente le elaborasse e ne cercasse una collocazione.
Poi, l’uomo grigio scorse, dietro la testa dell’angelo, una nuova meraviglia: l’origine di tutta quella luce, di quei colori, dell’anima del mondo. Una sfera sfavillante stava al centro del cielo, come appesa a un soffitto che non c’era.
“E quello? Cos’è?”
L’angelo seguì il suo sguardo, poi mosse rapidamente una mano a coprire gli occhi dell’uomo grigio.
“Ma... che fai? Lasciami guardare! È stupendo.”
“Meglio di no, piccolo uomo.”
“Perchè?”
“Quello è il sole, colui che ci dà vita e anima, colui che colora il mondo e lo scalda.”
Solo ora l’uomo grigio si accorse che l’acqua che da sempre ricopriva il suo corpo stava evaporando via, e più si asciugava, più sentiva il tepore del sole penetrargli nelle ossa.
“Se è così meraviglioso, voliamo fin lassù, in cima al cielo e di fianco al sole.”
“Non possiamo, piccolo uomo. Ciò che da qua sembra benevolo e generoso, da più vicino può diventare un inferno che brucia. E non guardarlo mai direttamente: la sua bellezza potrebbe toglierti la vista.”
L’uomo grigio non era ancora convinto, ma lasciò perdere. L’estasi del momento era tale che non poteva essere funestata da sterili discussioni.
La luce del sole si rifletteva sui capelli d’oro dell’angelo, che si stagliavano su uno sfondo di cielo blu infinito; le nubi bianche e voluttuose si spandevano sotto di loro a perdita d’occhio; un profumo di vapore e ossigeno inebriava i sensi; i raggi del sole asciugavano e scaldavano le membra dell’uomo grigio che, abbracciato all’angelo, non sarebbe mai stato più felice.
 
La coppia volò a lungo, giocando con le nubi, facendoli assumere forme strane e impossibili. L’angelo spiegava il nome dei colori, che l’uomo grigio associava alle nuove sensazioni che questi gli suscitavano. Si divertivano a volare rasenti alle nubi, e poi salire più su, fino a che le ali dell’angelo riuscivano a reggere.
Insieme, i due ridevano e scherzavano, e con una sola occhiata riuscivano a intendersi e a decidere cosa fare di nuovo. A volte, essi fendevano le nubi, e tornavano per un attimo nel mondo buio e opprimente che avevano condiviso, solo per godere ancora del contrasto col mondo  luminoso del cielo.
Nei brevi momenti in cui rimanevano al di sotto della coltre di nubi, si divertivano a osservare quei tanti uomini grigi soli, che arrancavano nel fango a testa bassa. Ridevano vedendo quei capi chini a osservare la povertà del fango, quei visi inespressivi che non conoscevano, non potevano nemmeno immaginare la gloria del cielo. Sembravano tante piccole formiche, alla frenetica ricerca di qualcosa che però non avrebbero mai trovato, perchè fuori dalla loro portata. I due gioivano ogni volta che tornavano nel loro mondo, mentre sentivano i raggi caldi che li asciugavano.
L’uomo grigio che quello era il posto per lui: nel cielo, con l’angelo.
 
Ma tutto ciò era troppo bello, anche per una storia.
 
Una volta che la coppia era discesa a osservare il mondo degli uomini grigi, l’angelo fermò il suo volo, sorvolando un albero scheletrico. L’uomo grigio dapprima non notò nulla, poi si accorse che quello ero lo stesso albero da cui tutto era partito, e che ai suoi piede stava una figura. Era un uomo grigio come gli altri, ma stava fermo, seduto sotto quell’albero con lo sguardo fisso a terra. Lui non si muoveva come gli altri uomini grigi, non cercava ciò che non conosceva, non faticava per camminare, né per scavare nel fango per ricercare i preziosi frutti. Non faceva nulla, ma stava lì, stringendosi le ginocchia, apatico.
Dopo qualche attimo di silenzio, l’uomo grigio parlò all’angelo.
“Torniamo su. Non voglio bagnarmi troppo.”
L’angelo esitò, poi riprese l’ascesa. Il sole baciò di nuovo i due corpi, rendendo loro il calore della vita. L’uomo grigio sorrise, cercando lo sguardo dell’angelo. Ma questi aveva un’espressione assorta, pensierosa.
“Che c’è?”
Mentre continuava a salire, l’angelo rispose:
“Quell’uomo... era così... solo.”
“Sì, lo sono tutti, laggiù.”
“Ma lui mi sembrava più solo... Non aveva nemmeno la forza di cercare aiuto.”
“Forse era solo stanco, stava solo riprendendo fiato.”
“Già, forse è così...”
La vita dei due continuò, tra giochi e scherzi e risa, ma l’uomo grigio notò che la cosa aveva turbato l’angelo. L’uomo grigio non diceva nulla, ma sapeva che ogni volta che discendevano sotto le nubi, l’angelo sorvolava l’albero spoglio, e lanciava un’occhiata preoccupata alla figura immobile, seduta e con le ginocchia raccolte al petto.
Piccole scariche elettriche, che l’angelo chiamò fulmini, cominciarono ad attraversare la volta di nubi.
 
Stavano ascendendo al cielo.
“Non posso lasciarlo lì” cominciò l’angelo.
“Chi?”, finse di non capire l’uomo grigio.
“Quell’uomo sotto l’albero. Devo aiutarlo.”
“Bene. Lo possiamo aiutare insieme. Scendiamo e gli parliamo. Gli diciamo di cercare, di muoversi. Diciamogli che se vuole migliorare la sua situazione, dovrà lavorare e faticare.”
L’angelo scosse la testa.
“Quell’uomo ha già cercato per lungo tempo. Non ha trovato nulla, e ora si è arreso.”
“Possiamo convincerlo a cercare ancora.”
“No. So com’è, si sente esattamente come stavo io quando tu mi trovasti. Ha bisogno di qualcuno per riscuotersi, o da solo non lo farà.”
“D’accordo, cerchiamo qualche altro uomo grigio, lo guidiamo da lui e facciamo in modo che l’aiuti.”
L’angelo scosse la testa ancora, facendo ondeggiare i lunghi capelli biondi.
“Lui non ha bisogno di un uomo grigio. Lui ha bisogno di un angelo.”
L’uomo grigio si accorse che stava sudando, nonostante l’aria fresca che lo circondava.
“Allora voliamo lontano, troviamo qualche angelo e lo portiamo qui.”
Rimasero in silenzio a lungo, salendo sempre più su. L’uomo grigio non aveva mai sentito un silenzio così assordante.
“No. Lui ha bisogno di me.”
L’uomo grigio cercò lo sguardo sfuggente dell’angelo. Sentiva dentro di lui crescere un’emozione nuova, una paura primordiale: il terrore.
“No! Lui non sa cosa vuole, non sa di cosa ha bisogno!”
“Ma io sì.”
“Se vuole davvero questo paradiso, si dovrà muovere, faticare, cercare qualcuno per conto suo!”
“Lui non lo farà. È in un stato di immobilità da cui non può uscire da solo.”
“Va bene, gli cercheremo qualcuno. Ma non te!”
“Solo io posso salvarlo.”
“No! Non è vero! Tu hai me. Io ho te! Tu sei il mio angelo custode. Senza te io sono perduto.”
L’angelo girò lo sguardo verso l’uomo grigio.
Aveva un’espressione materna, felice.
“Grazie, piccolo uomo grigio. Mi hai mostrato quello che si può donare ad un altro essere. Ora, userò le nozioni che mi hai insegnato per migliorare la vita di un altro.”
“Ma io non posso sopravvivere senza te, senza ali, senza luce, senza sole, senza colori! Il mio posto è questo e nessun altro.”
L’angelo si fermò a mezz’aria.
“Piccolo uomo grigio, tu sei stato così coraggioso da alzare lo sguardo al cielo, da sognare e immaginare qualcosa di meglio. Sei stato così paziente da guadagnarti la mia fiducia. Sei stato così forte e resistente da procurarmi tutti quei frutti succulenti. Sei stato così buono da guaririmi, chiedendomi in cambio solo di volare. Per questo tu sei migliore: più grande, forte e resistente nello spirito e nel corpo rispetto a quell’uomo fermo, seduto e solo. Per questo aiuterò lui: perchè tu puoi farcela da solo, lui no. Tu potrai trovare qualcun altro, lui no. Quindi grazie di tutto, piccolo uomo grigio. Tu mi hai reso ciò che sono ora, e per questo ho compreso che ciò che voglio è aiutare gli altri, come tu hai fatto con me. Per questo, ti abbandono. Grazie per avermi migliorato, piccolo uomo. Addio.”
L’angelo lanciò un ultimo sguardo grato e materno all’uomo grigio, poi sciolse l’abbraccio.
L’uomo grigio si sentì mancare, e chiuse le braccia, aggrappandosi con tutte le forze alla veste candida dell’angelo.
“Non farlo, ti prego! Pensaci su! Io mi sono affidato, anima e corpo, a te. Non puoi tradire la mia fiducia così! Non dopo tutto quello che ho fatto per te.”
L’angelo mutò espressione.
Sul suo viso non v’era più traccia di gratidudine o compassione. I due occhi, azzurri come il cielo, ora erano freddi, distanti, spietati; la bocca in una smorfia annoiata e infastidita da quel peso morto che si aggrappava alla veste.
“Mi dispiace. Ho già fatto la mia scelta” disse freddamente.
Poi alzò le braccia, le mise sulle spalle dell’uomo grigio e lo spinse violentemete.
L’uomo grigio perse la presa e cominciò a precipitare, il volto contratto in una smorfia di incerdulo terrore.
La caduta sembrò durare un tempo infinito. L’uomo grigio tenne lo sguardo fisso sull’angelo traditore finchè le nubi non si chiusero sopra di lui. Sentì l’umidità e il grigiore intorno a lui, poi piombò a terra. Sentì un dolore lancinante percorrergli tutto il corpo. Sentì le ossa schiantarsi e le ferite aprirsi. Il sangue si riversò, mischiandosi all’acqua e al fango. Annaspando rocamente, voltò lentamente la testa: giaceva sotto l’albero scheletrico e osservava la schiena dell’uomo apatico, seduto, che non si era accorto di nulla. Provò a chiedere aiuto, ma dalle labbra uscì solo un rantolo.
A un tratto l’uomo grigio vide scendere, attraverso il velo sfocato che aveva davanti agli occhi, provocato dal dolore, una macchia indistinta dal cielo. Aguzzando la vista distinse l’angelo. Questi discese fino a terra, di fronte all’immobile figura che stava sotto l’albero. Allungò una mano verso di lui e gli sfiorò i capelli. Lui alzò la testa, vide l’angelo e si mise in piedi. I due si abbracciarono, poi l’angelo mosse le sue grandi ali e cominciò ad ascendere. Solo quando la coppia scomparve l’uomo grigio si accorse che l’altro uomo grigio non lo aveva neanche mai visto.
Un lampo di luce squarciò il cielo, seguito immediatamente da un boato fragoroso: un fulmine si abbattè sull’albero spoglio, che esplose, frammentandosi come se fosse stato di cristallo, fragile, spargendo le sue schegge fumanti tutt’intorno.
Quando il fumo si diradò, non restava più nulla dell’albero scheletrico.

 
Buio.
 
Gli occhi dell’uomo grigio erano ancora accecati dal fulmine. Tutto ciò che percepivano era una macchia nera e cangiante.
Le sue membra giacevano doloranti nel fango. L’acqua lo bagnava, gli entrava nelle ferite, lo penetrava fin nelle ossa; il calore del sole si disperse velocemente, lasciando il posto a un gelo profondo. L’odore del limo e della terra bagnata entrò nelle sue narici, lasciando solo il ricordo del profumo delicato del cielo. Quando riacquistò la vista, l’uomo grigio sentì un freddo totale e profondo impadronirsi del suo cuore: il paesaggio era grigio, piatto, confinato dalle basse nubi e dalla terra fangosa. Non c’era nessun sole che splendeva in alto, non c’era calore, né colore alcuno. L’uomo grigio, troppo debole per gridare, verso gli ultimi cenni del calore che aveva in corpo in calde lacrime, che scorrevano abbondanti sulle sue gote e si mescolavano alla pioggia, perdendosi poi nella terra fredda.
La disperazione più nera s’impadronì dell’uomo grigio. Non aveva più nulla. Gli era stato tolto tutto ciò per cui aveva faticato e lavorato. Ora osservava quegli altri uomini grigi che, lontani e a testa bassa, vagavano senza meta. Loro non sapevano. Non potevano sapere. Il cielo, la luce, il calore... loro non avevano mai visto tutto ciò! Nessuno di loro sapeva dove andare, né come andarci. Continuavano solo a vagare, senza meta né scopo.
L’uomo grigio cominciò ad affondare.
La terra molle cedeva sotto il suo peso, e si chiudeva lentamente sul suo corpo. Ma all’uomo grigio questo non importava.
Era stanco.
Tanto stanco.
Stanco di lottare, di muoversi, di ribellarsi a quel terreno che costantemente tentava di attirarlo verso il basso. Era stanco di cercare, era stanco di sforzarsi nella ricerca di qualcosa che poi lo avrebbe ributtato nella melma, facendolo sprofondare ancora di più. Mentre faceva queste considerazioni, il fango lo sommergeva lentamente. Prima le gambe, poi il busto, le braccia e le spalle si inabissarono. Alcuni altri uomini grigi si avvicinavono a volte: si chinavano, osservavano incuriositi, poi scuotevano la testa con compassione e si allontanavano. Si chiedevano come potesse uno come loro ridursi così, a sprofondare passivamente nella terra, lasciando che questa lo inghiotti senza opporre resistenza.
Loro pensavano questo perchè non sapevano.
Ormai non sentiva più le membra. Erano diventate un tutt’uno con la terra: si stava lentamente dissolvendo nel fango. Ma nonostante questo, non era il dolore fisico che perseguitava l’uomo grigio, non erano le ossa rotte, ma la consapevolezza di essere stato tradito che feriva la sua anima. Immaginava i due, lassù, alti nel cielo, a godersi il calore del soli e gli splendidi colori delle nubi...

Un paio di occhi lo osservavano.
L’uomo grigio sbattè le palpebre incrostate di fango, che ormai ricopriva tutto il suo volto. Uno sguardo penetrante e curioso sembrava attraversarlo da parte a parte. Un altro uomo grigio stava chino su di lui. Convinto che fosse un altro curioso ignavo, l’uomo grigio spostò lo sguardo, evitando gli occhi di quella creatura curiosa. Ma essa si mosse, andando a occupare di nuovo il campo visivo dell’uomo grigio, e continuando a osservarlo disse:
“Chi sei?”
È strano pensare come una domanda così semplice possa essere così difficile.
“Io non sono nessuno.”
“Non è vero. Io ti vedo e ti sento, quindi sei qualcuno e sei qui davanti a me.”
L’uomo grigio tentò di sfuggire a quello sguardo penetrante, senza riuscirci.
“Lasciami. Fra poco il fango mi sommergerà completamente, e allora non sarò più.”
“E ciò ti gioverà?”
I due uomini grigi si guardarono.
“No.”
“Allora perchè lo fai?”
“Perchè non posso fare nient’altro.”
“Sbagliato.”
L’uomo chinato allungò una mano.
“Puoi uscire di lì, darti una pulita e continuare a cercare.”
“Non c’è più nulla da cercare. È questo il mio posto.”
“Non è così.”
L’uomo inginocchiato indicò in alto.
“Tu guardi fisso le nubi, perchè vorresti bucarle. Il tuo posto è lassù, nel cielo.”
L’uomo grigio sbarrò gli occhi.
“Conosci quel posto?”
“Sì. Lo vidi, un giorno. Ma poi sono stato rigettato qui. Ma io non per questo mi sono arreso. Io so che è quello il mio posto, e riuscirò a tornarci. Non so come, ma riuscirò a risalire. Ed è quello che dovresti fare anche tu.”
Allungò di nuovo la mano verso l’uomo grigio. 
Doveva fidarsi? L’aveva già fatto una volta, e non voleva rischiare di cadere da quell’altezza. Ma sapeva anche che non c’era nulla che desiderasse di più che tornare lassù.
“D’accordo. Non voglio fidarmi ancora, ma non ho altra scelta.”
L’uomo grigio tese i muscoli del braccio sinistro, che era rimasto immobile tanto a lungo. Una smorfia di dolore gli attraversò il viso. Sembrava impossibile riuscirsi a liberare dalla terra che lo aveva imprigionato. Era troppo pesante, troppo compatta... 
L’uomo accovacciato cominciò a scavare.
Scavava con forza e determinazione, lo sguardo fisso dove immaginava ci fosse il braccio sommerso. Dopo poco, grazie agli sforzi congiunti dei due, il braccio riemerse dal fango. Era sporco, atrofico e ricoperto di ferite, ma era riemerso. Così, l’uomo grigio riemerse lentamente. Lasciò che la pioggia gli scorresse sopra, lavandolo dalla lordura. Infine, i due si guardarono.
“Ora, troviamo un modo per arrivare lassù.”
I due cominciarono a pensare in silenzio. L’unico rumore era provocato dalla pioggia, che batteva incessante sulla terra e sulle teste bagnate delle due figure. Accidenti, pensò l’uomo grigio, questa maledetta pioggia mi distrae dai miei pensieri. Se solo ci fosse un riparo... Ma l’albero era esploso...
“Trovato!” gridò l’uomo grigio.
L’altro lo guardò, sorpreso.
“Gli alberi crescono in altezza, giusto?” cominciò l’uomo grigio.
“Basta che troviamo un albero e attendiamo finchè quello non sarà così alto da bucare le nubi. A quel punto, potremmo scalarlo, e allora...
“No,” lo interruppe l’altro uomo, “gli alberi non crescono tanto. Non c’è abbastanza luce, qui.”
L’uomo grigio abbassò lo sguardo, sconsolato. Ai suoi piedi giaceva una delle schegge dell’albero colpito dal fulmine. L’uomo grigio si chinò e la raccolse. Se la rigirò fra le mani, osservandola. Poi alzò lo sguardo.
La terra tutt’intorno era coperta dai frammenti dell’albero.
“Se non esiste nessun albero abbastanza alto, allora ne costruiremo uno noi.”
L’altro si volse verso di lui, sbigottito.
“Costruire... un albero? E con cosa?”
“Con quelle.”
L’uomo grigio indicò le schegge.
Il secodno uomo grigio guardò prima le schegge, poi la terra intorno a lui e infine le nubi incombenti.
“Ma è impossibile!”
“Lo è finchè tu lo ritieni tale.” 
Cominciarono così a raccattare tutte le schegge che trovarono lì intorno. Quando ebbero finito, davanti a loro giaceva un piccolo cumulo di legna. Ma era evidente che quella quantità di legname non sarebbe mai bastata per raggiungere la cima delle nubi.
“Dovremo cercare altri alberi, altro legno.” disse l’uomo grigio.
“Ma come faremo a trasportare il materiale fin qua?” 
L’uomo grigio riflettè un attimo, poi rispose, con lo sguardo fisso sul cumulo:
“Useremo questa legna per costruire un carro.”
Fu così che i due cominciarono a lavorare al loro progetto. Il lavoro era molto duro: le schegge erano piccole, irregolari, e dovevano utilizzare il fango come collante per tenerle insieme. L’operazione sembrava infinita, ma per prima comparì una ruota, poi l’altra e infine la tavola. Il carro era completo.
“Ora cerchiamo altre schegge.”
Cominciarono così a vagare sulla terra grigia, trascinando faticosamente il carretto. Gli altri uomini grigi camminavano a testa bassa, indifferenti a quella strana coppia che ogni tanto si fermava, raccoglieva un legnetto fangoso e ripartiva. Videro altri alberi esplosi, e altri uomini grigi che ormai erano completamente sommersi dal fango. Uomini grigi che si erano arresi, senza più speranza, alla fredda terra bagnata, che li aveva così inghiottiti.
 
Vagando arrancante per il mondo grigio, la coppia raccolse una grande quantità di legno, una montagna che grondava acqua, in contrasto con il terreno, piatto e uniforme. Infine, quando entrambi si resero conto che avevano materiale a sufficienza, i due si fermarono. In silenzio, cominciarono a raccogliere pezzi di legno, incastrarli fra loro e fissarli col fango.
Ciò che a prima vista sembrava solo un mucchio di legno, si trasformò lentamente nel tronco di uno strano albero artificiale. Ogni tanto uno dei due costruiva un ramo, così da potere arrampicarsi più in alto. Non si cotavano le volte in cui uno dei due, a causa della pioggia, scivolava; o le volte in cui una sezione appena terminata si sgretolava sotto gli occhi sconvolti dei due uomini grigi. Ma non si perdevano d’animo: incitandosi vicendevolmente, rialzandosi, aiutandosi i due proseguirono la loro opera. La fatica nel trasportare il legname sempre più in alto, pur essendo smisurata, era sopportabile, poichè era condivisa dai due.
Sempre più in alto salivano, sempre più fatica facevano. I volti ansimanti e coperti di pioggia, quando si contraevano per il dolore, si volgevano verso il volto dell’altro, e in questo trovavano la forza e la determinazione per continuare il lavoro. Le superfici coperte d’umidità erano scivolose, la strada da fare era tanta, ma il morale era alto. I due sapevano cosa volevano, e non importava quanti ostacoli si fossero frapposti: loro avrebbero fatto di tutto per raggiungere il loro obiettivo.
Dopo un tempo infinito, raggiunsero le nubi a un’altezza vertiginosa da terra. Qui l’umidità era tale che i due non riuscivano a vedere ad un palmo dal loro naso. Ma ormai ai due non serviva più la vista: sapevano ciò che desideravano, e semplicemente sapevano dove andare

 
Luce.
 
Sbucarono così, all’improvviso, come se nulla fosse. Il calore del sole colpì la loro pelle; l’odore del cielo libero li pervase; i colori, i fantastici colori illuminarono i loro sguardi. I due si abbracciarono, ridendo di gioia e improvvisando un goffo ballettosulla piccola superficie dell’albero che avevano costruito. Poi, esausti, si lasciarono crollare sui rami, godendosi il tepore del sole, riprendendo lentamente fiato. Quando furono asciutti, i due si alzarono, guardarono per lungo tempo il cielo e poi si volsero l’uno verso l’altro.
Non c’era bisogno di parole.
Sapevano entrambi cosa fare.
 
 
L’uomo grigio aprì gli occhi, svegliandosi.
Si alzò in piedi e si stirò le membra. Mosse alcuni passi sul pavimento di legno, verso la grande finestra. Si appoggiò sul davanzale. Il sole gli sfiorava il viso, così vicino che lui avrebbe potuto allungare una mano e afferrarlo. L’uomo grigio gioì del suo splendore. Così vicino al sole, i colori erano ancora più vivi, la vista delle nubi era vastissima. Inspirò profondamente e quel fantastico odore leggero ma avvolgente lo pervase: il profumo di libertà.
Quando giunse in cima alle nubi, l’uomo grigio avrebbe potuto fermarsi a crogiolare al sole, ma non fu così. Lui voleva raggiungere il sole, arrivare fino alla fonte di tutto quello splendore. Ricordava ancora le parole dell’angelo: “Ciò che da qui sembra benevolo e generoso, da più vicino può diventare u inferno che brucia.”
Ma l’uomo grigio aveva capito che i sogni possono diventare sì degli incubi, ma questo non può e non deve impedirci di sognare, di cercare, di soddisfare i propri desideri. Perchè se per paura che dei sentieri siano difficili, tortuosi e pieni di insidie, noi non li intraprendiamo, allora non sapremo mai dove portano, e rimarremo sempre fermi dove siamo. Il rischio di scoprire che un sogno è in realtà un incubo è un rischio che è il prezzo da pagare per l’opportunità di realizzare i propri desideri.
Ciò che serve agli uomini sono opportunità.
Un uomo che ha solo certezze è un uomo povero, vuoto, grigio. Le opportunità sono la ricchezza dell’uomo. Un’opportunità dà all’uomo una speranza, un motivo per cui vivere, anche se questa opportunità potrebbe rivelarsi fallace. L’uomo grigio aveva così continuato a costruire faticosamente il suo albero verso l’alto, su, diretto verso quello splendido sole. Scheggia dopo scheggia, centimetro dopo centimetro, l’albero cresceva, finchè l’uomo grigio giunse, esausto, di fianco al sole. Qui costruì una semplice casa di legno poggiata sulla cima dell’albero. Da qua passava il tempo godendosi la vicinanza col sole e osservando il panorama sotto di lui. Nonostante tutto quello che gli era successo, nonostante tutta la fatica che aveva fatto e tutte le ferite che gli erano state inflitte, ora era felice di aver cominciato questa avventura, perchè ora era nel sogno che aveva fatto la prima volta che aveva alzato la testa dal fango. Lo sguardo dell’uomo grigio spaziava per la sconfinata distesa di nubi bianche e leggere che, con le loro forme spumose, disegnavano monti e valli nel cielo.
L’uomo grigio sorrise.
Là sotto, infinitamente più in basso rispetto a dove stava osservando, un puntino bianco si muoveva tra i nembi. Nonostante la distanza, l’uomo grigio riconobbe un paio d’ali che sbattevano ritmicamente.
L’uomo grigio osservò la figura finchè questa non scomparve dietro una nuvola.
Rientrò nella casa con un’espressione soddisfatta e serafica in viso.
 
Non aveva più bisogno di un angelo custode.




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