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Autore: JeanGenie    02/01/2014    2 recensioni
"La Terra, là fuori, era un immenso globo azzurro. Chikane aveva trascorso i suoi giorni di attesa lassù, completamente da sola. Ma dov'era ora? Aveva bisogno di parlarle, di vederla. Aveva bisogno che lei la guidasse un'ultima volta."
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Luna nel Pozzo

 

She says, "How long can I live this way
Is there someone I can pay to let me go
'Cause I'm half sick of shadows
I want to see the sky
Everyone else can watch as the sun goes down
So why can't I

And it's raining
And the stars are falling from the sky
And the wind
And the wind I know it's cold
I've been waiting
For the day I will surely die
And it's here
And it's here for I've been told
That I'll die before I'm old
And the wind I know it's cold..."

 

[…]


But there's willow trees
And little breezes, waves, and walls, and flowers
And there's moonlight every single night
As I'm locked in these towers

 

(Emilie Autumn, Shalott)

 

 

 

 

Si sente bene?

 

Il fatto che Himeko Kurusugawa fosse un tipo eccentrico era risaputo. Lei stessa ne era consapevole. Era stata in analisi per un paio d’anni, finito il liceo. Poi aveva deciso che non ne valeva la pena.

Il suo psicologo aveva sempre un’aria scettica quando lei gli parlava della persona che stava aspettando. Cianciava di un presunto rifiuto ad accettare una relazione seria, del timore di lasciarsi dietro i sogni dell’infanzia e altre amenità.

Himeko sapeva che nessuna di quelle illuminate deduzioni era vera. Non aveva affatto paura di legarsi. Quando l’oggetto del desiderio che stava aspettando sarebbe arrivato non l’avrebbe più lasciato andare. Quanto ai sogni, Himeko se ne era sempre concessi molto pochi, anche quando era piccola. Era stata ingenua, emotiva, fragile, forse perfino sciocca, ma non era mai stata un’illusa. Se a sedici anni si era svegliata una mattina sapendo di dover aspettare qualcuno non era perché la sua mente aveva deciso di costruire un castello di carte intorno alla propria esistenza, ma perché quel qualcuno esisteva e stava comunicando con lei. Sedici anni dopo, quella certezza era rimasta immutata.

Himeko non si era fermata, naturalmente. La vita aveva seguito il proprio corso banalmente ovvio di matrimoni – niente figli – incomprensioni – divorzio – nuovo matrimonio dell’ex coniuge. Ma tutto le era scivolato addosso, come se fosse stata un’altra persona a viverlo. Le sue amiche si aspettavano che ne facesse una tragedia. Perfino la sua madre adottiva era corsa a Tokyo in ansia.

Invece lei non aveva provato nulla. Voleva ancora bene a Fumiaki ma non era lui l’amore della sua vita.

Himeko Kurusugawa aveva smesso di pianificare e di aspettarsi di poter intrecciare relazioni ‘normali’. Le piaceva la sua vita. Le piaceva il suo lavoro fatto di pellicole, filtri, zoom e splendidi istanti da immortalare. Le piaceva anche la solitudine. Questo fino al pomeriggio in cui l’attesa era finita.

Se qualcuno glielo avesse chiesto non avrebbe saputo descrivere cosa fosse esattamente accaduto, se non usando metafore a colori. Era stato un istante blu. Ovattato, freddo, limpido come una notte serena. Era stato un istante bianco. Silenzioso, protettivo e chiaro come un plenilunio estivo. Aveva poca importanza il fatto che fosse una giornata torrida, che il traffico fosse convulso e la gente si muovesse frenetica sui passaggi pedonali. Era stato l’istante. Vuoti di memoria colmati, ricordi afferrati all’improvviso e tutti i tasselli che andavano al loro posto, acquisendo finalmente un senso compiuto.

Himeko aveva ricordato Chikane Himemiya.

Himeko aveva trovato Chikane Himemiya.

Himeko aveva ghermito Chikane Himemiya.

Persa, dimenticata e tornata. Lei, come la ricordava da qualche attimo appena. Espressione distratta, borsa a tracolla, gonna bianca, una conchiglia al collo, come la sua. Dettagli inutili, ma Himeko li aveva catturati come se stesse scattando la fotografia della sua vita. Perché non scomparisse di nuovo.

Ciò che era seguito non aveva alcun senso. Si era ritrovata stretta all’apparizione, con il respiro spezzato e la gola chiusa per il bisogno di piangere.

Ora ricordava anche il suo profumo… e un pigiama giallo… che non avrei mai voluto togliere… ed era lo stesso, come se non fosse passato un solo giorno.

“Si sente bene?”

La voce fresca e pulita di una ragazzina suonava diversa da come era una volta. Chikane seria, Chikane malinconica, Chikane saggia. E ora invece era imbarazzata e tremante.

Himeko aveva sollevato gli occhi per guardarla in viso. Sulla sua espressione confusa brillavano due schegge di cielo cobalto. Come aveva potuto dimenticare quegli occhi? Quella pelle di latte? Quei capelli rubati al mantello oscuro della notte? E perché si sentiva così stupida nel formulare nella propria mente solo frasi e descrizioni stucchevoli?

“Chikane…”

Lei non era cresciuta. Non era invecchiata. Il tempo non l’aveva neppure sfiorata. Aveva senso? Sì, sì… Il tempo di tornare, di nascere, di crescere. Chikane glielo aveva promesso. Ma, ora, era una ragazzina quella che le stava di fronte. Che cosa avrebbe potuto dirle, ora, da adulta? Che cosa avrebbe potuto offrirle?

“Veramente… credo che mi stia confondendo con qualcun’altra” le aveva risposto la ragazza.

Confonderla con qualcun’altra. Mai. Non avrebbe mai potuto sbagliare.

La mia conchiglia spezzata in due…

Eppure il suo sguardo era smarrito. Non ricordava? Era ovvio anche quello. Triste ma ovvio. E adesso? Non poteva perderla di nuovo.

Giusto. Sbagliato. Quel è la cosa più giusta, ora?

“Scusami” le aveva detto schiarendosi la voce. “È che… assomigli moltissimo a un’amica che non vedo da tempo. Per un attimo mi sei sembrata proprio lei.”

Lo sei?

Presto sarebbe stata inghiottita dal caos della città. E l’avrebbe persa per sempre.

“Capisco. Buona giornata, signorina.”

Ed era sgusciata via da lei voltandole le spalle e portandosi dietro la sua anima ridotta in mille frammenti.

 

Vigliacca.

 

Quella di spiccare sugli altri era una dote naturale di Mitsuki Dawn Spencer. Nata a cavallo tra due mondi, aveva ereditato i pregi di entrambi. Vissuta per i primi dieci anni della sua vita nel cuore di New York, non aveva avuto grossi problemi ad ambientarsi nella realtà giapponese.

Nonostante le differenze, il mondo stava diventando terribilmente simile a tutte le latitudini. Abituata alle scuole private fin dalle elementari, le uniformi e la severità non avevano rappresentato un problema. Il metodo di studio sì. Ma Mitsuki imparava in fretta le regole di base per poter primeggiare. Non che fosse superba. Semplicemente essere la migliore la proteggeva dal mondo esterno. Amava essere ammirata. Questo impediva agli altri di avvicinarsi troppo. E di scoprire che Mitsuki avrebbe potuto essere considerata pazza. Perché esisteva… forse… una sola persona alla quale Mitsuki avrebbe concesso di entrare nel suo spazio. Si chiamava Himeko Kurusugawa, era il suo sole e il destino l’aveva messa sul suo cammino proprio quel pomeriggio, dopo una lunghissima attesa.

Mitsuki aveva iniziato a tre anni a parlare con la ragazza che viveva sulla luna. I suoi genitori avevano cominciato a preoccuparsi e, quando si erano resi conto che il tempo passava e quell’amica immaginaria non voleva andarsene da lei, l’avevano portata da uno psicologo. Mitsuki aveva dieci anni e aveva imparato fingere. Non aveva più parlato di lei con altri. E aveva iniziato a recitare.

Calcare il palcoscenico le piaceva. Le permetteva di vivere vite che non erano la sua e, nel momento in cui dialogava con la sua amica evanescente, aveva sempre la scusa di un copione da imparare a memoria, se qualcuno l’avesse sorpresa a parlare da sola.

C’era la storia della Dama di Shalott aperta sulla sua scrivania, quella sera. Le frasi pronunciate dall’infelice innamorata erano sottolineate in rosso e non le erano mai sembrate così amare. Per questo le stava ignorando. Preferiva sfogliare gli album pieni di ritagli raccolti nel corso degli anni.

Le foto scattate da Himeko Kurusugawa splendevano sempre di una luce speciale. Mitsuki le guardava in continuazione, illudendosi di poter possedere gli occhi innocenti che le avevano scattate. Ma quella sera ogni immagine rappresentava una silenziosa accusa. Per questo un sapore amaro come il fiele le aveva invaso la bocca quando Chikane Himemiya, la ragazza del chiaro di luna, aveva sussurrato nel suo orecchio la parola “Vigliacca.”

Aveva ragione.

Per tutta la vita aveva inseguito il miraggio rappresentato da Himeko Kurusugawa. Appena arrivata a Tokyo aveva cercato il suo indirizzo. Quando era diventata abbastanza grande per potersene andare in giro da sola, aveva iniziato ad appostarsi fuori dal suo studio solo per vederla passare. Tutto perché una ragazza che non esisteva davvero le raccontava sempre la favola di due sacerdotesse che si erano amate e che la sorte aveva crudelmente diviso.

Tu sei me, Mitsuki. E devi ritrovarla. Devi ritrovarla. Le ho fatto una promessa.”

Chikane Himemiya. Non era mai esistita nessuna Chikane Himemiya nella città di Mahoroba. La famiglia Himemiya aveva un erede maschio di dieci anni. Nessuna traccia di una figlia morta a sedici anni, molto tempo prima. Eppure, man mano che gli anni passavano, i racconti dello spettro dagli occhi blu erano diventati veri e propri ricordi e il volto di Mitsuki non più distinguibile da quello della malinconica Chikane.

“Hai ragione. Ho avuto paura” le aveva risposto.

Una sensazione di gelo lungo la schiena era uno dei segni tangibili della sua presenza. Se si fosse voltata , Mitsuki l’avrebbe vista come sempre, bellissima, con la veste rossa da sacerdotessa… “Era la sua, Mitsuki. Io gliel’ho rubata prima di profanare la sua innocenza” e una macchia ancora più rossa che si allargava sul suo petto. E ancora rosso vivo, che scivolava dalla sua bocca per colarle sul mento. Quella era l’immagine che Chikane le dava di sé quando era arrabbiata. Mitsuki la odiava. Le sembrava di sentire perfino l’odore del sangue.

Vigliacca” aveva ripetuto lo spettro… La mia Dama di Shalott che attende in solitudine un amore che non arriverà mai…

“Che cosa dovrei fare, adesso? Che cosa avrei dovuto dirle? Ciao, sono la reincarnazione di Chikane e ti amo ancora?”

Mitsuki aveva stretto i denti. Avrebbe voluto che si fosse trattato solo di fantasie. Un frammento di speranza le era rimasto fino al momento in cui Himeko l’aveva abbracciata, pronunciando il nome di Chikane… ti odio, Chikane… e dandole la prova che era… è stato… tutto vero. Demoni, sacrifici, morte, violenza e lacrime.

Come puoi pretendere da me che lo accetti? Un ciclo eterno che si ripete. Vuoi farmi tornare sulla ruota del destino con lei, Chikane? È vero, sono una vigliacca. Ma tu sei solo un’egoista.

E se l’avesse persa davvero per sempre? E se, fingendo di non riconoscerla, avesse bruciato la loro unica possibilità?

Mitsuki aveva chiuso l’album con uno scatto violento. Se non avesse rischiato l’avrebbe rimpianto per tutta la vita, era questo che Chikane stava tentando di dirle.

Solo un attimo per farsi coraggio, per respirare profondamente e per prendere una decisione definitiva.

La sua vita era piena di piccoli e grandi vantaggi. Era venuto il momento di sfruttarne qualcuno. Sua madre era in salotto a leggere in attesa che le annunciassero che la cena era pronta. Sarebbero state sole. Suo padre era in viaggio e sarebbe tornato tre giorni dopo, per il suo compleanno.

“Principessa d’Ottobre”

La chiamava così da quando Mitsuki aveva memoria. Sì, poteva considerarsi fortunata e felice. Adorava i suoi genitori e loro adoravano lei. Viveva in un mondo di fiaba che le altre ragazze potevano solo sognare.

Eppure mi manca il mio raggio sole.

Mitsuki si era avvicinata alla poltrona su cui sedeva sua madre. Era così bella. Sperava di diventare esattamente come lei, un giorno. Così sicura, così affascinante, così occidentale nei modi, nonostante il suo sangue fosse completamente giapponese. Chissà se si sentiva una straniera, a Tokyo…

Mitsuki le aveva passato le braccia intorno alle spalle.

“Tutto bene, luna?” le aveva chiesto sua madre.

No, avrebbe voluto rispondere. Ma sarebbe stato uno sbaglio.

“Mamma, credo di avere scelto il mio regalo di compleanno.”

 

Bambina viziata.

 

Un bagno caldo per schiarirsi le idee, e tanti auguri, Himeko. Festeggiare da sola, con tre giorni di anticipo, concedendosi un frullato di frutta corretto con il brandy. Questo era il punto di vista poetico. Quello cinico le diceva che una fatale sbronza era quello che ci voleva per tentare di dimenticare ciò che aveva appena ricordato.

Sacerdotesse del Sole e della Luna.

Pazzesco. Ridicolo. Insensato. Vero.

Avrei dovuto metterci più liquore.

Chikane Himemiya. Il viso di quella ragazza aveva squarciato il velo sul suo passato. E non c’era alcun lieto fine.

Il mio grande amore è una donna. La vita è sempre piena di sorprese.

Himeko aveva respirato profondamente, avvolta dal profumo dei sali da bagno. Chikane e non solo. Ora ricordava anche i metodi di rilassamento che le aveva insegnato Oogami-sensei. Era il momento di rispolverarli e ritrovare il controllo della situazione. Quale era la cosa più logica da fare?

Aspettare.

Non aveva idea di chi fosse quella ragazza e non poteva neppure sapere se la sua somiglianza con Chikane fosse una coincidenza o meno.

E non saprei come rintracciarla.

Per fare cosa?

Rilassati, rilassati, rilassati.

Il telefono le aveva impedito di prendere qualunque decisione. Avrebbe dovuto spegnerlo, invece non riusciva rinunciare all’abitudine di tenerselo sempre vicino.

Tetsuo. Non aveva idea di cosa volesse a quell’ora. Era più che probabile che fosse ancora in studio, chiuso nella camera oscura. Lo faceva quasi tutte le sere. Quel ragazzo non aveva uno straccio di vita privata.

“Kurusugawa, ci sono novità.”

La voce agitata l’aveva di nuovo messa sulle spine. “Me lo auguro per te. Altrimenti domani ti licenzio per avermi disturbata durante il mio irrinunciabile bagno serale al bergamotto.”

“Lascia perdere, tesoro. Questa è grossa. Hanno appena chiamato dall’ambasciata statunitense. Offrono una cifra stratosferica perché tu ti occupi di fotografare la festa di compleanno della figlia di Gabriel Spencer.”

Un momento di vuoto assoluto nella mente. Primo: chi diavolo era Gabriel Spencer? Secondo: per chi l’aveva scambiata Tetsuo? Lei aveva fotografato ministri, stelle di Hollywood, collezioni di alta moda e scorci metropolitani. Alcuni scatti erano per lavoro, altri solo per il senso artistico che si annidava dentro di lei. Di certo non aveva intenzione di immortalare ragazzine che soffiavano su una torta.

“Tetsuo, sappi che mi sto arrabbiando. Non sono in vendita al miglior offerente. Non so nemmeno perché tu me lo stia dicendo e perché non hai detto subito a chi ha chiamato che non sono disponibile a fare foto a una bambina viziata.”

Una ramanzina serale al suo assistente era il coronamento ideale a una giornata assurda. L’acqua stava cominciando a diventare fredda.

“Himeko, la bambina viziata ha chiesto espressamente di te. A quanto sembra è una tua grande ammiratrice. Tu saresti… il suo regalo di compleanno.”

Ah, perfetto.

“Non se ne parla” aveva replicato brusca. Non capiva neppure perché Tetsuo insistesse tanto.

“Sì che se ne parla. Non vorrai far scoppiare un caso diplomatico, vero? La figlia dell’ambasciatore statunitense… Ora, cerca di usare la testa, ingoia l’orgoglio e fallo per il tuo paese. È per sabato prossimo.”

Magnifico.

Sabato prossimo. Ovvero il giorno del suo compleanno. Lo avrebbe passato a guardare altri che festeggiavano. Doveva cercare di cogliere il lato positivo della faccenda. Ci sarebbero stati parecchi pezzi grossi ad incensare la ragazzina. Avrebbe potuto tirarne fuori un bel reportage sociale, caustico e pieno di ferocia.

“Ne parliamo domani, Tetsuo.”

Lasciarsi trattare come una fotografa di matrimoni. Sottostare ai capricci di una marmocchia ricca. Avrebbe fatto in modo che ne valesse la pena.

Sole nero… Happy birthday…

Quel compleanno di sedici anni prima, buio, spaventoso e triste…

 

Te lo avevo promesso.

 

Il giorno in cui compiva sedici anni, Mitsuki Spencer aveva indossato un abito bianco. Sembrava una debuttante e guardandosi allo specchio avrebbe colto un’immagine troppo innocente di se stessa se sua madre non le avesse prestato il suo collier di zaffiri. Il blu delle pietre accendeva il suo sguardo dello stesso colore e la faceva apparire incredibilmente adulta. “Antica”, avrebbe detto Chikane. Ma Chikane non si era più fatta viva… oh, che doppio senso di pessimo gusto, Mitsuki… dalla sera in cui avevano litigato. Le mancava. Non si era mai allontanata così a lungo. Mitsuki aveva fissato la falce della luna per due sere consecutive, pregandola di tornare da lei, ma non era servito a niente.

Ma oggi lei ci sarà. Verrà per vedere Himeko.

Il cuore di Mitsuki aveva iniziato a battere più forte al pensiero che presto si sarebbero incontrate di nuovo. Gli ospiti affollavano già i giardini dell’hotel per il cocktail pomeridiano. Molti di loro si sarebbero fermati anche per la cena e il party. I suoi compagni di scuola si muovevano leggermente a disagio fra diplomatici e vecchi ammuffiti. Mitsuki avrebbe preferito festeggiare in altro modo. Era nei suoi piani quello di sgattaiolare via a mezzanotte, magari trovando una scusa per portarsi via Himeko.

Himeko…

L’aveva vista quando, dopo avere impostato il suo sorriso migliore, era uscita in giardino e aveva cominciato a ricevere gli auguri degli ospiti.

“Buon compleanno, Mitsuki.”

“Cento di questi giorni, Mitsuki.”

“Stai benissimo, Mitsuki.”

Uno dopo l’altro. E lei la stava guardando, dimenticandosi dell’attrezzatura che stava montando fino a un attimo prima. Portava pantaloni e golf, la sua Himeko. Infischiandosene dell’eleganza che la circondava. Dopotutto era lì per lavoro.

Mitsuki aveva le vertigini. Il mondo intorno a lei sembrava svanito. Esisteva solo il sole che continuava a brillare nei suoi occhi viola. Occhi che non smettevano di fissarla.

Avrebbe dovuto occuparsi dei suoi amici. Avrebbe dovuto essere cortese e poi… e poi… e poi…

Himeko.

Si era scusata in fretta con un interlocutore del quale non riusciva neppure a mettere a fuoco il viso e aveva attraversato il giardino quasi correndo. Doveva raggiungerla prima che scomparisse di nuovo.

Ipocrita. Sei stata tu a fuggire.

“Ciao” le aveva detto con il cuore a mille, ricevendo solo il suo silenzio seguito da un leggero inchino.

“Buonasera. Non sapevo che la festeggiata fosse lei. Vorrei scusarmi ancora per l’increscioso episodio dell’altro giorno.”

Tenera, Himeko. Certe cose non cambiavano mai. Himeko in imbarazzo. La sua meravigliosa Himeko. Si era tagliata i capelli. Era più magra e più alta di come appariva nei suoi ricordi… i miei sogni… ma il viso era sempre quello di una bambina innocente.

Non sei cambiata, Himeko. È come se il tuo tempo si fosse fermato per permetterti di aspettarmi.

“No, non scusarti. Sono io quella che ha sbagliato. Devo parlarti di tante cose… Himeko, io… Non…te lo avevo promesso… Io… Himeko…”

Non si era resa conto di averle preso le mani. Sarebbe stato tutto più facile se lei le avesse sorriso. Ma lei continuava a guardarla attonita.

“Vedo che vi siate già conosciute.” I suoi genitori avevano interrotto quel momento indefinibile. “Signorina Kurusugawa, Mitsuki nutre un’autentica venerazione per il suo lavoro.”

Sì, papà, hai ragione. Per il suo lavoro.

Voleva restare sola con lei. Aveva bisogno di parlarle. Ma lei era lì e per il momento doveva bastarle.

“Spero…”La sua voce usciva stentata dalla gola. “Spero che avremo un po’ di tempo per fare due chiacchiere, più tardi.”

Esitante, Himeko. Spaventata. Confusa. Forse perfino arrabbiata.

“Con piacere” le aveva risposto, anche se il suo tono le diceva tutt’altro.

 

Se lo dico, poi non si avvera

 

Concentrarsi sul proprio lavoro le era impossibile. Uno scatto per la principessa e per i suoi ospiti. Uno scatto per la principessa e i suoi deliziosi genitori. Uno scatto per la principessa che spegneva le candeline di una torta monumentale. La principessa rideva e diceva che non avrebbe svelato il desiderio espresso.

“Se lo dico, poi non si avvera.”

Himeko Kurusugawa non immaginava che sarebbe finita così. Era di pessimo umore da due giorni. La trafila burocratica per ottenere un pass per partecipare alla festa. I controlli delle guardie del corpo. Quel lavoro non la entusiasmava affatto. E poi era apparso quel raggio di luna in pieno giorno.

Chikane.

Una fata vestita di bianco, i capelli corvini raccolti in un’elaborata acconciatura, il brillare incredibile dei suoi occhi blu.

Himeko si era detta che si trattava solo di una coincidenza. Ma poi Chikane…Mitsuki Spencer, maledizione… il suo nome è Mitsuki Spencer… le era corsa incontro. E le aveva parlato come se sapesse. Sapeva? Himeko l’aveva vigliaccamente evitata. Non era andata oltre i “sorrida, signorina” e i “sollevi leggermente il mento” ai quali la obbligava il suo lavoro. Ed era stato un piacere immortalarla come aveva fatto con Chikane nei giorni lontani dell’Ototachibana Gakuen.

Sembrava lei. Era lei. Eppure era diversa. La serietà cupa di Chikane era scomparsa. Mitsuki rideva in modo spontaneo, era spigliata, vivace. Era… bellissima. Imperfetta. Libera. Ciò che Chikane non aveva mai potuto essere davvero.

Fra poco sarebbe stata mezzanotte e lei si sarebbe congedata. Probabilmente la festa sarebbe andata avanti fino all’alba. Gli adolescenti si erano impadroniti del giardino, Mitsuki in testa. Niente più cerimonie. Qualcuno si era già tuffato nella fontana con Cupido. E lei…

“Finalmente riesco ad acchiapparti.”

Vicina, sorridente, meravigliosa. Le aveva preso la mano e l’aveva guidata in un angolo buio senza che lei pensasse neppure a opporre resistenza. Stava arrossendo? Ancora? Come le succedeva sempre in presenza di Chikane. Lei non era Chikane.

“Non so da dove cominciare, Himeko. Va bene. Allora…” La ragazza aveva preso fiato per farsi coraggio. “Io credo di essere stata Chikane Himemiya, in un’altra vita.”

Ecco. Uno scherzo crudele? Probabile. Le stava venendo voglia di prenderla a schiaffi.

Come osi?, avrebbe voluto gridare Himeko. Come osi anche solo fare il suo nome?

Ma aveva stretto i denti e sibilato semplicemente “Basta.” Poi le aveva voltato le spalle, decisa ad andarsene.

“Ame no Murakumo!” aveva gridato e lei, suo malgrado, si era fermata. “Il tempio. Non riuscivamo ad evocarla, ricordi? Poi tu ce l’hai fatta da sola. Himeko, è la verità. Ricordi il nostro roseto? La sera in cui hai lasciato che ti pettinassi? E quando hai pianto perché avevi rovinato il mio vestito? E quando ti ho nascosto il fermaglio che ti aveva regalato Oogami, perché ero gelosa… gelosa in modo mortale. Mi faceva male starti vicino. Mi faceva più male di quando mi hai uccisa.”

Himeko avrebbe fatto qualunque cosa per farla tacere, eppure non riusciva a smettere di ascoltare mentre le prime lacrime le bagnavano il viso.

“Chikane mi parla. Mi racconta di te. Dice di fare parte di me. Dice che è arrivato il momento di ritrovarci. Ti prego, Himeko, guardami.”

Non posso.

Sedici anni. La sorte si stava rivelando beffarda e crudele. Come aveva potuto essere così folle da non capirlo, quando lei e Chikane si erano scambiate quell’ultima promessa? Chikane sarebbe rinata, ma il tempo non si sarebbe fermato.

Sedici anni.

Aveva sentito le sue braccia intorno alla vita e non aveva fatto nulla per respingerla.

“Hai paura? Credevo che tu non avessi più paura di nulla.”

Era più alta di lei. Più bella di lei. Più sicura. Era in tutto e per tutto Chikane. E lei la stava deludendo.

“Che cosa ti aspetti da me, Mitsuki?”

Il suo profumo le faceva girare la testa mentre la luna, ancora troppo sottile, restava in attesa di una decisione. L’anima di Chikane era ancora lassù? O pulsava davvero nel petto di quella ragazza?

“Una volta ti ho fatto un lungo, patetico elenco dei motivi per cui non avremmo potuto stare insieme. Mi hai detto che non ti importava. Ripetimelo adesso, Himeko. Dimmelo ancora.”

Sarebbe stato facile. Vivere di nuovo di sogni, piantare un nuovo roseto di illusioni. Ma lei non era più una ragazzina e si era liberata dalla sua stretta.

“Se davvero puoi parlare con Chikane, allora portale un messaggio da parte mia. Dille che non smetterò mai di amarla, ma non posso fare quello che tu… che voi mi state chiedendo. Sarebbe una pazzia.”

Si era allontanata in fretta, ma non aveva potuto fare a meno di sentire la sua voce che gridava “Ma io e te siamo pazze, Himeko! È la nostra forza!”

Si era sorpresa a sorridere. Aveva ragione e nulla era cambiato. Era ancora Chikane la più forte. Lei stava fuggendo. E piangeva di nuovo, come allora.

 

Stai giocando?

 

Nonostante tutto. Nonostante tutto aveva accettato di vederla. Una piccola vittoria, anche se Himeko lanciava strali di zucchero e veleno.

“Come va la scuola? Ti piace il liceo?”

Ma non era assolutamente capace di centrare il bersaglio. Stava tentando di dirle che avrebbe dovuto dimenticare quella faccenda e tornare a comportarsi come una qualunque sedicenne. Ma non lo pensava davvero, Mitsuki ne era certa. Perché non riusciva a smettere di fissarla.

“Stai giocando?” le aveva chiesto.

Himeko e il suo cocktail variopinto ed alcolico. Himeko e i suoi trent’anni di vita sulle spalle.

Mitsuki aveva guardato oltre la terrazza del locale. Le foglie degli alberi non erano ancora del tutto ingiallite.

A Mahoroba c’era sempre un clima primaverile. Un miracolo? O la sua vita passata si era addolcita nel ricordo?

“Stai giocando, Himeko? Perché sei tu quella che si sta comportando da ragazzina.” Non aveva atteso la sua risposta. Sapeva che non ce ne sarebbe stata una. “Voglio solo restarti vicino. Ti chiedo troppo? Solo questo. Non voglio giuramenti. Non voglio che tu ti senta legata. Voglio solo poterti incontrare, poterti parlare. E attendere che le cose tornino com’erano. Perché succederà. Lo so io e lo sai bene anche tu.”

Forzarle la mano sarebbe stato un errore; i sentimenti che entrambe avevano provato erano ancora vivi. Dovevano solo dare loro il tempo per trovare il coraggio di emergere.

“Chikane… Cosa ti dice? In quale modo ti parla? Perché non è venuta da me?”

Quelle domande le avevano fatto provare un brivido di freddo. Chikane. Himeko non riusciva a guardarla e a vedere Chikane in lei. Himeko amava il ricordo di Chikane più di quanto potesse immaginare di amare la sua presenza concreta.

Mi dispiace. Non sono disposta a perdere. Neppure contro di lei.

“Vuoi che ti parli di lei? Vuoi che le riferisca i tuoi messaggi? Lo farò. In cambio voglio che mi insegni a fare fotografie belle come le tue. E non tornerò più sull’argomento che sembra infastidirti tanto, a meno che non sia tu a volerlo.”

Himeko aveva sorseggiato il suo drink accennando un sorriso.

“Avevo visto giusto. Sei davvero una bambina viziata.”

 

Comincia a fare freddo.

 

Ottobre avanzava e Himeko si sentiva sempre meno folle. E sempre meno razionale. L’altalena nella sua anima rifiutava di fermarsi.

Pomeriggi infiniti insieme a lei, a insegnarle come catturare la luce in un obiettivo e più spesso a chiederle di farle da modella. Non le faceva più domande su Chikane ma spesso confondeva i loro nomi e Mitsuki sorrideva, per nulla offesa.

“In fondo io sono lei” le rispondeva.

Giovane, libera, incantevole come quel cielo al tramonto. Stesa sul tappeto di erba sbiadita e foglie. Sembrava dormisse, invece stava solo sognando.

Himeko si era chiesta quale fosse l’oggetto dei suoi pensieri.

Sempre e solo noi?

Se solo avesse avuto il coraggio e l’egoismo di dirle di sì… Se solo avesse voluto, avrebbe potuto prendere la vita che Mitsuki le offriva ogni volta. Ma Mitsuki quella vita doveva ancora consumarla e non era giusto che la dedicasse a lei.

Amori veri. Storie un’intera esistenza da fare tua. Non bruciarla per un fantasma che pretende di dirti chi devi amare. Non bruciarla per me.

Eppure non aveva resistito e, contro ogni traccia di buon senso, si era ritrovata fra le dita una ciocca dei suoi capelli neri. E avrebbe voluto toccarla, stringerla e ripetere “Per sempre, per sempre, per sempre. Io e te fino alla fine del mondo.”

E lei aveva aperto gli occhi e l’aveva guardata, una fiamma muta nello sguardo che sembrava pregarla.

“Per un momento…” La sua voce tremava ed era per questo ancora più bella. “Per un momento fingi che il resto del mondo non esista. Credimi, Himeko. Era così, mille e mille anni fa. Ricordi? Io, te e il silenzio.”

Sì, lo ricordava. Un tempio che guardava l’infinito. Lei e la sua compagna. La lunga notte in attesa che il male si ridestasse. Mano nella mano. Nulla avrebbe potuto sconfiggerle finché fossero state insieme.

Le labbra di Mitsuki, come quelle di Chikane. Possessive, decise, dolcissime. Himeko non aveva respinto il suo bacio. Perché il mondo era scomparso davvero. Come di fronte alle distese desolate del satellite bianco, come l’ombra di quel cosmo eterno, come…

Come quando hai versato il mio sangue. E io ho versato il tuo.

Che cos’era a spaventarla tanto? Quei ricordi tragici, riemersi come un temporale improvviso? Gli anni che le dividevano? O la paura di rendere concreto il sogno di una vita? Doveva semplicemente chiederselo. Amava quella ragazza? Sì. Sì, fin da quando l’aveva vista camminare indifferente verso di lei. Ma era il riflesso dell’amore che aveva provato per Chikane? O Mitsuki per lei era speciale nonostante Chikane?

“Perché ti faccio tanta paura?” Mitsuki glielo aveva finalmente chiesto. Ma lei non aveva risposte.

Tu puoi risplendere da sola. Non ti servono i miei raggi.

“Che cosa cerchi, Himeko? Invece di guardare la luna preferisci fissare il suo riflesso in un pozzo. Hai detto che non ti saresti lasciata ingannare da un aspetto diverso. Che mi avresti riconosciuta. Non è così. Ora che potremmo stare insieme, tu mi sfuggi. Non vuoi più riempire quell’album di foto lasciato a metà?

Se solo…

Lo voleva. Voleva Mitsuki. Voleva la sua Chikane.

Ma tu non devi essere Chikane. Sei tu quel riflesso in fondo al pozzo. E non è giusto.

“Comincia a fare freddo. È ora di andare.”

 

Non ora.

 

La Dama di Shalott si lasciava consumare. Attendeva e sospirava. Nessun cavaliere sarebbe mai giunto ai piedi della sua torre. Mitsuki dava voce al suo struggimento.

“Dove sei, ser Lancillotto? Dov’è il tuo capo biondo? I tuoi occhi cercano un altro sembiante. E volti le spalle freddamente al mio cuore che si consuma per te.”

Himeko era in prima fila. Era venuta, nonostante tutto. Nonostante avessero litigato. Mitsuki le aveva quasi urlato contro, poi era scoppiata in lacrime. Himeko non aveva battuto ciglio.

“Lo faccio anche per te” le aveva spiegato.

Una scusa pietosa. Pietosa, pietosa, pietosa…

Fermala” aveva detto Chikane. E Mitsuki aveva scoperto che uno spettro poteva piangere. Era tornata da lei. Perché Mitsuki sentiva scorrere nelle sue vene un bruciante senso di sconfitta.

Chikane triste. Chikane nella sua uniforme scolastica. Chikane perfetta.

“Non posso. Lei vuole te, non me.”

E Chikane l’aveva guardata come se non capisse, per poi dissolversi nell’aria.

Himeko partirà. E Chikane non tornerà più. Come posso credere che ne sia valsa la pena?

La Dama di Shalott era morta. Dopo un attimo di silenzio, il pubblico aveva applaudito calorosamente. Mitsuki, riversa languidamente in terra, aveva socchiuso un occhio. Himeko si stava asciugando le lacrime dal viso.

Va bene. Va bene, Himeko. Sei stata chiara. Non è un addio.

Il suo mondo si era mutato in ghiaccio quando lei le aveva detto “Mi hanno offerto un lavoro al New York Times. Ho deciso di accettare. Non posso legarti a me. Non ora. Quando sarai più grande, quando avrai capito che sono davvero io quella che vuoi, io sarò lì ad aspettarti.”

Aveva ragione. Eppure Mitsuki non riusciva a non avercela con lei.

Dove hai portato la tua chioma bionda, principessa? Mi struggo per te e tu ignori il mio strazio.

 

Himeko.

 

Chikane…

Tutto le era svanito intorno. La sua camera da letto buia, il soffitto, le sue lacrime. Forse era un’illusione ma aveva chiamato Chikane e lei le aveva mandato un segno. L’aveva condotta fin lì, in quel posto dimenticato in cui avevano combattuto. Le era sembrato di sentire la sua voce, ma non riusciva a vederla.

Himeko…

Chikane sussurrava il suo nome.

Himeko, ti sei mai chiesta perché il tuo viso non sia cambiato in questi anni?

“Per aspettarti?”

No, non era quella la risposta. La chiave era Mahoroba. Il suo tempo così lento e pigro. Coloro che erano nati a Mahoroba vivevano un’esistenza pacata, come lo scorrere tranquillo dei suoi ruscelli. Ma questo non cambiava nulla. Il suo volto era lo stesso di allora, ma gli anni erano trascorsi. Ora aveva bisogno di una risposta da Chikane. Ma Chikane non voleva mostrarsi. C’erano solo quelle antiche pareti di legno intorno a lei e il desolato suolo lunare là fuori.

 

Chikane.

 

Chikane…

Himeko stava fuggendo via da lei e Mitsuki non sapeva come fermarla.

Chikane, parlami. Dimmi cosa devo fare.

Ma Mitsuki, in quello strano sogno, non aveva trovato nessuno ad attenderla in quell’antico tempio. La Terra, là fuori, era un immenso globo azzurro. Chikane aveva trascorso i suoi giorni di attesa lassù, completamente da sola. Ma dov’era ora? Aveva bisogno di parlarle, di vederla. Aveva bisogno che lei la guidasse un’ultima volta.

“Chikane, per favore…” aveva supplicato. Poi finalmente aveva avvertito la sua presenza, in un modo diverso, invasivo e chiaro. E aveva capito.

Non c’era mai stata Chikane. Non c’era mai stato il suo spirito gentile. Era stata solo una proiezione della sua mente per farle accettare quel carico di ricordi incredibili. Chikane aveva sempre e solo vissuto dentro di lei.

Ho capito.

Si era inginocchiata in segno di rispetto per tutte le sacerdotesse che l’avevano preceduta. E aveva pregato la luna affinché la aiutasse a non smarrire la strada.

Mitsuki si era svegliata sorridendo.

 

Oggi.

 

Himeko si era svegliata sorridendo.

Aveva scelto ed era l’ultima prova che entrambe avrebbero dovuto superare. Se ce l’avessero fatta, sarebbero state libere e consapevoli dell’amore che continuava a legarle nonostante tutto.

 

Domani.

 

Il mese di ottobre era tornato per la seconda volta. Due estati si erano rincorse da quando Himeko aveva messo un oceano tra loro due.

Mitsuki aveva fatto come il suo prezioso raggio di sole aveva chiesto. Aveva riflettuto, ponderato e valutato ogni possibile opzione. E non aveva smesso di amarla neppure per un istante. Era certa che per Himeko fosse lo stesso. Ne aveva conferma ogni volta che dagli Stati Uniti le arrivavano mazzi di gelsomini e lettere piene di un delicato affetto che vibrava per esplodere liberamente in qualcosa di più profondo. Per il suo compleanno, per il diploma, per Natale e per ogni ricorrenza. Un’abitudine che aveva mandato in estasi i suoi genitori.

“Quella deliziosa signorina Kurusugawa…” ripeteva sempre suo padre con aria sognante, forse al solo scopo di provocare una giocosa gelosia nella mamma.

Sì, deliziosa…

E lei aveva riflettuto, davvero. La lettera che accompagnava i fiori anche quel giorno le parlava di nostalgia e di un’esistenza che avrebbero dovuto trascorrere insieme.

Non hai più paura, Himeko? Mi reputi abbastanza matura, adesso?

Di certo Mitsuki non le avrebbe chiesto il permesso di amarla. Non più.

Mia carissima Mitsuki… Central Park è magnifico in questa stagione… Le foglie… Oro, ocra, arancione… Vorrei che potessi vederlo…”

Mitsuki aveva sorriso guardando la valigia aperta sul letto.

Le nove di mattina. Dall’altra parte del mondo era già tardi, ma non troppo. Neppure mezzanotte. Non l’avrebbe disturbata più di tanto. C’era sempre un sottile filo di emozione quando attendeva che lei rispondesse al telefono. Forse perché avevano avuto raramente il coraggio di chiamarsi. Mitsuki si chiedeva che effetto le avrebbe fatto rivederla. Forse le sarebbe servito prendere qualche tranquillante prima di…

Farle ciao con la mano fra la gente, abbracciarla, sorriderle, caricare i miei bagagli sulla sua auto, lasciare l’aeroporto e poi… Ricominciare insieme, stavolta davvero.

La sua voce non mentiva. Himeko era sempre felice di sentirla. Ma come avrebbe reagito al suo insolito regalo di compleanno?

Mitsuki l’aveva ringraziata per i fiori e per la lettera e aveva ricambiato i suoi auguri.

“Diciotto anni… Sono importanti…” le aveva detto Himeko e lei aveva sorriso.

Certo che lo sono. Ora non hai più scuse.

Infine Mitsuki si era fatta coraggio e glielo aveva detto. “Vuoi sapere l’ultima novità? Ho fatto domanda per essere ammessa a Yale e mi hanno accettata. Il Connecticut non sarà proprio dietro l’angolo ma pur sempre più vicino di Tokyo. Arriverò a New York lunedì prossimo.”

No, non avrebbe più potuto nascondersi. C’era mezzo mondo tra loro due ma non era servito. Se necessario Mitsuki l’avrebbe inseguita per il resto della sua vita.

Arrenditi, Himeko.

E lei si era arresa. “Avresti dovuto dirmelo. Così ho poco tempo per organizzarti un benvenuto speciale. Ma ce la farò. Fammi sapere a che ora atterra il tuo volo.”

Perfetto. Mitsuki aveva sospirato di sollievo e di gioia.

Tanti auguri, Himeko.

Lunedì avrebbero avuto un magnifico plenilunio.

 

 

 

   
 
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