Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: ISI    24/05/2008    1 recensioni
"...Le esigenze degli altri hanno sempre la precedenza sulle mie e nessuno, e dico nessuno, si preoccupa minimamente per il sottoscritto! No, tu non sai niente di me, tu non hai idea di quanto faccia schifo la mia vita, tu non sai cosa vuol dire quando non c’è nessuno che ti ama!” a quelle parole, pronunciate con rabbia e con forza, qualcosa, nell’animo di Manuel, cedette e l’ira nelle iridi di scuro zaffiro di Alessandro si trasformò in stupore quando il pugno dell’altro gli arrivò diretto e violento sullo zigomo destro, facendogli scricchiolare sinistramente la mascella e buttandolo a terra..."
L'ennesimo sclerodela sottoscritta...mi raccomando recensite numerosi e buona lettura!
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
All’ombra della quercia di mezzadria

All’ombra della quercia di mezzadria

 

“Davvero non le avete mai provate?” chiese la ragazza bionda tra il meravigliato ed il divertito, per poi continuare “Allora, avanti, che state aspettando, prendetene una! Sono un po’ care, è vero, ma io non ho certo bisogno di soldi per rimediarmene un paio...è incredibile come voi altri uomini riusciate a mettere il sesso davanti ad ogni altra cosa, anche davanti al denaro, ma, in fondo, un po’ di ginnastica non fa mai male, no? Avanti, dunque, non fate complimenti, favorite pure!” ripeté Silvia porgendo loro, anche con una certa insistenza, le due canne appena rollate.

“E proviamo allora...” fece il ragazzo dai biondi ricci, ma non riuscì neppure a portarla alle labbra che l’altro lo fermò prendendogli il braccio.

“Alessandro, non credo che dovresti...” disse guardandolo dritto negli occhi, le iridi di un azzurro chiarissimo velate da un’ombra di preoccupazione più che palese.

“Avanti Manuel, che vuoi che sia?” e ignorate tutte le preoccupazioni -o, come le chiamava lui, paranoie- dell’altro, cominciò a fumare, mentre Silvia ghignava soddisfatta.

Sarà stato perchè quando era molto piccolo -avrà avuto all’incirca quattro o cinque anni- si era visto morire davanti agli occhi, per overdose, un barbone o perché sua madre lo minacciava costantemente di morte anche solo se si fosse azzardato a fumare una semplice sigaretta, che Manuel, al contrario del suo migliore amico, rifiutò l’offerta della bionda.

“Com’è?” chiese a Alessandro tra il curioso ed il preoccupato e quello roteò gli occhi spazientito, sbuffando.

“Guarda che gli ho dato solo una tirata e poi mica fa subito effetto...” lo rimproverò e la ragazza non potè trattenere un’odiosa risatina.

“Certo che sei proprio un ingenuotto, eh ragazzino?” lo schernì lei per poi rivolgersi all’altro “Si può sapere dove l’hai raccolto?” chiese riferendosi a Manuel come se stesse parlando di un cane randagio trovato per strada.

“E chi se lo ricorda più come ci siamo incontrati...” rispose Alessandro che ora cominciava a sentire i primi effetti dell’erba.

“Come sarebbe che non...” ma non riuscì a finire la frase.

“Senti, ma non è ora che tu vada?” gli fece l’amico, evidentemente scocciato, e Manuel dopo aver dato uno sguardo all’orologio che aveva al polso saltò giù dalla panchina, allarmato.

“Dannazione! Devo attaccare tra cinque minuti!” esclamò agitato, montando in sella alla sua bicicletta “Ci si vede!” gridò loro cominciando a pedalare veloce verso la zona più bassa e più vicina al grande lago che bagnava, compreso il loro, più di una quindicina di paesetti di campagna.

E così, mentre Alessandro contava le formiche, dividendole in due gruppi distinti: quello delle formiche verdi e quello delle formiche gialle, Manuel se ne stava a torso nudo in mezzo a un campo, intento, per sei euro e mezzo l’ora, a raccogliere meloni, con la schiena a pezzi e la pelle ambrata dal sole.

 

 

Nella settimana che seguì, Manuel non ebbe molto tempo per uscire ed andarsene a bighellonare come, invece, aveva fatto durante tutta l’estate, in quanto stretto tra il lavoro e le paginate di versioni di greco da fare, rigorosamente, all’ultimo momento, ma quel venerdì, liberatosi da ogni impegno e con in testa un bel programmino per il weekend, s’alzò tardi, fece colazione con un piatto di pasta ed una bistecca per poi partire, chitarra in spalla, alla volta del poggio, dove aveva appuntamento con Alessandro che, Manuel pregava e sperava vivamente, non fosse in compagnia di quella ragazza di nome Silvia.

Le sue preghiere furono ascoltate, ma solo per metà, così come solo per metà le sue speranze divennero fatto certo, in quanto, se lei non c’era, c’erano dei segni, delle tracce, per così dire, che ne indicavano, senza alcun dubbio, il passaggio, una per tutte la canna che Alessandro stava per accendersi quando Manuel arrivò correndo come un pazzo.

“Ancora con quella robaccia?” esclamò ansioso, poggiando la chitarra a terra e sedendosi sulla panchina per meta già occupata dall’altro che sbuffò visibilmente seccato.

“Cazzo, ma che sei mia madre?” gli chiese acido ficcandosi in tasca la causa della sua irritabilità “E comunque non sono affari che ti riguardano...”

“Come sarebbe?” sbottò indignato e sia nell’espressione che nel tono di voce non seppe nascondere né l’amarezza per quella risposta così sgarbata, né, tantomeno, la preoccupazione nei suoi confronti.

Se c’era qualcosa che Manuel non sapeva e non avrebbe mai saputo fare quella era proprio mentire.

“Comunque io mi sto solo preoccupando per te, per la tua salute...” tentò di giustificarsi e Alessandro parve quasi infastidito da quelle parole.

“E’ proprio perché stiamo parlando della mia vita, della mia salute che io posso farne ciò che voglio, quindi non rompere...” lo rimbeccò brusco “Chiuso il discorso. Piuttosto, si può sapere che mi devi dire di tanto importante?” Manuel, che per un attimo lo aveva fissato con gli occhi sgranati e la bocca semiaperta, con un’espressione così meravigliata, ma al tempo stesso così idiota che face innervosire Alessandro non poco, tornò immediatamente in sé, riacquistando la sua solita verve, o almeno così sarebbe parso a chi non lo conosceva bene come il suo migliore amico.

“Giusto! Devo illustrarti il nostro programma per il weekend!” dichiarò allegro “Ho chiamato Filippo e lui mi ha detto che se ci portiamo i sacchi a pelo possiamo dormire a casa sua e suonare per tutto il giorno! Mirko mi ha assicurato che si occuperà del cibo, tanto lui cucina bene, e poi...”

“Bello.” lo interruppe ironico l’altro, fingendosi interessato “Allora, mi raccomando, divertitevi...” e il sorriso scomparve dalle belle labbra di Manuel.

“Come sarebbe a dire divertitevi? Tu non vieni?” gli domandò indispettito per poi vederlo annuire.

“Ho già un altro impegno e non posso proprio rimandare...” gli spiegò semplicemente, Manuel, però capì.

“Esci con quella ragazza di nome Silvia?” intuì, pregando però di sbagliarsi, di essere saltato a conclusioni affrettate, di avere frainteso tutto.

“Sì.” gli rispose Alessandro senza neanche guardarlo in faccia, come se si vergognasse, poi chiarì “Ha detto che vuole farmi conoscere alcuni suoi amici...”

“Capisco...” sbuffò deluso, ma determinato più che mai a togliersi un dubbio che l’aveva assillato non poco dall’ultima volta che l’aveva visto “Rimanendo in tema...le hai mentito, vero?” gli chiese quindi, per poi spiegarsi meglio “Quanto lei ti ha domandato come ci eravamo conosciuti e tu le hai detto che non te lo ricordavi...stavi mentendo, no?”

“Avanti, non dirmi che te la sei presa per una stupidaggine del genere! Santo Dio quanto sei permaloso!” esclamò l’altro più che meravigliato “Ragiona, non potevo certo dirle che quando ci siamo conosciuti mi hai salvato il culo da un branco di teppistelli! Diamine Manuel, hai tre anni meno di me, avrei fatto la figura dell’idiota!”

A quelle parole Manuel non rispose, non disse nulla, anche se di cose da dire ce ne sarebbero state tante, anche troppe forse.

“Comunque sia quella roba non ti fa bene, tutt’altro...” si limitò a ripetergli infine, dopo un silenzio che ad entrambi pareva esser durato troppo “Quella roba non risolverà né i tuoi problemi, né...” ma l’altro non gli dette neppure il tempo di finire la frase.

“Problemi? Tu sei fratelli minori li chiami solo ‘problemi’? A momenti mia madre non sa nemmeno che esisto e mio padre è troppo impegnato a stare dietro a tutti quegli stupidi marmocchi per accorgersi che ci sono anche io! Le esigenze degli altri hanno sempre la precedenza sulle mie e nessuno, e dico nessuno, si preoccupa minimamente per il sottoscritto! No, tu non sai niente di me, tu non hai idea di quanto faccia schifo la mia vita, tu non sai cosa vuol dire quando non c’è nessuno che ti ama!” a quelle parole, pronunciate con rabbia e con forza, qualcosa, nell’animo di Manuel, cedette e l’ira nelle iridi di scuro zaffiro di Alessandro si trasformò in stupore quando il pugno dell’altro gli arrivò diretto e violento sullo zigomo destro, facendogli scricchiolare sinistramente la mascella e buttandolo a terra.

“Sei uno stupido!” gli urlò in faccia seguendolo a terra, afferrandolo per lo scollo della maglietta a mezze maniche e scuotendolo forte “Sei un fottutissimo vittimista del cazzo, uno smidollato che gode nel piangersi addosso e nell’auto commiserarsi perché ha troppa paura dell’amore, hai capito bene, dell’amore che gli altri provano per lui! Nessuno ti ama? Nessuno ti ama, dici?!” e nel pronunciare queste ultime parole alzò ulteriormente la voce, mentre i suoi occhi s’illucidivano, velandosi di lacrime “Mi consideri davvero così poco? E’ tutta qui la fottutissima considerazione che hai di me e dei miei sentimenti? Io darei la vita per te, e tu dici che nessuno ti ama? Se quello che vuoi sentirti dire è che ti odio allora te lo dirò: Io ti odio! Ti odio! Ti odio! Ti odio più di qualsiasi altra cosa o persona al mondo, ti odio più di quanto tu possa odiare me! Sei contento adesso? Sei contento adesso, brutto vittimista di merda? Ora che ti ho offeso anche io, ora che ti ho detto che ti odio potrai commiserarti a tuo piacimento fino alla fine dei tuoi giorni! Affoga pure nella tua ipocrisia, nella tua codardia, tu che non hai né il coraggio di farti amare né, tantomeno, quello di ammettere d’essere un vigliacco, dando la colpa agli altri! Manda pure a puttane la tua vita, la tua salute, perché sono tue e di te non me ne frega più niente, hai capito? Non me ne frega più niente!” ma le stille salate che gli scivolavano copiose dagli occhi, ardenti di rabbia e di dolore, tradirono clamorosamente i suoi veri sentimenti. E mentre le lacrime di Manuel cadevano sulla pelle del volto di Alessandro, dolorose come spine, quest’ultimo si chiedeva come avesse potuto essere così cieco, così egoista, così codardo.

Aveva davvero bisogno delle canne, della polvere e dell’alcol o forse era solo un fottutissimo capriccio il suo?

Gli strattoni di Manuel pian piano s’indebolirono, fintantoché le sue mani non si fermarono, lasciandogli la maglietta e anche la voce, prima irata e furiosa affogò in un muto pianto, mentre il respiro gli si spezzava per colpa dei taciti singhiozza e della foga che gli avevano arrossato il volto e gli occhi.

Ti odio...” mormorò ancora, rivolto, più a se stesso che all’altro, quasi per auto convincersi di quello che, mentendo spudoratamente, diceva, per poi alzarsi in piedi, prendere la chitarra ed andarsene via, il più lontano possibile da lì, il più lontano possibile da Lui.

 

 

Portare all’esasperazione Manuel non era mai stata una cosa facile, eppure lui c’era riuscito con una facilità più che impressionante.

La maggior parte delle persone danno amore solo quando sono sicure di poterne ricevere a loro volta, basando il proprio rapporto con gli altri su quel sentimento -sempre più raro a trovarsi- chiamato gratitudine.

Manuel, però, ben presto, ancor prima di Alessandro, aveva imparato che è proprio la gratitudine il sentimento che più facilmente cade vittima dell’egoismo, ma non si era scoraggiato, anzi, aveva continuato ad amare, nonostante tutto, con una costanza ed una determinazione a dir poco invidiabili, anche se la cosa non gli riusciva bene come avrebbe voluto, di biasimare se stesso sempre prima degli altri.

Non era stata, però, la carenza, da parte di Alessandro, di gratitudine -a quello, ormai, ci si era abituato da molto, molto, tempo- a far saltare i nervi al povero Manuel, bensì la mancanza di fiducia che l’altro aveva avuto nei suoi confronti, la paura di un sentimento tropo grande e da troppi ritenuto sbagliato e che avrebbe potuto rovinare, irrimediabilmente, la loro amicizia.

L’unica colpa -e assieme punizione- di Manuel consisteva nell’averlo amato troppo e con un’umiltà ed un buon cuore tali che, alle volte, era stato impossibile, e non solo per lui, non approfittarsene almeno un po’.

Aveva sbagliato, ne era più che consapevole; desiderava il perdono, ma non lo pretendeva perché, perché pretendere sarebbe stato l’ennesimo atto d’egoismo nei confronti dell’altro, l’ennesima ferita da aprirgli nell’anima senza curarsi del suo dolore, della sua sofferenza.

Che c’è Alessandro, non ti diverti?” gli chiese Silvia urlando per sovrastare la musica techno-house sparata a tutto volume dall’enorme stereo nel salotto di casa di lei.

Il ragazzo allora si guardò intorno, posando lo sguardo su quelli che avrebbero dovuto essere i suoi nuovi amici e si chiese che cosa diavolo ci facesse lui lì, in quell’orgia d’idiozia e stupidità, quando avrebbe voluto solo correre da Manuel.

“Hei Alessandro, dico a te! Ti senti bene?” insisté la ragazza, ma anche stavolta non ebbe risposta. No, Alessandro non si sentiva affatto bene, tutt’altro: il nodo che gli chiudeva lo stomaco s’allentava solo per lasciar salire verso l’esofago, come pieno di spilli, una sensazione di nausea insopportabile.

Aveva bisogno di Lui, aveva bisogno di Manuel; qualcosa in lui fremeva all’idea di averlo accanto a sé, come accanto a sé lo aveva avuto per tanto tempo.

“Io me ne vado!” esclamò d’un tratto, alzandosi in piedi di scatto e scavalcando Silvia per poi correre verso l’uscita di quella dannatissima casa.

 

 

Nonostante la veneranda età, avrà avuto all’incirca una novantina d’anni, l’enorme quercia di mezzadria -così chiamata perché, con le sue possenti radici, piantate in profondità sulla cima del colle più alto del piccolo comune di campagna, separava i campi che un tempo erano appartenuti ai mezzadri- si elevava imponente per circa una quarantina di metri, protendendo le sue braccia verdi e nodose verso il sole d’agosto che, dall’alto di un cielo così blu da ferire gli occhi, incendiava l’aria con il suo terribile calore proiettava sull’erba mezza bruciata l’ombra della pianta stessa, sotto la quale giaceva, dando quasi l’impressione d’esser morto, un ragazzo che non dimostrava più di sedici anni.

Se ne stava immobile, disteso a terra sulla schiena, con gli occhi chiusi ed il petto che s’alzava e s’abbassava piano sotto il comando lieve del respiro, mentre una debole brezza gli accarezzava leggera la pelle e cullava, quasi con dolcezza, le corolle scarlatte dei papaveri dai petali di carta velina.

Manuel aveva sempre adorato quel luogo, sin dalla prima volta in cui, quasi per sbaglio, l’aveva scoperto: l’altezza della collina, per quanto modesta potesse essere, garantiva una visione magnifica del vicino lago; i campi di grano erano coltivati, se non del tutto, quasi come un tempo e le erbacce non conoscevano i diserbanti, ma solo le mani callose ed esperte dei contadini dalla schiena rotta dalla fatica e la pelle annerita dal sole a scoppio, il tutto completato da una gran quantità d’aria pulita da respirare a pieni polmoni senza il timore, a lungo andare, di lasciarci le penne.

Tuttavia, la cosa che più di tutte, in quella specie di locus amenus, aveva colpito Manuel era stata, indubbiamente, la quercia di mezzadria, quel titano di legno e linfa che se ne stava fiero sul punto più alto del territorio come a dominarlo.

All’inizio si era detto che provare ammirazione per una pianta fosse una cosa alquanto stupida, eppure le sue iridi smeraldine non potevano fare altro che sgranarsi per lo stupore ogni qualvolta si trovava di fronte a quella creatura e pensava all’inesauribile tenacia con la quale questa aveva resistito all’irreparabile scorrere del tempo, all’infinito mutare delle cose e delle persone, ai coltellini svizzeri che avevano inciso, sulla sua corazza di dura e spessa corteccia, nomi di persone unite dall’amore, o il più delle volte, dal capriccio.

Manuel aprì piano gli occhi, l’animo ancora sconvolto da quello che, in un attimo d’ira, era riuscito a confessargli, alle bugie, indubbiamente ben poco credibili, che gli aveva urlato contro, in lacrime e portando la propria attenzione sulla sua amica quercia si chiese se, come lei, sarebbe riuscito a resistere o se avrebbe finito per spezzarsi come i nodi delle spighe di grano, rinsecchite ed assetate, battute dal vento.

Si sarebbe spezzato. Senza di lui si sarebbe spezzato, lo sapeva bene, si sarebbe spezzato.

Chiudendo gli occhi fermò le lacrime che, silenziose, erano giunte al ciglio e tentò, anche se invano, di concentrarsi su altri pensieri, mentre le cicale lo pregavano, con la loro solita insistenza, di unire la melodia triste della sua chitarra, abbandonata poco lontano da lui sull’erba, al loro coro d’instancabile frinire.

Manuel conosceva ogni rumore di quel luogo, a lui così caro; sapeva riconoscere i passi stanchi dei vecchi contadini che l’avevano visto crescere e quelli delle loro vecchie mogli che l’avevano allevato con i frutti dolci e succosi dei loro frutteti, ma quel lieve calpestio d’erba che lo scosse dai suoi pensieri non apparteneva a nessuna delle persone che abitualmente s’arrampicavano, come lui, fin lassù.

Era un passo leggero, un passo che aveva seguito per anni e che ora aveva preso decisamente una cattiva strada, nonostante lui avesse cercato in ogni modo d’impedirglielo.

“Sei venuto a rendermi il pugno?” gli chiese, mantenendo gli occhi chiusi, come se a guardarlo in faccia, si vergognasse.

“E’ davvero bello qui...ci vieni spesso, non è vero?” sviò Alessandro e l’altro sbuffò irritato.

“Sì e lo sai benissimo anche tu, ma non hai risposto alla mia domanda. Comunque se vuoi colpirmi fallo pure, ne hai tutto il diritto, io non reagirò.” tagliò corto Manuel e l’altro annuì.

“Bene...” mormorò avvicinandosi piano a lui ed inginocchiandoglisi accanto.

Voleva quel pugno ad ogni costo, lo voleva forse più di qualsiasi altra cosa al mondo, perché rappresentava per lui il castigo, l’ultima ferita, quella definitiva e concreta che, o almeno lo sperava, l’avrebbe separato da lui.

Era dunque più che pronto sia al dolore che al livido, quando avvertì le mani dell’altro prendergli con delicatezza il volto e le labbra che tanto a lungo e tanto segretamente aveva desiderato, posarsi sulle proprie, delicate come petali.

Trasalì, sgranando gli occhi, che colpiti dalla luce, prima filtrata dalle palpebre, non riuscirono subito a mettere a fuoco il volto dell’altro, nonostante fosse a pochi millimetri dal suo.

“Volevo renderti l’amore...” gli mormorò, quasi per giustificare il proprio gesto, con una dolcezza che non usava più da ormai tropo tempo e con un rimorso vero e sincero per il dolore causato “Volevo renderti l’amore che mi hai dato senza mai chiedermi nulla in cambio, volevo ringraziarti per avermi riportato sulla strada giusta, volevo scusarmi per il mio comportamento di merda e per tutte le idiozie che ti ho detto, ma soprattutto, volevo fare qualcosa che desideravo fare da molto, molto tempo.

Manuel non reagì subito, come se dovesse assorbire, metabolizzare e comprendere quelle parole, quella confessione.

“Io...io credevo di averti perso...” balbettò infine con gli occhi sgranati, per poi alzarsi di scatto a sedere ed abbracciarlo, stringendolo forte a sé, tremante.

Non ebbero bisogno alcuno di parole per perdonarsi o per amarsi e quando il sole cominciò ad affondare nel lago, tingendolo d’oro e di porpora e Alessandro gli si fu addormentato tra le braccia, fragile e bello come uno di quei tanti fiori che, come gemme su di un gioiello, adornavano i campi di grano attorno a loro, Manuel si volse verso la grande quercia di mezzadria e quasi inconsciamente le sorrise, pensando che, con lui al suo fianco, ce l’avrebbe fatta, avrebbe resistito, proprio come lei.

 

Fine.

 

 

Ecco, l’ennesimo sclero della sottoscritta. Vi lascia scusandomi per gli errori sicuramente presenti nonostante la rilettura e correzione e sperando che recensiate...ciao dalla vostra Isi.

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: ISI