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Autore: Love Bites    03/01/2014    7 recensioni
"Stava arrivando il momento.
Pochi istanti ancora e non ci sarebbe stato più nessun corpo da stringere, solo un cadavere insanguinato sul pavimento in parquet della cucina."

2020.
Harry Styles lavora per l'Union, una delle aziende farmaceutiche più importanti al mondo, e insieme al collega e amico Zayn Malik è uno dei migliori dipendenti della ditta.
Un giorno il suo capo, Liam Payne, gli affida un incarico che riporta Harry nel suo passato, mentalmente e fisicamente.
Genere: Angst, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Artificial heart


"If we could only have this life for one more day,
if we could only turn back time"
Moments by One Direction





Quel giorno per Harry Styles era iniziato come tanti altri.
Era entrato negli uffici dell’Union in perfetto orario e con passo spedito si era diretto al secondo piano, per riporre le proprie cose nel suo armadietto e bere un caffè espresso nell’attesa dell’arrivo dei suoi colleghi.
Alle otto e venti, dieci minuti più tardi del consentito, il suo amico e compagno di squadra  Zayn Malik lo raggiunse, salutandolo come faceva sempre, con una decisa pacca sulle spalle e il tipico sorriso mozzafiato di chi sa di avere un certo fascino sulla gente.
«Hey Haz. Com’è andata la festa di laurea di tua sorella?», gli chiese poco dopo, sottraendogli il bicchierino dell’espresso dalle mani.
Harry lo guardò prendere un piccolo sorso e scottarsi la lingua, per poi stringerla tra i denti.
Quel coglione aveva un conto in banca molto più florido del suo, eppure non si portava mai dietro abbastanza spiccioli da pagarsi uno stupido caffè.
«Una noia mortale – commentò, alzando gli occhi al cielo – c’erano tutti i suoi amichetti sapientoni dell’università…».
«Anche quella figa pazzesca della Edwards?».
«Sì, anche lei…ma a quanto pare esce con un certo Danny G. dell’ufficio reclami…».
Zayn aggrottò immediatamente le sopracciglia ed Harry apprese, con una punta di soddisfazione, che la cosa lo aveva infastidito.
«Ah, quindi lavora qui?».
«Primo piano, Signor Malik. Sei libero di spaccargli il culo se ti va».
Il pakistano affilò lo sguardo, come se già pregustasse la sensazione delle sue nocche conficcate nello stomaco di quell’inaspettato rivale.
Non fece in tempo a dire niente, tuttavia, perché circa tre secondi dopo, la loro attenzione fu richiamata dalla voce di Liam, il loro capo, che ammoniva una segretaria riguardo ad alcune pratiche non correttamente archiviate.
Payne fece il suo ingresso nella stanza sotto lo sguardo attento dei suoi sette dipendenti, impeccabile nel suo costoso completo Armani blu scuro. Sotto il braccio destro teneva una cartellina nera e lucida, rigonfia di quelli che Harry e gli altri chiamavano “fogli rosa” che poco avevano a che fare con la patente di guida.
Zayn gli lanciò un’occhiataccia, manifestando un profondo risentimento verso quell’uomo che, nonostante l’elevato rango sociale, era giovane quasi quanto lui.
Harry lo richiamò all’ordine giusto pochi istanti prima che Liam si voltasse per degnarli finalmente della sua attenzione.
«Buongiorno ragazzi, spero che abbiate passato un buon weekend, perché oggi, come potete vedere, ci sarà molto lavoro da fare».
Dal lato apposto della stanza, seduto su una delle panche poste accanto alla macchinetta del caffè, Jeffrey Marshall sospirò rumorosamente scuotendo la testa.
Harry lo guardò per un istante, compiangendolo in silenzio. Jeff era nuovo da quelle parti e spesso si ritrovava a dover combattere contro la propria coscienza, contro il proprio senso del dovere.
Non era facile svolgere il loro lavoro, non lo era per niente.
«Devine, Sancez, Crawford e Huston, queste sono per voi. Cinque a testa, non voglio lamentele», disse Liam, porgendo a uno dei quattro un piccolo plicco di fogli color rosa confetto.
Poi si voltò e dopo aver attraversato la stanza fino a raggiungere l’angolo in cui si trovavano Harry e Zayn, allungò verso il primo un’altra serie di fogli.
«Styles e Malik, lo stesso vale per voi».
Harry li afferrò con prontezza e dopo aver congedato Payne con un cenno della testa, esaminò i documenti e passò a Zayn quelli con il suo nome.
«E io?», chiese Jeffrey a Liam, che ormai aveva raggiunto la sua scrivania in fondo alla stanza.
«Tu per oggi resti qui, Marshall – rispose questo, sfilandosi la giacca e rimanendo in camicia - Mi è stato riferito che i tuoi nervi non sono ancora abbastanza saldi per svolgere un lavoro come si deve».
«Mi dispiace per venerdì, io non…».
Zayn scosse la testa, senza però trattenere un sorriso. I novellini lo divertivano, era come guardare un bambino che si sente in colpa dopo aver schiacciato per sbaglio una formica.
Erano troppo piagnucoloni, troppo facilmente impressionabili. Si facevano governare dai sentimenti con esiti quasi sempre disastrosi.
«Non preoccuparti, Jeffrey. E’ acqua passata. Ci sono passati tutti qui dentro, dico bene?», intervenne Liam.
«Già», mormorò Harry, raddrizzando la schiena.
Sì, ci erano passati tutti.
«Dai – disse poco dopo a Zayn, che stava recuperando la sua valigetta dal mobile in cui erano riposte anche quelle degli altri – andiamo».
Il pakistano annuì e lo anticipò nell’uscire dalla stanza.
Harry scrollò le spalle, salutò con un gesto della mano il povero Jeff, e si congedò mormorando:
«Non fateli soffrire troppo, ragazzi».
«Tanto alla fine devono crepare – lo rimbeccò qualcuno, quando ormai era già uscito dalla stanza – quei poveracci lo sanno dal momento in cui hanno firmato il contratto».


***

Ogni maledetto foglio portava il nome di una persona.
Harry quel nome era solito leggerlo più volte durante il primo viaggio in macchina della giornata, e solo dopo averlo imparato a memoria si dedicava all’esaminazione dei dati personali.
Luogo di residenza, stato civile, numero di telefono, codice fiscale, età anagrafica.
Sotto queste informazioni, tanto importanti quanto fondamentalmente futili per il suo lavoro, c’era il numero di serie dell’organo da recuperare e la procedura per farlo.
Il punto esatto dove scavare, avrebbe detto Zayn, se non fosse stato così concentrato a guidare.
Era questo quello che facevano, lui e gli altri. Recuperare gli organi impiantati in debitori insolventi.
Da quando l’Union, l’ormai più importante azienda farmaceutica al mondo, aveva messo in commercio “parti di ricambio” artificiali dal pressoché nullo rischio di rigetto e assoluta sicurezza d’impianto, molte, troppe persone ne avevano fatto uso, anche chi, purtroppo, non poteva permetterselo.
E cosa succede quando smetti di pagare le rate del mutuo?
Cosa succede quando smetti di pagare le rate della macchina?
La banca ti porta via tutto, si riprende la tua casa e la tua auto.
Ecco, quindi, cosa facevano Harry e Zayn per vivere.
I pignoratari.
I pignoratari di organi vitali, il cui prezzo, non saldato entro lo scadere del contratto di rateizzazione, andava in qualche modo pagato.
Con la vita.

 ***

Quello sarebbe stato un giorno come tanti altri, se lo sguardo di Harry Styles non fosse stato attirato da un nome in particolare, impresso su uno dei suoi cinque fogli rosa.
Stentò a crederci, all’inizio. Smise di respirare.
Zayn, al suo fianco, distolse lo sguardo dalla strada per guardarlo.
«C’è qualcosa che non va?», chiese.
Harry schiuse la labbra, nel tentativo di rispondere. Non ci riuscì.
La sua gola si era come serrata, il suo cuore espanso nella cassa toracica, tanto da comprimergli con forza i polmoni. Iniziò a boccheggiare.
«Haz, stai bene?», tentò di nuovo l’amico, stavolta con fare preoccupato.
«No no no – sibilò allora Harry, buttando fuori l’aria e ringhiottendola con la medesima violenza – non è possibile, no, no!».
«Dimmi che cazzo sta succedendo!», urlò Zayn di rimando.
Harry non riusciva a crederci, non riusciva nemmeno a pensarci.
Non poteva essere.
Su quel cazzo di foglio non poteva esserci il suo nome.
Louis Tomlinson non poteva essere la sua prossima vittima.
 



Harry e Louis erano stati migliori amici una volta.
Si erano conosciuti in un vecchio campo da calcetto nella periferia di Doncaster, la cittadina dove Harry e la sua famiglia si erano trasferiti quando lui aveva compiuto sedici anni.
All’inizio non si erano parlati gran che. Si incontravano ogni tanto, facevano qualche passaggio e poi tornavano a casa.
Dopo qualche settimana, però, Harry aveva incominciato a notare qualcosa di incredibilmente interessante in quegli occhi blu come il mare. Voglia di vivere, soprattutto, ma anche positività, dolcezza e speranza.
Era stata proprio la speranza, la speranza di trovare un amico, qualcuno su cui poter contare ora che non si trovava più ad Holmes Chapel, dov’era cresciuto, a spingerlo a rivolgergli la parola.
E fortunatamente Louis gli aveva sorriso.
«Incominciavo a credere che avessi perso la voce», aveva aggiunto poi, improvvisando due o tre palleggi sul piede destro.
«Sono solo timido», aveva ribattuto Harry.
«Beh, mi piacciono le persone timide».
E da lì era scaturito tutto. Nel giro di poco tempo da conoscenti erano diventati amici, da amici migliori amici.
Non c’era cosa su cui non fossero d’accordo, opinione che non condividessero, timore che non cercassero di affrontare assieme. Erano complementari, come due pezzi un puzzle.
E il loro legame divenne talmente forte che dopo circa un anno, durante una serata passata insieme per festeggiare il compleanno di Harry, qualcosa scattò.
Nessuno dei due ne fece parola, ma entrambi lo avvertirono.
Mentre se ne stavano sdraiati sull’erba del giardino di Louis, avvolti nelle loro felpe per proteggersi dal freddo pungente di febbraio, i due ragazzi compresero che ciò che li univa era qualcosa di più forte di un legame fraterno, più forte di qualsiasi cosa avessero mai provato in vita loro.
Fu Louis il primo a mettersi in gioco.
Con un movimento troppo veloce perché l’altro potesse in alcun modo reagire, rotolò su di lui e unì le loro labbra in un bacio impaziente e terribilmente goffo.
«Harry – sussurrò Louis sulle labbra del più piccolo, ancora piacevolmente umide contro le proprie – Harry io credo di amarti».
Ed Harry non aveva avuto bisogno di pensare se quello che era appena successo fosse giusto o sbagliato, perché per qualche strano motivo sapeva di provare la stessa cosa.
Lo amava.
Amava il ragazzo dagli occhi blu così tanto che avrebbe affrontato tutti i pregiudizi del mondo pur di restare al suo fianco.
«Non mi era mai successo prima…io pensavo di…pensavo che mi piacessero le ragazze», balbettò Louis, riportandolo alla realtà.
«Quindi se sei confuso e vuoi dimenticare tutto, per me non…», ma non riuscì a completare la frase.
La bocca di Harry si era nuovamente incollata alla sua, zittendo i pensieri di entrambi.
Fu così che, in una fredda sera di febbraio, da migliori amici divennero amanti.
 



«Qui dice che non ha saldato le ultime dieci rate. Ha accumulato un debito di settantamila sterline».
«Un cuore, Zayn! Si è fatto impiantare un cuore nuovo!», esclamò Harry con rabbia, picchiando un pugno sul cruscotto della macchina ormai ferma.
Il ragazzo di fianco a lui gettò il capo all’indietro, contro il poggiatesta del sedile, senza però lasciar andare il foglio rosa che stringeva in mano.
Il suo respiro era regolare, non agitato e sibilante come quello di Styles.
La verità è che Zayn non conosceva Louis. Sapeva di lui grazie ai racconti Harry, ma niente di più.
Non aveva mai visto il suo volto né ascoltato il suono acuto della sua voce.
Anche volendo, non avrebbe mai potuto agitarsi per una persona che non aveva nulla a che fare con lui.
Ma Harry era troppo arrabbiato per farci caso.
«Non posso farlo – disse, la voce roca ridotta a sussurro spezzato – dopo tutti questi anni…non posso entrare in casa sua e…».
«Harry – lo chiamò Zayn, aprendo di nuovo gli occhi color sabbia – non vorrei dovertelo dire, ma non hai altra scelta».
Il riccio si ritrovò a scuotere la testa, con il dolore alla bocca dello stomaco che diveniva sempre più forte.
Lo sapeva.
Lo sapeva anche lui che non c’era via d’uscita.
Ma perché proprio Louis? Perché non qualcun altro?
«Dirò che è riuscito a scappare…», mormorò, dando voce hai suoi pensieri.
«Payne manderà qualcun altro a cercarlo. E poi chi ti crederebbe? Io e te siamo i migliori in questo campo. Non ci è mai sfuggito nessuno, ricordi?».
Zayn non aveva intenzione di gettare altro combustibile sulla disperazione di Harry, non voleva aggravare la situazione, ma il suo carattere freddo e razionale gli imponeva di essere realista.
Tomlinson non aveva pagato il suo debito e per questo doveva morire.
Non sarebbe stato né il primo né l’ultimo.
Il pakistano inspirò e voltò la testa in direzione del suo amico, trovandolo chinato in avanti, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e il volto nascosto dalle grandi mani.
Allungò un braccio verso di lui e gli batté una pacca sulla spalla, come aveva già fatto quella mattina in ufficio.
Sentì Harry emettere un gemito strano, simile a un singhiozzo trattenuto.
Fu allora che si sorprese. Non lo aveva mai visto piangere, mai, da cinque anni a quella parte.
«Haz, per favore. Siamo in ritardo di un’ora sulla tabella di marcia e lo sai anche tu che Payne non aspetta altro che farci il culo a strisce…».
Nessuna risposta.
Harry non alzò la testa, non si ricompose, non indossò la tipica maschera di indifferenza che utilizzava di solito durante le ore di lavoro. Rimase lì, chino su se stesso a domandarsi che cosa avesse fatto di male per essere punito in quel modo.
Beh, squartare povere persone per recuperare organi non era certo un gesto nobile, ma Dio non poteva avercela con lui solo perché sapeva far bene il suo lavoro.
Solo il rombo del motore del furgone che si accendeva lo convinse a raddrizzare la schiena.
«Cosa fai?», chiese di getto, puntando gli occhi verdi e lucidi sul suo compagno di squadra.
Zayn pigiò il piede sull’acceleratore, fece retro marcia e abbandonò il piccolo spiazzo dove si erano fermati diverso tempo prima.
Solo dopo aver percorso qualche metro di strada si decise a rispondere.
«Lo farò io – annunciò, mantenendo lo sguardo diritto davanti a sé – non dovrai neanche vederlo. Mi occupo io di lui».
Harry ci mise un secondo a metabolizzare la cosa.
«Non ci pensare neanche! Non lo lascerò al suo destino, non…».
«Smettila», lo interruppe il moro con fare gelido.
«Zayn noi dobbiamo salvarlo, hai capito? Dobbiamo trovare un modo per evitare che…».
«Ho detto di smetterla, Harry. Stai zitto – sibilò Malik, inspirando bruscamente – tutti quelli che facciamo fuori hanno una famiglia, degli amici, qualcuno che li ama…».
Harry deglutì e senza volerlo si ritrovò a serrare i denti.
«…ma nel momento in cui hanno firmato il loro cazzo di contratto sapevano a cosa andavano in contro. Quindi cerca di calmarti e smettila di comportarti come una ragazzina capricciosa».
«Non puoi farmi questo, Zayn. Dovresti aiutarmi…sai quanto tengo a lui…», mormorò Harry, con tono accusatorio.
«Hai avuto sette anni per andare a cercarlo e costruirti una vita con lui. Non l’hai fatto. Ora affronta la realtà e preparati a fare quello che devi fare, se non vuoi che me ne occupi io. Siamo quasi arrivati».
Le parole di Zayn suonarono come un ultimatum che nessuno, nemmeno l’uomo più coraggioso del pianeta, si sarebbe permesso di ignorare.
Il riccio dovette capirlo, perché malgrado il dolore dettato dal senso di colpa e dall’impotenza, tacque, senza più trovare la forza di ribattere.
Quel giorno Harry Styles avrebbe rivisto Louis Tomlinson dopo duemilaciquecentoventisette giorni dall’ultima volta in cui il loro occhi si erano incontrati.
E subito dopo, senza fiatare, gli avrebbe tolto la vita.
 

***

Arrivarono a destinazione dopo circa un quarto d’ora di viaggio.
Da qualche istante la pioggia aveva iniziato a cadere copiosa su Londra, come a voler riprodurre lo scenario desolante di un film drammatico.
Harry non si voltò a guardare Zayn quando il motore del furgone si spense nel vialetto di palazzo color rosso mattone.
Afferrò solamente la sua valigetta in metallo riposta sotto il sedile e scese dalla macchina.
«Non aspettarmi – disse e la sua voce suonò stranamente salda alle orecchie dell’altro – credo che ci metterò più del dovuto».
Zayn annuì, senza dire nulla.
Le frasi di circostanza non facevano per lui, tantomeno in una situazione del genere.
Aspettò semplicemente che Harry chiudesse la portiera e ripartì nella direzione apposta da cui erano arrivati, deciso a tornare a controllare entro un’ora.
Una volta solo Styles si voltò e in pochi passi raggiunse l’entrata dell’edificio.
Da quello che aveva capito l’appartamento di Louis doveva essere al terzo piano, e nonostante la presenza di un vecchio ascensore, optò per le scale.
Ogni gradino polveroso che lo separava dal suo passato era una boccata in più di ossigeno per i suoi polmoni pronti a collassare.
Tuttavia fu un attimo ritrovarsi davanti alla porta verde scuro che recava il nome scolorito di Tomlinson L.
«D’accordo – sussurrò Harry a se stesso, mentre fissava il campanello ingiallito – non si torna indietro».
Ci impiegò quasi un intero minuto per convincersi a suonarlo.
Un driin gracchiante.
Poi dei passi.
E mentre il cuore di Harry batteva con la forza di un martello pneumatico, la porta di aprì, rivelando il bellissimo viso di un ragazzo dagli occhi blu come il mare.
«Harry? – domandò Louis, completamente sconvolto - Dio mio, Harry, sei tu?».
 

***

«Quando la polizia mi beccò cercai di convincere i poliziotti che non ero stato io a sparare a quel coglione di Kurt, ma sulla pistola erano rimaste solo le mie impronte, perché Niall portava i guanti», continuò Louis, porgendo ad Harry una tazza di thè bollente.
Harry la strinse tra le mani e alzò lo sguardo verso il ragazzo.
Non subito, si era detto.
Ho bisogno di sapere cos’è successo in tutti questi anni.
«Le tue impronte…avevi toccato la pistola durante la colluttazione con Horan, vero?», domandò, cercando di non pensare al dopo.
«Sì. Ma lo stronzo è riuscito a sparare lo stesso. Ha beccato Kurt in pieno petto, sai? E’ morto dietro il bancone del bar pochi minuti dopo che tu sei scappato».
«Aveva sparato anche a te», commentò Harry, mentre nella sua mente tornavano vivide le immagini di quella sera.
Louis annuì e si appoggiò al calorifero poco distante dal tavolo dove era seduto l’altro.
Harry approfittò dell’attimo di pausa per notare che i suoi capelli biondo scuro non erano più tenuti giù, a coprirgli la fronte, ma pettinati all’indietro.
Il viso magro era incorniciato da un principio di barba dello stesso colore.
Nonostante non fosse più il ragazzino che ricordava, Louis Tomlinson rimaneva la cosa più bella che Harry avesse mai visto.
«Mi aveva preso alla gamba. Mi ha mancato l’arteria femorale di pochi centimetri…se non ti avessi convinto ad andartene avrebbe sparato anche a te – il ragazzo chiuse gli occhi per pochi secondi, inorridito dal quel pensiero, poi li riaprì – Non appena Horan ha sentito le sirene della polizia si è defilato con un quarto dell’incasso dalla porta di servizio, lasciandomi per terra non lontano da Kurt. A fatica mi sono trascinato fino all’ingresso e poco dopo è entrato Dean con altri due uomini della centrale.
Come ti ho detto, non mi hanno creduto. Non c’erano testimoni che potessero raccontare di Niall, e Kurt ormai era andato. Sulla pistola c’erano le mie impronte, nel locale segni di colluttazione. Hanno subito pensato che fossi entrato là dentro per rapinarlo e che Kurt avesse cercato di fermarmi, facendo partire il colpo che mi ha preso alla gamba».
Harry ispirò, sconvolto nel profondo da quel racconto.
«E hanno anche pensato che per rabbia tu avessi ricambiato il favore», ipotizzò poi.
Ancora una volta Louis confermò con un cenno della testa.
«Mi hanno sbattuto in prigione al primo processo. Sono stato dentro tre anni, poi mi hanno rilasciato dietro cauzione…credo ci sia lo zampino di mio padre. Quel bastardo mi ha lasciato a marcire dietro le sbarre perché pensava che mi sarebbe servito come lezione».
«Credeva alla versione della polizia?», domandò Harry, ancor più sconcertato.
«Certo che sì. Era la parola delle autorità contro quella di un ragazzino di diciotto anni».
Styles si passò le mani sulla faccia.
Louis era finito in prigione per colpa sua. Era lui che quella sera aveva insistito per andare a bere una birra, era lui che avrebbe dovuto testimoniare contro Niall Horan e scagionare il suo ragazzo.
«Mi dispiace, Lou…per…per non essere venuto in tribunale ad aiutarti…».
«I tuoi genitori avevano paura che invischiassero anche te nel processo. Hanno fatto bene a tenerti lontano da me», si limitò a rispondere l’altro, con un sorriso a metà.
Harry però non era d’accordo.
Si alzò in piedi, dimenticandosi del thè ormai tiepido nella sua tazza bianca, dimenticandosi della valigetta metallica appoggiata alla gamba del tavolo in noce. Dimenticandosi di essere un recuperatore della Union in orario di servizio.
Si avvicinò a Louis con cautela.
«Non è vero, Lou. E’ stato un errore – disse, facendo altri due passi e annullando la distanza tra di loro - Sono stato malissimo, ho odiato loro e me stesso per non averti aiutato…per averti lasciato solo…».
Il ragazzo di fronte a lui sospirò e alzò una mano ad accarezzargli il viso.
Harry chiuse gli occhi quando sentì il tocco dell’altro sulla propria pelle.
Gli era mancato. Gli era mancato fino a far male.
«Sei diventato un uomo – commentò Louis, con un sorriso – un uomo molto molto alto».
E la conseguente risata coinvolse, per assurdo, anche Harry.
Quest’ultimo rimase sorpreso nel verificare con i propri occhi che, per guardarlo, Louis doveva inclinare il viso verso l’alto. Probabilmente era più basso di lui di almeno sette o otto centimetri.
«Anche tu sei cresciuto – sospirò, allora – ma rimani sempre bellissimo».
«Sì?», domandò Lou, mentre la sua mano scivolava lungo il bavero della giacca di Harry.
«Sì».
Se Harry Styles fosse stato lucido non si sarebbe mai chinato in avanti in quel modo; non avrebbe mai messo le sue labbra alla portata della bocca dell’altro.
No, non lo avrebbe mai fatto, specialmente per via del motivo per cui si trovava lì, con quello che un tempo era stato l’amore della sua vita e che probabilmente lo sarebbe stato ancora, se non avesse dovuto aprirgli il petto per strappargli il cuore.
Ma Harry non era lucido in quel momento, forse per colpa dello shock di aver rivisto Louis dopo tanti anni, forse per la rabbia e le lacrime che stava trattenendo da ormai troppo tempo.
E così lasciò che Louis lo baciasse, proprio come aveva fatto sette anni prima, sul prato umido del suo giardino.
Non pensarono a niente mentre le loro labbra riprendevano confidenza le une con le altre e le loro lingue facevano l’amore come era giusto che fosse.
Harry strinse Louis al suo petto e lo baciò più intensamente che poté.
Colpa della gioia del ritrovarsi si disse, ma in realtà tutta quella passione era dovuta a tutt’altro motivo.
Nel profondo della sua mente, un pensiero brillava ancora, come un chiodo fisso, mentre tutto il resto era stato spazzato via dal calore e dal respiro di Louis tra le sue braccia.
Stava arrivando il momento.
Pochi istanti ancora e non ci sarebbe stato più nessun corpo da stringere, solo un cadavere insanguinato sul pavimento in parquet della cucina.
E probabilmente fu proprio questa consapevolezza a spingere Harry a staccarsi da Louis così bruscamente.
Il ragazzo dagli occhi blu lo guardò per un lungo istante ed Harry si accorse che non c’era alcuna traccia di confusione nel suo sguardo.
«Non mi hai ancora detto perché sei qui, né come hai fatto a trovarmi», disse infatti, mentre il riccio mollava la presa sui suoi fianchi.
Harry si sentì morire.
Avrebbe voluto scappare lontano, licenziarsi, mandare tutto a fanculo.
Ma aprì le labbra e costrinse la propria voce a farsi sentire.
«Louis…io…io non so bene come dirtelo… - s’interruppe, il groppo alla gola ad impedirgli di respirare – vorrei non doverlo fare…».
«Lavori per l’Union, non è così?».
Silenzio.
Quelle parole trafissero Harry come neanche dei pugnali appuntiti avrebbero potuto fare.
Il ragazzo indietreggiò bruscamente, sentendo le lunghe gambe divenire molli, il proprio volto sbiancare.
Louis non si scompose.
«Il termine ultimo di pagamento è scaduto da una settimana e io non ho più un soldo. Sapevo che avrebbero mandato qualcuno…non avrei mai immaginato che saresti stato tu».
Harry era senza parole.
Si portò una mano alla gola, ad allentare il nodo della cravatta che sembrava volerlo soffocare.
Aveva immaginato il peggio, ma questo era l’inferno.
Louis sapeva fin dal momento in cui aveva aperto la porta che lui era lì per ucciderlo.
Come poteva aver parlato con lui, o anche solo essersi farsi toccare, sapendo ciò che lo aspettava?
«Vuoi sapere perché ho un cuore artificiale, Harry?», domandò il ragazzo, incrociando le braccia.
«P-perché?».
«Fino a quattro mesi fa facevo il tuo stesso lavoro, ma non qui a Londra, a Manchester. Un giorno mi capitò un poveraccio a cui dovevo prendere il cuore…mi pare che avesse sforato di due settimane con i pagamenti. Beh, nel momento in cui ho usato il defibrillatore per far smettere di pompare quell’affare, è partito un corto circuito che ha ammazzato sul colpo il cliente e messo KO me. Mi sono svegliato in ospedale due giorni dopo, con il petto ricucito e un debito di centocinquantamila sterline con il mio datore di lavoro».
Louis si sbottonò lentamente la camicia di jeans, fino a mostrare una lunga e spessa cicatrice al centro esatto del torace.
Harry si sentì mancare.
Louis era stato un recuperatore. Louis era quasi morto.
«Chi…chi ha dato il consenso…per l’intervento?», chiese Harry, con gli occhi puntati sul segno dell’operazione.
«Mia madre. Quando l’hanno chiamata per dirle cos’era successo non ci ha pensato un attimo a dirgli di sì. Quegli stronzi sanno essere molto convincenti. Le hanno detto che avrei potuto saldare il debito pagando comodamente a rate, che ci sarebbe un periodo più che decoroso di tolleranza in caso di mancato pagamento di una retta…infatti ci hanno messo esattamente una settimana a mandarti qui», rispose con fare ironico, scuotendo la testa.
«Ma…tuo padre ha un sacco di soldi…», ribatté Harry.
«Mio padre è morto l’anno scorso e si è lasciato dietro un sacco di debiti. Le mie sorelle hanno a malapena da mangiare da quando quel figlio di puttana se n’è andato».
«Mi dispiace, Lou».
Era vero.
L’unica cosa che Harry si sentiva dire in quel momento era che gli dispiaceva.
La fortuna non era mai stata dalla parte di Louis, anzi, si era presa gioco di lui senza alcuna pietà.
«Dispiace anche a me, Haz. Ma ormai è andata così, no? Da una parte sono contento che sia tu a farlo, dall’altra penso che questa sia l’ennesima bastardata che mi riserva il destino. Morire per mano dell’uomo che amo e con cui vorrei passare il resto della mia vita». Sul volto di Louis Tomlinson comparve un sorriso amaro, che per la prima volta da quando quella discussione era iniziata, venne rigato da una lacrima.
«Mi ami ancora?», sussurrò Harry, arrendendosi anche lui alla lacrime bollenti che gli riempivano gli occhi.
«Non ho mai smesso. Mai, nemmeno in tutti questi anni», confessò l’altro e ormai la sua voce suonava stridula nel silenzio tombale della casa.
Harry deglutì e con la saliva mandò giù anche il suo cuore, che in quel momento gli pulsava in gola tanto forte da far male.
«Non voglio farlo Louis, non posso», singhiozzò.
«Se non lo fai tu manderanno qualcun altro. Non ho speranza».
«Non m’importa. Scappiamo, andiamocene via. Troveremo un modo…».
«Harry…».
Quel nome risuonò nella stanza per un lungo istante, finché non vene coperto dal rumore dei passi di Louis sul parquet scricchiolante.
Il riccio si sentì avvolgere in un abbraccio che sapeva essere disperato, agonizzante.
Lo ricambiò, stringendo l’altro così forte da farlo gemere contro il proprio petto.
«Ho dei soldi da parte…gli darò tutto ciò che ho», sussurrò Harry.
«Nemmeno tu hai settantamila sterline, Styles. Al giorno d’oggi quasi nessuno le ha».
Harry avrebbe ribattuto, ma Louis gli sigillò la bocca con un altro bacio, che stavolta sapeva di lacrime e rabbia.
Lo baciò fino a sentirsi scoppiare i polmoni.
«Tu mi ami ancora, Harry?», chiese ansimando quando si staccò.
«Credi che starei piangendo come un bambino se non fosse così?».
Louis sorrise, con gli occhi gonfi di lacrime.
«D-darei qualsiasi cosa per riavvolgere il tempo. Per tornare indietro e convincerti a fare l’amore con me…anziché andare a bere quella stupida birra da Kurt».
«Mi dispiace così tanto, Louis. Mi dispiace…così tanto».
Un altro bacio, un cozzare di labbra e denti che non volevano lasciarsi ma che dovevano farlo.
Per forza.
Perché così era destino.
Quando la porta si spalancò e Zayn Malik fece il suo ingresso nella stanza, sicuro di trovare Tomlinson ancora vivo ed Harry in lacrime, gli occhi blu di Louis corsero un’ultima volta a cercare quelli verdi di Styles.
Un “ti amo” venne sussurrato a mezz’aria, un “no”, gridato mentre Zayn prendeva la mira e puntava la pistola verso l’unico “cliente” che in vita sua Harry Styles non aveva avuto il coraggio di ammazzare.
«Mi dispiace, Harry – disse Malik, un momento prima di premere il grilletto – le regole sono le regole».
Poi uno sparo e un altro ancora.
Cinque spari che fendettero l’aria immobile e rimbombarono in una stanza che aveva visto due persone amarsi più in un’ora che durante tutto l’arco di una vita.
Zayn Malik non capì chi fu il primo ad essere colpito.
Harry e Louis caddero a terra quasi nello stesso momento, riversi a pancia in su, costretti a guardare il soffitto sgretolato di un vecchio palazzo e non il cielo nuvoloso e gonfio di pioggia che piangeva una tragedia iniziata e finita nel giro di un giorno.
Un giorno che per Harry Styles era iniziato come tanti altri, ma che era destinato a finire nel più terribile dei modi.
 
«Harry, cristo santo, ma che hai fatto? Harry respira, Harry!».
 
La voce del suo collega ormai era lontana.
C’era solo un suono che rimbombava nelle sue orecchie, ed era il cuore artificiale di Louis, che batteva lento, da qualche parte accanto a sé.
Harry avrebbe tanto voluto guardare il suo amore un’ultima volta, ma il loro tempo era scaduto da un pezzo.
E quando anche quel lieve rumore cessò, Harry seppe di potersi arrendere.
Chiuse gli occhi e se ne andò, lasciando Zayn a piangere il suo migliore amico e l’Union senza uno dei suoi migliori dipendenti.
Da qualche parte, in qualche luogo, era certo che Louis lo stesse aspettando.
 
 

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Buonasera people :)
Premetto che questa è la mia prima ff slash in assoluto, quindi siate clementi.
Mi rendo conto che è 'na palla assurda, ma l'altra sera ho visto "Repo Man", mi è venuta l'ispirazione e mi son detta: "Massì, schiaffiamoci Harry e Louis e scriviamo una bella slash".
Questa era una sfida rivolta a me stessa e, anche se probabilmente ho toppato alla grande, mentre scrivevo mi sono messa a piangere diverse volte quindi spero di assere riuscita a commuovere anche voi almeno un pochino.
Un bacione!

   
 
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