Fanfic su artisti musicali > Big Bang
Ricorda la storia  |      
Autore: Mini GD    03/01/2014    3 recensioni
“Ci hai mai pensato davvero?”
“A cosa?” la guarda posando dei borsoni sul pavimento legnoso. Era appena rientrato da una faticosa giornata lavorativa, piena di carte e chiamate.
“A quello che abbiamo lasciato indietro, a quello che era il nostro passato.” lei era sul divano, nel salone collegato all’entrata. Lasciava ciondolare le gambe che non toccavano terra in ritmi frenetici.
“No, preferisco pensare al futuro che potremo avere.” si tolse la giacca appendendola senza troppi accorgimenti. Pochi minuti dopo era sul pavimento a fare compagnia alla borsa beige.
Genere: Erotico, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: G-Dragon, Nuovo personaggio
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Ci hai mai pensato davvero?”
“A cosa?” la guarda posando dei borsoni sul pavimento legnoso. Era appena rientrato da una faticosa giornata lavorativa, piena di carte e chiamate.
“A quello che abbiamo lasciato indietro, a quello che era il nostro passato.” lei era sul divano, nel salone collegato all’entrata. Lasciava ciondolare le gambe che non toccavano terra in ritmi frenetici.
“No, preferisco pensare al futuro che potremo avere.” si tolse la giacca appendendola senza troppi accorgimenti. Pochi minuti dopo era sul pavimento a fare compagnia alla borsa beige.
“Non fare lo smielato adesso.”  Lei si era alzata per raccogliere i resti del suo lavoro. Gli diede un tenero buffetto sulla spalla, arricciando le labbra in un sorrisetto compiaciuto “Sono seria.” aggiunse, ricomponendo il suo aspetto da casalinga improvvisata, con i capelli leggermente gonfi, e il viso paonazzo a chiazze per la troppa vicinanza al vapore delle pentole.
“Non avrei sopportato quella vita, lo sai.” le sorride, e senza troppi problemi le lascia il segno di un pizzicotto sulla guancia arrossata. “Hai cucinato, eh?” scoppia a ridere per alleviare la situazione, per distrarla da quell’argomento spinoso.
“Ci ho provato, tutto qui.” l’aveva notata. Quella piccola indecisione di chi vuole parlare ma non vuole disturbare o invadere l’altro. Quel momento che il suo cervello aveva preso per formulare una scusa rapida, troppo ferito per parlare del passato che l’ha reso diverso da quello che era intenzionato a diventare.


 
“Sai Ji, anche se non ti piace a me puoi dirlo. Anche se c’è il mio amore di mezzo e a me piace così come è.”
 era lì, seduta di fronte a lui, con il piatto cucinato, per fortuna più che altro, e aveva trovato il sistema per fargli capire che era accanto a lui per amore, nonostante non si piacesse per il cammino affrontato.
“E’ buono, nonostante abbia un aspetto vissuto.” era rimasto al gioco, approfittando del fatto che il riso era davvero dall’aspetto strano, ma accettabile come sapore. I cosiddetti ‘brutti ma buoni’.
“Sapere la storia ti aiuta ad apprezzare di più questo piatto.” continuava, mandando giù un’altra cucchiaiata della sua ricetta personale del riso e zucca.
“Ah, sul serio? E che vita può avere questo riso di diverso dalle altre confezioni del supermercato?” chiese, lasciando cadere il cucchiaio nel piatto vuoto.
“Aveva la compagnia della zucca.” suonava quasi come una strana ovvietà, ma era stata pronunciata con tanta serietà che era diventato un particolare importante, agli occhi di lui.
“La compagnia della zucca?”
 
 
Lo guardava sonnecchiare, stretta a lui da quando avevano deciso di guardare la televisione. I soliti programmi di torte e sfide tra pasticcieri, che addolcivano la serata. Era tra il mondo dei sogni e la composizione di muffin e lei l’osservava, come si guarda un opera d’arte alla ricerca di un errore, di un difetto che in realtà non c’è.
Allungò la mano verso la sua guancia, sfiorandola con delicatezza. Le ricordava il petalo di un fiore primaverile, appena sbocciato.
 

Sorrise nel ricordare la mattinata nella quale l’aveva conosciuto. Era una di quelle giornate storte, a partire dal latte che si era versata sul vestito nuovo, che aveva acquistato per far colpo alla proprietaria del negozio dove voleva lavorare. Voleva far vedere il suo senso in quanto a stile, ma si vide costretta a cambiare rotta, verso la sua normalità fatta di jeans, gonnelle dai colori del cielo, e tante maglie diverse.
Per continuare a mettere alla prova la sua pazienza, il destino aveva deciso di non farla assumere, e di non far arrivare il bus n.12 per il ritorno a casa.
Con una grossa delusione, un vestito da portare a lavare visto la sua inettitudine nell’usare la lavatrice, si incamminò verso casa.
Pochi isolati più avanti c’era Ji, che distribuiva volantini per un supermercato nel quale era stato costretto a lavorare, se voleva guadagnare qualcosina. Quando anche ella gli passò davanti, le consegnò la lista delle offerte più vantaggiose del mese, ma, pochi passi dopo, la vide appallottolare quel foglio e gettarlo nel cassonetto di un palazzo.
Leggermente arrabbiato la raggiunse, fermandola, per potersi finalmente sfogare contro qualcuno. Meglio una perfetta estranea che un membro della propria famiglia.
“Lei ha appena gettato via il mio lavoro, senza neanche degnarlo di uno sguardo.” Cominciò a dirle, stando bene attento a non varcare la soglia dell’eccessiva confidenza.
“Mi dispiace, ma sicuramente non sarei venuta nuovamente in questo quartiere, era inutile.” Gli rispose, trattenendo uno sbuffo. Non era la prima volta che qualcuno le chiedeva di non cestinare il proprio volantino.
“Ma non si sa mai, magari le serve un particolare prodotto che qui trova scontato.” Insisteva; per la prima volta svolgeva seriamente la mansione per la quale era pagato settimanalmente.
“Ho capito. Aspetti.” Gli face segno con la mano di restare fermo, e infilò l’altra nel cassonetto, tra le buste nere che non avevano di certo un buon odore. Recuperò il foglio che era riuscito ad infilarsi così in profondità che, neanche se voluto, non poteva ritornarci con un altro tiro.
La aprì, stendendolo bene per permettere la lettura dei prezzi accanto alla foto di ogni singolo prodotto.
Lui restò a guardarla sconvolto, si sarebbe accontentato di un piccolo ‘scusa’ detto tra uno sbuffo e l’altro.
“Allora, il latte è in offerta, con la possibilità di acquistare tre confezioni al prezzo di due. Anche il caffè ha un buon prezzo devo dire. Stupendo, se magari avessi abbastanza soldi in tasca comprerei anche qualche mela.” Cominciò a parlare, prendendo qualche banconota dalla tasca destra della gonna di jeans.
“Mi prende in giro?” le chiese, mentre la guardava fare i conti sulle dita.
“Non è lei che mi ha chiesto di dare valore alla sua mattinata lavorativa?” ribatté, guardandolo male, o tentando di farlo, poiché, dopo pochi secondi, gli scoppiò a ridere in faccia. “La sua faccia…le faccio paura?” aggiunse, calmando l’ascesso di risa.
“No, non mi fa paura, che dice” sorrise, sciogliendo l’espressione effettivamente terrorizzata che doveva avere. “Sono Ji Yong, e lei?” le offrì la mano libera dai fogli.
“Sono Neul Mi” gli sorrise, stringendo la mano del ragazzo. Era così forte e rassicurante che si dispiacque nel doverla lasciare.
 
Nei minuti successivi, come d’improvviso si ricordò di aver infilato una mano nella spazzatura, con conseguente saltarello e balletto imbarazzante, accompagnati da una serie di elencazioni sulla quantità di sporcizia con la quale era venuta in contatto. Lui rideva, ma talmente forte, dal dimenticare di dare i volantini; e, senza saperlo, si ritrovò senza lavoro, mandato via da un capo fin troppo esigente, ma lui continuava a ridere, mentre offriva delle salviettine imbevute che furono accettate molto volentieri dalla povera ragazza.
 
Non era cambiato di una virgola, se si esclude l’abbigliamento. I suoi occhi erano costantemente vispi e attivi, come quelli di un bambino. Con estrema cura portò le sue dita sulle sue labbra, ma con un tocco talmente leggero che, anche dovuto alla dormiveglia, lui non avvertì.
Erano così calde rispetto ai congelati polpastrelli che le stavano studiando, guidate dallo sguardo di lei, ipnotizzato sulla perfezione armonica che formavano con il resto del viso. Il naso piccolo, occhi color nocciola scuro, bellissimi e pieni di un qualcosa di speciale, nonostante assomigliassero quasi a tanti altri.
Si sentì colpevole quando si rese conto di aver poggiato le sue labbra a quelle di lui, riportandolo del tutto sul regno dei vivi. Se ne accorse dalle mani che le stringevano la vita, da quelle mani forti che le davano tutta la sicurezza che cercava da sempre.


Lui era la sua roccia, nonostante fosse pieno di misteri, segreti che lo ferivano dentro.
Lui era la sua certezza e lei era la sua luce. Lei e nessun’altro, per questo evitava di parlarle di quello che lo stava logorando dentro. Sapeva che poteva trasmettere a lei quelle sensazioni ed era l’ultima, forse anche di meno, cosa che avrebbe voluto.


 
Quando si separò da quelle labbra calde, morbide e invitanti, capì quanto creassero dipendenza. Si specchiò nei suoi occhi, prima di ritrovarsi con l’oggetto della sua ossessione.
I sensi di colpa l’abbandonarono definitivamente quando avvertì il calore delle mani di lui percorrerle la schiena, al di sotto del maglione di lana. 
 
 
“JiYong, sei l’unica cosa bella che mi è rimasta.”
“Perché dici così?”
“Prima ero un corpo fatto di pesanti difetti che nessuno, me per prima, riusciva a sopportare. Ero vuota, dentro, non c’era che l’amara delusione di accettare di non essere il massimo per nessuno. Di non essere il massimo delle mie aspettative, non ero bella quanto avrei voluto, non ero mai magra abbastanza. Non avevo nulla per la quale combattere, per la quale vivere appieno. Io, senza di te, sopravvivevo e basta.”
 

“Aggiungere mezzo chilo di farina al composto nella nostra planetaria e mescolare a velocità media. Uscirà un dolce magnifico e soffice, da leccarsi i baffi amici!” la voce del pasticciere echeggiava nel silenzio della camera. I due non davano tanto retta alla sua ricetta, si guardavano intensamente negli occhi, parlandosi, sfogando pensieri profondi l’uno a l’altra. La voce non avrebbe mai potuto essere il reale rappresentante di quei sentimenti.
Raggiunse il telecomando e Neul mise fine al monologo che stava durando troppo per i suoi gusti. Poi lo lanciò, facendolo arrivare dall’altro lato del morbido divano.
Non aveva smesso di guardarlo negli occhi, continuava a mantenere vivo quel contatto, come se fosse ossigeno per lei.
“Ti sei fatta più bella” sussurrò nel silenzio prima di baciarla di nuovo. Più la baciava e più aveva sete del calore e dell’affetto che si scambiavano.
Lei portò le mani sul suo petto, tirando giù la zip della sua felpa bordeaux. Lo liberò dal pesante indumento, attendendo poi qualche secondo per staccarsi dalle sue labbra e prendere aria.
Lo privò anche della leggera canottiera bianca, scampata al carico di panni bianchi lavati male nella settimana precedente. Tutto ciò che era bianco aveva preso uno strano colore bluastro e furono vani i suoi tentativi di salvarli. Si sentì completamente idiota nell’aver lasciato la sua maglia blu in una delle ceste dei panni bianchi.
 
Sì alzò dal divano, portandosi sensualmente con le mani delle ciocche di capelli all’indietro. Indietreggiò piano piano, facendogli segno con la mano di seguirla nel corridoio stretto che si diramava in tutte le stanze della casa. Scosse leggermente il capo, come a risvegliarsi da uno stato di semi-perdita di coscienza e le andò dietro, guardandola spogliarsi del grande felpone che usava in casa per dormire. Le stava grande di un paio di taglie, ma lei lo trovava così comodo nel suo interno foderato. Quel bianco e nero che ricordava un panda l’aveva fatta impazzire di tenerezza nel vederlo in una vetrina. Quegli stessi colori, ora, decoravano una libreria in mogano, poggiati nella fretta del suo indietreggiare.
 
Era solo con indosso l’intimo e un paio di calze, reduci dal vestito che aveva indossato per fare la spesa nella mattinata, lui con i pantaloni di una tuta a caso. Lei era arrivata alla meta, la loro stanza, con il lettone grande, pieno di coperte e cuscini. Lo guardava maliziosa, sorridendo con fare innocente mentre saliva lentamente sul materasso, emulando il passo aggraziato di un felino.
Lui la guardava, desiderandola, dalla soglia della porta. Con la stessa lentezza si avvicinava, per non farla scappare; richiuse la porta dietro di sé, prima di proseguire verso il letto.
E per l’ennesima volta era un gioco di sguardi, di respiri trattenuti per non fare troppo rumore, di inviti sottintesi.
Lei guidava il gioco, se non voleva essere presa, non avrebbe mai ceduto. Eppure era lì, apparentemente docile.
 
Si lasciò inghiottire dalle morbide coperte, distendendosi più che poteva prima di togliersi anche le calze nere che cominciavano a darle fastidio. «Le prime calze che arrivano intere senza buchi a fine giornata, record» pensò, prima di divertirsi nel lanciare anche quelle il più lontano possibile da lei, come faceva con i problemi quando non aveva la forza di affrontarli. Li allontanava, prendeva tempo, li studiava da più punti di vista, trovava la soluzione e li eliminava. Ma non con tutto era possibile fare così, ci sono scheletri che resteranno sempre confinati al difuori del suo recinto di sicurezza.
 
Si mise seduta sul bordo, stendendo la mano per tirarlo con sé nel suo mondo, che era fatto di solo lui e gatti, tanti gatti. Aveva sempre desiderato vivere circondata da coccolosi batuffoli di pelo, avevano deciso di adottarne uno piccolo nei mesi estivi che sarebbero giunti. La strinse a sé, riscaldandola dal freddo e proteggendola dal resto, da tutto quello che poteva farle male, da tutto quello che non era lui. Geloso e protettivo, anche se non lo aveva mai ammesso, si sentiva in dovere di difenderla.
 
Baciandola le lasciò campo libero per rimuovere gli ultimi indumenti che lo coprivano, per poi dedicarsi anche lui ad una riscoperta delle sue forme. Vagava sui suoi fianchi, risalì la schiena e slacciò il reggiseno.
Le bretelline cascarono da sole, scivolando sulle braccia chiare di lei.
La distese sotto di lui, una volta spogliata anche degli slip color carne, coordinati con il reggiseno a balconcino che fino a poco prima indossava.
 
Non c’era più nulla che li separava, nessun tessuto che potesse ostacolarli. Non potevano essere più uniti di quanto già non lo fossero con i loro cuori, con il loro cercarsi costantemente, scambiandosi tenere coccole; ma quando avevano il bisogno di sentirsi una sola cosa, una sola entità, quei ridicoli confini che erano i vestiti, dovevano sparire, lasciandoli a nudo, per ritrovarsi a loro agio nei loro spiriti. 


-I'm back, ma sicuro nessuno se ne accorge lol. Bene, ecco qualcosa, se si può definire cosa ahahah
Grazie per aver letto~ Una recensione è ben accolta♥


 
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Big Bang / Vai alla pagina dell'autore: Mini GD