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Autore: _White_    04/01/2014    2 recensioni
"Entrò nella mia vita improvvisamente. Non sapevo nulla di lui, solo che si era trasferito qui dalla grande città. [...] Da quel giorno, lo rividi spesso, non soltanto a scuola."
A metà anno scolastico, arriva in classe un nuovo studente. E' un intellettuale, di bell'aspetto, ma incredibilmente solitario. Sarà solo grazie all'incontro con una compagna in biblioteca che riuscirà ad aprirsi.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Entrò nella mia vita improvvisamente. Non sapevo nulla di lui, solo che si era trasferito qui dalla grande città. Arrivò in classe un giorno di metà febbraio. La preside ci aveva annunciato che sarebbe arrivato un nuovo compagno, ma non mi sarei mai aspettata un tipo come lui.

Era un intellettuale, lo capii dalla montatura dei suoi occhiali: spessa e quadrata, quasi di altri tempi, ma di moda. Indossava un pullover a collo alto, che mordicchiava quando era troppo concentrato a prendere appunti. Era un ragazzo nervoso. Mi distraevo ogni volta che lo scorgevo con la coda dell’occhio mentre si riavviava i ricci, ribelli e mori, ma che non gli davano mai un’aria trasandata. Teneva molto al suo aspetto.

Ebbe subito un grande successo tra le compagne di classe, calamitate dal suo fascino esotico e dal sorriso gentile che mostrava a tutte.

Nonostante questo, era solo. Immaginavo che farsi dei nuovi amici in una scuola diversa, in una città sconosciuta, non fosse facile, però a lui non dispiaceva. Era un solitario.

Da quel giorno, lo rividi spesso, non soltanto a scuola. Ogni mattina prendevamo lo stesso autobus alla stessa fermata. Abitavamo nella stessa zona. Solo al termine delle lezioni non facevamo lo stesso tragitto. Non tornava mai in autobus. Scoprii dove andava un mese dopo: la professoressa di storia aveva assegnato un approfondimento individuale sui protagonisti del Rinascimento.  A me era toccato Pico della Mirandola. Visto che la professoressa aveva vietato di usare internet, mi trattenni un pomeriggio in biblioteca per consultare qualche manuale di storia.

La bibliotecaria mi aveva riempito di volumi su quel filosofo, che non avevo mai sentito nominare prima della ricerca, e la sala studio era piena. Fortunatamente trovai una sedia vuota in fondo alla sala, vicino a una finestra. Mi accorsi del ragazzo che occupava il posto di fronte a me quando lasciai cadere i pesanti tomi che reggevo sul tavolo. Feci così rumore, che lo disturbai. Alzò la testa per vedere cosa fosse successo. I nostri sguardi s’incrociarono. Mi riconobbe e per la prima volta mi sorrise. Poi tornò a studiare. Al contrario di lui, io non ci riuscii: lo sbirciavo continuamente, poi non capivo nulla di filosofia. Non era una materia in cui andavo bene. Maledissi la prof di storia per avermi costretto a studiare quel Pico.

Lui, però, non si distraeva mai e per questo lo ammiravo. Sembrava che studiare non fosse un peso per lui, ma più un piacere. In fin dei conti, la sua media scolastica era eccellente. Ero tentata di chiedergli spiegazioni sull’idea filosofica di Pico, ma mi dispiaceva disturbarlo.

Fu lui a fare il primo passo. Non so quanto tempo passò, ma lo spiai strappare un angolo del quaderno, scribacchiarci sopra qualcosa e porgermelo.
“Torni a casa in autobus?”
Non so se si accorse della mia reazione sorpresa nel leggere il foglietto, ma io me lo ricordo ancora oggi. Sgranai così tanto gli occhi, che sembrò che quelli mi stessero per uscire dalle orbite. Le mie guance divennero incandescenti e scarlatte come lava. Il mio cuore smise di battere, forse realmente. Poi riprese il suo tartassante martellio dopo pochi secondi. Con mano tremante, gli risposi e gli ripassai il bigliettino.
“Sì.”
“Anch’io. Torniamo insieme?”
“Va bene.”

Non potevo crederci. Lui, il ragazzo nuovo, il ragazzo più desiderato della classe, mi aveva rivolto la parola e mi aveva chiesto di tornare a casa con lui. Ero troppo giovane per capire che quell’offerta galante era solo un gesto amichevole che non nascondeva secondi fini, però gli adolescenti si illudono e in questo sta la loro bellezza.
Non riuscii a terminare la mia ricerca, un po’ per colpa di Pico e un po’ perché non facevo altro che fantasticare sul nostro ritorno in autobus. Immaginavo sguardi maliziosi e discorsi sagaci che ci avrebbero fatto innamorare perdutamente l’uno dell’altra, ma in realtà ciò non avvenne. Adesso so che la colpa fu della mia goffaggine nell’intrattenere conversazioni col sesso maschile, ma all’epoca incriminai il materiale preso in prestito dalla biblioteca per la mia ricerca. Il Ragazzo di Città. Mi aveva distratto troppo ed io dovevo per forza studiare a casa per recuperare il tempo perso a osservarlo.

Durante la corsa scambiammo poche parole imbarazzate. Lui mi metteva in soggezione con quegli occhi castano chiaro che mi fissavano continuamente. Erano penetranti, seducenti, ma anche timidi e in una qualche maniera intimidatori. Mi sentivo così a disagio nel parlargli. Immaginai che quel suo atteggiamento cordiale celasse una vena superba, argomentata dal fatto che io avevo portato via cinque libri dalla biblioteca e lui neanche uno. Mi sentivo inferiore a lui.
Quando scendemmo, lui si offerse di accompagnarmi fino alla porta, ma declinai stupidamente. Non volevo sentirmi ancora sotto pressione in sua presenza. Mi guardò confuso per un paio di secondi, poi disse:
- Non essere stupida. Ormai è buio e non è sicuro che una ragazza si aggiri da sola per le vie deserte. Ti accompagno, non è un disturbo.
Davanti a quel tono autoritario, mi smarrii.
- Scusa, non volevo spaventarti. È solo che non tornerei a casa tranquillo, sapendoti in giro da sola. Se ti capitasse qualcosa di male, non me lo perdonerei mai.
Ero ancora scossa, tuttavia acconsentii ad accompagnarmi. Fu il viaggio più imbarazzante della mia vita. Non solo non ci rivolgemmo la parola, ma non ci guardammo neppure. Eravamo due adolescenti confusi.

La mattina dopo lui non era sull’autobus e nemmeno a scuola. Durante tutte le lezioni provai un notevole senso di colpa: mi chiedevo continuamente se la sua mancanza fosse dovuta a un guaio capitatogli dopo avermi portato a casa. Questo pensiero mi occupò così tanto la mente, che non presi alcun appunto delle spiegazioni dei professori. Pensavo solo a lui e a cosa poteva essergli accaduto.

Lo vidi più tardi in stazione. Mi rassicurai nel vedere che stava fisicamente bene. Soltanto gli occhi erano tristi, più del solito. Aveva con sé lo zaino, quindi dedussi che avesse semplicemente marinato la scuola, anche se non lo credevo capace di ciò. Era irrequieto. Non faceva altro che controllare con lo sguardo ogni persona lì presente, quasi stesse cercando qualcuno. No, non qualcuno. Stava aspettando me.

Appena mi vide, mi venne incontro e mi propose di andare con lui a studiare in biblioteca. La parte innamorata di me supplicava di accettare, ma quella razionale pretendeva che tornassi subito a casa per studiare Pico in solitudine, perché con lui davanti mi era impossibile concentrarmi. A malincuore dovetti darle ragione. Spiegai al meraviglioso ragazzo la situazione e per la seconda volta rifiutai una sua offerta.

Mentre parlavo, tremavo. Avevo paura di un’altra sua reazione gelida e dittatoriale, ma non successe niente di tutto ciò. Mi fissò, divertito ma anche compassionevole.
- Se trovi la filosofia così difficile, te la spiego volentieri.

Non mi resi conto di come lo guardai, ma lui trovò la mia espressione così buffa da scoppiare a ridere. Subito mi vergognai, poi notai che l’ombra malinconica che lo avvolgeva era scomparsa e mi ritrovai a sorridere per lui.

La sua lezione fu semplice e essenziale e mi garantì un bel voto per il progetto. Da quel giorno divenne un’abitudine studiare insieme, prima in biblioteca e successivamente a turno a casa sua o mia.

In quel periodo ci conoscemmo a fondo e stargli accanto non fu più un problema. Mi sentivo fortunata ad averlo trovato come compagno, ma soprattutto come amico.
Ben presto la gente cominciò a vederci non più come due persone differenti, ma come una sola anima. E noi ci sentivamo così: le due metà dello stesso cuore.
Gli anni passarono, ma essi non servirono per separarci. Eravamo più forti di loro. Soltanto una malattia ci vinse e decise di portarsi via la mia metà, in un ospedale straniero che per il momento io non posso visitare.

Ricevo comunque sue notizie almeno una volta alla settimana e ciò mi rassicura. Mi parla della sua nuova vita, fatta di riposo e meditazione, e mi ripete continuamente quanto è felice, ora che la sua radicale tristezza si è placata. Io lo ascolto ogni volta e sorrido, pensando agli occhi malinconici che ho tanto amato e che adesso non lo sono più. E sorrido, sapendo che un giorno mi ammalerò anch’io della sua stessa malattia e sarò trasferita nel suo stesso ospedale straniero, dove potrò finalmente raggiungere il mio meraviglioso Ragazzo di Città.
   
 
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