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Autore: ethelsgonnabeokay    04/01/2014    2 recensioni
Aveva atteso, rinchiuso in una gabbia dorata, quella da cui aveva tentato di liberarsi per anni; si era dato dello stupido, alla fine. Non sarebbe mai dovuto cadere dentro quella prigione di ferro invisibile, perché ora non ne sapeva trovare la chiave.
La Johnlock è giusto nominata, anzi si potrebbe prendere come bromance, dipende da come la vedete voi (?) Ed è una specie di kid!lock, presumo.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Voleva solo essere liberato. Chiedeva tanto?
Non si sarebbe mai dovuto trovare in quella situazione, in realtà. Sapeva quanto le persone fossero diffidenti verso il diverso, anche se quella diversità era buona, produttiva.

Sherlock Holmes era un genio, e in quanto tale ragionava in modo diverso dei suoi coetanei; e, di conseguenza, non aveva amici. Pensavano che non gli importasse nulla, e lui lasciava che deducessero cose sbagliate, dimostrandosi al massimo irritato. Questo ripeteva a sua madre che, affettuosa, ogni giorno gli chiedeva se ci fossero novità a scuola: gli accarezzava i ricci neri con dolcezza, sorridendo mentre sfogliava i quaderni, felice; per quanto a Sherlock non importasse degli appunti degli insegnanti, quelli non potevano essere che elogi. Suo padre li guardava distrattamente, con la mente altrove, ma sorrideva ogni volta – e Sherlock ne era felice, ignorava volutamente la vocina che gli diceva che era solo un sorriso di formalità. Poi c'era Mycroft, che era il suo unico confidente; per quanto potesse essere poco incline agli atti di affetto, era comunque lui che spesso e volentieri rispondeva alle sue domande curiose e che lo aiutava con i piccoli esperimenti che già conduceva.

Quando si era rovinato tutto questo? Non lo sapeva, non sapeva indicare una data o un'ora o... o qualsiasi cosa. Odiava non sapere, odiava che le cose succedessero senza che lui potesse controllarle; e quella rovina non aveva potuto tenerla a bada perché non era riuscito a capire quando aveva avuto inizio. Forse c'era sempre stata, quell'aria di malinconia che lo avvolgeva e che era diventata parte di lui. Era successo: un giorno si era reso conto che Mycroft era diventato più scostante e gli sguardi di loro padre si erano fatti più rari. Aveva avuto paura, paura che fosse stato lui ad allontanare tutti, perché era strano, era uno scherzo della natura, un abominio, glielo dicevano sempre. Sua madre si interessava di meno alla scuola e lo guardava con tristezza più spesso; quando incontrava gli insegnanti, loro le dicevano sempre la stessa cosa, Sherlock lo sapeva: “Suo figlio sembra più triste ogni giorno che passa”. E lui era sempre più triste, e su questo soffriva fin troppo in silenzio. Aveva smesso di piangere da anni, aveva cominciato a scaraventare i soprammobili attraverso la stanza; era così che si sfogava, usando la sua forza per fare del male solo a sé stesso.

La scuola era finita così com'era cominciata: nel fuoco, con Sherlock che bruciava lentamente e nessuno riusciva a spegnerlo. Si sentiva bruciare dentro, quando non poteva tenere la mente occupata: allora la sua arma migliore diventava anche la più suicida, lo trascinava nel buio della paura e dei ricordi, in un ignoto che non faceva altro che colpirlo, colpirlo, colpirlo. Era forte, lui; per quanto sembrasse fragile, aveva un corpo temprato da anni di pugilato – ma neanche tutto lo sport del mondo avrebbe potuto fare qualcosa per aiutarlo. Tutto ciò che toccava si trasformava in cenere, chiunque avesse a che fare con lui prima o poi gli faceva male. Perciò si era chiuso in sé stesso, nonostante le ragazze fossero attratte dagli zigomi alti e dagli occhi chiari come api dal miele.

C'erano quei momenti in cui nella sua mente accadeva tutto e troppo, troppo in fretta, e lui rischiava di impazzire. Le altre persone gliel'avevano ripetuto per anni, sottovoce, che prima o poi qualcuno l'avrebbe sbattuto in un ospedale psichiatrico e l'avrebbe lasciato lì per sempre. Ora lo dicevano ad alta voce, perché sembrava tutto a favore di questa teoria. La droga era stata la sua risposta, alla fine. L'oblio, ecco cosa desiderava: un oblio eterno, colorato dai toni del grigio e dalle voci delle persone che l'avevano lasciato solo. Poi Mycroft lo aveva scoperto, ed era stato un inferno. La casa si era riempita delle sue grida, delle accuse verso i loro genitori, della rabbia e della preoccupazione  verso Sherlock, che dal canto suo rimaneva in un angolo, sguardo vitreo e demoni che correvano in testa. Non era finito all'ospedale psichiatrico, ma in un centro di riabilitazione; ed era caduto da qualche parte fra il primo e il secondo rehab. Non si era più alzato, chi gli avrebbe mai teso una mano a cui aggrapparsi? Mycroft era troppo orgoglioso, e Sherlock gli aveva arrecato migliaia di torti – non l'avrebbe mai ammesso a nessuno, ma il senso di colpa esisteva anche in lui, e non sapeva come chiedere scusa. I loro genitori si erano allontanati, e non si fidava più nemmeno di loro.

Aveva atteso, rinchiuso in una gabbia dorata, quella da cui aveva tentato di liberarsi per anni; si era dato dello stupido, alla fine. Non sarebbe mai dovuto cadere dentro quella prigione di ferro invisibile, perché ora non ne sapeva trovare la chiave. E la gente, la gente che lo guardava come si guarda un animale allo zoo e rideva di lui, neanche troppo preoccupata che lo sentissero. Abominio, abominio: concordavano tutti su questo.

Alla fine era arrivato qualcuno a salvarlo. Qualcuno che aveva cercato la chiave di quella gabbia con pazienza, senza mai ritrarsi, e alla fine l'aveva liberato. L'aveva aiutato a rialzarsi. Sembrava che fosse lui a spingere John in giro, dall'esterno, ma in verità era tutto il contrario. John era stato ogni sua prima volta, era stato il suo primo amico, il suo primo compagno. John era salvezza, John aveva visto ogni parte di lui e non se n'era andato, John l'aveva stretto tra le braccia cautamente e gli aveva bisbigliato: «Con me non devi essere niente».
"I was so alone and I owe you so much".






Note dell'autrice
Io non avrei mai dovuto pubblicarla, questa shot. In realtà è solo un piccolo sfogo, completamente scontata e boh, non mi convince :/
Le parole di Jawn alla fine /e il titolo, come sono creativa/ sono tratte da Piromani de Le Luci Della Centrale Elettrica, se l'avete riconosciuta meritate un biscotto *distribuisce biscotti* E non credo che ci sia bisogno di dirvi da dove viene l'ultima frase, lol. Inoltre dovreste sapere che ho trovato l'ispirazione in questa fanart bellissima, adoratela *^*
Mi farebbe piacere sapere cosa pensate della storia :)
Ethel
   
 
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