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Autore: Ribes    05/01/2014    3 recensioni
Digory Kirke, un vecchio indirizzo, inchiostro, ricordi. Polly Plummer.
Di nuovo solo, Digory rilassò le spalle e strinse le labbra. Forse era meglio seppellirli del tutto, i ricordi, e lasciare che le cose continuassero per il loro corso. Eppure… c’era qualcosa, nascosto all’interno del suo cuore, che lo spingeva a intingere definitivamente la penna e a scrivere quella dannata lettera. Forse desiderava, almeno un poco, riprendere in mano la sua infanzia.
L’ormai uomo più che adulto prese un sospiro, si rizzò seduto e strinse la presa sulla penna. Con la punta finalmente macchiata d’inchiostro, la posò sul foglio e cominciò a scrivere.
Cara Polly Plummer…
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Digory Kirke, Polly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Do you remember?
"Ma prima di congedarci, lasciate che vi dica ancora un paio di cose..."



 
«Professor Kirke.»
Digory alzò lo sguardo dal foglio su cui oscillava la punta della penna, non ancora macchiata d’inchiostro. Erano ormai moltissimi anni che non prendeva quell’indirizzo in mano, eppure, quando lo aveva ritrovato fra le vecchie scartoffie nei cassetti del suo studio, si era sentito invadere da un’improvvisa ondata di ricordi. Rimembrava tutto perfettamente: il numero civico, la cittadina, il comune. Persino la vecchia casa, unita a tante altre grazie a cunicoli e piccole stanze vuote, era comparsa nella sua mente. Come se un raggio di sole avesse illuminato una fotografia seppellita nell’ombra da tanto tempo.
«Ditemi, signorina Macready» sospirò, chiamando la governante con il suo cognome. L’ormai anziana donna si sistemò gli occhiali sul naso appuntito e fece per dire qualcosa; prese fiato, ma la sua voce sfumò alla vista della carta sul tavolo di mogano e della punta ondeggiante sul flacone d’inchiostro.
«Professore, se avete da fare ripasso dopo.»
«Forse… forse è meglio. Se non vi disturba.» Digory fece un sorriso di scusa alla governante; dopodiché rivolse nuovamente lo sguardo al foglio di carta. La signorina Macready lo prese come un congedo e si allontanò in punta di piedi, non prima di aver rivolto un cenno di assenso al professore. Di nuovo solo, Digory rilassò le spalle e strinse le labbra. Forse era meglio seppellirli del tutto, i ricordi, e lasciare che le cose continuassero per il loro corso. Eppure… c’era qualcosa, nascosto all’interno del suo cuore, che lo spingeva a intingere definitivamente la penna e a scrivere quella dannata lettera. Forse desiderava, almeno un poco, riprendere in mano la sua infanzia.
L’ormai uomo più che adulto prese un sospiro, si rizzò seduto e strinse la presa sulla penna. Con la punta finalmente macchiata d’inchiostro, la posò sul foglio e cominciò a scrivere.
Cara Polly Plummer…
 
«Oddio, Digory!» La ragazzina dai capelli biondi fece un sorriso entusiasta, alzando lo sguardo e ondeggiando sulla punta dei piedi. «E’ davvero lui?»
Accanto a lei, l’ormai quattordicenne annuì. «In persona… o meglio, in albero.» Polly si voltò verso di lui con espressione esasperata, e Digory scoppiò a ridere. «Vuoi salire?»
«Magari potessi.» La biondina si stirò l’abito a quadri bianchi e azzurri, e le gote si tinsero di un pallido rosso. «Sono troppo grassa.»
«Sì, e io non sono mai stato a Narnia» la liquidò Digory, incrociando le braccia. «Piuttosto, sei troppo leggera. Un colibrì pesa più di te. Non li mangi mai i dolcetti a casa tua?»
Al ragazzo parve di avvertire un fremito di calore quando lei sorrise, e due fossette comparvero accanto alle labbra rosee. «Mamma non vuole, dice che sono troppo in carne già così. Però a settembre comincerò il college e allora potrò prendermi tutti i dolcetti che voglio. Di nascosto, però.»
«Sei più cattiva della regina Jadis, guarda» sbuffò il ragazzo, distogliendo lo sguardo per non avvertire di nuovo quella strana sensazione. Quando l’amica era scesa dalla macchina, pronta per le tre settimane annuali di vacanza nella sua casa di campagna, Digory aveva capito, in meno di un secondo, che qualcosa era cambiato. Forse era il fatto che ora Polly presentava più curve, era più slanciata, o forse il fatto che quando sorrideva pareva che il mondo si ingrigisse in confronto alla luce che emanava. Aveva compiuto tredici anni ormai da quattro mesi, e si era fatta grande; e Digory rimaneva fermo, anche se aveva persino quasi un anno in più di lei. Rimaneva piccolo nel corpo, diverso nella concezione della vita, legato a Narnia.* 
Aveva avuto paura che lei fosse, come dicono gli adulti, cresciuta.
Ma quando le aveva detto che, nel periodo in cui lei era stata in città, l’alberello nato dal torsolo di mela magica era cresciuto, gli occhi le si erano accesi di una gioia incontrollabile, ed era stato quasi impossibile aspettare che i signori Plummer li lasciassero soli per correre al piccolo e curato giardino dietro casa.
«I frutti, Digory» continuò a sorridere Polly. «Credi siano anch’essi mele magiche?»
«Non credo» rispose Digory, facendosi serio. «Aslan non ci avrebbe lasciato un segno così forte di Narnia. Voglio dire, diventerebbe subito una cosa commerciale e a lui non piacerebbe affatto, credo. Quindi forse un segno c’è, ma noi non lo vediamo. Forse dobbiamo aprire gli occhi.»
«Già.» Polly stette zitta un po’ con lui, ad ascoltare il silenzio. Le parve quasi di udire le voci degli animali di Narnia, e sorrise. Erano passati tre anni, ma non aveva dimenticato un singolo dettaglio. E nemmeno Digory.
Il ragazzo si alzò in punta di piedi, e afferrò la mela più in basso, per poi porgergliela. «Prima le signore.»
Polly scosse la testa e addentò la mela, seguita dall’amico, che ne aveva presa un altro. Subito le parve di volare di nuovo con le braccia intorno al collo di Piumino, fra le nuvole; esitò e poi le parve di cadere, e forse lo fece davvero; sentì le braccia del ragazzo serrarsi intorno alle sue spalle  per evitare che cadesse, ed alzò in mento, incrociando lo sguardo con quello di Digory.
«Sei tu il mio principe azzurro?» rise, lasciando il ragazzo un po’ spiazzato, che la sistemò in piedi.
«Deve esserci rum o cognac qua dentro» borbottò lui, esaminando la mela che aveva appena addentato. Lei rise, e si avvicinò. Erano ormai dieci minuti che continuava a sorridere, e i suoi occhi azzurri parevano ben più luminosi del solito.
«Cosa fanno gli ubriachi, di solito?» domandò, chinando la testa da un lato come una bambina curiosa.
Digory sbatté le palpebre, perplesso. «Gli ubriachi? Si prendono a pugni… si sbrodolano addosso… cantano canzoni idiote con l’intonazione di un maiale… dormono… hanno mal di testa… e poi?»
Polly si slegò la coda e mise l’elastico a mo’ di bracciale. «E poi questo» sussurrò.
Prima che Digory se ne rendesse conto, la ragazza si era slanciata verso di lui, premendo le labbra morbide contro quelle sottili del ragazzo. Parve strano e un po’ buffo come lui sfiorò con le dita i capelli di lei e come cinse il petto di lui, con il fare goffo di chi non ha mai baciato nessuno e ha visto però la gente farlo. Il quattordicenne si appoggiò all’albero, stringendo di più la biondina che lasciò cadere definitivamente a terra la mela, solo d’impaccio, e che fece scorrere le dita lungo il collo del ragazzo, fino a stringergli una ciocca castana e a ridacchiare sulla bocca dell’altro. Anche lui sorrise, e il tutto divenne forse più profondo di un semplice bacio a stampo; ma per i cinque minuti seguenti, tutto ciò che fecero fu unicamente muovere le labbra e sorridere.
Finché non si udì il rumore di una carrozza che si avvicinava.
Polly si staccò di scatto. «Sono i tuoi genitori» disse. Poiché Digory non rispondeva, voltò le spalle e si avviò verso il selciato per salutarli; ma la mano del ragazzo le premette sulla spalla dopo pochi passi.
«Devo considerarlo come un bacio da ubriachi, allora?» le sussurrò nell’orecchio. Lei avvampò.
«Non lo so.» Si volse verso di lui. «Tu come lo vuoi considerare?»
Digory sorrise. «Come un bacio di Narnia.»
«Cosa diavolo vuol dire, un bacio di Narnia?»
«Vuol dire che solo quest’albero conosce la storia. Solo quest’albero nasconde il segreto. E se tu vuoi lasciarlo tale, l’albero non dirà nulla a nessuno. Aslan sa tutto, però. Ricordatelo.»
Polly abbassò lo sguardo. «Voglio tornare a Narnia, Digory.»
Lui le accarezzò la guancia. «Io e te siamo Narnia, Polly. Non concepisco nient’altro.»
Lei sorrise, forse un po’ tristemente, e annuì, prendendolo per mano. Si allontanarono dall’albero delle mele magiche, diretti alla carrozza dei signori Kirke. Questi salutarono Polly, si dimostrarono entusiasti del suo ritorno e pronti a passare con lei tre settimane di vacanza.
Nessuno dei quattro si accorse che, intanto, nell’aria afosa e immobile estiva, le foglie dell’albero magico si muovevano piano.
                                              
Digory sospirò, lasciando cadere la penna dopo un’ora di scrittura intensa. Aveva lasciato che scorressero nell’inchiostro tutti i suoi ricordi e le parole che non pronunciava da ormai quasi venti anni; ed ora si sentiva quasi prosciugato. Si lasciò affondare nella poltrona.
«Signorina Macready? Cara, ho terminato» annunciò alla governante. Mentre attendeva che la donna concludesse le sue faccende per raggiungerlo, l’uomo rilesse la lettera di ben sette pagine scritta a quella che era stata ben più di una cara amica. Sì, aveva citato, dopo aver preso coraggio, persino l’episodio del bacio; era uno di quelli che la sua mente si ostinava a non cancellare. Pensava di aver eliminato il ricordo di Polly Plummer, forse per sempre, ma evidentemente non era così. Si ritrovò a desiderare di vederla. Era passato talmente tanto di quel tempo, dall’ultima volta che l’aveva vista. Avevano trentanove anni e se lo ricordava ancora. Non si era mai sposato, ma lei poteva dire lo stesso? Avvertì un fitto di nostalgia, e scosse la testa. Troppo tempo era passato. Erano cresciuti. Aveva sessantadue anni, era vecchio ed era solo.
«Eccomi, professore, scusi il ritardo.» La governante comparve ritta e severa sulla porta, e Digory si aggiustò gli occhiali, voltandosi verso di lei con un sorriso.
«Oh, eccovi, grazie mille. Prima di tutto, vorrei recapitaste questa lettera a… Uh, l’indirizzo è scritto sopra.» L’uomo consegnò i sette fogli alla signorina Macready, che li prese fra le mani senza alcun tipo di sbirciatina. «Posso dirvi ora ciò che mi hanno riferito questa mattina?»
«Certo, cara.» Il professore la invitò con un cenno a proseguire.
«Come sa, la guerra ci sta divorando. I bambini non hanno dove andare. Le scuole chiudono, i genitori non hanno lavori, le case vengono distrutte e l’Inghilterra rischia di finire veramente molto male; le difese adottate non sono abbastanza forti da proteggere tutti gli abitanti. Ci ha contattato una famiglia di Londra con non uno, non due, ma ben quattro bambini alla ricerca di un riparo sicuro sinché gli attacchi non saranno terminati. Lei è pronto a sopportare quattro schiamazzanti fanciulli?»
Digory sorrise. «Mi pare ovvio. Quali sono i loro nomi?»
«Oh… giusto.» La signorina Macready si frugò in tasca, appoggiò i sette fogli su una sedia e ne dispiegò un altro, leggendovi sopra. «Peter, Susan, Edmund e Lucy Pevensie.»







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Eccomi qui! Era un po' che desideravo scrivere su Narnia e, anche se all'inizio ero più puntata sull'Età d'Oro, alla fine ho deciso di dedicare qualcosa a Digory e Polly, così tanto ignorati nel fandom, forse perché non hanno un ruolo primario tanto quanto i fratelli o Eustace e Jill. Comunque, ecco qui. Forse avrete notato un vago riferimento, qui (*) a "La casa degli spiriti" di Isobel Allende: ebbene, c'è. Un'altra cosa è che nei baci sono monotematica, ma pazienza, spero i pomodori lanciati non siano troppi Dx
Niente, con questo vi lascio :3 Ditemi che ne pensate!
Ribes.
   
 
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