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Autore: umavez    05/01/2014    3 recensioni
« Ho trovato un aggancio, però. » disse quasi ridendo,  interrompendolo dall’ignorarla. Sakura si sistemò meglio a sedere e ricalcò con il dito indice il solco fatto poco prima con il bastone.
« Ho trovato una cosa che ci accomuna tutti, o che ci accomunava. »
« La sfiga? »
Sakura ridacchiò scuotendo la testa.
« Baka. » gli disse, senza smettere di ridere.
Naruto sperò fino in fondo – anche perché sentiva che quella sarebbe stata la sua ultima possibilità di sperare - che fosse Sakura stessa la cosa che li accomunava, o almeno l’amore.
« Sono gli occhi. »
Dedicata a tutti quelli che dovrebbero essere felici, ma non lo sono.
SasuSaku One-sided. Team 7.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Team 7
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Ho iniziato una long convinta di andare a passo di marcia, ma in realtà l’umore non è stato dalla mia parte durante queste vacanze Natalizie, e questo è ciò che è scappato fuori. Non ho passato molto tempo a controllarla e a correggerla, anche se probabilmente ce n’è bisogno. L’ho scritta in poco tempo ed ho subito sentito il bisogno di pubblicarla, non so perché. Quindi ripeto ciò che ho scritto nell’introduzione: dedicata a tutte le persone che dovrebbero essere felici, ma non lo sono. Sono un po’ incerta sull’OOC. Io non l’ho messo, ma accetto volentieri suggerimenti al riguardo, mi servirebbero. Ciao a tutti
 
 
 
 


 
Rosso di natura
 
 
 


 
Il sole era appena sorto, ad est. Non riusciva ancora a vederlo, le mura del villaggio ne coprivano l’intera circonferenza. Ma guardando il chiarore del cielo, appurò che il sole era sorto anche quella mattina, ed anche quella volta, sempre ad est. Si chiese se fossero state davvero necessarie quelle mura intorno a Konoha. Era da due anni che della guerra non se ne sentiva nemmeno l’odore, e non era sicura che nel mondo fossero rimasti uomini capaci solo di piallare una tavola di legno o di coltivare un orto senza saper correre in verticale sui muri.
 
Fece un passo dietro all’altro in verticale senza più sentire il brivido dello stomaco che si contorce, o la sensazione di cadere all’indietro di quando ancora non si è capaci di rimanere dritti. Dritti in orizzontale senza essere morti: la posizione più innaturale che conosceva, a meno che non si stesse dormendo. La vita dei ninja era innaturale in ogni sfaccettatura, ma lei continuò a camminare in verticale senza più nemmeno pensare che la forza di gravità sarebbe stata in grado di riportarla sul terreno ormai, dopo tutti quegli anni di allenamenti.
 
Poggiò una mano sulla fronte per coprire gli occhi dalla luce diretta del sole quando arrivò in cima. Non ancora del tutto sorto, con una circonferenza non completa che si spezzava sulle punte frastagliate delle montagne in lontananza.
 
Guardando verso il basso poi, verso il sentiero che portava all’entrata del villaggio, c’era Sasuke.
 
Lei non tolse la mano da sopra gli occhi, perché ancora non capiva se la vista di lui sarebbe stata più o meno dolorosa di quella del sole senza un cannocchiale adatto.
 
Lui camminava con insolita calma, con vestiti diversi da quelli che gli ricordava avere indosso, e puliti anche. Aveva l’aria di uno che si era preso un mese intero per percorrere una strada che normalmente si attraversa in qualche giorno scarso, l’aria di uno che non aveva fatto nessuna corsa tra gli arbusti e che non si era graffiato maldestramente tra i cespugli di rovi.
 
Si sporse un poco togliendo la mano dalla fronte e poggiando entrambi i gomiti sulla balaustra di pietra, le mani si intrufolarono all’interno dei gomiti mentre si alzava sulle punte.
 
Lui si fermò di scatto perché, nonostante la guerra fosse finita, era rimasto un ninja più di qualsiasi altra persona, come tutti gli altri, come il resto degli uomini che portavano ancora giubbotti da combattimento e che ancora si arrischiavano a partecipare all’esame di selezione dei chunin. Guardò in su perché l’aveva percepita.
 
Gli occhi non le si spalancarono nello stupore, e tantomeno si assottigliarono nel pianto. Solo la bocca si dischiuse un poco, perché lei doveva andare sempre un po’ controcorrente, e tradì la sorpresa.
 
Sasuke sarà stato lontano non sapeva nemmeno quanti metri, perché non si ricordava più l’altezza delle mura, come del resto non si ricordava quale fosse il punto debole di queste, e quello da cui invece sarebbe stato più probabile ricevere un attacco a sorpresa.
 
Lui fermò il passo e poi la guardò, e seppur deformata dai colori rosei e aranciati dell’alba, era sicura di essere stata riconosciuta: forse perché era l’unica presente all’entrata del villaggio in tempi di pace, e quello lasciava intendere che, come sempre, era in attesa.
 
In attesa di lui e del suo passo calmo e cadenzato, di quello sguardo che adesso la vedeva e che, se avesse oltrepassato le mura del villaggio, si sarebbe condannato a vederla per molto, molto tempo.
 
Le persone decidono della loro vita e del loro destino a piccoli passi, e a piccoli gesti, e a piccole scelte. Sasuke stava per scegliere se tornare a casa, e lei era lì, per esserne partecipe così come lo era stata nel momento della fuga. Perché almeno in una delle decisioni di Sasuke lei doveva entrarci qualcosa, almeno in una, anche nella più sbagliata, magari. Lo guardò ancora e ancora perché lui faceva lo stesso, senza più avanzare ma senza neanche fare un passo all’indietro.
 
Voleva urlare “Scegli di tornare! Scegli di tornare perché ci sono io, qui, che ti aspetto da sempre! Non mi vedi, Sas’ke-kun?! “, lo avrebbe urlato quasi d’istinto e senza pensarci, così come senza pensare andava ogni mattina all’entrata del villaggio. Ma l’istinto non la guidò in quel momento.
 
Si chiese se potesse davvero esistere l’istinto per un animale pensante come l’essere umano, e ancor di più, si chiese se potesse esistere per un ninja, un combattente per natura a cui tutto, tutto era stato insegnato, come schivare i colpi, come attaccare, come morire. Si chiese se fosse potuto esistere per lei, un essere umano, una ninja, una donna che invece di avere la vita a portata di mano, aveva passato i suoi anni a pensare alla vita, e il tempo per farlo non le era mancato.
 
Il tempo per farlo le era sembrato, anzi, quasi inesauribile, come una clessidra magica in cui la sabbia aumenta nella metà superiore e straordinariamente sparisce in quella inferiore.
 
Ma il momento era arrivato, e lei aveva trascorso un numero talmente infinito di ore a domandarsi cosa avrebbe detto e fatto che, in quell’attimo in cui uno dei due avrebbe dovuto dire qualcosa per creare uno scontro tra loro, un impatto, quando sarebbe stato necessario interrompere il silenzio, perché il contatto visivo stava diventando insostenibile e gli occhi cominciavano a bruciarle, Sakura, che aveva pensato per anni ad un “ben arrivato Sas’ke-kun, ti stavo aspettando” che all’improvviso le suonava patetico, avrebbe voluto affidarsi completamente all’istinto, ma capì di non avercelo più a disposizione.
 
Lo aveva soffocato con tutti i pensieri contorti della notte, e l’unica cosa che era rimasta intatta era il cervello.
 
Lei avrebbe voluto agire, riscoprirsi incapace di stare zitta e parlare, dire cose senza senso e senza importanza, come “oggi c’è un bel sole, Sas’ke-kun” e dimenticarsi di tutte le varianti di quell’incontro che si era immaginata e che non stavano prendendo piede nella realtà.
 
E dopo cinque anni, constatando di aver perso l’istintività ma con ancora un gran bisogno di dire qualcosa, Sakura si concesse giusto quel fondamentale  minuto di tempo per capire se sarebbe stato sensato parlare, o solo ridicolo.
 
E alla fine, non disse nulla.
 
E Sasuke...
 
 
 
 
 
°°°
 
 
 
 
 
« Non capisco proprio cosa sia tornato a fare. » disse impettita, sempre più convinta col passare dei mesi di ciò che diceva. Lui seguì con attenzione il sassolino che Sakura aveva calciato lungo la strada, uno in mezzo ad altri mille che la ricoprivano, e che dopo una manciata di passi si ritrovava di nuovo allineato con il piede di lei, sempre lui, sempre lo stesso sasso, e ancora veniva calciato e scaraventato un po’ più in là.
 
Lei lo colpì con la stessa forza di prima e con lo stesso identico movimento della gamba, senza perdere il passo e senza sbagliare la mira. Il sassolino rotolò senza deviare né a destra né a sinistra. Era lì, a pochi metri da loro nel bel mezzo della strada e il piede di Sakura lo avrebbe colpito ancora entro qualche secondo, per l’ennesima volta.
 
« Cosa ci è tornato a fare qui, se tanto non è cambiato niente? »
 
Naruto, arrivati davanti al sassolino, spinse Sakura di lato con la spalla e le rubò l’occasione del calcio. Il sassolino finì fuori dalla strada ricoperta di ciottoli, sparendo tra l’erbetta del parco circostante. Sakura lo guardò, indispettita più per essere stata interrotta e ignorata che per il sasso.
 
Naruto le sorrise colpevole, e poi mise le mani in tasca. Lei riprese a camminare a passo lento e si guardava i piedi mentre lo faceva, e così come avrebbe cercato un altro sassolino da calciare, era sicuro che avrebbe ricominciato a lamentarsi di come niente, niente fosse cambiato di una virgola.
 
« Io...»
 
Naruto conosceva a memoria ogni lamentela di Sakura.  Era da mesi che le ascoltava, e diventavano di giorno in giorno sempre più uguali. Le contava sulle punte delle dita le volte in cui lo cercava e gli chiedeva di passeggiare per poi finire sugli stessi argomenti di sempre. Ne diceva almeno cinque al giorno, trovando il modo di ritornarci sopra se, per puro caso, per fortuna, qualcuno li interrompeva o entrambi si distraevano con qualcos’altro. E se una volta esagerava, arrivando a sette o ad otto lamentele, allora se ne stava zitta per un po’, sparendo per mezza mattinata e ricomparendo quando ormai le sembrava di aver fatto passare abbastanza tempo, dopo essersi convinta di aver espiato le sue colpe.
 
Naruto credeva che se ne vergognasse, e che si rendesse conto di essere estenuante.
 
Lui cercava di esserle complice di tanto in tanto, e di non smentirla, né rimproverarla, perché non sapeva come avrebbe reagito o come l’avrebbe presa. Sakura aveva iniziato a parlare meno di tutto quanto, tranne che delle sue lamentele ricorrenti, perché, gli aveva detto un giorno, “le cose non mi vengono più d’istinto, Naruto-kun, e quando sto per dire una cosa, mi chiedo se sia davvero quella giusta, se sia necessario dirla, cosa ne penseranno gli altri. È strano riscoprirsi a pensare che la maggior parte delle volte non ne vale la pena. Prima ero una gran chiacchierona!”. Quella volta aveva sorriso e aveva aggiunto: “Visto? Mi sono diagnosticata da sola una malattia”.
 
In quel momento se ne stava in silenzio, non aveva più cercato sassolini a cui dare calci perché erano arrivati al punto cruciale della passeggiata. Erano giunti alla panchina su cui Sakura non si sedeva mai, e lei la guardò a lungo senza saper muovere un passo. Lo guardò con gli occhi un po’ lucidi e lui decise di posarle un braccio intorno alla spalla e di riportarla a camminare. Lei sospirò pesantemente, continuava a guardarsi i piedi.
 
« Sakura, » prese di mira un altro sassolino incappato nella sua traiettoria e gli diede un altro calcio. Anche quello sparì chissà dove. Si chiese da chi avesse ereditato una così pessima propensione per la mira.
 
Sakura stava in silenzio e quando succedeva per troppo tempo, Naruto non capiva se fosse stato il caso di interromperla e di rifilarle qualche battuta, e trascinarla di nuovo nelle chiacchiere, o lasciarle la lingua in bocca, ferma, con il solito groppo in gola. Perché tanto quando parlava si lamentava di Sasuke, e quando non parlava, pensava di lamentarsene. Trovava sempre un modo diverso per dire le stesse cose. Oramai non prestava nemmeno più ascolto ai suoi ragionamenti astrusi, perché la chiave di lettura era sempre uguale.  
 
« Sakura, » disse di nuovo, stringendola di più nella spalle, « Tu lo detesti così tanto. »
 
Lei rizzò la testa e la scosse, frenetica, ma non parlò neanche in quel caso, e non fece gesti avventati, non lo contraddisse più del necessario perché Naruto l’aveva ascoltata moltissime volte, e nonostante fosse consapevole che la parola odio, per Sakura, nascondeva la parola amore, era innegabile che lo detestava, in un modo tutto suo.
 
« Ma penso che sia perché...» lui si fermò e le fece segno con la testa di sedersi su una panchina, che era uguale a tutte le altre, uguale anche a quella che Sakura odiava, ma che del resto era solo una panchina. Lui si sedette e lei rimase in piedi lì davanti, il braccio di Naruto scivolò via dalla sua spalla ma per non lasciarla andare del tutto le prese una mano nelle sue e cominciò a giocare con le sue dita.
 
Le sorrise e Sakura ricambiò, sempre per troppo poco tempo, e poi guardò il cielo sempre più chiaro, i colori pastello cominciavano ad avere il sopravvento sul resto. Lei disse “il sole è sorto ad est, anche oggi”. E Naruto capì che anche quello era un modo per dire che lei viveva nella stasi e che niente, niente cambia mai, nel mondo. Avrebbe voluto urlarle contro che era ingiusto giocare la carta del sole, perché il sole non può fare altro che sorgere ad est, e non è colpa sua se le cose sono immobili, che è la terra che gira e il sole sta fermo, e che c’erano prove concrete che il mondo è in costante movimento. Ad esempio, che c’era la pace e non c’era più la guerra, che Kurama era divertente quando ci si metteva, e che il sole, se se la voleva prendere proprio con lui, un giorno avrebbe smesso di sorgere ad est, perché sarebbe esploso.
 
Naruto prese un respiro profondo, e tentò di difendere il sole andando incontro a Sakura.
 
« Penso sia perché non è tornato come volevi tu. »
 
Aveva sentito sul suo capo lo sguardo confuso di lei, che dal cielo lo aveva spostato sulla sua chioma bionda. Naruto continuò a tirarle le dita e le fermò il polso quando Sakura cercò di ritirare la mano. Non alzò gli occhi e non la guardò nemmeno, non riuscì ad immaginare il suo volto, e non era sicuro di volerlo vedere. Giocò con il suo mignolo ancora per un po’, piegandole tutte le falangi e cercando di fargli assumere posizioni distorte, mentre Sakura rimaneva in silenzio.
 
La luce nel cielo aumentava di minuto in minuto.
 
« Lui è stato via tanto, è vero. Alla fine della guerra se ne è andato per conto suo, e siamo stati altri due anni in attesa. E cinque anni sono tanti, hai ragione. »
 
Smise di storcerle le dita e le prese la mano sul serio, intrecciando le dita.  Cercò di tirarla giù e di farla sedere, ma lei si rifiutò categoricamente, fece un passo indietro sulla strada. Naruto sospirò, poggiando le mani sulle ginocchia e alzando il volto lentissimamente. Sakura non lo stava guardando, fissava la fine della strada, lì dove ci sono le ultime case abitate e alla fine l’uscita dal villaggio. Dove c’era il sole che sorgeva ad est.
 
« È stato due anni senza voler tornare, nonostante non avesse più niente da raggiungere, senza più un briciolo di missione. È stato due anni senza aver bisogno di me, senza bisogno di te, e tu non riesci a mandarlo giù. Ma Sakura-chan...»
 
Si sporse un po’ in avanti e riacciuffò una sua mano. La stretta di Naruto era di ferro e lei non aveva tutta quella forza che dava a vedere.
 
« Abbiamo passato tre anni a cercarlo, e li abbiamo mandati giù, quelli. E allora mandiamo giù anche gli ultimi due che abbiamo passato ad aspettarlo, e basta, Sakura-chan. L’acqua passa sotto i ponti continuamente, perché questa no? »
 
Sentì Sakura tirare su con il naso. Aveva le sopracciglia crucciate, non sicura di aver sentito bene, Naruto continuava a stringerle la mano e aspettava una risposta di quelle ponderate a lungo di Sakura, che vagliava i pro, i contro, le possibilità, e poi si domandava a cosa sarebbe servito rispondere. Sorrise sperando che lei lo facesse di rimando, come poco prima, ma Sakura non lo fece: gli occhi le si assottigliarono e tutte le lacrime che vi erano contenute strabordarono sulle guance.
 
« Sakura-chan...»
 
« È acqua imbevibile, Naruto-kun. » disse prima di singhiozzare.
 
Lei riprese possesso della sua mano e ci si coprì il volto sfatto dalla tristezza che si ritrovava. Scosse la testa lasciando che i capelli rosa, non più tagliati da due anni, si muovessero con lei.
 
« È imbevibile, è sporca, è impossibile da mandare giù! » gridò da sotto le mani per farsi sentire bene. Si chiese quanto di quell’urlo fosse stato istintivo, o se anche quello era stato in magazzino pronto all’uso da anni.  
 
Naruto non si alzò, ma al contrario si lasciò cadere stancamente sullo schienale ruvido della panca, lì dove Sakura non avrebbe mai osato raggiungerlo perché le metteva troppa tristezza e troppa nostalgia. Tirò le labbra l’una contro l’altra per non dover assumere nessuna espressione, per togliersi il peso di decidere quale sarebbe stata la più appropriata alla situazione, quella per non mortificare ulteriormente Sakura e quella per non sembrare troppo felice.
 
Ne assunse una di stasi, forse l’unica che Sakura avrebbe capito.
 
« Se fosse stato via vent’anni e fosse tornato dicendoti ti amo, sarebbe stata limpida. » disse infine, inespressivo.
 
Lei scostò le mani dal volto giusto un attimo, per guardarlo sconvolta, e poi se ne andò via.
 
 
 
 
 
°°°
 
 
 
 
 
Per quanto avessero passato un’ eternità tra quegli alberi, Naruto non si era mai soffermato ad osservarli con attenzione. A forza di scappare e di inseguire in mezzo ai boschi, a forza di correrci perché era a due passi dal ritornare a casa, e a forza si scattare perché era appena iniziata una missione, non si era mai preso la briga di uscire e di passeggiarci, nei boschi intorno a Konoha.
 
Sakura invece li conosceva bene. Aveva preso l’abitudine, ultimamente, di passeggiare da sola dopo la loro ultima conversazione, e se ne andava per boschi a cogliere i fiori, passava al cimitero, guardava le tombe e ce li posava sopra, su quelle disadorne da un po’ troppo tempo. Osservava come la tomba di Neji Hyuga fosse degna di un membro della casata principale, e non della cadetta, e sbirciava gli epitaffi in cerca di un passato più coinvolgente. Ogni tanto arrivava ai confini della terra del fuoco e si fermava lì, a guardare oltre, a immaginarsi il deserto o la nebbia, o i campi d’erba o i cieli di nuvole. 
 
La vedeva muoversi tranquilla e senza fermarsi mai, come se avesse conosciuto a memoria tutte le insorgenze del terreno, tutte le radici, tutte le pozze d’acqua presenti.
 
Alzò lo sguardo in alto a scorgere tra i rami e il fogliame la luce del sole filtrare piano piano, allo zenith.  
 
« Qui non fa caldo come in città. » le disse contento, « quest’estate è peggio del solito. »
 
« Lo so! » gli rispose Sakura da una decina di metri più avanti. Lei si voltò a guardarlo e Naruto la vide sorridere. Sorrise con lei, sperando di esserne all’altezza.
 
Sakura si mise seduta senza preavviso, tanto da fargli credere che fosse caduta, in un luogo che gli sembrò inadatto a tutto, sia per un riposino che per la semplice comodità, o per l’igiene. C’era più terra che erba per terra, nemmeno un’ombra di morbido muschio. Non si sedette vicino a lei solo perché, quando la raggiunse, la vide raccogliere un bastoncino e cominciare a disegnare qualcosa sul terreno.
 
Naruto sorrise quando si accorse del 7 che ne era venuto fuori.
 
« Sai Naruto, » gli disse lei. Si voltò a guardarlo e lo invitò a sedere. Aveva un sorriso paragonabile a quello di Jiraya, Sakura, era grandissimo e contagioso, e arrivava da una guancia all’altra così bene che Naruto si chiese se fosse stato umanamente possibile sorridere in quel modo senza spaccarsi le labbra in due.
 
« tu sei cambiato molto. »
 
Si convinse a sederle accanto e a sporcare il suo ultimo paio di pantaloni buoni e utilizzabili quando lei batté con il palmo della mano sul terreno al suo fianco. Prese un bastoncino anche lui e prese a disegnare un castello vicino all’enorme sette di Sakura.
 
« Eheh. » ridacchiò, « me lo dicono tutti. »
 
« Sì, hanno ragione. »
 
La guardò in volto e il sorriso era ancora stampato lì, con l’unica stranezza degli occhi, più simili a quelli di Sai quando si sforzava di non dire quello che pensava sul serio per non offendere nessuno.
 
« Tutto okay, Sakura-chan? »
 
« Oh, sì. Stavo solo pensando che...»
 
“ Tu pensi sempre”, si disse Naruto nella testa, ma Sakura sembrava allegra, e forse, forse, - per favore, ti prego, fa che sia così - si disse Naruto, stava pensando cose belle. Lanciò il bastoncino lontano come Sakura faceva con i sassolini per la strada, dopo aver finito di disegnare il castello, e lei lo imitò poco dopo.
 
« Il nostro team non è mai stato abbastanza uguale, nel corso del tempo. » aggiunse di scatto. Naruto ebbe, come unica reazione, quella di fissare gli occhi sul castello e di sperare che il suo apparato uditivo smettesse di funzionare. Lei gli si avvicinò districando le gambe e sedendosi ,portando le ginocchia al petto, al suo fianco.
 
« Nel senso, non siamo mai stati molto in simbiosi, noi tre. All’inizio voi riuscivate, e io no. Poi con il controllo del chackra riuscivo io, e voi no. Poi siamo stati lontani, e non siamo stati neanche più un team, a quel punto. »
 
Lei lo guardò, Naruto la vide con la coda dell’occhio. Il suo sguardo sembrava dire “Non è vero, Naruto-kun? Sto dicendo delle cose vere, non mi sto lamentando di Sas’ke-kun, questa è la storia. Li hai visti i libri nuovi, all’accademia? I bambini la studiano, questa storia.”
 
Naruto li aveva visti davvero i libri di storia del villaggio della foglia, dei ninja, delle guerre. Era un bel mattone di libro perché, giustamente, dattebayo!, aveva detto il giorno della pubblicazione, gli era stata dedicata una sezione speciale come “l’eroe di Konoha”, e perché ne era stata dedicata un’altra, particolarmente abbondante, sul team 7.  
 
Naruto sorrise nostalgico per non dover diventare parte attiva nel discorso, si poggiò sui propri palmi aperti, distese le gambe che andarono a coprire il castello che si era disegnato davanti, ma senza cancellarlo del tutto. Sfilò dai piedi le infradito, ci poggiò sopra i talloni per non sporcarsi con la terra e mosse ad una ad una le dita.
 
« Poi siamo stati in guerra, » continuò lei, che a forza di pensare aveva trovato davvero troppe cose da dire, « e tutti e tre riuscivamo. Ognuno nel proprio campo, ognuno con i propri obiettivi. E poi non so bene cosa siamo stati, ma non in simbiosi, comunque. »
 
Naruto guardò il groviglio di rami sovrastanti e decise di andare alla ricerca di nidi di uccelli.
 
« Ho trovato un aggancio, però. » disse quasi ridendo,  interrompendolo dall’ignorarla.
 
Sakura si sistemò meglio a sedere e ricalcò con il dito indice il solco fatto poco prima con il bastone.
 
« Ho trovato una cosa che ci accomuna tutti, o che ci accomunava. »
 
« La sfiga? »
 
Sakura ridacchiò scuotendo la testa.
 
« Baka. » gli disse, senza smettere di ridere. Naruto sperò fino in fondo – anche perché sentiva che quella sarebbe stata la sua ultima possibilità di sperare - che fosse Sakura stessa la cosa che li accomunava, o almeno l’amore.
 
« Sono gli occhi. »
 
La guardò per accertarsi che i suoi fossero ancora verdi come se li ricordava, sperando di non essere mai stato daltonico.
 
« Ma Sakura-chan, tu--»
 
« Sì, io ho gli occhi verdi, tu azzurri e Sas’ke neri. Ma non intendo quegli occhi, Naruto-kun. Dico quelli veri. »
 
Lui si lasciò un attimo tentare dalla voglia di chiederle quali fossero questi famigerati occhi di cui lei blaterava, i loro veri occhi non azzurri, non verdi e non neri, ma di nuovo il timore di ricevere una risposta sgradevole lo fermò.
 
« Gli occhi rossi. »
 
Sakura sorrideva nel dirlo, e non sembrava tesa. Ma gli occhi rossi, nella mente di Naruto, portavano solo brutti ricordi. La parte più brutta della vita di tutti quanti.
 
Cominciò a temere – anche se oramai era più una certezza che un sospetto - che la conversazione sarebbe scivolata su argomenti poco consoni ad un’estate soleggiata e alla loro amicizia. Eppure aveva creduto che il sette disegnato sul terreno sarebbe stato più forte di tutte le nostalgie e le difficoltà di Sakura.
 
« Un tempo avevamo gli occhi uguali, noi tre. Vuoi sapere come mai? »
 
Naruto fece di no con la testa.
 
«Ti capisco. » ammise Sakura ridendo ancora e irritandolo con i suoi modi di fare da presa in giro, « ma credo di dovertelo dire per forza, Naruto-kun. »
 
« Non bisogna fare niente per forza, Sakura-chan. »
 
« Perché i tuoi occhi erano rossi di rabbia quando Kurama prendeva il sopravvento, e gli occhi di Sas’ke-kun sono rossi per antonomasia. »

Lei si alzò in piedi e scavalcò con un piede le gambe distese di Naruto, poi gli si accucciò di fronte, sedendosi quasi sulle ginocchia di lui, e gli carezzò il volto con una mano. Sakura sorrise e Naruto si mise a viaggiare con gli occhi sulle sue guance rosse e accaldate e sul naso piccolo, alla ricerca dei particolari che la rendevano Sakura e inconfondibile: c’era la piccola cicatrice quasi invisibile sopra il sopracciglio destro data da un kunai schivato all’ultimo momento, e quella della varicella che si nascondeva poco sotto l’attaccatura dei capelli, sulla tempia sinistra. E poi c’era il sorriso, quello luminescente e accecante alla Sakura-chan, e alla fine gli occhi. Li guardò a lungo per confermare che erano verdi, solo verdi, senza neanche una sfumatura o pagliuzza, senza che l’iride, all’interno, nella parte vicino alla pupilla, sfumasse in una tonalità chiara di marrone. E lo sarebbero stati per sempre, lui ne era convinto, senza poter essere di un altro colore o il mondo sarebbe caduto in mille pezzi e il verde sarebbe scomparso per sempre.
 
Stava per dirglielo perché ne era sicuro, e lei invece lo distrusse.

« I miei invece sono sempre stati così rossi di pianto, Naruto-kun. »
 
Il terreno sempre stato scomodo e inadatto a loro due fin dall’inizio, divenne quasi impraticabile. Naruto riuscì a sentire le spigolosità delle pietre fino a poco prima inesistenti penetrargli nelle cosce, e il verde morì in quell’attimo in cui il sorriso di Sakura sparì. 
 
Lei lo guardò rammaricata, consapevole di essere asfissiante, stancante, nauseante quasi, seppur sincera. Aveva gli occhi verdi in quel momento, quelli finti, che esibiva al mondo e che secondo lei non erano gli occhi reali, leggermente allertati, e Naruto credette che stesse temendo il peggio, che anche quella volta si era resa conto di aver esagerato, di aver detto una cosa di troppo. Forse temendo una reazione alla Kurama dei vecchi tempi.   
 
« Non un’altra parola, Sakura-chan, non costringermi a non ascoltarti. »
 
Si staccò dai palmi della mani che lo tenevano dritto e tirò il busto in avanti, facendo scontrare la fronte con quella di lei e fissandola con rimprovero per farla tacere.
 
« Ma Naruto, » rispose tremante, « a chi altro potrei dirlo? »
 
Mosse le gambe e allontanò il volto dal suo, ormai troppo scomodo su quel metro quadrato di terra e troppo vicino a lei, e Sakura si alzò per farlo muovere. Si alzò in piedi anche lui pochi secondi dopo, e vide che il castello era stato cancellato. Le diede le spalle e mosse qualche passo confuso a destra e poi a sinistra, senza raccapezzarci nulla, senza saper ritrovare la strada per tornare a Konoha.
 
« Non so: » rispose arrabbiato battendo una mano sulla coscia. Si voltò a guardarla ancora un paio di volte per poi darle le spalle nuovamente. Si chiese come facesse a non capire, a continuare a non capire.
 
« A Sasuke magari? A Sasuke, Sakura! » tornò a guardarla preso dalla foga di farle vedere che c’era qualcun altro dietro alla sua voce in quel momento, che non c’era Naruto-kun da sempre innamorato e da sempre sorridente, c’era Naruto che le aveva appena urlato contro, Naruto che le aveva urlato addosso e che non l’aveva mai fatto, Naruto che aveva smesso di difenderla. Naruto davvero troppo stanco per far finta che quello fosse solo un delirio da insolazione. Le prese le spalle e la scosse una, due tre volte.
 
« A Sasuke, Sakura! A Sasuke che sta qui, a due passi, a Konoha, che è tornato! Perché non a Sasuke, invece di evitarlo come la peste?! Io...»
 
Tolse le mani dalle sue spalle con violenza e Sakura cadde al suolo senza sapersi spiegare come fosse potuto succedere che le sue gambe avessero ceduto in quel modo. La guardò mentre si poggiava sui gomiti per tornare in piedi. Dai gomiti si trascinò sulle mani e rimase lì, senza neanche una sbucciatura ma con gli occhi sbarrati, e lui non ebbe voglia di porgerle la mano per aiutarla.
 
« Non capisco davvero cosa ti abbia fatto! »
 
Sakura trasalì e non portò le mani al volto per soffocare quel piccolo grido che le uscì dalle labbra solamente perché altrimenti sarebbe caduta di nuovo a terra. Naruto tornò a guardare il terreno lì dove fino a poco prima c’era stato il suo bellissimo castello delle favole, e rimase in silenzio, sentendosi in colpa. Non ebbe cuore di chiederle scusa e dirle “Sì, ti ha spezzato il cuore”.
 
Calpestò malamente il terreno che aveva utilizzato come lavagna e si portò le mani al volto a mandar via le lacrime che avevano preso prima lui di Sakura.
 
« Cosa ha fatto a te che non ha fatto anche a me?! Cosa ha fatto a te che non ha fatto al villaggio?! » urlò di nuovo, cercando di rettificarsi ma apparendo solo più arrabbiato.
 
Sakura si alzò dal terreno velocemente e senza nemmeno starci a pensare passò la suola della sua scarpa destra sull’unica cosa che, in quel caos totale, pensava avesse avuto senso. Il numero sette scomparve dalla loro vista in concomitanza con l’apparizione delle lacrime sul volto di Sakura. Ansimava in maniera innaturale anche per un essere umano, come se per una qualche maledizione la sua cassa toracica fosse stata destinata a rimpicciolirsi ad ogni respiro. La vide piangere più copiosamente di quanto stesse facendo lui, con più determinazione – sempre che sia possibile piangere con determinazione.
Forse - l’ultimo forse di una lista infinita – perché tutte quelle urla Sakura non se le aspettava, tutta quella rabbia l’aveva colta di sorpresa, e non aveva avuto tempo di ponderarci. Aveva solamente dovuto reagire d’istinto, nonostante dicesse di non avercelo più, ed era tornata a piangere.
 
Era tornata istintiva per una manciata di secondi, o semplicemente i suoi occhi erano disposti al pianto molto più di altri.  
 
 « E adesso invece!? » proruppe lei andandogli addosso e spingendolo, facendolo inciampare su una radice senza riuscire però a farlo cadere. Le lacrime di Naruto si immobilizzarono sulle guancie.
 
« Kurama non prende più il sopravvento, e non ti brucia più la pelle, non ti fa fare del male alle persone che ti stanno a cuore! » gli disse quasi fosse una sua colpa, come se, per mantenere unito il gruppo, avesse dovuto continuare a portarsi un mostro in corpo, piuttosto che un amico. Gli si avvicinò ancora e gli diede un’altra spinta, e Naruto finì contro il tronco di un albero. Scosse la testa senza nessuna logica tanta era la confusione che vedeva negli occhi – notò con raccapriccio – rossi di pianto di Sakura.
 
« Guardami! Li vedi?! » disse, senza neanche dover spiegare a cosa si stesse riferendo. « Li vedi adesso? Te ne accorgi? Sasuke continua ad avere gli occhi rossi, perché non può farci nulla! »
 
Sakura gli si avvicinò, e nonostante gli avesse appena urlato in faccia, gli carezzò una guancia con due dita esatte, e Naruto rilassò i muscoli tesi e contratti del volto, gli occhi tornarono asciutti come se non avesse mai pianto in vita sua, come se fosse stata detta la parola d’ordine giusta per farlo tornare felice. E Sakura sorrise, con i suoi occhi rossi.  
 
« E io continuo a piangere. »
 
 
 
 
 
 
°°°
 
 
 
 
 
 
« Kurama sembri portartela a spasso quando cammini. E ti ama. » borbottò lei, mentre si divertiva a far dondolare il braccio avanti e indietro, trascinando così anche quello di Naruto. Con sorpresa, Sakura lo aveva detto quasi divertita. Naruto immaginò Kurama al guinzaglio, e l’idea, del resto, non lo disturbò. Avrebbe potuto costruire, in quei pomeriggi interi in cui si limitava ad ascoltare lei, un guinzaglio enorme, ma nell’attimo stesso in cui si immaginò la scena sentì uno strano gorgoglio provenire dal suo stomaco, e non era del tutto sicuro che fosse stata fame, quella, ma un avvertimento poco ben celato di una certa volpe a nove code di sua conoscenza.
 
Sakura rise come se avesse capito tutto ciò che gli era passato per la mente.
 
« Tutto il mondo ti ama, e tu hai un cuore abbastanza capiente da riuscire ad amare di rimando. Ed è magnifico. »
 
« E tu, Sakura-chan? Tu non ami abbastanza? » le chiese, accentuando ancor di più il movimento del braccio insieme a quello di lei.
 
Sakura fece spallucce, come se non fosse poi così sicura di amare davvero tanto, e di amare davvero tutti.

« Io e Sasuke non siamo cambiati molto, da questo punto di vista. »
 
« Sakura-chan, questa è proprio una stronzata, eh. »
 
Lei scoppiò di nuovo a ridere poggiando la testa sulla spalla destra di lui.
 
« Insomma, Sas’ke è un bastardo, ma da cattivo è diventato buono, mi sembra un cambiamento abbastanza eclatante! »
 
« Hai ragione! » rispose lei, convinta, per la prima volta sicura che Naruto ci avesse davvero capito qualcosa di quello che era successo.
 
« Hai ragione Naruto-kun, questo è innegabile! » affermò di nuovo con decisione, facendo dondolare sempre con più foga il braccio e stringendo sempre con più forza la mano di Naruto.   
 
« Ma io stavo parlando di una cosa più sottile. Tu mi dirai: Sas’ke-kun è passato dall’odiare tutto a sopportare tante cose, ed è passato dall’odiare questo villaggio a viverci. Ma ci sono poche costanti, nella sua vita: lui ha sempre amato te – qualsiasi cosa lui ne dica, Naruto-kun, non fare quella faccia perplessa. Ha sempre amato suo fratello, se ne è solo accorto in ritardo. » Sakura rallentò il ritmo della camminata.

« Ma non ha mai amato me. »
 
Naruto le strinse la mano e ricominciò a far dondolare eccessivamente il braccio. Sakura sorrise e lo accompagnò nei movimenti esagerati che erano tipici di lui, senza però dimenticarsi di cosa stava parlando qualche attimo prima. Voleva solo non farla piangere di nuovo.
 
« E io invece, » disse lei con tono di rimprovero verso se stessa, « sono riuscita ad amare sempre e solo lui. »
 
“E me, Sakura-chan? Kakashi-sensei? Nonna Tsunade? Non ti fanno né caldo né freddo, loro?”. La domanda non l’avrebbe messa nella minima difficoltà, Naruto ne era cosciente. Sakura avrebbe sorriso, considerando quella domanda più una spasmodica ricerca di affetto da parte di Naruto piuttosto che un modo per farle capire che c’era altro oltre Sasuke Uchiha, nella sua vita. Infine, come lei gli aveva insegnato a fare negli ultimi mesi, pensò per qualche secondo a quanto fosse necessario dirlo, e a cosa sarebbe servito, e stette zitto anche lui.
 
« Ed anche oggi, io sono ancora troppo innamorata di lui, e lui è ancora troppo non innamorato di me. »
 
 
 
 
 
 
°°°
 
 
 
 
 
La panchina fece paura anche a lui. Sakura lo aveva avvertito così tanto, gli aveva insegnato a riconoscerla così bene, che anche lui alla fine aveva imparato a distinguerla dal resto delle panchine. E non che avesse scritto sopra Sakura-chan, o Sas’ke-kun, o abbandono, non aveva nulla di particolare. Non un angolo smussato, non una scritta incisa con qualche sasso da un paio di ragazzini innamorati.
 
Se avesse dipinto e vandalizzato, pensò lui, tutte quelle noiosissime panchine invece delle facce dell’Hokage quando era giovane, magari adesso sarebbe stata di facile riconoscimento non perché Sakura-chan ci aveva languito piangendo un’intera notte, ma perché c’era disegnato un sole gigante, il simbolo del vortice e una linguaccia impertinente.
 
Sakura tenne stretta la sua mano, e con coraggio sussurrò “Non serve a niente”, e si sedette.
 
Fece un passo in avanti per non costringerla a ritirare la mano stretta nella propria. Guardò la panchina e vide che c’era posto a sufficienza per due persone, ma per la prima volta fu lui a non volercisi sedere.
 
« Non serve a niente non sedersi qui, le altre persone lo fanno. E anche se questa panchina venisse disintegrata, continuerebbe a non avere senso guardare quel buco vuoto di terreno come se mi avesse fatto male. »
 
Naruto le si sedette accanto non perché l’avesse convinto a farlo con quelle poche parole, ma perché voleva starle vicino.
 
Lei sciolse l’intreccio di dita e fece scorrere i polpastrelli sulla pietra levigata. Sorrise guardandosi le mani, forse perché non avevano preso fuoco a contatto con la panchina, a prova che non c’era nessuna maledizione in corso che le impediva di toccarla o di sedercisi.
 
« Adesso mi sento meglio. » ammise, andando a ricercare la sua mano. Gliela strinse, poggiando il palmo sul suo dorso, intrufolò le dita tra le nocche.
 
« Adesso mi sento a casa. »
 
« A casa? »
 
Sakura sorrise di gusto, di quel sorriso che stava lì lì per diventare una risata. Quando successe, si piegò in avanti dalle troppe rise e dopo, per contrappeso, buttò la testa all’indietro. Invece di irritarlo, le sue risa lo sollevarono.
 
« A casa, Naruto-kun, sì. Il mio letto è fatto così. »
 
Toccò con una mano lo schienale della panchina.
 
« Da cinque anni, Naruto, » lui deglutì, « da cinque anni io non mi sono limitata ad aspettare, cercare, migliorare. »
 
Non la riprese, non le disse di non parlare. Era curioso di sapere cosa avesse fatto Sakura in cinque anni mentre lui non se ne accorgeva.
 
« Io ho dormito qui. » disse infine. Sakura lo guardò.
 
“Sei davvero così pazza, Sakura-chan? Sei tornata ogni notte a dormire sulla panchina? Che pensavi, che sarebbe tornato per i sensi di colpa?”. Quella volta lo avrebbe detto, stava per dirlo quando Sakura lo interruppe.
 
« Io mi sveglio la notte su un letto, eppure il cuscino ha questa consistenza, » Sakura picchettò un dito sul sedile della panca, « e il materasso è di pietra. »
 
Naruto si chiese cosa avrebbe provato a ritrovarla lui, Sakura, quella mattina di tanto tempo fa, sdraiata in lacrime su una panchina consapevole di aver fallito, e si chiese invece come si sentisse lei a ritrovarcisi da sola, ogni notte, ad ogni risveglio, se somigliava vagamente a quella che vedeva lì in quel momento.
 
« Io vengo abbandonata su questa panchina da cinque anni, Naruto-kun. » disse con gli occhi lucidi ma non ancora rossi, con le labbra tirate per soffocare il primo singhiozzo. 
 
« Non mi ci sedevo da...eppure...eppure mi era così familiare che è stato come tornare a casa. »
 
« Sakura-chan...» “Ci sono io a farti compagnia su questa panchina, adesso.”
 
« Tu— » Sakura si alzò all’improvviso lasciandogli la mano andando verso la direzione che l’avrebbe portata a casa sua. Prima di continuare la frase indicò il sole.
 
« Guarda, » disse in un sussurro, « il sole sta tramontando, ad ovest. »
 
Naruto annuì quando lei lo guardò per trovare conferma. Sakura gli si avvicinò nuovamente, come se si fosse dimenticata di fare una cosa molto importante prima di andarsene. Gli posò un bacio sulla fronte così leggero che già l’attimo dopo Naruto si chiese se fosse stato reale, o anche quello la conseguenza di un’insolazione.

« Tu sei cambiato molto, Naruto. »
 
Infine gli sorrise, commossa. Guardava la panchina più come una vecchia compagna di sventure più che come un’acerrima nemica.
 
« Ma io e Sas’ke no. »
 
 
 
 
 
 
 
°°°
 
 
 
 
 
E Sasuke nemmeno.
 
 
 
 
 
 
 
 



Questo è quanto. Una cavolata immane, lo so, e non credo che abbia davvero un senso quello che ho scritto. Spero che giornate migliori porteranno a cose migliore. Ringrazio, come sempre, tutti quelli che leggeranno e coloro che lasceranno una recensione.

A non so quando

umavez

 
  
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