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Autore: charliesstrawberry    05/01/2014    7 recensioni
«Complimenti Styles, erano mesi che stavamo cercando di venire a capo della faccenda».
«Grazie capo», borbottò Harry imbarazzato grattandosi la nuca. Certe volte però avrebbe voluto avere una vita normale, essere un tipo normale che va in una scuola normale. Non il figlio di un ex agente della C.I.A. morto inspiegabilmente a causa di una banda di pazzi armati con uno strano e perverso senso dell’umorismo.
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«Devo portarti in un posto sicuro, questi sono gli ordini. Non discutere con me!» ribatté il ragazzo lanciandole un’occhiataccia.
«No, tu non discutere con me! Ti ho chiesto di dirmi dove…» lui tirò bruscamente il freno a mano: la macchina fece una mezza piroetta su se stessa e per poco non si ribaltò, generando una nuvola di polvere dal terreno sterrato su cui stavano andando come minimo a 180 all’ora.
«Perché diavolo non vuoi capire Charlie, devo proteggerti porca puttana!» si passò una mano tra i capelli bruni fissandola di traverso «non ho mai conosciuto nessuno più esasperante di te!»
--fanfiction a quattro mani con __OffTheChain--
Genere: Azione, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Casa


Il viaggio in aereo era stato imbarazzante. E pure l'attesa per l'imbarco, e anche il tempo che avevano speso in macchina in seguito all'atterraggio a Manhattan. Né Harry né Charlie avevano spiccicato una parola, l'una troppo arrabbiata per degnarsi di rispondere a qualsiasi imput esterno, l'altro forse per l'imbarazzo causato da quella situazione così strana.
Anche perché il silenzio tra i due non era stato un silenzio calmo, di quelli che durano per tanto ma che non infastidiscono, perché in realtà nessuno ha niente di particolare da dire. No: il loro era stato un silenzio agitato, irritato, carico di tensione; il loro era il silenzio delle domande che ancora dovevano porsi l'un l'altra, il silenzio dei sensi di colpa, della delusione, ed anche un po' di paura. Eppure, nonostante ogni tanto uno squarcio di conversazione fiorisse nella mente di entrambi, questo non riusciva mai ad attraversare le corde vocali di uno dei due e raggiungere l'abitacolo della macchina, così che proseguirono in silenzio, perdendosi nei meandri dei loro pensieri durante il viaggio più noioso di tutti i tempi.
Era un silenzio imbarazzato, intercalato da vari colpi di tosse di Harry e da sbuffi esasperati di Charlie.
Lui era confuso. Charlie non aveva professato parola per l'intero viaggio e sospettava che la sua ira – che chiaramente era rivolta nei suoi confronti, prima di tutto – non si sarebbe acquietata tanto facilmente. Era confuso anche perché non si era mai sentito così impotente nei confronti di qualcuno; sentiva le braccia molli e una morsa allo stomaco... e tutto perché Charlie Douglas si rifiutava di rivolgergli la parola?
Lei era arrabbiata. Con i suoi genitori, per non averle detto nulla. Ma ancora di più con Harry, perché, oltre ad averla tenuta all'oscuro di tutto quanto, l'aveva anche baciata. E ora si sentiva così stupida, perché non solo aveva risposto al bacio, ma le era anche piaciuto; e per qualche istante aveva pensato che forse ad Harry poteva davvero importare qualcosa di lei, che forse esisteva qualcuno che la comprendeva e che sarebbe stato capace di perdonarla e passare sopra a tutte le cose brutte che aveva fatto. Qualcuno che ci teneva. E invece no, Harry lavorava e basta, veniva pagato per starle dietro. A Charlie veniva su il vomito solo a pensarci: a pensare a quelle sue vane speranze e a quel bacio così magico ormai sbiadito tra dolci ricordi e dure verità.
Era stato tutto inutile. Lei era cambiata a causa di Harry, sentiva di essere diventata una persona migliore; e tutto grazie a qualcuno a cui in realtà non importava nulla, qualcuno che stava soltanto svolgendo dei compiti assegnatigli da qualcun altro. Forse l'essere cambiata non era stato inutile, ecco, ma l'averlo fatto per lui la faceva sentire così vulnerabile, e se ne vergognava da morire. Si era davvero innamorata di Harry Styles?
Il groviglio di pensieri nella testa della ragazza si sciolse, o per lo meno si acquietò, nell'esatto momento in cui vide il ragazzo infilare delle chiavi nella toppa della porta che avevano di fronte.
Si trovavano in una piccola villetta in periferia della città, anche se non aveva fatto caso a controllare i nomi sul citofono per capire a chi appartenesse.
«Questa è...» cominciò, non appena la porta si aprì di fronte a lei, lasciandole la vista di un piccolo atrio molto luminoso.
«...Casa mia, sì» completò Harry mettendole una mano dietro la schiena e spingendola dolcemente all'interno dell'abitazione. A quel tocco la bionda sentì un brivido percorrerle la schiena ed in uno scatto repentino fece un passo avanti, evitando il contatto.
Lui aggrottò le sopracciglia, confuso. «Vieni» le intimò e le indicò una stanza vicina, che era il salotto.
Charlie vi entrò e si guardò intorno curiosa, intenta ad osservare ogni minimo dettaglio. Il salotto era ampio e spazioso, eppure aveva in sé qualcosa di estremamente caloroso e accogliente; c'erano numerosi quadri appesi alle mura della camera, ed il divano in pelle era pieno di cuscini coloratissimi. Accanto alla tv Charlie notò alcune Barbie sparpagliate per terra senza molto ordine. Aggrottò le sopracciglia: Harry non le aveva detto di avere una sorella più piccola. Sospirò, ricordandosi che, allo stato delle cose, effettivamente lei non sapeva proprio nulla di Harry, e quello che aveva conosciuto in realtà non era altro che una maschera, una copertura dell'agente segreto che l'aveva protetta nelle ultime settimane. Chissà chi era, il vero Harry Styles. Sempre che quello fosse il suo vero nome.
Scosse la testa e tornò ad osservare la stanza, ammaliata: non aveva mai visto niente del genere, ma le piaceva tantissimo. Sembrava proprio la casa di qualcuno che è pieno di soldi ma deve trattenersi per non destare troppi sospetti. Per non far saltare la copertura.
Eppure in certi punti della stanza si notava quanto chiunque avesse pensato all'arredamento si fosse un po' lasciato prendere la mano: e così il televisore al plasma, il modernissimo divano in pelle ed il tavolo e le sedie di design stonavano di gran lunga con i tappeti persiani vecchio stile ed il parquet un po' sgualcito per terra. Eppure, tutto sommato, Charlie trovava quella casa meravigliosa: possedeva tutte le comodità di cui si poteva avere bisogno e al contempo era accogliente e familiare; non come la sua, di casa, che era così grande e fredda da sembrare un ristorante o un gelido centro commerciale in stile Harrods.
«Mi piace» commentò cercando di non suonare troppo ammaliata, accarezzandosi un braccio.
«Vieni, ti porto dove starai tu» le intimò Harry indicandole le scale. La condusse in una stanza abbastanza spaziosa ma non esageratamente grande, dai colori freddi e con il parquet a terra. Il letto era rifatto e con un velo di polvere sopra di esso, segno che nessuno ci dormiva ormai da mesi.
«È la mia stanza» esordì il ragazzo appoggiandosi allo stipite, mentre lei si sedeva tranquillamente sul letto. «Puoi stare qui in questi giorni».
«E tu, dove dormirai?».
«Il divano è parecchio comodo» constatò lui con un lieve sorriso sulle labbra, andandosi a sedere accanto a lei.
Forse un po' troppo vicino.
Charlie si schiarì la voce, imbarazzata forse per la prima volta nella sua vita, poi parlò: «Non ho con me neanche un vestito».
«La tua domestica ha fatto la valigia, dovrebbe arrivare qui entro questa sera, al più tardi domani mattina» le spiegò il ragazzo.
«Oh, d'accordo» replicò lei in tono freddo, incrociando le braccia al petto e fissando il proprio sguardo sul parquet scuro della camera.
Harry la osservò per qualche istante, curioso: aveva indosso uno di quei bronci irritati che le aveva visto più volte in viso, anche se stavolta questa espressione era come un mix... tra l'irritazione e la tristezza. Il ragazzo poteva giurare di vedere le iridi azzurre di lei attraverso un sottile velo di lacrime, che stava per sgorgare dai suoi occhi come un fiume in piena
«Charlie... è tutto a posto?» domandò con cautela, inclinando di poco la testa per guardarla meglio.
Lei sorrise, ironica. «Meravigliosamente» borbottò con fare sarcastico. «C'è una banda di pazzi che vuole ammazzarmi e sono finita agli arresti domiciliari, da sola con te».
Harry rise. «È davvero un così grande problema essere finita “da sola con me”?».
La bionda sbuffò, le braccia ancora serrate al petto con fare protettivo. «Diciamo che ne avrei volentieri fatto a meno» sputò acida, sapendo di star mentendo spudoratamente. Fosse stato per lei avrebbe continuato a passare il suo tempo con Harry Styles, anche solo per parlare e battibeccarsi, e poi chissà... Ma non aveva assolutamente voglia di farsi vedere catturata nella sua trappola, perché lei non era e non voleva essere lo stupido insetto impigliato nella ragnatela del ragno di turno. Solitamente era lei la tarantola, e lo era sempre stata.
Harry, dal canto suo, rise, ma non poté fare a meno di avvertire una spiacevole morsa allo stomaco a quelle parole. «Pensavo che avessimo superato le nostre faide...» tentò, guardandola finalmente negli occhi. Erano azzurri, ed erano così vicini. Harry avrebbe dovuto sporgersi solo un po' di più per ricongiungere finalmente le loro labbra, proprio come la sera del ballo, e per poter provare nuovamente quelle strane sensazioni che gli avevano messo lo stomaco in subbuglio.
Ma fu bloccato a mezz'aria dalle parole di lei. «Beh, ti sbagliavi. Peccato. Ora ti dispiacerebbe lasciarmi sola per un po'? Sono molto stanca e ho bisogno di riposare».
Harry la guardò, eppure i suoi occhi sembrarono per un istante vuoti e delusi, quasi feriti da quelle poche parole della biondina.
Si alzò lentamente dal letto, dirigendosi verso la porta. «Se hai bisogno di qualcosa, chiama pure», borbottò insicuro e chiuse la porta alle sue spalle, appena prima di emettere uno sbuffo sonoro.


Era tarda sera. Harry aveva passato l'intero pomeriggio al telefono con agenti vari, tra cui Bill, il quale l'aveva informato sulla situazione a Seattle. I tipi del The Game avevano perso le tracce di lui e Charlie, quindi era fortemente improbabile che la ragazza si trovasse in pericolo: per fortuna, pensò Harry, almeno avrebbe potuto stare tranquillo per un po'. Andrew e Jacob erano riusciti a catturare un uomo sospetto che vagava intorno alla villa dei Douglas, e che poi si era rivelato un altro dei Giocatori: l'avevano chiuso nello studio del signor Douglas, impedendogli di suicidarsi in alcun modo, e nel frattempo cercavano di estorcergli informazioni importanti. Per ora non aveva confessato una sillaba. Il signor e la signora Douglas nel frattempo erano stati trasferiti in un posto più sicuro dall'altra parte del paese e presto, l'aveva rassicurato Bill, la CIA avrebbe mandato rinforzi anche ad Harry, per poter tenere meglio d'occhio Charlie. Harry stavolta aveva replicato che non era necessario e che sarebbe riuscito a cavarsela benissimo da solo, ma il suo vecchio non aveva voluto sentire ragioni, specie dopo l'incidente accaduto quella mattina; e di certo Harry non poteva biasimarlo, era stato così stupido e incosciente.
Il resto del pomeriggio l'aveva passato a fare zapping sul televisore, come ai bei vecchi tempi, fino a quando la porta di casa non si era aperta e dall'atrio erano giunte quattro voci a lui ben conosciute.
Si era alzato di scatto dal divano, spegnendo la televisione, e si era precipitato nella stanza accanto con urgenza quasi febbrile. «Sorpresa!» esclamò allegramente parandosi di fronte a quelle due figure esili che a stento gli arrivavano ai fianchi, e mise su uno di quei sorrisi a trentadue denti che gli mettevano sempre bene in mostra le fossette a lato della bocca.
Trevor e Becky spalancarono la bocca sorpresi e rimasero impassibili per qualche istante: Harry non fece in tempo ad accovacciarsi che già quelle due piccole pesti gli erano saltate addosso, stritolandolo completamente.
«Hally! Mi sei mancato tanto» cantilenò contenta la più piccola aggrappandosi al suo collo, mentre il maschio trovava uno spazio per sé abbracciando i fianchi del ragazzo.
Il riccio diede un tenero bacio sulla testa di Becky e poi scompigliò i capelli di Trevor. «Anche voi mi siete mancati tantissimo, mostriciattoli» rise.
«Harry!» il ragazzo udì la voce di sua madre, ancora ferma sulla soglia, sovrastare quelle deboli dei suoi due figli.
«Ciao, mamma» fece lui sorridente riuscendo a liberarsi dalla morsa dei suoi fratelli e raggiungendola, per poi stringerla in un caloroso abbraccio nel quale la donna si perse, stringendo il figlio ancora più a sé.
Quando riuscì a liberarsi anche dalla morsa della madre raggiunse il suo patrigno e riservò anche a lui un abbraccio caloroso.
«Che ci fai qui? Non mi avevi detto che saresti tornato!» fece sua madre con tono emozionato mentre tutti e cinque si dirigevano in salotto.
Il ragazzo scrollò le spalle. «Ci sono stati dei problemi...».
«Problemi? Che problemi? Tu stai bene?».
Harry rise leggermente. «È tutto a posto, mamma. Solo che la ragazza che sto proteggendo stava per essere rapita, e Seattle non era più un posto sicuro per lei. Portarla alla centrale era rischioso, ma non volevo allontanarmi troppo da Manhattan. Così ho pensato di portarla qui» spiegò.
«Quindi... la ragazza è qui?» domandò Anne, confusa.
Harry annuì. «È di sopra che dorme».
La donna sembrava parecchio sorpresa. «Oh, d'accordo. Vedrò di preparare una buona cena allora» cantilenò contenta dirigendosi verso la cucina, e Harry roteò gli occhi al cielo. Da un lato era sollevato che sua madre l'avesse presa così.
«Harry, Harry, Harry, dopo giochi all'Xbox con noi?» una vocetta esile richiamò l'attenzione del ragazzo, che sorrise amabilmente al piccolo Trevor.
«Certo! Io e te non facciamo una partita come si deve da una vita, campione» disse scompigliandogli i capelli.
In quell'esatto istante il campanello suonò.
«Harry, ti dispiace andare tu? Devo far infilare queste pesti nel pigiama, e tua madre sembra decisamente indaffarata in cucina» fece Robin in un tono divertito trascinando i due bimbi verso le scale.
Harry sorrise sollevando un pollice. «Non c'è problema» disse semplicemente, prima di dirigersi verso la porta.
Quando aprì, rimase più di qualche istante a bocca aperta a fissare la figura che gli stava davanti, sorridente e beffarda al contempo. Gli occhi azzurri dell'altra persona incontrarono i suoi, verde acqua, e si distesero in un'espressione tranquilla e eccitata.
«Brutto stronzo! Quando avevi intenzione di dirmi che eri tornato a Manhattan?» gracchiò la voce di Louis, il quale gli si era appena parato di fronte, stritolandolo in un abbraccio caloroso.
«Diciamo che ho saputo poche ore fa che sarei tornato in sede» spiegò un Harry ancora sorpreso dalla visita inaspettata, seppur piacevole. Chiuse la porta di casa dietro di sé e si diresse con l'amico verso il salotto, per poi abbandonarsi sul divano in pelle.
«Problemi con la missione?» Louis gli sorrise, amabile. Aveva sempre avuto quella strana capacità di mostrarsi tranquillo ed entusiasta di qualsiasi cosa; probabilmente anche di fronte alla prospettiva di camminare a piedi nudi su dei rovi di spine lui avrebbe sorriso come sempre, con il suo volto sempre così pulito e gentile. Per certi versi ad Harry ricordava un po' una versione giovane di Bill, il quale aveva in comune con lui quest'abitudine di sorridere di fronte a tutto: pure ad una pistola puntata contro la sua tempia, ed Harry lo sapeva per esperienza. «Abbiamo avuto un'imboscata all'improvviso, e non era più sicuro trattenere Charlie a Seattle... così ho pensato di portarla qui» spiegò il ragazzo, arruffandosi un po' i capelli castani. «Piuttosto, che ci fai tu qua?» domandò poi, perplesso. Non che la visita di Louis non gli facesse piacere: anzi. Gli era mancato da morire, ed erano trascorsi praticamente due mesi di fila dal loro ultimo incontro. Eppure Harry non aveva accennato con lui di stare per tornare o altro, quindi non c'era motivo per cui avrebbe dovuto saperlo. A meno che...
«Lavoro» si scrollò le spalle il moro, mettendo su un sorrisetto stavolta poco sincero.
A meno che non fosse lui i rinforzi di cui Bill gli aveva parlato al telefono. Harry sbattè le palpebre per qualche secondo. Ecco, lo sapeva. «Aspetta, vuoi dire che...»
Il suo amico annuì, stringendo le labbra. «Sì, è stato Sam a dirmi di darti un'occhiata. A quanto pare Bill l'ha informato di un certo tuo comportamento ambiguo» rise e gli fece l'occhiolino con fare quasi complice, mentre si accomodava sul divano assieme a lui.
«Comportamento ambiguo?» domandò il riccio tentennante, sedendosi meglio sul divano in pelle della casa.
«Andiamo, hai o non hai pomiciato con la biondina stronza che ti avevano affidato?».
Harry sbuffò. Sapeva che prima o poi la voce si sarebbe sparsa, ma non pensava che sarebbe accaduto tanto in fretta; sudava freddo solo al pensiero di tutti i punti di merito che gli avrebbero tolto alla CIA per via di quella svista. «Ecco... Non proprio» cominciò, schiarendosi per bene la voce. «Diciamo che è stato solo un momento di distrazione, un bacio, niente di che...» tentò di discolparsi.
Louis annuì accarezzandosi il mento, con fare comprensivo. «Con o senza lingua?».
Harry strabuzzò gli occhi. «Scusa?».
«Andiamo non mi dire che le hai dato un bacetto da prima elementare, mi aspetto almeno che tu l'abbia baciata come si deve!».
«E da quando ti interessa?».
«Da quando noi poveri sfigati agenti segreti non rimorchiamo mai. Poi se si parla di te è davvero l'apocalisse!»
«Non mi piace mischiare il lavoro con le faccende private» si discolpò il più giovane, mettendo su una sorta di broncio e incrociando le braccia al petto.
«E quindi hai baciato la biondina per puri scopi lavorativi?» lo prese in giro l'altro.
Harry sbuffò. «No... non c'entra! Ecco, io non lo so perché l'ho baciata. Mi andava di farlo e l'ho fatto. Sei contento?».
Louis sorrise, chiaramente soddisfatto delle parole dell'amico. Lo conosceva troppo bene per credere alle sue menzogne, ed anche Harry lo sapeva benissimo: per questo evitava di mentire con lui, sarebbe stato del tutto inutile, malgrado le sue incredibili abilità da dissimulatore.
«Allora, con la lingua vero?» riprese Louis estasiato, mettendo su uno di quei suoi sorrisetti maliziosi.
Harry si limitò a sbuffare, sorridere ed annuire leggermente, mentre l'altro scoppiava in una clamorosa risata e batteva le mani.
«Lo sapevo, bravo il nostro Styles!» proclamò, scompigliandogli i ricci. «Dunque dimmi, ti è piaciuto?».
Harry si grattò la nuca cercando di prendere tempo, un po' in imbarazzo. Non era abituato a parlare di queste cose con Louis, o meglio, lui non parlava di queste cose e basta. Con nessuno. «Certo! Cioè, sì che mi è piaciuto. È stato... wow» balbettò, non sapendo esattamente come poter descrivere quel bacio. Wow era l'aggettivo che in quel momento gli sembrava più indicato, perché era stata anche l'unica parola che era riuscito a pensare dopo che Charlie era sparita di nuovo nella pista da ballo, senza più dirgli nulla; e lui era rimasto come un deficiente in mezzo al parcheggio della scuola, lo sguardo sorpreso per quel gesto avventato ed il sapore di lei ancora sulle labbra.
«Hai pensato che potresti provare qualcosa per lei?» azzardò il moro.
Harry annuì. «Sì, penso che lei mi piaccia. Non che questo migliori le cose; devo dimenticarmela e basta, o saranno guai... seri».
«Sinceramente non ti capisco, Harry. È una cosa che non capita tutti i giorni, specialmente alla gente come noi. Fossi stato in te avrei mandato a puttane tutto quanto per lei».
Il ragazzo scosse sistematicamente la testa mentre lo ascoltava. «Non se ne parla. Sono dieci anni che inseguo questo delitto, e adesso che sono a tanto così dal venirne a capo, dallo scoprire finalmente chi c'è dietro l'assassinio di mio padre, non posso e non voglio tirarmi indietro».
Louis sbuffò e scosse la testa. «Io dico che stai sbagliando, amico. È troppo tempo che ti scervelli dietro a questa cosa, scoprire chi è stato non ti riporterà indietro tuo padre. Vuoi giustizia? La giustizia non serve a niente, non ti dà l'amore di qualcuno che manca. A forza d'inseguire la scomparsa di tuo padre finirai per perdere qualcun altro a cui tieni davvero. E non provare a dirmi che sono cazzate perché ti conosco, Harry, e si vede da un miglio di distanza che ti beccheresti una pallottola in pieno petto per lei» si arrestò un attimo, accarezzandosi la lieve barbetta sul mento «e sì, anche fuori servizio».


*capitolo scritto da Carla. 
 

~Note.
Ci scusiamo immensamente per il ritardo. E' tutta colpa mia (Carla), e me ne prendo la responsabilità. A questo punto non promettiamo nulla, per non deludervi, piuttosto speriamo di non tardare con il prossimo aggiornamento... non uccideteci ç__ç
Detto questo, speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, e grazie mille a tutti voi che seguite, preferite, e recensite soprattutto. Siete tanti zuccherini <33
Queste sono le nostre altre storie:


 

Al prossimo capitolo!  
Carla e Anna xx

   
 
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